Alfabeta - anno I - n. 1 - maggio 1979

re. Le tattiche dovrebbero essere subito rinnegate. nel caso in cui il sistema del racket fosse capace di integrarle al folklore locale ... Arrestiamo qui l'allegoria che. come film. ci obbligherebbe al lieto fine. on so se questa festa col drago sia allegoria della letteratura secondo Barthes. o la letteratura di Barthes e questa festa siano allegorie delle crisi foucaultiane dei sistemi del potere. Anche perché a questo punto sorge un nuovo dubbio: sino a qual punto la lingua di Barthes obbedisce a meccanismi omologhi ai sistemi di potere descritti da Foucault? Poniamo pure una lingua come sistema di regole: non solo quelle grammaticali. ma anche quelle che oggi sono dette pragmatiche; per esempio. la regola conversazionale che a domanda si risponde in modo pertinente. e chi la viola è giudicato, volta a volta. maleducato. sciocco. provocatore. o si ritiene che alluda qualcosa d'altro che non vuol dire. La letteratura. che bara con la lingua. si presenta come l'attività che disgrega le regole e ne pone altre: provvisorie. valide nell'ambito di un solo discorso e di una sola corrente; e soprattutto valide nell'ambito del laboratorio letterario. Questo significa che Ionesco bara con la lingua facendo parlare i suoi personaggi come parlano. per esempio. nella Cantatrice calva. Ma se nel rapporto sociale tutti parlassero come la cantatrice calva. la società si disgregherebbe. Si noti che non si avrebbe rivoluzione linguistica, perché la rivoluzione implica rovesciamento di rapporti di potere; un universo che parla come Ionesco non rovescerebbe nulla. instaurerebbe una sorta di grado n (opposto di zero. un numero indefinito) del comportamento. Non sarebbe neppure più possibile comperare il pane dal fornaio. Come si difende la lingua da questo rischio? Barthes lo dice, ricostituendo una situazione di potere di fronte alla propria violazione. assorbendola (l'anacoluto dell'artista diventa norma comune). Quanto alla società. essa difende la lingua recitando la letteratura. che mette in questione la lingua. in luoghi deputati. Cosi accade che nel linguaggio non si abbia mai rivoluzione: o è finzione di rivoluzione. sul palcoscenico. dove tutto è permesso. e poi si torna a casa parlando in modo normale; o è movimento infinitesimale di riforma continua. L'estetismo consiste nel credere che l'arte sia la vita e vita arte. confondendo le zone. Illudendosi. Quindi la lingua non è uno scenario di potere. nel senso di Foucault. Va bene. Ma perché ci è parso di trovare omologie cosi forti tra dispositivi linguistici e dispositivi di potere - e di rilevare che il sapere di cui un potere si sostanzia è prodotto per mezzi linguistici? Qui sorge un dubbio. Forse non è che la lingua sia diversa dal potere perché il potere è luogo di rivoluzione. ciò che alla lingua non è consentito. Ma è Leinclinazioni delPianotriennale Augusto Graziani O Piano triennale Mondo economico n° 4 (27.1.1979) e 5 (3.2.1979) 11Piano triennale, presentato al Parlamento il 15 gennaio 1979, è un documento che merita di essere considerato con serietà. Forse è il pri- , mo documento, nella storia della programmazione economica italiana, che indica le linee lungo le quali il capitalismo italiano presumibilmente si muoverà nel corso dei prossimi anni; come tale, esso va letto con ogni attenzione. All'atto della sua pubblicazione, cosi come quando, mesi or sono. venne presentato il documento preliminare. detto Piano Pandolfi. la reazione generale dell'opinione pubblica e degli esperti qualificati fu che. mentre gli obiettivi espressi dal Piano potevano essere condivisi. era viceversa assai dubbio se il Piano contenesse l'indicazione di strumenti operativi idonei a realizzarli. Come ora diremo. è probabile che il giudizio più appropriato da esprimere sul Piano triennale sia alquanto diverso: e precisamente che il Piano si muova con molto realismo lungo una linea di politica economica facilmente individuabile. ma che sia proprio questa linea che va decisamente respinta. Il Piano prende le mosse dal presupposto iniziale che l'economia italiana debba rientrare. se cosi ci si può esprimere. nel contesto dell'economia europea. e che tale rientro debba avvenire su un piano di competitività e di efficienza. L'ingresso italiano nel sistema monetario europeo è il simbolo di questa decisione di fondo. È significativo ricordare che a suo tempo. affinché la decisione assumesse la solennità necessaria. l'astuto presidente Andreotti ha avuto l'accortezza, prima di dare l'adesione definitiva del governo italiano. di sollevare un'ultima perplessità e di farla dissipare da un voto favorevole del Parlamento. In questo modo, se l'Italia si trova oggi impaniata nel sistema monetario europeo. ciò non è dovuto né all'imposizione di potenze straniere, né al colpo di mano di un governo autoritario, bensi alla volontà popolare. liberamente espressa dal massimo organo rappresentativo. democraticamente eletto. Nessuno potrà dire che l'adesione al sistema monetario europeo rappresenta un pretesto precostituito dal governo per imporre la politica economica che esso vorrà: questa adesione è stata voluta da una maggioranza regolare. Il primo punto che va considerato è quindi il significato di questa scelta europea. Con l'adesione al sistema monetario europeo. l'Italia torna al sistema dei cambi rigidi. almeno per quanto riguarda le valute europee, sistema questo che era stato abbandonato nei fatali giorni del febbraio 1973. quando. nel pieno della tempesta monetaria provocata dalla crisi della sterlina. anche la lira era diventata fluttuante, dando inizio a un periodo di svalutazione progressiva, che si presentava allora come brevissimo, e che doveva invece durare sei anni. Nel corso di questo lungo periodo. sono avvenute due cose importanti sul piano monetario. La prima è stata la grande ondata inflazionistica interna. Su questo piano. gli eventi sono troppo noti per doverli rievocare. In parte l'inflazione italiana è stata comune all'inflazione di altri paesi. ed è stata anch'essa provocata dall'aumento dei prezzi internazionali delle materie prime. ivi compreso quello del petrolio. 1nparte però. l'inflazione italiana è stata un fenomeno tutto particolare. che ha portato il tasso di aumento dei prezzi italiani molto al disopra di quanto non sia avvenuto in altri paesi. Non è il caso di entrare nella polemica sulle cause di questo fatto. Che siano stati i salari. o che siano stati i margini di profitto ad aumentare per primi e a scatenare l'aumento dei prezzi. il risultato è sostanzialmente il medesimo: e cioè che. nella misura in cui la lira si è svalutata all'interno. questa svalutazione ha annullato gli effetti della svalutazione esterna e ha riportato le esportazioni italiane al medesimo livello di competitività (o di non competitività) in cui esse si trovavano prima del 1973. Tutto questo giustifica i sospetti (e anche qualcosa di più dei sospetti) che la svalutazione esterna della lira non sia stata essa stessa conseguenza dell'inflazione interna (come le autorità monetarie hanno sempre affermato); ma che. al contrario. la svalutazione esterna sia stata voluta allo scopo di accelerare l'inflazione interna, la quale, saggiamente gestita. ha rappresentato uno strumento eccellente nelle mani delle autorità monetarie. Infatti, da un lato, l'inflazione ha prodotto il consueto effetto di ridurre i salari reali. Ma dall'altro (e qui interviene la saggia gestione dell'inflazione) essa ha giustificato un aumento vertiginoso dei tassi di interesse, che ha prontamente trasferito i profitti dal settore industriale al settore bancario. In passato. i capitalisti italiani che volevano nascondere i propri profitti li esportavano all'estero; fra il 1974 ed il 1976, li hanno esportati nel settore bancario. In tal modo, l'inflazione ha prodotto il miracoloso risultato di far cadere sia i salari che i profitti. Dopo di che. i capitalisti italiani hanno potuto presentarsi all'opinione pubblica vestiti di miseria, e. nel clima di emergenza che ne è scaturito. è stato facile far accettare la manovra di moderazione e di normalizzazione sindacale che ne è seguita. Tutto questo appartiene alle amenità della politica monetaria interna. La seconda cosa importante, accaduta negli anni della svalutazione della lira. riguarda invece i rapporti con l'estero. La lira non si è svalutata in eguale misura nei confronti di tutte le altre valute. La svalutazione è stata violentissima nei confronti del marco tedesco (la lira ha quasi dimezzato il suo valore) e quasi inesistente nei confronti del dollaro. Questa saggia manovra ha consentito di acqui ire materie prime importate (in prevalenza dall'area del dollaro) senza che la svalutazione le rendesse più costose; e di vendere i manufatti (in buona parte nell'area del marco) con cospicui vantaggi valutari. Poiché tutti questi movimenti si verificano diluiti nel tempo. il calcolo degli operatori diventava un gioco d'azzardo. Se gli imprenditori volevano aumentare i prezzi. potevano farlo. ma dovevano puntare su una pronta svalutazione della lira. che seguisse a ruota. Se non volevano aumentarli. potevano farlo egualmente. ma dovevano sperare che lo scarto fra corso del dollaro e corso del marco aumentasse prontamente per donare loro egualmente un aumento di profitti. Ce n'è abbastanza per dire che le autorità monetarie avevano assunto la veste del prestigiatore. e che avevano traalfabeta n.l maggio 1979, pagina 5 I> 1\1\Ìll,M\ ,Qt-., \ l)'.ll,illl\l , \ .!\ l)\'l\h1\\\i che il potere è omologo alla lingua perché. cosi come esso ci viene descritto da Foucault. esso non ·può mai essere luogo di rivoluzione. Ovvero. nel potere non c'è mai differenza tra riforma e rivoluzione. la rivoluzione essendo il momento in cui un lento regime di assestamenti graduali. di colpo. subisce quella che René Thom chiamerebbe una catastrofe. una svolta improvvisa;· ma nel senso in cui un addensarsi di moti sismici improvvisamente produce un rivolgimento del terreno. Punto di rottura finale di qualcosa che si era già formato inanti- • cipo. passo per passo. Le rivoluzioni sarebbero allora le catastrofi dei moti lenti di riforma. del tutto indipendenti dalla volontà dei soggetti. effetto casuale di una composizione di forze finale che obbedisce a una strategia di riassestamenti simbolici maturata da lungo tempo. Il che equivarrebbe a dire che non è chiaro se la visione che Foucault ha del potere (e che -Barthes genialmente sformato l'economia italiana in una bisca. Con l'ingresso nel sistema monetario europeo. le autorità devono dire addio a questi giochi. La lira è saldata allo scudo europeo. nei cui confronti può slittare al massimo del 6%. Nei confronti del dollaro (come verso ogni altra valuta esterna) la lira si muoverà di conserva con le altre valute dello scudo. Questo significa che le esportazioni italiane non possono più ricercare una competitività attraverso manovre indirette, ma devono procurarsela in via diretta. o mediante aumenti di produttività, o mediante riduzione del costo del lavoro. Questo è esattamente quanto i capitalisti italiani hanno cercato di fare nel corso degli ultimi anni. Mentre le autorità monetarie erano intente a coprirli mediante i loro giochi rocamboleschi, i capitalisti industriali hanno avuto agio di dedicarsi a operazioni più concrete, e precisamente a quelle operazioni che vanno sotto il nome di ristrutturazione produuiva. È noto che la ristrutturazione presenta due volti. distinti e convergenti. Il primo è quello della grande fabbrica. dove ristrutturazione ha voluto dire progresso tecnologico. riduzione degli addetti. modernizzazione e aumento della produttività. Il secondo è quello della piccola impresa, del lavoro a domicilio, della fabbrica dispersa. dove ristrutturazione ha voluto dire riduzione dei guadagni orari, aumento dei tempi e dei ritmi di lavoro, evasione dagli oneri previdenziali. Questa linea è ormai giunta alla sua esplicazione completa. Della sua serietà non vi è motivo di dubitare, dal momento che essa è ormai cosa fatta. La stessa linea comporta di fatto un indebolimento dell'azione sindacale. dal momento che la classe lavoratrice. ridotta di numero nelle grandi imprese e dispersa nelle piccole, non può avere la stessa capacità rivendicativa del passato. e on l'ingresso nel sistema monetario europeo. i capitalisti italiani dovranno perseguire e completare il processo di ristrutturazione; ma dovranno anche farlo senza inflazione e senza giochi sui cambi. Se non ci sarà più l'inflazione ad assicurare una riduzione del salario. occorre che il costo del lavoro venga compresso direttamente. attraverso una politica di moderazione sindacale. e attraverso modificazioni normative appropriate. Questa è appunto la proposta del Piano triennale. che in tal modo si inserisce direttamente nella strategia di rinnovamento industriale, assicurando per altra via quello che i giochi della moneta non potranno più assicurare. Il blocco dei salari. unito al ripristino della mobilità operaia. diventa cosi il punto centrale del Piano: «La politica salariale [si legge al n. 68) non deve comportare nel triennio aumenti del costo del lavoro per ora lavorata in termini reali». Il piano riconosce l'esigenza di applicare la scala mobile per tutelare il salario reale dall'inflazione. Ma. al di là del puro e semplice recupero monetario. il piano non riconosce alcuna possibilità di aumento del costo del lavoro. Ciò significa che ogni auesemplifica nella lingua) sia una visione neo-rivoluzionaria o sia neo-riformista. Se non che il merito di Foucault sarebbe quello di aver abolito la differenza tra i due concetti. obbligandoci a ripensare. con la nozione di potere. anche quella dell'iniziativa politica. Già vedo i cacciatori di mode imputarmi di caratterizzare Foucault come tipico pe.nsatore del «riflusso». Sciocchezze. É che in questo nodo di problemi si disegnano nozioni nuove di potere. di forza. di rivolgimento violento e di riassestamento progressivo attraverso lenti spostamenti periferici. in un universo senza centro dove tutto è periferia e non c'è più il «cuore» di nulla. Bel plesso di idee per una riflessione che nasce all'insegna di una «leçon». LasciamolQ in sospeso. Sono problemi che, direbbe Foucault. il soggetto singolo non risolve. A meno che non si limiti alla finzione letteraria. mento di produttività dovrebbe automaticamente tradursi in aumento dei profitti, con l'esclusione completa di qualsiasi beneficio per la classe lavoratrice. Una politica salariale cosi dura non ha precedenti nella storia dell'Italia repubblicana, e ci riporta direllamente alla politica salariale del fascismo. Il discorso diventa ancora più duro se questa strategia viene raffrontata con i documenti della programmazione che hanno preceduto storicamente il Piano triennale. e cioè con i documenti elaborati dai governi di centrosinistra. Era quella un'epoca di blando riformismo, e la programmazione si faceva più sulla carta che nei fatti. Ma oggi i tempi sono cambiati e dei propositi di riforma di allora non resta nemmeno la traccia. I grandi obiettivi di allora erano quelli della lotta alle inefficienze annidate nel sistema (la famoSreve Lacy sa lolla alle rendite), dell'espansione dei servizi sociali (assistenza sanitaria. scuola, trasporti urbani, case per i lavoratori), di una politica industriale innovativa, che facesse largo posto a settori tecnologicamente avanzati ed estendesse la base industriale al Mezzogiorno. Dal Piano triennale questi obiettivi sono rigorosamente assenti; anzi non mancano accenni che fanno pensare ad un autentico ripudio della vecchia linea riformista. Prendiamo. ad esempio, il problema della pubblica amministrazione. Mentre, come abbiamo visto. la linea di politica salariale è durissima, nei confronti degli impiegati pubblici il Piano segue una linea morbida. Il problema della pubblica amministrazione (si legge al n. 73) «non è solo di ordinamento, ma anche e soprattutto di infrastrullure, di strutture, e di status, anche retributivo dei pubblici dipendenti». Ai quali pubblici dipendenti viene cosi promessa l'esenzione dal blocco delle retribuzioni sancita invece per gli operai. Infatti. in un luogo successivo del Piano, si legge che, per la pubblica amministrazione, si dovrà giungere ad un aumento annuo delle retribuzioni «pari all'aumento del prodotto interno lordo a prezzi correnti» (n. 225); il che significa che ai pubblici dipendenti

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==