Synopsis n. 2. arrative Theory and Poetics or Fiction (Tel Aviv-Gerusalemme. 17-22 giugno) 2nd Congress or the lnternational Association for Semiotic Studies (Vienna. 2-6 luglio) 1 roppa grazia per un semiologo, .fpecie se lei/erario. Un inizio d'e• state che ha visto susseguirsi convegni e congressi a Te/ A vive Gerusalemme, a Budapest, a Vienna, a Bressanone, a Urbino. La scadenza del congresso internazionale è prefissata, e alcuni degli altri sono spuntati a/torno, così da utilizzare spostamenti degli studiosi da uno ad altro continente. Anche regolare il ritmo dei convegni di Urbino, che quest'anno, saturo di mani/e· stazioni analoghe, lo scrivente ha disertato. Ma questo moltiplicarsi di riunioni è anche sintomo di una fase di ripensamento e, credo, di rinnovamento. Segnalo almeno due falli che credo sintomatici: due fatti e due assenze. Tanto in Israele, quanto a Vienna, pochi erano i francesi, e quasi nessuno dei più famosi (sesi esclude una veloce apparizione della Kristeva a Vienna). Non mancavano, per altro, i segni del loro influsso culturale, su studiosi di ogni parte: schemi eformule di Barthes e di Greimas, riferimenti a Derrifla e Lacan. Sembra tuttavia di avvertire una certa stanchezza, una chiusura su formule collaudate. Basti pensare che il dibattito sulle funzioni narrative, acceso da Lévi-Strauss e Greimas, proseguito da Todorov e Bremond sulla base del decisivo lavoro di Propp, è rimasto sullo sfondo, richiamo a una razionalizzazione non più accettata da tutti. Altra assenza, stavolta forzata, quella dei sovietici (mentre erano molti. almeno a Vienna, i rappresentanti di Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria. ecc.). Ebbene: questa assenza. coincideva in modo impressionante con l'apogeo della fortuna occidentale del loro pensiero. Lotman, Uspenskij. Meletinskij, ecc., vengono affannosamente tradotti in inglese, in italiano, in tedesco; le loro concezioni sono ormai accolte e sviluppate da studiosi di diversa formazione. Uno dei centri di diffu• sione è Israele; e non stupisce, se si pensa all'origine russa o polacca di molti di quegli studiosi, e allapresenza di fuoriusciti, come Segai, ora a Gemsalemme. Credo che qualche notiza su Synopsis n. 2 darà un'idea di che cosa sta cambiando nella semiotica letteraria.A Vienna ilpanorama eraforse più vasto: ma così vasto da non poter essere dominato da un solo osservatore. Quello di Vienna è stato un congresso-mons/re, notevole come rassegna della semiotica mondiale, assimilabilesolo sul· la base degli Att~ se ci saranno, come pare. Si pensi che, a parte le conferenze plenarie, di René Thom e di Nelson Goodman, e a parte le lezioni sul- /'«eredità viennese» (Biihler, Wittgenstein, Lorenz, il «Wiener Singspiel», ecc.), ogni giorno /'angosciato frequentatore avido di apprendere doveva scegliere, o alternarsi, trasei o sette sezioni di comunicazioni singole, una tavola rotonda e le «poster-sessions» lasciatea iniziative individuali. Molto più svelta la formula di Te/ Aviv-Gerusalemme: una tavola rotonda continua, a cui tutti partecipavano dopo la lettura o il riassunto di ogni relazione. Formula realizzabile per il minor numero di partecipanti (poche decine, contro i seicento circa di Vienna) e per la loro omogeneità (tutti critici, o teorici della critica). Il grande quadrato di tavoli del Porter lnstitute di Te/ Aviv, /'elegante sala elliuica della Fondazione Van Leer di Gerusalemme, fornivano /'ambiente più consono a 1111daiscussione sempre vivace, talora appassio11ata,mai scomposta. Una prima serie d'i11terventiriguardal'll la finzio11e narrative,. Lascio da parte /'affinamento, tla parte di Gera/cl Ultimedallacritica Prince, della «grammatica della narra-· ;.ione»da lui già proposta in un volume (L'Aia 1973): una tavola di formule logiche che dovrebbero coprire tulle le possibilità di .ftruuure narrative in qualunque civiltà ed epoca. Molto più movimentate furono le discussioni in margine a interventi basati sui «mondi possibili» (Pavel, Eco, Dolei.e/). li problema è noto e vecchissimo: il narratore ha perlopiù come materia eventi fittizi, che sono nel contempo così «veri» (ma in che modo?) da autorizzare interpretazioni secondo cui il mondo rappresentato è immagine o specchio di quello reale. Dicendo che il narratore non descrive il nostro mondo, ma un mondo po.uihile. 1101r1ischiamo di re11dere i11111ili::ahilicriteri ti, ,·,·rita ,, m11e111icità? La risposta di Dolete[ è che il narratore ha una «autorità di autenticazione»: in un racconto sono dunque autentiche le asserzioni avanzate in forma oggettiva dallo scrittore, mentre sono o possono essere non autentiche quelle emesse dai personaggi. Sono mulini a vento, e non giganti, quelli contro cui si batte Don Chisciotte, perché è l'autore che ci assicura che sono mulini, solo Don Chisciotte che li credegiganti. Criterio che può sembrare sin troppo elementare, se Dolete/ non soggiungesse subito che nelle narrazioni soggettiviz• zate, o in quelle pseudo-autobiografiche, il narratore assume certi tratti di personaggio, sicché la fun 4ione autenticante diviene una funzione «graduata». Occorre mettere a punto criteri di autenticazione più complessi, o riconoscere che «annullando le norme (di autenticazione) esistenti la /etterawra si apre a nuove possibilità semantiche ed amplia la sua attillldine a produrre senso». /\,fa anche gli eventi narrati sono convenzionali: selezioni del continuum esperito e vissuto. li concetto di «motim» messo a punto dagli etnologi deCes re Segre v'essere riconosciuto come elemento minimo de/l'analisi del mondo che l'esperienza colleuiva ha amwto nei secoli. Come, nel designare oggeui, usiamo le parole del dizionario, così, nel descrivere gesti, azioni e silllazioni, ricorriamo a un repertorio messo a punto da tu/li i parlanti e gli scrittori che ciprecedono. Even-Zohar introduce così il termine «realema»,perle unità minime enunciabili di realtà; e mostra le diversità tra i «rea/emi» di varie lingue, evidenziabili nelle traduzioni. Anche se per differenze minime, vi sono nelle varie culture sensibili differenze nel modo di sezionare la realtà. Di temi e motivi ha anche parlato Clwtman. riwd111a11dola Poetica di Beardsley, tra.fft1mta dagli .mulio.ù d'oggi; e ·ha parlato, per la loro fase genetica, Shlomit Rimmon-Kenan. È uno degli interventi che hanno suscitato più reazioni; ma anche uno dei più brillanti. Rifacendosi a Freud e Lacan, la Rimmon-Kenan si occupa della ripetizione di esperienze cognitive (quelle, aggiungo io, che vengono a costituire motivi). Con una serie di paradossi, si può dire che «la ripetizione non è riproduzione di una presenza antecedente, ma produzione di una parte di esperienza reale»; e che d'altra parte ciò che si esperisce la prima volta, anche se non preesisteva come presenza, preesisteva come assenza. Un circolo vizioso che mette a contatto il reale fuori di noi con il reale in noi. Ma ciò che ha caratterizzato Synopsis n. 2 è stato il deciso ritorno al testo, ai testi. Poca preoccupazione per i modelli o gli schemi generali (o universali}, molta per i modelli e gli schemi immanenti, che finiscono per coincidere con le fasi della leuura. Poca auenzione allestruuure profonde, molta alle strullure di superficie, insomma al discorso. Così la prima relazione, di Culler, sui contribwi americani alla narratologia, faceva perno su asserzioni di questo genere: «invece di dire che vi sono evemi che prendono posto nella 11arrazio11e che vi si rivelano in un certo ordine o con certe digressioni, possiamo dire che lo stesso evemo nucleare è il proc/0110della doma11dadi significazione. l11vecedi LIII evento che determina il significato e di LIII significato come prodo110di un eve/1/onucleare, si verifica che il sig11ificatoè la causa de/l'evento, la causa della sua causa, in un'operazione tropologica assimilabile alla metonimia». E Hrushovski, con una lucida analisi del Mateo Falcone di Mérimée, deduceva dal/'a11alisiverbale del testo, per .rncce.Hi1·eaggrega~io11ie scomposi- :iu11i,i codici rn/111mli 11 gioco, i rapporti tra le idee-forza, le funzioni determinanti. Ogni testo appare a Hrushovski (che sta elaborando, con lasua agguerrita scuola di Te/ A viv, un modello semiotico «tridimensionale») un incastro, ogni elemento del quale, contenente o contenuto rispello ad altri elementi, rivela ilsuo senso quando collegato con una «frame of reference», una cornice di referenza. In un testo, vi sono parole e asserti assumibili in proprio dall'emiltente, l'autore, altri dalla personalità che l'autore veste in quanto narratore (è quello che si chiama «autore implicito»), altri da singoli personaggi, o persino dal «narratorio», o «destinatario implicito». Una problemarica già evidenziata con la scoperta del «discorso indiretto libero» (Bally), in cui vengono riportati pensieri o discorsi di un personaggio in modo pesudo-oggettivo, senza virgoleue o la mediazione di un «diceva che, pensava che». Individuando gl'incastri, precisando le cornici di referenza, il testo appare come una raffinata polifonia. Molti interventi, di diversissima.ispirazione, convergevano nell'affrontare questa unilllriapluralità del testo, che in sostanza può stare tu/lo sollo /'etiche/la del «punto di vista» (caro sia agli america11is,ia a sovietici come Uspenskij-e si ricordi la co11cezione«dialogica» di Bakhtin). Ann Banfield, per esempio, in base a 1111 'ampia docume111azione angloamerica11ae fra11cese,riporta la continua compresenza di pu111di i vista alle fasi irriflessiva e riflessiva della coscienza, come definite dal pensiero fenomenologico. Più complesso e formalizzato l'approccio di Mieke Bai. Tralasciando le varie questioni di contorno (non secondarie!) che la Bai affronta, rifacendosi, anche se in modo personale, a Gene/le, ricorderò la precisa analisi del «discorso nel discorso», di cui il discorso indirei/o libero è solo una variante. Tra il responsabile della 11arrazioneglobale e gli eventi con i loro agenti, la Bai ritiene fondamentale la presenza di un «focalizzatore», cioè di un responsabile dal pumo di vista scelto. Così, se in una autobiografia prevarrano schemi quali: X raccD11ta che X vede che Y fa; X racconta che X 1·edeche X fa, nel romanzo realistasaranno dominanti i tipi: X racconta che Y vede che Z fa; X racconta che Y vede che Y fa. Né manca, anche se più raro, il tipo: X racconta che Y vede che X fa. Sulla questione del «foca/izzatore» ci fu un avvincente dibauito tra la stessa Bai e Bronzwaer. Sembrava quasi una verifica delle proposte della Bai la re/aziçmedi Susan Suleiman, che 1101p1er nulla si richiamava, oltre che a Greimas e Hamon, a Genette. Scopo primario quello di carauerizzare il romanzo realista in base alle ridondanze, cioè alla ripetizione di osservazioni e narrazioni in più parti, diversamente orientate, di uno stesso testo. Naturalmente queste riprese han110funzioni precise, e il termine ridondanza può indurre in errore. Restaperò che queste apparenti ripetizioni méllo110in alto tu/la la casistica delle varie istanze narrative e focalizzazioni: sicché gli schemi della Suleiman e quelli della Bai risultavano suggestivamente concorrenti. In Synopsis n. 2 è dunque prevalsa la prospettiva del testo, con risultati critici notevoli. Queslll prospelliva era anche presente in coloro che hanno preferito affrontare la logica della validazione e dei mondi possibili: per esempio in Dolete/ ed Eco. L'importante a questo punto è di non bu11area mare tullo il lavoro sulle funzioni e sull'eventuale universalità degli schemi narrativi. Questo lavoro, operato sopral/ul/o su testi d'interesse solo o prevalentemente etnologico, fu applicato forzosamente alle opere lellerarie, con risultati di qua- . litàmolto varia. Ora che la costituzione dei testi narrativi incomincia ad essere rivelata, gli studi sulle funzioni, magari sugli aitanti, andrebbero ripresi e affi· nati proprio in rapporto con l'atto della narrazione. L'impressione confortante che si trae da un convegno come Synopsis n. 2 è quella che la critica semiologica non rischia affa110di sclerotizzarsi (anche se è inevitabile, nel mondo d'oggi, una buona percentuale di epigonismo, o di psiuacismo ). V'è anzi una continua ricerca, e spesso un parallelismo tra studiosi di vari paesi, via via che vengano alla luce problemi suggeriti dalla logica dell'indagine. Ancor più confortante l'esistenza di un linguaggio comune che, al di là di alcune terminologie fantasiste, permette a specialisti della più varia formazione e provenienza di trovare un ampio terreno comune. Un'altrn riflessione. Le rivistesi moltiplicano, le pubblicazioni sono attingibili solo in parte, e troppo.tardi; talora manca il tempo per leggerle. Un convegno è dunque il modo più pratico e spedito per venire a contai/o con persone e idee. Purché si traiti di convegni su temi ben scelti, con i partecipanti giusti e con una formula agile. Concetto non ben chiaro, in Italia, ai vari enti pubblici che spesso dilapidano centinaia di milioni per congressi tanto pomposi quanto inutili.
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