Alfabeta - anno I - n. 1 - maggio 1979

Casesl,a. figliadelmacellaio e lalogot~.~nocrazia Cesare Cases , :.w ,~Il poeta e la r.-.•....-uo ,., t.> ,.Quaderni piaHIIIÌIÒ, n. fl9. 1978 Insegnare la len.,.._. a cura di Cesare Acutis Parma. Pratiche editrice, 1979 pp. 146. lire 3.300 Lf università. anche se ormai in stato preagonico per un accumulo d'imprevidenze, inadempienze. errori. improvvisazioni dei governi e dei legislatori, dovrebbe essere oggetto di studio attento. Vi si potrebbe infatti analizzare un evento di portata storica: l'appropriazione, da parte delle classi emergenti, della cultura superiore, privilegio sinora delle élites tradizionali. Il fenomeno si realizza come trasformazione (non programmata né controllata) da università selettiva a università di massa. Ne risultano inconvenienti e disagi cui una società più matura, un'amministrazione appena cosciente, cercherebbero di ovviare, anche con mutamenti radicali nell'organizzazione dell'insegnamento. Invece la cosiddetta riforma, inadeguatissima, si allontana, e si svuota, ogni giorno che passa, e l'università rischia di sopravvivere, come i famosi «enti inutili», solo per giustificare gli stipendi dei docenti e i presalari degli studenti. Fa dunque piacere se un uomo come Cesare Cases, e non per la prima volta, affronta i problemi dell'università, in un articolo uscito, con titolo leggermente diverso, nei Quaderni piacentini e in Insegnare la letteratura, a cura di Cesare Acutis. Cases parte, com'è naturale, dalla sua esperienza di docente di letteratura tedesca nel Magistero di Torino. Ottimo osservatorio, trattandosi di città industriale che probabilmente anticipa situazioni presto generali. Egli non si trova davanti. come sarebbe successo a un suo predecessore di cinquant'anni fa, pochi studenti per i quali la letteratura «faceva parte di un patrimonio imprescindibile per l'appartenenza alle classi dirigenti», ma un uditorio di provenienza eterogenea con poche premesse culturali comuni. E. di solito, i frequentatori di corsi o di facoltà di letterature straniere vogliono «studiare le lingue, non le letterature di cui nella stragrande maggioranza s'infischiano». Secondo il suo stile, Cases adatta alla sua situazione l'aneddoto di Enzensberger (Quaderni piacentini. nn. 67-68. 1978): «Enzensberger ha trovato il suo macellaio furente contro di lui perché sua figlia aveva preso un brullo voto nell'interpretazione di una poesia dell'illustre cliente. Morale: quel giorno costui ha mangiato una bistecca dura come una suola di scarpa. La pretesa di obbligare la figlia del macellaio ad aver fame di poesia ha ridotto alla fame il poeta». Dove sul piano scherzoso ci si può impietosire sulla cattiva nutrizione del poeta o. secondo gli sviluppi della parabola. del professore e del critico; ma è molto più serio domandarsi se. perché e come insegnare la letteratura alla figlia del macellaio che non la digerisce. Cases indica già la soluzione migliore: egli parla di «scuole per interpreti. con la letteratura ridotta al minimo». come ce ne sono tante all'estero. E si potrebbe aggiungere l'istituzione di livelli di studio differenziati. professionali e scientifici. o procedimenti simili: che il demagogismo da cui tutti siamo stati accecati ci vietò a lungo di prendere in considerazione. a tutto danno. oltre che degli studi. delle masse. Ma intanto. che fare? Cases stila una serie di «consigli a un giovane docente». che dovrebbero permettere al suddetto giovane di accostare la figlia del macellaio alla letteratura. Il giovane docente dovrà far leggere «più testi possibili e tra i più significativi». tenendo conto. con libertà ma con pertinenza storiografica. dei canoni. Egli dovrà partire sempre dal testo, evitando inquadramenti pletorici e indugi metodologici. Si tratta di offrire una lettura esatta. messa a punto con i più sicuri strumenti filologici. linguistici. retorici. metrici;. si addita anzi l'utilità delle classificazioni per generi letterari. Obiettivo la storia. come necessità e come contestazione del mondo moderno: «siccome la società attuale fa di tutto per apparire increata ed eterna. contro ogni verosimiglianza, e in buona parte ci riesce, chi abolisce la storia le rende un servizio». Consigli, quelli di Cases, che rientrano in un sano e giudizioso conservatorismo, e che sottoscrivo pari pari. Più personali, anche se non inediti, altri suggerimenti, come quello di abolire le tesi di laurea, e di richiedere invece agli studenti «lavori possibilmente· annuali (almeno negli ultimi due anni) su argomenti ben circoscritti (p. es. esposizione e confronto di qualche studio sullo stesso problema, o interpretazione di un testo, ecc.)». E sono· d'accordo per le esercitazioni scritte, che potrebbero evitare il nozionismo o l'avventurosa vacuità verbale degli esami orali, fornendo ai discenti occasioni per imparare a esporre un problema con chiarezza e a scrivere un italiano decente. Quanto alle tesi, io insegno in una università in cui è ancora possibile al docente seguirle, allo studente compilarle con qualche originalità d'impegno. Ammetterei l'eliminazione delle tesi solo in corsi di studio o istituzioni superiori a indirizzo professionale, quando si abolisse, come si dovrà per forza, il curriculum unificato. che crea pletore di dottori senza dottrina. Per ora, è evidente che sarà già molto se la figlia del macellaio leggerà un po' di testi, e li capirà; se imparerà le lingue che desidera studiare, e (ma la cosa non è a portata di mano) saprà esprimersi in queste lingue, oltre che nella propria. Orge di teoria non solo riusciranno inutili alle sue finalità in fondo modeste, ma la confonderanno. istigandola magari al vizio italico del vaniloquio. Concordo perciò con Cases nello stigmatizzare i professori che fanno più metodologia che lettura di testi. o che si soffermano su un testo solo. o pochi. ridotti· a palestre per acrobazie ermeneutiche adatte, semmai. a uno studio specializzato. M a dopo aver tanto consentito con Cases. devo esprimere, su altro, il mio dissenso. Solo il quarto paragrafo del suo articolo è dedicato ai «consigli a un giovane docente»; gli altri tre sono un attacco a quelli che si diverte a chiamare logotecnocrati. e sono. come si capisce presto. i semiologi. Dire attacco è però inesatto. Cases è generoso di riconoscimenti ad alcuni d,ei semiologi più noti; egli definisce i loro prodotti con termini lusinghieri. anche se subito limitati con qualche clausola negativa: «tanto sublimi quanto terrificanti» (p.83); «ce ne siano di splendidi e che non si possano non leggere con ammirazione - e sottomissione» (p.84 ); «istruttivi e affascinanti» (p.85); «analisi(.:.] stupenda. ma tutti i buoni prodotti della tecnica sono stupendi» (p.87). Ai logotecnocrati si fa anzi merito di essersi scagliati contro «quei libri vacui» di cui la vecchia università «favoriva la produzione» (p.93). C'è di meglio: al bennato giovane docente cui è diretto il quarto paragrafo si con-· siglia di leggere. perché utili. «gli scritti dei Padri Fondatori della logotecnocrazia» (p.95). Ma la logotecnocrazia. a quanto pare. è un peccato. anzi una perversione (p.83 e passim); le perversioni. avverte Cases. «ormai sono accettate come forma di godimento» (p.84 ). Par di vedere Cases. col cilicio di un padre del deserto. che resiste eroicamente alle tentazioni della procace Logotecnocrazia. ma non senza gettarle cupide occhiate ora ai seni. ora alle cosce. e a quanto altro la maliarda gli lascia intravvedere. Pare anche di capire che Cases..s~:,cm1sid~1i1J'ultimodifensore della virtù: tant'è vero che scrive, al docente da cui si accomiata: «Visto dunque cbe,.t~.ho fatto accompagnare lo studente fino alla ricerca, a maggior ragione concederò a te di dedicarti alle tue "perversioni". Oltre a servire alla carriera possono dare soddisfazione a te e forse ad altri. Se non sono troppo tecniche e astruse, se rivelano ancora l'omogeneità dell'interprete e dell'oggetto da interpretare. ti prometto che le leggerò perfino io. che è tutto dire». Insomma. la partita è già perduta. Alcune delle perversioni attribuite da Cases alla logotecnocrazia appartengono a pochissimi suoi seguaci. Per esempio il rifiuto della storia. In realtà, la critica semiologica italiana (come quella sovietica) pone la sua candidatura a garante di una nuova e più solida capacità di storicizzare. Alla storia dello spirito si sostituisce lo sviluppo di codici socioculturali, di sistemi di modellizzazione. E non si può proprio dire che la semiologia favorisca la divisione del lavoro, quando ciò che la caratterizza è appunto l'interdisciplinarità, cioè la convergenza dei punti di vista. Forse la logotecnocrazia non è quella scostumata che Cases dice, e i suoi vizi sono fantasmi di una mente verginale. Si prenda l'accusa di «terrorismo». Dato che la povera untorella è accolta di rado. e anche con malgarbo. nell'università, l'accusa si spiega, in veloce analisi psicostilistica, con l'uso di attributi come «terrificante», già citato, o con frasi come «i logotecnocrati giungono armati di elenchi di termini desunti da Quintiliano a LotBrian Eno man. dal poliptoto all'ipersemantizzazione. imponendoli ai fanciulli. ecc.» Cases s'identifica troppo con questi innocenti fanciulli: è dal suo turbamento che nasce l'ossessione del terrorismo. Ed è questo turbamento che spiega la contraddizione per cui a qualità positive («la profusione di competenza e sellSl"bilitàtecnica e di acume ermenèutiro») si attribuisce un impiego •tanto nefasto («costituisce nell'insegnamento una formidabile arma d'intimidazione», p.84). Purtroppo, l'acutissimo Cases vuole illustrare quello che è stato un luogo comune di stile sessantottesco oramai consunto: la connessione tra tecniche di analisi e human engineering, tra lavoro intellettuale organizzato e catena di montaggio, tra scienze umane e capitalismo monopolistico. Dica allora quali vantaggi tragga il capitalismo monopolistico dalle attività dei semiologi, stante che il potere tende a dominare, non a esplicitare i procedimenti dalla sua egemonia. Dica quale capitale permettano di accumulare le molto immaginarie catene di montaggio Iogotecnocratiche. Dica chi sfrutta chi, in questa caricatura del lavoro di fabbrica. E sarebbe ora di non far più carico alla tecnica e alle scienze delle finalizzazioni che esse non implicano, ma subiscono. Più che i discorsi valgono forse i fatti. Assolutismi e imperialismi di qualsivoglia colore avver!>llnoe tengono in gran sospetto quelli che - Cases Ii chiami pure logotecnocrati - minacciano di compromettere con le loro analisi dogmi, persuasioni occulte, convinzioni forzose. Le più precise, implacabili critiche alla politica americana del dopoguerra sono venute dal logotecnocrate Chomsky. La verità, subito avvertita dai signori del potere, è che il lavoro dei semiologi produce incrementi di conoscenza anche sui miti e sulle ideologie, con fastidio non piccolo di chi li usa per il consenso e il dominio. A Ila logotecnocrazia Cases contrappone. con Enzensberger, l'atto anarchico della lettura; o persino «la conoscenza sommaria, frammentaria. episodica, superficiale, quindi in qualche modo distorta ma egualmente illuminante e destinata a correggersi e ad approfondirsi integrandosi con altri nessi nel processo del sapere> (p.87). Net arriva. ma è vicino, alla peda&')liaa6tlaleriadi chi fa ascoltare un branelii musica a un uditorio impreparato,•cercadi illudere gli astanti che le loro embrionali intuizioni siano più valide di tanti studi competenti, precisi, meditati. Gl'innocenti allievi di Cases non sono costretti a ricostruirsi da soli le norme grammaticali, metriche, retoriche, ecc.: egli le fornisce loro di buon grado, s'è visto. Perché non dovrebbe insegnare pure, al momento didatticamente opportuno, come si analizza la struttura di un testo narrativo, quali sono i codici culturali in gioco, in che modo avviene la comunicazione letteraria? Capisco bene, e condivido, l'avversione per eia totalità circolare, la pretesa di spiegare tutto fino all'ultima virgola» (p.95). Sono illusioni di neofiti. Il critico ha il diritto, se gli garba, di proporsi un'analisi integrale. Ma la sistematicità dell'analisi non può né vuole ingabbiare il suo oggetto, le cui possibilità di significazione sono inesauribili. Non vi è, né vi può essere, un'interpretazione ultima, immutabile. Se il semiologo lo pretende, tanto peggio per lui, non per la semiotica. II semiologo però può dire (a differenza da altri critici): ho raccolto quanti più dati possibile, li ho ordinati nel modo a mio parere più coerente (e voi potete controllare completezza e coerenza); ho tratto le conclusioni che mi paiono più convincenti. Se sono lecite (ed è probabile) ulteriori o diverse conclusioni, mostrate come le potete raggiungere: il confronto sarà certo fruttuoso. Il vantaggio di un metodo e di un linguaggio comune sta proprio in questa possibilità - che sinora non c'era - di un dialogo e di una collaborazione, all'infinito. Insomma, mentre non conto molto sulle rivelazioni ermeneutiche della figlia del macellaio educata alla critica selvaggia, mi preoccupo delle possibilità culturali della medesima figlia di macellaio. Cases dice: «L'importante è che tutti (gli studenti) arrivino a un buon livello di comprensione del testo, non la riproduzione di specialisti aggiornati e totalitari» (p.95). Io trovo autoritario che sia Cases a stabilire il «buon livello di comprensione del testo». Come dire: alla figlia del macellaio non far sapere quant'è buona la logotecnocrazia con le pere, cioè con la letteratura. E se la figlia del macellaio volesse saperne di più? E se essa sviluppasse, grazie alla dieta carnea, una vocazione per l'analisi letteraria? Se gli studenti di letterature straniere sono come descritti sopra, il caso non sarà frequente; ma non si deve disperare in partenza. Ciò che rende la letteratura così poco appetibile non è solo la mancanza di background culturale negli utenti. ma l'abitudine, che i docenti hanno ereditata, di considerare la letteratura come un'attività separata, un nobile otium. Nemmeno i credenti in una funzione rivoluzionaria dell'arte, come Cases, si sottraggono a questa impostazione. Confrontandola magari col cinema o con i fumetti, collegandola con schemi antropologici e psicanalitici, rapportandola all'ambito dell'inventività verbale collettiva, la semiotica riconduce la letteratura nel pieno delle attività umane, crea un diverso e più ampio interesse. Se gli studenti più impreparati possono essere intimofiti datsuo a-pparato sdentifico (ma ogni scienza, dalla fisica alla matematica, dalla chimica alla medicina. ha un suo lìngaaggio e i suoi simbolismi, ermetici per chi non li -conosce). ve ne sono molti che vi trovano buone chiavi per penetrare nell'opera d'arte. I lavori di équipe che scandalizzano Cases - o esperienze analoghe di cui parlano Lore Terracini e altri nel volume citato - documentano un risveglio della critica letteraria, anche al livello dei principianti, che, se si esorcizzano i fantasmi evocati da Cases. può solo esser considerato positivo. E democratico.

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