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Lettere di Antonio Banfi ad Andrea Caffi13

III
             4 febbraio 1916
Carissimo,
ho atteso la tua terza cartolina, ma non è arrivato nulla: intanto mi sono messo a ricopiare il ms.14 da spedire a Spaini. Nel ricopiarlo sento che ci sono ritocchi da fare e li faccio qua e là: si rimane però sempre nella medesima direzione. Solo nell'ultima parte ciò che si riferisce "a casa nostra" va in parte soppressa e in parte riveduta. Le cause generali e gli errori generali non vanno nascosti dalle più clamorose cause particolari ed errori particolari. Le cause generali sono tali da generare da un lato la "necessità" di ciò che accade e dall'altra la mediocrità degli uomini. E'il calcolo senza uscita della politica delle democrazie (in che senso ci intendiamo). E' quanto la Giovine Europa di Zanotti Bianco mi par non voglia riconoscere.
Siamo sempre di fronte alla illusione mazziniana del concetto idealistico - metafisico di "nazione", come un principio immutabile idealmente permanente uguale a se stesso nel divenire storico. Il principio idealistico di nazionalità s'è mostrato assolutamente insufficiente a racchiudere e risolvere nel suo valore semplicista la vita storica. Si tratta di non negarlo nella sua assolutezza (e quindi nella sua idealità, del resto affatto ingiustificabile se non in una strana metafisica della storia) ma di riconoscerne gli elementi e il processo concreto nella multiforme realtà e di liberare i problemi attuali ch'essa presenta per una risoluzione organica di ciò a cui noi aspiriamo. Mi sembra che a ciò la questione polacca offra veramente la via. Se noi amiamo la Polonia è perché essa è nazione senza essere stato. Il nostro affetto non riguarda solo le sue sofferenze, ciò che essa ha patito, ma ciò che essa ha fatto. E questo è una meravigliosa organizzazione sempre più largamente e liberamente federativa di tutte le sue forze materiali e intellettuali. La borghesia degli stati europei, situatasi comodamente nelle "nazioni libere" ha sfruttato la sua posizione ispirando tutta l'opera sua alla grettezza che conosciamo ed idealizzando nella sua ignoranza (tipica!) la sua situazione comoda con tutti i suoi organi difensivi ed offensivi. Ma in Polonia, la sua  stessa opera economica è stata animata da una profonda e la unità nazionale s'è concretata in quella magnifica opera federativa e in quel grande slancio di vita e di novità sociali ed intellettuali. Essa si trovava alla vigilia della guerra su una via nuova e veramente feconda: ciò che oggi è più dolorosamente tragico, è che la guerra europea  ha travolto il lavoro compiuto, ha risollevato le vecchie, astratte formule e ha riposto le sorti della Polonia nelle mani delle grandi potenze, e di quelle tra le grandi potenze che son meno atte a fecondarne le tendenze (Germania e Prussia). Così la giovane Polonia è soffocata, e sarà soffocata anche se si riesca ad avere una più o meno completa indipendenza polacca: come la giovane Europa in Germania, in Francia, in Russia, in Italia sarà oppressa dalla nuova ondata. E verrà allora la necessità di riprendere la doppia opera di organizzazione e di pensiero. Intanto l'ineffabile "Corriere della Sera" promette ai polacchi un trattamento quale se lo saranno meritato con la loro fedeltà alla causa dell'Intesa. Di nuovo ciò che tu sai forse più di me. Cotti dall'altopiano di Asiago mi ha scritto l'altro giorno imperturbato chiedendomi libri di filosofia tedesca. Un giorno perché tu ti edifichi definitivamente sulla italica intellettualità, converrà che tu legga gli articoli antikulturisti del successore di Carducci a Bologna, prof. Salletti: là ci vedrai Shakespeare trasformato in centauro: la testa e il petto son puro italico rinascimento, la schiena e il resto mal nominabile sono romanticismo teutonico. Una magnifica e strabiliante analisi, tutta in odio, sai a chi? Ai romantici tedeschi che hanno avuto la sfacciataggine d'ammirare un poeta (?). E avrai da leggere anche gli articoli olimpici del Sen. Croce ove lo Stato come potenza coincide col patriottismo più allegro - convinto che è dovere del Sen. Croce di star a meditare e dovere di altri di esporre la propria vita, senza domandar conto allo stato né ove va né cosa fa, lasciando poi ala storia di decidere se ebbe torto o ragione (a quale storia poi, nessuno lo sa). Ciò che è ben certo ad ogni modo per il C. è che il Socialismo è morto non solo in realtà ma anche in effige e questo perché sui campi di battaglia non si batton classi ma nazioni. E pensar che è il meno stupido dei filologi-filosofi d'Italia!!. Senti, hai ricevuto un pacco? Vuoi che ti mandi qualche libro? Se mi dici il genere te lo cerco e te lo spedisco appena si possono fare spedizioni in zona di guerra. Dimmi qualcosa di più preciso di te e scrivimi un po' a lungo se puoi. La Daria ti saluta. Io ti abbraccio con affetto di fratello
                              tuo Ton


IV 
Viareggio 4 agosto 191615

Dunque mio buon Caffi, finalmente t'ho trovato. Ho fatto una quantità di brutti pensieri, ed avevo ragione. Meglio che tu sia ritornato dove sei, meglio per tutto, anche se tu abbi (sic), e ti capisco, momenti di stanchezza. Tanto più che par diventato impossibile dirsi per iscritto qualcosa di sensato. Rimpiango la tua lettera che ho tanto attesa, ma che vuoi farci? Nulla del resto è in certi momenti e per certe cause più necessario della mediocrità e tu lo sai. Di me son mesi che non ti scrivo. Son qui che mi abbrustolisco al sole e mi rinfresco al mare, pazientemente con tutta la saggezza necessaria a un povero diavolo che è stato malaticcio questa primavera, e che vuol cercare di star bene quest'inverno. Delle volte mi considero in questo pacifico lavoro di ricostruzione, e penso di quante vite si può vivere e che forza vegetativa sia in ciascuno di noi. Basta, ricordi il vecchio Odisseo, e la nostalgia  della patria e il ventre brontolone?
  Mio Caffi, la patria com'è lontana! Solo anche noi se ne vedesse il fumo lontano: saper che qualcuno vive, che il focolare dove i giovani dovevan raccogliersi fraternamente, non è spento. Hai ragione: m'ha preso la sfiducia d'ogni fare in questo momento: la verità è sepolta, la gente ha paura di sé, della propria anima, di tutto e ciecamente e furiosamente s'abbraccia là dove qualcosa galleggia.
  Qualche volta mi ritrovo in Gulliver nel suo orrido ribrezzo per gli iahu dell'isola lontana. Ricordi? Ma a noi non soccorre la gelida disperazione di Swift, noi sappiamo quanto di vivo s'agitava, noi sentiamo quanto la meravigliosa umana primavera sia stata mietuta e siam qui piccoli superstiti, con il senso preciso di un'enorme responsabilità, con lo spavento d'esser incatenati in un ingranaggio banale che quasi insensibilmente s'innesta in una infinita tragica colpa. Per qualche tempo Bertteldt mi ha aiutato a liberarmi nel pensiero: ho sorseggiato il suo libro come un convalescente beve piano la vita: forse è ch'esso mi riconduceva paziente e vivo di curiosità a ripercorrere strade che avevo abbandonato! Ho ripensato all'opera, mi ci son rinnamorato (tutti siamo innamorati di un figlio non nato). Ingenuità impenitente, mio buon Caffi, che è pur tanto della nostra impenitente giovinezza, inesperta e direi acerba, se non fosse ridicolo ora che i capelli cadono, gli occhi domandano occhiali, e il cuore fa da matto. Ma tutto questo, anzi questo poco non basta, c'è bisogno di stringersi insieme, d'esser vicini, di non perder quella fede che anche oggi ci tormenta in una continua ricerca. La giovane Europa dovrà pur venire: tra gli urli bestiali e retorici, e le voci melliflue che preparano i compromessi e le astuzie miserabili, qualche vecchio riprende la fede illanguidita qualche giovane si ribella e s'accende, qualche focolare si rischiara: e basta il nome, altro non possiamo, basta sapere che vi sono anime fraterne per risorgere dal cupo smarrimento. E dovremo dimenticare che la nostra età è l'età del raccolto, accontentarci di preparare il terreno in noi e fuori di noi: bisognerà liberarci di quel non so che di vago che ancora tradisce le nostre idee verso altre tanto differenti. E poiché abbiamo dovuto tacere, poiché ogni azione c'è stata tolta, anche il conversare d'amici, noi dobbiamo non accettar domani neppur preconcetti, noi dobbiamo sentirci liberi, in una posizione così netta, così chiara, come fossimo scesi allora da una terra lontana, liberi figli dell'eternità. Chiunque noi siamo il nostro dovere è d'esser liberi così di fronte al passato e al presente. Così solo mio Caffi alla fine noi o altri, vedremo risorgere - ma trasformato dal passato, ciò che non doveva morire. E' vero? T'ho scritto furiosamente tra discorsi di gente inutile: ho tanto da parlar teco: tanto di ciò che ci interessa e avviene intorno a noi. Spedisco questo primo saluto.
  Cotti che fu brevemente a Padova mi chiese il tuo indirizzo (egli sta serenamente leggendosi Schopenhauer - Werke) Nino è sotto gli altipiani: voleva scriverti. Guarda che ti ho spedito qualcosa per vaglia che m'è stato dato per te. Se vuoi libri dimmi di che genere: io non ho che cosa mandare a uno che ha letto tutto il leggibile. La Daria ti saluta. Un affettuosissimo abbraccio dal tuo Ton.


V              20 ottobre 1916
Carissimo,
tu che sai come stringe alla gola l'angoscia di veder tutto e non poter nulla, mi perdoni il silenzio. Veramente due o tre lettere che stavo per spedirti, me le sono censurate io stesso, perché non le sentivo degne di quel sereno spirito francescano-buddistico-salomonico di cui l'onorevole Luzzati ci è dolce maestro, né vi eran sufficienti le laudi per quelle gioconde fraternità che da qualche tempo accompagnano la fortunata nostra umanità. Noi siamo una maledetta generazione di dura cervice, gravemente sospetta di qualche ismo Kulturale non redento da nessun sacro egoismo. Questa redenzione - tanto per darti notizia di quaggiù - pare che ora letifichi anche il cuore senatoriale di B. Croce, dialetticamente persuaso di essere all'apice dell'idea, in quanto dalla sua poltrona di germanico cuoio contempla l'ideale farsi della storia nelle reali bastonate sulle spalle altrui: perché secondo l'idealismo napoletano la pretesa di avere delle idee sulla futura sorte dell'umanità e di voler lavorare per queste è decisamente superato (V. Critica - anno X. pag. 70 nota 3). La questione sta nel buttarsi nel tafferuglio come Pulcinella nella lotta con i diavoli, lasciar che la storia ci pensi lei: intanto picchiare, anche se avvenga, come al sullodato Pulcinella che, credendo di picchiare i diavoli, picchiava solamente il proprio naso. Coraggio dunque l'ideale è reale e il reale è ideale. Pare pertanto che all'angelica anima prezzoliniana sia giunta notizia di qualche parole cattiva contro la Kultur tedesca: ed eccolo allora a tirar le orecchie ai monelli: garantir che Hegel è un grand'uomo: lo si capisce dai suoi italici nipoti, e che in Germania la filosofia non vale come idealismo, prova ne siano Windelband, Euken e il venerando Lasson. E poco ci manca che il vecchio consigliere segreto di Prussia non mi diventi un internazionalista. E la colpa sai di chi è. Tutto questo però son chiacchiere; l'importante è che - come Sua Sapienza S. G. Borghese ha dimostrato ai buoni borghesi del Corriere della Sera - il vero merito dell'Italia e il vero scopo della guerra è quello di aver definitivamente spazzata l'idea del Sacro Romano Impero. Per dei cannoni non c'è male. Così la borghesia italiana si erudisce. Io ti propongo, naturalmente per quando lo spirito sportivo di Llojd George si sarà esaurito, uno studio sulla vita spirituale nel retrofronte nel periodo della guerra. Ma forse ci sarà ben altro da fare. E parliamo d'amici; nessuna notizia io ho potuto avere di D'Acandia16 : dov'era? Ma il mancar di notizie è segno che non vi son disgrazie. Qui ho visto Nino di passaggio: scendeva dal fronte della Vertoibizza ed era diretto a Palermo ove si fermerà per qualche mese all'istruzione delle reclute. Nino è persuaso: ha accettato la sua parte, ha sentito la gioia del comando e dell'avventura e la soddisfazione del proprio sacrificio. L'ho sentito chiuso nel suo lavoro e nel suo dovere, tutto spiegando e giustificando in esso. Confucio mi vaga per l'Italia; ultimamente era a Rimini: ci si dà brevi notizie; è quasi impossibile scriversi di più: che vuoi che ci si dica? Eppure mio Caffi in questa lontananza e solitudine d'animo c'è un così orribile gelo che a volte ti prende; c'è una tal ansia di sentir dei fratelli ancora di sperare in loro e per loro. Perché la breve fossa che in un momento abbiamo creduto che poche mani di buona volontà potessero riempire, s'è sprofondata in un abisso. Teniamoci uniti con l'affetto per non trovarci soli davanti all'opera se qualche sorte o provvidenza ce lo concederà. Non so se tu hai seguito gli avvenimenti polacchi. Anche qui dolori e solo dolori. Ho seguito per un po' di tempo sul Mercure de France in oneste corrispondenze la sorte della Polonia sotto l'ultima ritirata russa, sono stati distrutti paesi, campi, boschi, casolari: gli abitanti fuggivan nelle selve, e dopo aver opposto un tentativo di furibonda resistenza ai cosacchi sono stati incanalati per lente vie ferroviarie che colavano alle stazioni morti e moribondi di freddo e di fame. Portati in un paese la popolazione già immiserita li ha cacciati di nuovo e così via, sempre più lontano, verso la Siberia, senza che il comitato di soccorso potesse far nulla. Poi s'è fatto silenzio sulla sorte di costoro e non ci sono state che le notizie ufficiali. Hai visto che dopo i lunghi tentativi d'accordo, nulla di definitivo fissaron gli imperi centrali, pare semplicemente abbian temporaneamente concesso delle autonomie locali e delle libertà scolastiche. Ad ogni modo si direbbe che non si son più riprodotte le rivolte soprattutto operaie dei primi mesi d'occupazione a Loiz e Varsavia. Hai visto la caduta di Garonoff pare sulla questione polacca e il nessun accenno a il progetto russo di soluzione, anzi la conferma di un indirizzo strettamente reazionario, appoggiato non solo sull'ambiente militare e autocratico, ma anche dai liberali-nazionali. Ciò che mi pare più terribile - poiché qui non può più giungere nessuna voce polacca, se non attraverso la nostra stampa - è che la nazione politicamente divisa ma che aveva saputo quasi direi superando il punto di vista nazionale in una magnifica e generosa organizzazione economica e culturale, trovare una più profonda unità, è ricaduta ora sotto lo spasimo della guerra negli interni dissensi, è fuorviata dalle speranze di ricostruzione diplomatiche, di equilibri internazionali, di adattamenti: ha riassunto la mentalità dell'Europa politicamente corrotta che crede risolto il problema dell'unità e della libertà nella formazione di un qualsiasi stato con un qualsiasi governo. Questo mi pare il più doloroso, e questo sarebbe tra gli effetti della guerra, uno dei più irreparabili. Naturalmente il Corriere della Sera, per bocca del solito Borghese, si felicitava con la Polonia, ch'essa per la guerra è entrata ad aver un valore nell'equilibrio europeo; come l'Italia prima del '59 si comportassero bene i polacchi verso gli alleati che poi avrebbero veduto. Ed è triste che in Francia, non so da chi e come sia stato diffuso un opuscoletto sull'opinione pubblica italiana e la Polonia, opuscoletto assicurante che l'opinione pubblica italiana vedeva di malocchio un'idea intransigente di indipendenza polacca, che non tenesse conto delle generose offerte russe. Doveva essere una specie di risposta alla "questione polacca" di G. D'Acandia. Così tutto si sporca e si invilisce. E non ti parlo d'altro per non dovermi ricensurare da capo. Dimmi di te: so che non stai bene: ma altrove sarebbe peggio. So che sei solo  e che ti senti stretto da ogni lato. E' la sensazione che si ha tutti e che irrigidisce l'anima e sconforta a tutto. E sempre come per una triste potenza, si vede più chiaramente, più distintamente, si vede tutto, fino i legami più sottili e più insensibili. Scrivimi (Aless. C. Reg. Margherita 59) se puoi a lungo, ma in modo che non debban sopprimer tutto come fecero per un'altra tua lunga lettera. Io spero adesso di poterti mandar libri. Dimmi se altro e di che genere ti occorra. E poi quando avrai la licenza invernale, vieni subito ad Alessandria. Quest'anno ti potrò offrire un po' più di caldo e di cibo non pestilenziale come quello del gentilissimo signor Carlo: un po' più di comodo e un po' più di riposo, e il solito costante profondo affetto fraterno. Ci rinfocoleremo un poco insieme e chi sa che non ci sia allora qualche buon progetto. Ora io son qui in casa della mamma di Nino, ai piedi di dodici colli che sarebbero splendidi in autunno se la pioggia da due o tre giorni non li lavasse inesorabilmente. Domenica sarò ad Alessandria a svernar là in mezzo alle solite cose. Pazienza. Cerco di studiare e lavorare: è ancora l'unica cosa permessa senza esser malvagio o vile. E deve essersi inesorabilmente mutato tutto dentro di me perché trovo impraticabili tutte le vie che mi sembravano già segnate e ritorno ad essere come tanti anni addietro il pellegrino che va senza certezza fuor che nel suo andare, fratello di tutti e forse da tutti lontano. Ma ho desiderio degli amici e di te - mio buon Andrea - Nino mi ha lasciato di salutarti, la Daria vuole che ti dica che ti aspetta ad Alessandria. Ti abbraccio con tanto affetto. Tuo Ton

13) Lettere disponibili presso IBRE.
14) Si tratta forse del manoscritto di A. Banfi e A. Caffi, Frammento politico, cit.
15) Lettera disponibile presso l'Istituto Banfi di Reggio Emilia.
16) Umberto Zanotti Bianco.

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