Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia

136 DRITTO B DOVERE Fu già osservato da qualcuno, che quella ra· gione inversa tra la morale e la materiale repa·essione può rassomigliarsi a due termometri o baro. meb·i, pe r una legge arcana legali pea· guisa, che quanto il fluido s'innalza nella colonna dell'uno, . e tanto si abbassa in quella deU' altro. E perciocchè da tre secoli, insieme coll'insegnamento e colla pratica della religione, la t'e pressione morale è venuta scendendo di mano in mano fino a quella debolezza che osserviamo al pa·esente, i mezzi coattivi sono venuti crescendo colla mede:;ima proporzione; e siamo a tea·mine da parer difficile il pensare qualcosa di nuovo in questo genere. Gli eserciti permanenti, cominciati a mantenea·si in Franeia sotto Filippo Augusto, si fecero un bi· sogno in llalia dopo il seicento, come prima i no· ' sta'i popoli cominciarono a respia·are qualche aua·a di anarchia intellettuale loro soffiata dall'aquillone. Ma presto si tl'Ovò che le baionette non bastavano, ed i Governi dovettero mulliplicarsi gli occhi, vestendo come un manto di Aa·go nelle Polizie onde si circondarono. Contro la Polizia si è gridato a più non posso da quei soprattutto che n'erano scorno· dati; ma colle necessità sociali non si potendo transigere, si è capitolato dei nomi, delle divise, di un Ministero si è fatta una Direzione, il gendarme si è chiamato guardia di sicurezza ) il rosso si è • cangiato in giallo; tutti ottimi ripieghi; ma il manto di Argo stà lì, e sfido qualunque Governo che vo. glia vivere, a spogliarlosi anche per un sol giorno.

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