Alfabeta - anno I - n. 5 - settembre 1979

recenti della storiografia. individuare in concreto i problemi che la discussione teorica non ha potuto far altro che evidenziare ed elencare. Il tema prescelto (arbitrario ma non troppo) è quello della famiglia: colta in studi specifici e in ricerche dedicate più in generale alla formazione del proletariato nel periodo dell'industrializzazione e in cui il problema della famiglia è comunque altamente significativo. Il primo punto di riferimento può essere la voce Famiglia, scritta per un dizionario di storia contemporanea ma. non casualmente, da un sociologo. La concisione del testo. la struttura del dizionario e il lungo arco cronologico non possono far ricadere sull'autore una sorta di schematicità che risulta inevitabile. La famiglia, nell'analisidi Manoukian, è uno dei nuclei centrali dell'organizzazione delle forze produttive. Nel primo Ottocento essa è addirittura cii luogo dominante in cui si organizza la produzione• e la sua struttura permea di sé le stesse gerarchie economiche e politiche. Con lo sviluppo industriale la famiglia rurale si proletarizza, mantenendo però un legame con la terra: il nucleo familiare, che è tutto sottoposto ad uno sfruttamento intensivo, sopravvive e si riproduce grazie ad entrate miste (in denaro e in natura) e ad un non traumatico e improvviso passaggio da una situazione rurale ad una pienamente e solamente industriale. Infatti proprio eia capacità adattiva di queste famiglie (delle classi subalterne) è sicuramente una delle principali ragioni di quella relativa gradualità con cui il processo di industrializzazione si realizza in Italia- (p. 338). Nell'Ottocento e nei primi del Novecento, la caratteristica peculiare della famiglia proletaria è stata duplice come elemento di sopravviveflltl che ha riprodotto e mantenuto per interi decenni le condizioni materiali preesistenti (stesse case, luoghi, figli, lavoro) e come elemento di resistenza, garantendo appoggio e solidarietà al proletariato: la verifica maggiore consisterebbe nella capacità che la famiglia ha avuto di 'accompagnare' l'emigrazione, mostrando oltre che la sua solidità la sua mobilità. Se da un modello storico-sociologico passiamo ad una sintesi comparata di largo respiro cronologico e geografico (Scott-Tilly) vediamo subito emergere nuovi problemi e nuovi punti di vista. Le autrici, pur concordando che eia divisione gerarchica del lavoro nell'ambito della famiglia, che assegnava al marito il compito di sostenerla economicamente e alla moglie l'amministrazione domestica e la tutela morale, emerse chiaramente solo nel XIX secolo• (p. 192), non accettano che la causa venga trovata nella crescita della classe media e nella diffusione dei suoi valori, tentando di mostrare come «secondo le idee tradi- • zionali sulle donne, di cui erano portatrici le famiglie contadine e proletarie, non vi era incompatibilità fra le funzioni femminili e quelle economiche• (p. 193). Sarebbero dunque ci valori preindustriali e non una nuova ideologia individualistica• a giustificare cii lavoro delle proletarie nel XIX secolo•. Questa affermazione non solo offre un'altra analisi, ma si fonda sul rifiuto della idea che vi sia una correlazione diretta tra valori culturali e mutamento sociale.Scotte Tilly rifiutano la casualità dei mutamenti ideologici o dei mutamenti materiali nelle strutture socio-economiche e politiche rispetto ai mutamenti di valori e di comportamento. Il nuovo modello proposto è quello di cuna permanenza di valori e comportamenti tradizionali in circostanz.edinamiche. I vecchi valori coesistono e vengono utilizzati dalla gente per adattarsi a vasti mutamenti strutturali• (p. 194). La famiglia rappresenterebbe cosi l'elemento più importante di una struttura sociale, di un'economia e di una cultura differente e più antica (quella contadina) che si introduce e sopravvive nella società contemporanea. Nel periodo dell'industrializzazione la famiglia rimane l'organizzazione di base che, con la propria solidarietà, costituisce la forza centrale del reciproco aiuto e della socializzazione dei suoi membri. Il sussistere della proprietà contadina fra i salariati accentua anzi il carattere forte della famiglia; non solo la proprietà contadina è familiare, ma anche il salario percepito dai membri che lavorano nelle manifatture diventa salario familiare. L'bterdipendenza dei membri. la non possibilità di autonomia e di alternativa, è la base della solidarietà della famiglia. -Fer Scotte Tilly lo stesso lavoro delle donne. e puranche delle bambine. va collegato alla mentalità che la famiglia contadina aveva del lavoro: «Ci si aspettava che le donne lavorassero. e la famiglia era il nucleo dei rapporti sociali come di quelli economici. Erano dunque questi i valori culturali in cui credevano le famiglie che mandavano le figlie a lavorare fuori di casa durante le prime fasi dell'industrializzazione» (p. 206). La sopravvivenza della famiglia contadina (come istituzione e come mentalità) a contatto con l'industrializzazione non è comunque un dato statico. Scott e Tilly intendono infatti sottolineare soprattutto la dinamica del mutamento: che è una dinamica non a senso unico, di causa-effetto, ma di relazioni interdipendenti. Le famiglie infatti «rimanevano coinvolte in esperienze nuove, che alteravano i rapporti nell'ambito famigliare, nonché la percezione di tali rapporti. Il processo di mutamento, mentre comportava la conservazione di vecchi valori e antiche consuetudini, nel contempo li trasformava, ma in modo più graduale e complesso di quanto intendessero sia Engels che Goode» (p. 222). Il lavoro di Scotte Tilly spazia su numerose questioni che qui è impossibile esaminare, dal lavoro domestico ai figli illegittimi, per giungere a vedere i mutamenti che avvengono nel XX secolo e che dopo la prima guerra mondiale corrisponderanno a una profonda trasformazione del lavoro femminile sempre più.impiegato nei settori ausiliari o nei servizi, nel commercio e nell'insegnamento. Queste trasformazioni, di cui la perdita del controllo delle finanze familiari da parte della donna è un elemento non secondario, avvengono contemporaneamente attraverso la sostituzione di valori individualistici a quelli familiari tradizionali e si accompagnano al declino dell'economia familiare. La nuova ubicazione dei luoghi di lavoro, l'aumento dei salari e il miglioramento delle condizioni di vita, il peso sempre maggiore esercitato dai modelli borghesi e la speranza di una «integrazione» attraverso la mobilità sociale si intrecciano con la tendenza dei figli a mantenere per sé il salario, con gli effetti dell'emigrazione, con una concezione nuova del lavoro non più inteso come aiuto alla famiglia ma come mezzo per realizzare la propria autonoma esistenza. Poco spazio, ma tuttavia denso di giudizi precisi,è dedicato al tema della famiglia nei saggi di Ballestrero e Levrero che introducono un'ampia scelta di documenti sulla industrializzazione nel lecchese. La contemporaneità in questo territorio fra il lavoro a domicilio(visto come momento essenziale per il sostentamento della famiglia contadina ridotta sotto i livelli di sussistenza) e il lavoro nella grande fabbrica meccanizzata, apre spazi ad una indagine che tiene conto allo stesso tempo sia dei modi di trasformazione e disgregazione della famiglia contadina che degli effetti della meccanizzazione. Levrero centra infatti la propria analisi sul mercato del lavoro, sulla lotta che per il controllo di essa avviene tra proprietari terrieri e capitalisti industriali attorno allo sviluppo della produzione serica, sulla estensione del regime di fabbrica e l'intensificazione dello sfruttamento dei contadini. È coll)unque affermato con molta chiarezza che è eia necessità di accelerare lo sviluppo capitalistico e di estendere il sistema di fabbrica [che] porta a rilevantimutamenti nella struttura della famiglia» (p. 17). La distruzione dell'industria domestica e conseguentemente della famiglia patriarcale è infatti nel lecchese un elemento qualificante dello sviluppo del capitalismo che già con l'instaurazione del contratto di fitto a grano aveva creato le premesse per la creazione di una forza-lavoro operaia. Ora, agli inizi del XIX secolo «un'altra rivoluzione investe la famiglia contadina» (p. 19): tutta la famiglia è infatti immessa in fabbrica come forza-lavoro, sparisce come nucleo sociale e viene per così dire «fusa» nel processo produttivo che ne consuma i singolimembri. Non c'è differenza fra lavoro domestico e lavoro produttivo perché tutti, anche le donne e i bambini, sono parte di quest'ultimo: «non viene dunque a determinarsi quella separazione - che nel capitalismo è altrettanto fondamentale di quella tra lavoratori e mezzi di produzione-tra lavoro dell'uomo in fabbrica e lavoro della donna in casa» (p. 19). Il caso esaminato da Levrero lo porta a concludere che «non è vero. dunque. che lo sviluppo del capitalismo porti alla formazione della moderna famiglia mononucleare: nel lecchese le particolari condizioni socialiche permisero lo sviluppo precoce (per l'Italia. ma contemporaneo a quello dell'Inghilterra e del Belgio) del capitalismo e dell'industrialismo furono anche quelle che impedirono per decenni il formarsi di un nucleo familiare nel senso moderno (o "naturale") del termine,. (pp. l 9-20). li saggiodella Ballestrero. nello stesso libro. tratta un argomento troppo ristretto, per quanto interessante (la disciplinalegaledel lavoro dei fanciulli 1840-1886) per poterlo affrontare. Vorrei comunque enucleare. molto arbitrariamente, una citazione che sembra porsi in contrasto con altre affermazioni già riportate prima sul lavoro femminile: eia borghesia tardava a capire che lo sfruttamento delle operaie nella fabbrica era qualitativamente diverso dallo sfruttamento (nel lavoro domestico e nei campi) che le donne subivano all'interno della famiglia e per la famiglia; non capiva, cioè. che il lavoro di fabbrica costituiva, per le donne, un fondamentale momento di emancipazione, che avrebbe segnato l'ingresso nella lotta di classe di nuove masse "minacciose e turbolente"» (p. 44). Il saggio di F. Ramella è anch'esso centrato sulla formazione del proletariato in una wna specifica. La sua ottica peròè quella di analizzare il processo di disgregazione della comunità contadina (al cui interno è centrale la liberazione della forza-lavoro) e i modi e le forme della resistenza al mutamento. Negli anni '30-'50 dell'Ottocento vi è una diffusione delle macchine filatrici e il primo accentramento di lavoranti, cui corrisponde la crisidella comunità tradizionale. Negli anni '60-'70 c'è un periodo di scioperi e lotte, un aumento dei salari, la massima resistenza della comunità alla fabbrica, la socializzazione dei comportamenti collettivi; negli anni '80 la diffusionedel telaio meccanico provoca il crollo dei salari dei tessitori a mano e la loro espulsione e segna la fine della già disgregata comunità e il sorgere di un nuovo movimento di lotta dentro la fabbrica. All'inizio dell'800 ci rapporti parentali e di vicinato costituiscono il perno sul quale ruota la vita produttiva e sociale della piccola comunità» (p. 9). Anche qui, come già si è visto altrove, convive la proprietà della terra e il lavoro salariato, soprattutto a domicilio: ed è proprio il carattere instabiledel lavoro a domicilio nel settore laniero che rende «insostituibile» la coesione del gruppo familiare per controbilanciare la disoccupazione di alcuni membri, i periodi di superlavoro, le fasi di disoccupazione, ecc. Ramella cerca di individuare e analizzare cii meccanismo di gestione della famiglia che nasce dall'obiettivo permanente di assicurare un equilibrio di vita tradizionale che il carattere delle risorse, la pressione della manifattura e gli eventi naturali incontrollabili tendono periodicamente a distruggere» (p. 13). Ilmantenimento della continuità e della compattezza della famiglia allargata è dunque la principale garanzia di autodifesa della comunità, ma allo stesso tempo ha come effetto che «più ferrea è la logicache regola il destino degli individui, l'entrata e l'uscita dal gruppo domestico, l'età del matrimonio e il numero dei membri della famiglia che si sposano» (p. 17). La disgregazione della comunità contadina a partire dagli anni '30 può quindi essere vista come crisi della famigliacomplessa che ne era la struttura portante. La diffusionedelle macchine filatrici e l'accentramento di lavoranti mette in crisi, attraverso la rigidità del salario, l'elasticità tradizionale delle risorse della famiglia complessa che declina nel suo ruolo di unità produttiva. La resistenza a questa situazione è data dalla contrazione della nuzialità, il rinvio dei matrimoni, la iniziale autonomizzazione dei figli maschi, la creazione di nuovi nuclei familiari. Fino agli anni '60 si assiste alla «difesa ad oltranza e irrimediabilmente perdente della struttura complessa del gruppo domestico, su cui la comunità tradizionalmente ha fatto perno particolarmente nei momenti di crisi» (p. 22). Ilsuccessodelle lotte dei tessitori negli anni '60-'70 avviene. secondo Ramella, anche grazie all'utilizzazione di valori tradizionali difesi in una fase in cui la liquidazione della famiglia complessa era ormai in atto. L'occupazione femminile delle donne sposate era incompati- ~ -Q .::, ::::, .._ __________________________ ::,

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