Memorie di un garibaldino

ì BTBT_jlOTECA PATRIOTTICA ROMA E D o A R D o p ERI N o, EDITORE•TIPOGRAFO Via del Lavatore, 88 (sTABILE PR0PRlO) I88y.

Proprietà Letteraria dell'editore E. Perino ) MAZ 0700 00020 MAZ :jg60

.. ','\ r. MEMORIE DI UN GARIBALDINO r. . LA PARTENZA. Che andando' alla guerra si abbiano da itnparar molte cose, lo dissero tanti prima di me, che ripetendolo oggi non fo .che rubare una frase agli storici. Per conto mio, fra le tante che appresi, ques,ta mi rimarrà indelebile , nella memoria:· che si può andare alla guerra: coll'anima, piena d'ineffabiU e gaglial'de speranze, colle membra ·san~ e robuste. e tornare con un'amara delusion,e di più, e con qtiatebe costola fracassata di meno. Partii infatti corl·endo ·eon le mje buone gambe alla Stazione, e tornai a casa dòpo tre mesi con le stampelle, diciamo meglio, con due lunghi bastoni di legno greggio sormontati a traverso da un troccolo, a cui si volle dare il nome orgoglioso di stampelle. Eppur·e, se Dio m'aiub, e se le gambe giovanili ritroveranno relasticità d'una volta~ il fremito delle battaglie mi parrà ancora la voce diletta d'un <~aro amico che mi r1chiami al mio posto. Mi s'è sfrondato nelle mani· quell'albero ideale di poesia, che vagheggiai negli ag1tati sogni d'un~ gloria che mi pareva immort~1 1e; ho pianto· di rabbia., di dolore e di crepacuore; ma sento che i propo~ 1 ti sono rimasti gli stessi, e nell'animo mio veggo anco t·a un p unto sereno e luminoso. qualche cosa che soprannuota agli errori degli uomini e a lle fHrfa~­ t;jrie dei ribaldi, corne una stelia del cielo, che dalle nn-' . l l i

4 Biblioteca Patriottica vule squarciate mandi un sorriso d'amore al pellegrino affralito. Un buon vecchio mi domandò un giorno in Acqua- · viva, per che cosa fossi andato anch'io a fare la guerra, io così giovane, così delicato d'aspetto, che appen~ ap- . pena potevo sapere che c'è un Italia non ancora com- .pìta, che c'è uno straniero da cacciar via dalla nostre .. terre. Mi parve di capire che quell'uomo era più bambino di me, e improvvisai lì per lì una lezione di patriottismo, gli cl.imostrai che un popolo non sarà mai grande ne acquisterà mai un titolo di indipendenza, fino a che non si levi in massa come un sol uomo, nell'entusiasmo, nell'inizi ti tiva popolare, e in mille altre cose di questo genere. Mi accorsi stizzito che le mie parole non facevano breccia in quell'anima assiderata~ ma ri·- . pensai più tardi a quél vecchio che mi lasciò scrollando il capo e serrandomi fort~ forte la mano; ci ripenso anch'oggi, e ho dovuto con me stesso concludere, che forse forse egli aveva ragione. Anche questa la potete mettere fra te cose imparate nella guerra disgraziatissima del 1866. , ' Scrivo queste pagine nel silenzio della mia cameretta, seduto sul caro lett.icciòlo di casa Jl?.Ìa. Le scrivo piut- , tosto per passatempo alle lunghe ore d'un ozio increscioso, che per diletto di cbi volesse leggermi. Non è un romanzo ; non sar à nemmeno u'na ~ttorJa filata delle cose e dei paesi veduti, dei fatti d'arrue a cui presi parte, delle marcie inutili, degli spropositi dei capitani, del le sofferenze lunghe e delle b l·evi soddisfa~doni. Nelle nvtti insonni, passate su in Lombardia o nelle aspre giogaie del Tirolo, pigliavo nota a punti di luna di quello che avevamo armeggiato nel giorno; e ora rileggendo quelle note m'è pa1 so che se ne potesse cavare un costrutto. Qualunque esso sia, ho creduto bene di raccoglierle, d1tr · loro una forma lPggìbile, e presentarle .con più coraggio che speranza ai miei leggitori1 se casomai ;me ne toccheranno,

Memorie di un Garibaldino · 5 Erano le tre d'una bella mattinata di maggio. Non avevo chiuso occhio in tutta la notte, Il cuore mi batteva, non so bene se di desiderio per la buona riuscita di quella mia prima scappata fuori del nido, o di ram· marico e di dolore per doverla compiere alla chetichella. Le tre dovevano esser l'ora fissata per alzarmi da Letto. Mi vestii in tutta fretta. senza fare il più piccolo r·umore, e apersi la :finestra della camera per non dovere accendere un lume. C'erano ancora nel cielo fitte fitte le stelle, ma illuccichìo s'andava perdendo a poco a poco in quella sfumatura biancastra, che annunzia i prjmi albori d'unà giornata di primavera. Vedevo dinanzi a me, sopra le mura della città, le brune colline di F1esole, il campanile della Cattedrale, la vetta più acuminata di San Francesco. Inviai a quei luoghi, dove per nn mes.e intero me n'er.o andato a diporto, come . per avvezzare le gambe alla fatica del camminare, inviai un saluto silenzioso col cuore, stetti a sentire il cinguettìo degli uccelli che indovinavano l'auro1~a, poi fattomi coraggio ri- r chiusi la finestra, gaardai se la lettera che doveva annunziare la mia risoluzione era al suo posto sul tavo .. lino, e piano piano, in punta di piedi, maledicendo le scarpe che scricchiolavano (erano per l'appunto nuove, e in Bari le regalai a un ragazzotto per pigliare le scarpe di munizione) infilai l'uscio di casa e me lo tirai. quietaméntd dietro di me. , A quel noto rumore dell'uscio, che io solo per fortuna ebbi a sentire, mi assalse un pensiero che non mi era attraversato ancora per la mente. Mi soffermai sulle scale, e mormorai commosso : Ma se non ritornassi più mai ~ ~e questa porta non si riaprisse più per me, e un · bel g1orno qualche gariùaldino S1Jperstite venisse a raccontare alla povera mamma che nella tale battaglia perdè il suo Iigliuolo ~ Sentii qualche cosa che mi tremolava sugli occhi, e, . non so co.me, mi trovai inginocchiato . sull'ultimo scalino. (Me lo perdonino gli spiriti forti : non ave.vo peranco indossata la camicia rossa). Provai il bisogno di domandare perdono per quel dolore che di mia volontà cagi<,navo, e lo chiesi, sinceramente lo dico, con tutta l' clffusione di un'anima, che crede per lo meno nell'amor d'una madre. ; ' ,

l • ' ' 6 Biblioteca Patriottica -- ·------------"--~ Mi parve d'essere riconfortato; e levatomi in piedi scesi giù nella strada. . Qualcheduno si staccò dal muro della casa rJmpetto; « Sei tu Antonio ? » dissi io a voce bassa. « Ma già, ' ' (rispose l'interrogato) e cominciavo a ~aroccarE pe_r n,on vede~ti. Bisog!sa spicciarsi; i compagni sono tutti alla Stazione. » Quell'Antonio er a uno scolaro compagno mio. Ave- .. vamo concertato insieme tutto il nostro piano stt·ategico · insieme dovevamo partire e comhattere. insieme torn~re. dopo fini ta la guerra. Povero Antonio ! Lo colpirono con ùna palla il 16 di luglio, quando traver sammo insieme per la seconda volta iJ fiume Chiese, e mi ricordo che con l'acqua fino alla gola, lottando contro la furia della corrente, me J o porrai sul braccio fino sulla sponda. Costì mi volle baciare, mi raccomandò di salvarmi, e spirò mormorando il nome d'una sorellina : l'unica persona, l'unico ~ ffe ~.~~o domestico dell'an1ma sua. Alla Stazione dt·lla strada ferrata infatti ei aspettavano. Squadrai i miei commilitoni, ed eravamo in tutti un cinquecento, rappresentanti tutta la scala sociale; dal giovanetto ben vestito, fino allo sboccato pollaiolo di Mercato vecchio. Feci vedere il mio foglio di via, e presi posto nel vagone che mi venne 3ssegnato. La Stazione era popolata u·amici; e qualche bella signora, venuta forse per dare un misterioso addio, spiccava di mezzo a quella folJa r umorosa e tutta in moto: vidi pHì d'una madre j n colloquio affettuoso col figlio, che ptù , coraggioso di me s·era sentito la forza di confessare p ogni cosa; e vidi poi (non lo dimenticherò finchè campo) una donna in sui trenta anni, con gli occbi rossi di pianto~ con un bambino in collo, che stava muta, appoggiata allo Sportello del Va00DP. Il bamblllO Scherzava sorridendo con la Ddra ba1·ba d'un Voloiltal'io che si spenzolava in fuori, e ne r ;ceveva. in co11traccambio carezze e baci. Era dicerto suo padre, e quella derelitta riman~va a casa senza il Inarjto, for~e anche senza la· vol'o e senza pane. Oh l'aoogr della patria è pure una cosa divin ~; n1a c'è pericolo che qualché volta diventi .. una colpa magnanima, una sublime foiba~ Nel mezzo della Stazione torreggiava Ja tìgura di un uomo in sui cinquantlanni, tr·~verso e nerboruto, con una '

, . Memorie di un Garibctldino 1 ----·---- bella e schietta :fisonornia. Faceva la chiama dei Volo.n- .tarL e li disponeva quaranta per quaranta nei vagoni. Mt dissero che si chiamava il signor Giuseppe Dolfi. Quando fu l'ora, suonò la campanella. Quei ch'erano in terra ci salutarono con un grande evviva, noi rispondemmo agitando i cappelli, e la locomotiva si mossecBisogna va, niente meno, arrivare a Bari. . Nella Sta~ione ci eravamo p rovvisti di panini gravidi, e per incominciar bene la nostra vita militar<:), cavamtno di tasca gl'-involti. Io mangiai con tutto l'appetito dei miei diciassette anni, e spolvera,i ben presto ogni cosa. Quelli che non mangiavano, erano intenti a sdottoJ·eggLare di politica. La guerra (essi dicevano) sarebbe stata imminente, ma durerebbe po(· o, perchè già con gl'lta- . liani nessuno ce ne puole, e le baionette dei garibaldini infil :-t no più tedes <.~hi In mezz'ora che tutto l'eser eito di La Marm.... ra e· di Cialdini. · Garibaldi ci aspetta certai mente a Bari o a Barletta, ci fa vestire di t utto p unto, ci dà un franco al giorno e il fucile, ' e ci porta4 • • chi &a mai dove .ci porta? Quello lì è l'uomo ! Fa le cose senza dir nulla a nessuno, nemmanco a Vittorio. Con Garibaldi bisogna baciar basso, e quando ha detto una cosa lut, sette di vino, h a da esser quella. Si S(:ommette che ci f~ sbarcare in Dalmazia, in bar ba a tutte le fregate de l mondo 1 Di lÌ, dopo cinque o sei bat taglio, arriviamo nel quadrilatero, e che vo lete che ci facciano li tede: schi 1 Ci danno le fortezze a noi, e si ripete la storia di Napoli... . · Erano discorsi belli, erano promesse splendide, e nessuno di noi s~immaginava allora che potessero ~ssere vantet·ie pericolose. E' così car-o l'1lludersi, quando si sente il · bisogno d'indovinare un po' d'avvan:re ! n. \' FINO AD ANO ON A . Innanzi di partire dalla Stazione, in quel pigia pigia e Bl quella ressa, erano pur r Jusciti a diviq.erci a s~ua,­ d~e d1 quaranta ciascheduna. Quelli che si dimostravano

8 Biblioteca Patriottica. più zelanti, e avevano l'aria d'es$ere vecchi del mestiere, assunsero l'ufficio di capo-squadra, e il primo atto della loro sovranità fu la gradita promessa che avrebbero dato a tutti i Volontari un franco per giorno. Eravamo dunque già agli stipendi del Regio governo, pe~a .. vamo anche noi per qualche t, OSa nel bilancio del Mini· stero della guerra, ci sentivamo soldati in tutte le regole. Allora non avremmo potuto sospettare che quel franco quotidiano sarebbe diventato ben presto qualcosa di pro· blematico. La 3trada che percorrevamo era l'are~ina. Avremmo fatto più presto passando da Bologna sulla linea pi· stoiese, ma ell'era imgombra e stracarica di soldati dell'esercito, che s'avviano sul Mincio e sul Po. A me nvn dolse di percorrere queste belle vallate dell'Arno lusse· raggianti di tutti gli splendori della primavera, vedere quella fuga sterminata di colline, incoro.nate di pini e d'abeti, alzarsi e abbassa1•si, ristringersi e dilatarsi per far posto alle acque dell'Arno, che andava via rapido dietro di noi, ingrossato dalle pioggie recenti. Passammo Pontassieve, l'Incisa, Rignano, Figline, Montevarchi, poi sù sù vedemmo di lontano le mura vetuste dell'antichissima Arezzo, poi sollevata in vetta ad un altissimo colle l'etrusca Cortona, messa là quasi a custod1a delle me· morie d'un tempo sepolto ; e valicata Ja Chiana dalle sterminate e grasse pianure, entrammo nel territorio dell'Umbria. A me, fresco ancora degli studii classici, tornarono alla memoria le narrazioni mirabili di T 1to Livio, e mi parea di vedere, fra i boschi lontani, luccicare le aste e i cimieri dei Cartaginesi guidati da Annibale a debeIlare la superbia romana, e su quelle rive così tranquille, così :fiorenti del lago Trasimeno, solcato qua e là da pùvere barche peschereccie, avrei giurato di vedere ammucchiate le ossa confuse dei due eserciti poderosi. Ebbi qu1 un'occasione di distinguermi un po' dalla folla, e mi toccò l'o~ nore di essere attentamente ascoltato in una digression· cella storica che imbastii per uso dei miei compagni, non troppo fami'iari con la lingua e con le tradizioni del La· zio. Chi sa mai che cosa avrebbe detto il padre Ricci delle Scuole Pie, vedendo me suo scolare indisciplinato mettere a frutto in modo così strano le cose imparate da lui! ...

Memorie di un Garibaldino 9 A Torricella, propriamente in riva al lago, il treno si fermò e scendemmo. La strada ferrata non proseguiva altrimenti. Ayemmo ciascheduno il nostro franco, e ci fu detto che provvedessimo da per noi la colazione. Ci sbandammo alla rinfusa per il paese, composto d'una strada sola che sdrucciola giù nel lago. Alcuni mangiarono, altri vollero prendere un bagno, ci fu di quelli che si ·sdraiarono per dormire. Incominciava così quella vita eslege e vagabonda del Volontario, il .quale, se è sempre disposto a battersi come un eroe, ha ln compenso un aborrjmento .invincibile per tutto quello che sia disciplina. Erano spariti i capi-squadra, non v'era nessun capo riconosciuto, potevamo partire, star lì, tornare aidietro secondo i gusti. li SOle era già a perpendicolo SUlle nostre teste e Hi Saettava con amplessi di fuoco, quando in un drappelletto di dieci o dodici mi mossi anch'io per Perugta. Poco 'p1ù insù di Torricella, trovammo l'amjco riparo degli alberi, ed tra in verità un colpo d'oecbio aggradevole veder e sparse per quelle lunghissime strade, tutte dir·itte e om... brose, comitive di giovani che andavano ognuna per conto proprio, che si fermavano a bére per le osterie, che entravano ·nei campi e si rincorrevano, proprio come scolari in vacanza. I contadini, sospesi i lavori, ci guardavano a bocca aperta e r)devano, e i più audaci dei I'Ostri, acchitate le contadinotte, le pigli<tvano pel ganascino, e gli davano ad intendere cose d~ll'altro mondo. Arrivammo a Perugia in 3ulla sera. E una bella città, posta sur un colle elevato : le strade salgono e scendono come quelle di Siena, e i calzulari ci hanno a fa:::-e buone faccende perchè v'è sassi acuti e taglienti dappertutto. Pe.rò le strade son belle, maestosi j_ palazzi , magnifiche le chiese. La fortezza, intorno a cui la fantasia popolare raccogl1e tante memorie e t'ante leggende, sporge in fuori da uua punta del monte, e domina tutta la pìanura. La popolazione è ~ffabile di maniere, m~è paruta colta e di ~enti menti patriottici: all'idea della guerra s'entusjasmavano tutti quanti. Perugia è distante da Foligno una trentina di miglia, e coll'aiuto delle nostre gambe le digerimmo tutte la mattina dipoi. Ritrovammo lassù -i capi-squadra che c'erano arrivati più comodamente di noi in carrozza, e bisognò aspettare due giorni primachè tutta la spedizione ' '

'10 Biblioteca Patriottica si fosse raggranellata; immaginate voi con quanti sussurr~i di chi era stato solJecito nel viaggio. Finalmente, come Dio volle, ci messer·o a rango sulla piat.za di Foligno per .avviacci alla staziooe . Er-a sonato di poco il mezzogiorno, e pioveva a dirotto. ~i Rta lì un'ora buona ad aspet~are non so che cosa. iinalmente ci muovono e ~ si arriva correndo alla Stazione, un buon tratto fuori della città, bagnati come pulctni e 3udati da capo a piedi. Il capo-stazione fumava tranquillamente il suo sjgal'O senza dars t pensieco di noi, senza avere indovinato che per partire avevamo bisogno eli un convoglio. Disse che mancavano carrozze, che non aveva ricevuto ord1ni, che a quel diluvio •i'inferno (il t empo s'era mutato in vero ten1por·ale) non avrebbe ·mai permesso a un treno di uscire diec i braccia fuori della Stazione. I Volontari rumoreggiavano, alcuni si davano da fare attorno, per scovare 1 vagoni che ci dovevano essere e li trovarono infatti, si mandò a chiamat•e un colonnello dell'Intendenza miUtare, finalmente dopo un'ora e mezzo di contrasti un lungo treno dL vagoni quasi tatti scoperti fu all'ordine, t.1 part immo alla volta di' Ancona · Così ebbi ad appre11dt•re una t:osa alla quale non mi aspettavo di certo, e questa è che la vita del Volon"l ario, con tutte le soddisfazioni possibili e immaginabili, ·n )n è la vita più comoda e più poetica del mondo. Avemmo compagna per tutto il viaggio una pioggia accantta, a cui si ag~iuilse lungo la strada il rinforzo di un vento freddo e temporalesco, che ci batteva sul vtso, con certi maledetti buffi da non averne idea. Eravamo zeppi .fino alla camicia, .fino alla pelle, e non c'era modo di ripararsi, perchè scambiandoci coi ' materiali da costruzione, ci avevano dato i vagoni scoperti dove si ca-. ricano le pietl·e e la calcina. In ciascun vagone eravamo ammonticchiati, cometruppedasbarco sotto coperta d'una nave quando tira il cannone. MolLi dei t. ostri stavano con le gambe penzoloni in sulla via, altri si divertivano a passare da un vagone all'altro. Ogni tanto si sentiva un grido, che il rumore delle ruote soffocava subito: era qualcuno che cadeva di sotto. Come portargli soccorso~ Come SPgnalare ~l macchinista di fermar e la locomotiva? Hi andava a fu1.·ia, quasi volessimo oltrepassare il fitto tendo:ae di nuvole che ne accerchiava all'intorno, ma il

; Memorie di un Garibaldino 11 fatto è che dalle tre dopo mezzogiorno fno alle dieci di sera, .a breve distanza da Ancona, la pioggia non cessò un minuto solo. L'ingresso nella Capitale delle Marche non fu dei più brillanti. Par~va d'entrare in un deserto: buie le strade, chiusi i caffè, nessun jndizio eli bettole e di r ivendite: qualche pallido lume si vedeva baluginare qua e .là ne l l~ case, qualche testa copert a da un berretto da not te faceva capolin,o ai balconi. L 'appetito e il sonno fnrono sempre la lex suprema dei Vo lontari, siccbè appena messi a rango jn una pjazza, furoao tn v iati parlamentari per destar-e a colpi negli us~i i padr·oni e i garzoni delle Osterie. Fu un diavoleto da non si ridire. Gli anconitani, 'svegliati al rumore, scendevano nelle vie, e facevano alla megUo le loro scuse afferman.do che non eravamo aspet~,ati a quell'ora. Si aperse e s'illuminò una bet)tola, poi una seconda, una terza e via via: t.utta la città er a in mot(': pareva che fosse il mezzogio.eno. ' Dopo essersi rjfocillati, i p1ù entrarono in una chiesa a dormire, altri rimasero a gozzovigliare, mentre alcuni si avviarono alla riva. Io seguitai questi ultimi. Il tempo s'era rifatto: il cielo .ammantato d.i stf-lle avea preso quello splendore così bello, quella 'purità così smagliante ~he succede sempre al temporale, e la luna col suo faccione pieno e ridente si J:lifletteva tremolando nelle acque tranqullle del mare. V'erano in pronto le barche, e i barcaioli ci facevano invito coi remi sospesi nell'ar;a. La giovanile curiosità fu più forte della stanchezza, e ci gettammo alla rinfusa' in una ventina di quelle snelle barchette. Pigliammo il Jargo, vedemmo di lontano le case ammucchiate della città, che si levavano brune e distinte come fantasmi che sorgessero dall'acque, e a.vanti a noi la sterminata solitudine dell'Adriatico che ga.reggiava in un cupo azzurro col cielo. La vena d~lla po~s1a abbandona di rado il fiorentino, e si risveglia cop1osa quando lo trasportate in mezzo alle incantevoli scene della natura. Bastò che una voce limpida e argentina intonasse una nota canzone, perchè i compagni spar~i qua e là per il mare rispondessero ih coro. - Era l' Add~o del Giusti: ì l

12 Biblioteca Patriottica Addio per sempre, albergo avventurato, · Soave asilo di gioja e piacer: · Teco abbandono il più felice stato, Og·ni speranza, ogni dolce pensier. A coteste parole improntate di tanta mestizia, corrisponde la musica malinconica e appassionata, e musica w poesia, ayevano un più armonioso concento in quella solenne quiete della notte, in quello spettacolo di pace serena, sotto quel cielo, sopra quel mare. I barcaioli avevano lasciati i remi, e sp1egata ja veJ.a ci cullavamo dolcemente sospinti dalla brezz:) marina. La mente nostra non era volta alla guerra~ e pensieri miti e giocondi ci riconducevano alla vita di pochi giorni innaazi, ci lasciavano nell'animo il prefsentimento che saremmo pure tornati a racco u. tare le. cose vedute. Fu Insomma una nottata di paradiso, nè c'è caso che la possiamo dimenti- . . ' care mai p1u. / Ili. PENTIMENTI , ED APPLAUSI. • l La nostra passeggiata si prolungò fino all'alba, ma scesi in terra una trjsta notizia ci amareggiò il piacere di quella gita Ci dissero tome uno dei barcaioli tornando a riva raùcontasse tutto smarrito d'aver condotto torno torno al porto alcuni garibaldini, che gli s'erano dati per livornesi. Parevano molto tristi, discrli·revano. sottovoce fra loro, e a un c6rto punto, ado~chiate alcune rovine. che si levavano sporgenti sul mare, ordinarono al barcaiolo che vi s'avvicinasse, e si allontanasse pure · con la sua barca perc;hè avrebbero raggìunt,o dalla parte di (,erra i compagni. Obbedì H barcaiolo, ma nel venir via di là vide quf\' giovani inerpicarsi · sù sù fino in cima, .. trattenervisi qualche minuto, poi lanciarsi a capofitto nel mare. Ben tor nò addietro facendo forza di remi, ma non trovò più nulla, eccetto la spuma del mare agitata dal tonfo.

Me1norie di un Garibaldino 13 Corsero molti sul luogo del disastro, si calarono giù persone esperte nel nuoto, ma tutte le ricerche riuscirono vane. Per,~hè quelle morti misteriose? Cotesti giovani avevano ~orse· provato il pentimento dell'essersi ar.rolati, e il pensiero delle dure fatiche del campo, di cui già avevano avuto un saggio, lì scorag-gì di maniera da consigliarli a quel passo diRperato? Ma e allora, se mancò loro il coraggio di affront are i peri~oli e i disagi della ~uerra, come trovarono in sè quell'altro coragg1 o terribile del suicidio? · · Nessuno seppe rispondere !a coteste domande che ci facevamo gli uni con gli altri; nessuno anzi seppe mai il , nome d1 quegli infeiiej, int~lici davvero perchè morirono ig-norati, derisi anche da qualcheduno che volea tacciar~ di v1ltà quella inNensata risoluzione. Io vi confesso il ve1·o che plù tardi, quando ci trovammo involt i in quella miserabile successione di guai che ~i ch1amò la guerra del T1rolo, quando fummo costretti a quella dura vita del campo senza soddisfazioni, · senza compensi, senza glorie. portati di l{na e di là a casaccio~ secondo chetalentava ad alcuno dei nostri capi, quando la stanchezza~ di lunghe e penosissime marc1e non potevamo confortarla con alcun cibo, fosse anche di pan solo, quando il sonno, che ci buttava 1n terra dopo dodici ore di cammino infruttuoso, non era d'alcun :refrigerio per noi tremanti di freddo su quelle balze montanine, coperti malamente da una povera camicia. rossa, io vi confesso che ripensai jnvidiandoJi ai m1seri annegati d'Ancona. ed ebbi a d1re più d'una volta ai compagni, che una buona cannonata a mitr·aglia che ci porta~se all'altro mondo, sarebbe stata la più bella ventura che ci potesse toccare. Dacch3 sono tornato dalla guerra, ho sentito che voi altri, i quali timaoe~te tranquillamente a easa, trovavi cagioni infinite di lamento per la incapacità de1 generali che hanno condotto la campagna, per Ja balordaggine dei piani di battaglia, per la ignoranza di chi sta manipolando le faccende della diplomazia. Ciò mi fa sospettare che alla prima oecas1 one ~ olenne non rnancheranno di quelli che domanderanno severo conto al governo e ai génerali della loro condotta. Se a qualcheduno di cotesti che voglion parlare verranno sott.'occbio queste mie pa.. ro1e, i~ diGQ tln d'ori\ elle QQA diuientiQhi di Gllied4H' QOntQ

14: Biblioteca Patriottica del modo col quale siamo stati trattati noi Volontari, del perchè le carabine tante volte promesse non arrivarono mai, e noi rimanemmo per più d'un mese esposti ai colpi. di tiratori famosi, e coprimmo inutilmente dei nostri ca- , daveri le jgnude rocce del Tir•>lo, senza ' poter pigliare mai la rivincita, armati com'eravamo di fucili per r1dere, che bene spesso scaricavamo all'aria. Non d·roentichi n0p pure di chieder conto come mai, mentre si sa cbe il go· verno spendeva a rotta di collo per le provV'igioni della nostra Intendenza, ]e provvjgiuni non arrivavauo mai in tempo, e ci siamo trovati a vivere due giorni con una mezza galletta ammuffita, e in qualche giorno anche siamo stati costretti, per camp~re la .vita, ad entrare fur·tivamente nei poderi e n~lle case, e rubacchiare qualche pu ~ gnello dì farina, o strappar" dalla terra qualche dozzina di patate. La .insipienza dei gene ali è stata fatale all'I· talia, mentre il valore dei soldati era lieta garanzia d i. vittoria; ma a che giova il valore, a che c;)sa avrebbe giovato la Hapienza dei ·capi, quando tutti i servigi delJa amministrazione andavano alla peggio, quando tutto parea congiurasse per~hè la !lostra impresa avesse quell'esito che gl'[tahani amaramente deplorano? Io lo ripeto qui: non scr1vo un romanzo, bensì racconto cose di cui migliaia di compagni po3sono fare testimoniaoza. Se raccontandole potessi sperare· che ttn· qualche frutto o prima o poi se n'abb ia a raccogliere, sarò pago di averle dette, sarò lietissimo d'aver•e a "uto il coraggio di dirle . Ma ripi gliamo il filo del nostro racconto. · Tornati in Ancona ci apparecchiammo per la partenza, dacché ci t vevano detto che bisognava andarcene di buon mattino. Ma fu spiccato un contr'ord1ne, che ci fece stare in Ancona fino a1le due dopo mezzogiorno. Quei buoni abitanti erano lietissimi della nostra presenza, e di0evano cbe tanta nllegria non s'era più vista dal sess~nta in poi, quando furono ltberati dape orde del Papa. Profittammo delle ore che ci erano concedute per visitare la c ttà e i dintornL La città non è bella. Ha strette e buie le strade, e, bisogna dirlo, abbastanza sudicie, come è di molte città marittime. In compenso il littorale è pittoresco assai, e gli aggiuPge vaghezza quel numero di barche da pescatori che solcano 1n tutti i sensi l'Ad rìatico, e che si distinguono a grande distanza dalle vele colorate in ,

• Memorie di un Garibaldino 15 .. rosso. Cittadini egregi si accompagnarono con noi nei d.tntorni della c1ttà, e c'jntrattenuer o a lungo lnsegna~ndoci i luoghi dove il generale Cialdini avea dato l'as· salto alla Clttà, e i punti fortificati dove la squadra navale italiana inviava le sue bombe e le sue granate contro i so t dati di Lamorjci è re, con molto mag-gior profitto che non abbia fatto in quest'anno a Lissa. VIsitammo il forte pr1ncipalft di Ancona, che a vederlo come oggi è, rafforzato di nuovi rl pari e situato a una grande altezza a perpendicolo sul mare, si po ,rebbe crederlo inespugnabJle. Scend~mmo poi nel porto~ salimmo a bor·do delle due navi corazzat~ la Terr1'bile e la Form1'dabile, e con quegli svelti mar1nai parlammo a lungo delle comuni sper·anze di vit1oria Verso le due ci racch gliemmo in sulla piazza, fummo div.~i in pelotoni, e ci avviammo alla Stazione Avevamo dietro a noi molte migliaia. di persone che gridavano a squarciagola: « Viva 1 Volontari! » a cu1 ri~pondevamo con le parole: « Viva gh abi tanti di Ancona! » Le donne affacciate alle finestr e e ai terrazzi sventolavano in segno di addio i loro fazzoletti, e ne vidi molte ehe piangevano: forse fra quelli che partivano c'era anche H damo, forse egli era gui · par·tito voJontario o faceva parte déll'esercito regolare, o fors'anehe erano lacrime di pjetà patr1ot: ica, al vedere tanta bella gioventù allegra e balda avviarsi, come ad una festa, a queJla che doveva essere l'ultima guerra naz1onale. E ch'ella sia sta.ta l'ultima potrebbe onche darsi, !!iacchè s ~ ..nto dire che il goverho nostro e i l governo austriaco si accorderanno a levare una vol ta per sempre questa ragnai ,. di od1i e di diffid~nze che li ha tenutt fino a ora divi&i; ma che s1a stata una fe~ta cotesta malaugurata guerra, non lo potrà dire nessuno. Peraltro t'ra tante angus,tie e disinganni infioit1, H mesto ritorno in patria non ci fu amareggJato in nessuna città da rimbrott1 e da aceuse. Dappertutto s'è trovato una lieta accogl1enza, e quei gentili e quelle gentili che ci hanno confortato ndl'avversità con mille dimostrazioni di affetto, pareva volessero farci dimenticarP- le m}.tncate v]ttorie, e si rallegravano ad ogni modo, perchè avevamo adempiuto il nostro dover·e. Iv ringrazio cotesti ~gnoti amici di tutto q u~l1o che hanno fatto per noi. Se la patria non ha niente da r1mprover arci, portiamo con tranquilla rassegnazione il faHito successo.

16 Biblioteca Patriottica IV. LE PRIME MOLESTIE. • Fra gli augurii e gli applausi di tutta la popolazjone, che s~e1·a riunita alla stazione della ~trada ferrata, noi partimmo da. Ancona poco dopo le due. Ci dissero che avremmo pernottato a Foggia. e la notizia. fu accolta con giubilo, perchè ci sentivamo ancora stanchi del viaggio e del t emporale del giorno innanzi, e percbè non avevamo fatto che un po' di colazione alla mattina. Ma pare che i nostri condottieri mutassero d'avviso lungo la strada , perchè a Foggia il treno continuò senza darsi per )nteso del nostro appetito, e camminò tutta la notte, tino alle nove Elel giorr:o dipoi : una bella tirata di diciannove ore! Quanto parve fat1coso H viaggio, altrettanto fu dilettevole alla vista. La strada, per qua~i tutta quella lunghi s8ima linell , è condotta sulla spiagg:a dell' Adriatico, e il treno è così poco distante dall'acqua, che nei giorni di burrasca le onde bisogna che vengano ad infrangersi contro le ruote dei vagoni. Il mare non si abbandona che una volta sola, quando traversiamo quella lingua di terra che col littorale di Barletta e di Bari forma il golfo di Manfredonia. La spiaggia è deserta, nè altro vi si vede che piccole barche peschereccia allonta:r:tarsi d'un miglio o , due dalla terra, e tornarnù poi c.olla modesta preda che permette a que' poveri abitatori di non morire di f~me. Tanta tranquillità della natura, tanta mancanza di ogni vestigio di civiltà su quelle spiaggie che dovettero un giorno, se non mentisce la storia, essere ravvivate òalle jndustrie e dai commerci, mi fecero pensare a tutte quelle cose che rimaugono a compiersi in Italia quando riavremo ]a pace, quando po ~ tt~emo spendere tutta la nostra attività per le provincie · p1ù belle e p1ù abbandonate della cara patria. Dopo aver traversato Barletta,· la te1ra famosa che "Vide debeUata nella memoranda Disfida l'albagia fran_. c$ito, arrivammo in pocu tempu nella çittà \li Bari. Nei•

Men~orie di u1~ Garibaldino 17 suno ci asp~tt,ava. Scendemmo . indolenziti dai vagoni fummo mess1 a rango e condotti a quattro a qu~ttro in caserma, vale a dire nella Chiesa de1 Gesuiti, a una delle estremità dt Bari. Un po' di paglia sul nudo terreno ci parve un letto ben soffice e, un po' di pane e di companatico mi fece l'effetto d'un desinare dat Moroni.." A Bari incominciammo a sentire tut ta la forza del sole meridionale. Riposat1 e ripuhti alla meglio, avemmo gli ordini dei no~tri capi, ed uscimmo a girandolare per Ja città. La vita della caserma bisogna averla provata per sentirne tutto l' Jncomparabile pes0. E.ipensando oggi a quelle lunghe ore passate in un ozio sterile, priv1di tutto quello che rende comoda e confortevole la vita, con la monotona vicenda d'aver tutti i giorni a ripetere le medesime cose, io ne tiro la con~ egnenza che chi ·va alla gnArra non deve preoccuparsi per nulla dei pericoli delle bat. ta·tlie, m~ di superare i f~stidi delle lunghe aspettatrve senza soddisfazioni, delle incresciose fatiche senza compenso. . Meno male che non eravamo astretti alla dura di s(~iplin:t del soldato di truppa regolare, anzi bisogna dire che, almeno nei primi ~iorni della nostra permanenza a Bari, avemmv quanta libertà si poteva desiderare. La faccenda di un fr~nco ogni giorno cominciò subito a intorbidarsi, perchè i ventt soldi scesero in un attimo di sette punti ; ribasso disastroso per la borsa del volontario raramente florida. Perchè poi ci si dessero non più venti ma tredici doldi non s' è saputo mai e chi sa se lo seppe mai neanehe il signor ministro della guerra ! Tredici soldi a Bari sono quel che ci vuole per ;non campare e non morire di fame. Uno stomaco un po' rispettabile, in qne' paesi là, non digerisce m no di dieci soldi di pane al giorno, perchè il pane in Bar1 è carissimo, e, aiotatemi a dire, s<.-ellerato. Quello che c'è di buono è il vino, e quando dico buono intendo dire a buon mercato; tre soldl il litro, e niente di più. Ci sfogavamo dunque a bere, e Lon passava sera che molti di noi non · dove .~sero essere ricondottt a braccia, jn caserma. In quei primi giorni, in cui la dis ciplina brillò per la sua assenza, avemmo modo di fare quel che volevamo ; gite in barca su quel mare meridionale e sotto z- Memorie.

l ' 18 Biblioteca Pat?~·iottica quel ciel o di fiamma; bagni continui per t emperare il cocente al dore; pass.... ~giate in carnpa~ na, r ìtr ovi piacevoli, eonversazjoni pubbJiehe, e arche cazzottature, perchè il volontario è stat.o, è. e sa1·à sempre manesco. Fare aU'o.more non era tanto fae1le, perch~~ que' briçconi di Baresi tenevano gelosament cl rinch1use le loro donne come 1 pascià di Turchja; non tanto però che qua.l~he b1"una fac {· etta non ci so1·ridesse fra gli spirargli d'una fil).estr-a soc<:. hiusa, o un bel pa1o ui o ,~ chiettì neri non ci saettasse dal fondo di qualche bottega. Debbo dire la vernà; tutto il mondo è paese, e dat;pertutto SI ripete la stor1a di D{n Bartolo e di Rosina, perchè dappertutto si t rova un .Figaro corn piacente che i'aceia lume per gli ~nditi oscuri A quelli che si lamentas~wro del a fo rzat ~ continenza durante il so{!gioJ·no di Bari, io r jsponderò col d t> tt ato fiorent jno : Ch1 è minchion suo danno. · 11 guaio gro ~ so per· noi era la se1·a, quando sonava l'or·a di riuojrsi in case1·ma. A v;evamo per letto pochi fasci di pag:ia ; e perchè la caserma era una chjesa piuttosto grande, un capo ameno di F1renze la chiamò il Pagllano. Ci si radunava lì dentro tutte le sere più di trecento garibaldini, e v'e t·a sempre motivo di litieare. Due si contendevano schiamazzando un pugnello di paglJa accusandosi vicer1devolmente d.', ladrJ , un a ltro con uno spintoufll buttava giù da.U 'altare un compagno che vi si era disteso, di cendo che quel posto era suo ; un terzo, che fino dalla mattina avea preso possesso del pulpito (di dove un frate pochi giorni innanzi avrà p1·ed icato contro i nemici della religione) alla ~era vi sa' iva e bestemmiando scendeva gh), perchè trovava che .t) ella sua aSSt'nza v'e:::ano germogl iati 1io1·i tuLt'altro che rettòrici. Il silenzio non c'era mai verso di ottenerlo; era un sussurro, un Jetiehio èontinuo, uno zombare, e anche un fr equente menar di coltello. Così non si pot eva andare avant1 otto g1orni. I più quieti fecero un rapporto alla maggior·Jt~1, e per allora non f' bb -~ alcun f s utto , ma di lì a poohi giorni, quando già si cominc•iava a far la manovra con le gambe in p :azza d'armi (di fucili non s t discor·reva ancora) venne inaspettato u n pezzo grosso, il genera! Hella Chiesa, che fattici stare al sole dall'alba lino alle due do p o mezzogiorno, ri nviò a ll:;t casernta una par te dei volo11tari, e gli altri fece scartare, o perchè birbaccioni o perchè troppo gracili.

' Memorie di un Gar·ibaldino 19 La partenza di quds~i ultimi dispiacque a loro ed a noi. PHlDgevano i pover·etti, e guardavano invJdiandoc i le nostre bel1e spalle che avevano res1stito alla tat1ca, e ehe avrebbero sopportato tutti i vesi della guerr a . Gli altri invece (disonore della camic1a rossa) se la ridevano contenti come pasq ue, e d1cevano che con tredici soldi al giorno la guerra ai tedeschi non la volevano fare. Furono caricati in un piccolo bastiment o fracassato che salpava per Ancona, e a molti di que' r ibaldi toccò l 'onore delle manette. ~e fossero affogati tutti per v,a , potete star sicuri ch13 la patria non ci perdeva nulla, e ci guadagnava qualco~a l'amministrazione delle carcer i. La notizia che se n'erano iti fece allargare il cuo t·e ancbe ai Baresi, perchè in più d'una occasione si erano t rovati a ricevere prepotenze numero uno, e a dover dare vino, pane e eompanatico, per riceverne vHlanie in pagamento. Anche la medaglia del Volontario ha il suo rovescio! V. A BARI - SPEDIZIONE PERICOLOSAACQUAVIVA. Io non voglio far torto al patriot tismo della città di Bat•i ; ma bisogna dire cha quelli a bitanti a ve~se;ro poca stima del fatto nostro, o che ci t occasse la mala ventura di aver contatto con la parte meno buona della popolazione. Fatto sta che no1 gli eravamo cordialmente antipatléi Ci vendevano la roba a un prezzo tre volte ma2'giore del costo, ed era per giunta roba ~c~lleratissi ma. Diffiaavano di noi come fossimo briganti della Sila o del Gargano, e perchè anche non s i riguardavano dal dirci male parol <1 , noi non ce ne stavamo con le mani all~ cintolàJ, e facevamo spesso e volentreri baruffa. I baresi si vendicavano poi alla sordina e atrocemente, e p iù di una volta mi è accaduto di trovare buttato in un fosso o nascosto dietro una siepe nella campagna, il cadavere l

20 Biblioteca Pàtriottica di t'Jualche infelice garibaldino. Chiamavo allora i com- ,pagni, mostravo Joro H miserando spettacolo, ci adunavamo in molti, tornavamo schiamazzando e tumultuandç, e c1 voleva del buoiJO e del bello per :1cquetat·ci. lo non potrei garantire che qualcuno di quei baresi non abbia pagato per tutti. · Ba1·i è una città assai gr·anùe e 'bella, in specie nella parte che chiamano nuova : le strade sono larghe e Ja- ~tricate, e ogni casa fa corpo da sè, comé fossero cantoniere meHse in t1la . Le tì.nestr·e hanno tutte un terrazzino. Guardando la città d1 sul mal'e è uno spettacolo SingolariSSÌIDO, perchè le case SOnO tinte bizzarraii!PDte in giallo, in rosso, in violaceo, in celeste, i tetti piani senza inclinazione veruna, e così appiccicati alle finestre dell'ultimo piano, det far credere che la gente obe vi abit.a debba andare carponi per la terra. Gli abitanti vestono ordiQariamente~ le donne portano in capo grandi fazzo1ettoni in colori, vestit1 p1uttosto corti che luoghi e senza cerchio. L'abbigliamento delle sjgnore 0 tale, che se il Sonzogno mandasse a Bari alcune copie de1 suoi gtornali di moda, piglierebbero j suoi disegni per caricature. I I 1agazzì, tanto maschi che femmine, passeggiano per le contrade jgnudt . come Dio gli ha fatti, e pare si stupiscano di vedere che noi ci meravigliamo di loro. 11 paese è sudicio, e la parte vecchia della città. se vi scoppiasse il cbolera, potrebbe offrire una copiosa tangente. Tutto insieme, la clttà non è soggJ orno gradevole se non per chi c'è nato. . Una sera., non ricordo p!ù per quale sgarbo rjcevuto, i nostri ebbero a tempestare a lungo contro una frotta di giovinastri del paese, e vonn~ro 1n caserma. cioè nella chiesa, schiacciando tali moccoli che le candele dell'altar.- maggior sarebbero impallidite al confronto, se , le candele ci fossero rjmaste tutt'ora. Qualcuno che era stato fuori fino a ora tarda entrò sospettoso, radunò i compagni, disse aver sentito in paese, che in quella notte si voleva per vendetta dar fuoco alla caserma, e a tutti i manigoldi cbe v'erano dent'ro . Altri, a corroborare la verità della co~a, asserivano di aver veduto in caserma gente sospetta, che vi s'era appiattata per consumare l'opera nefanda. Altri infine affermavano di aver veduto gente sull'organo. ..

l Memorie di un Garibaldino 21 Ce n'era più che abbastanza pér levare la volontà di dormire, e per sincerarsi subito della trama. Fu architettato un piano d'attacco, dividendo le nost re forze in esercito d'operazione e in esercito d'osservazione. Il p~imo doveva snidare il nemico di dove era; il secondo rimanere al · basso per fare giustizia dei colpevoli, se riuscissero a scappa~r·ci di mano. Avanti dunque e co· rag~io. A me fu data una lanterna perchè precedessi i compagni, e questi si armarono chi di scuri, chi di bastoni e chi di sassi. Piano piano. a due a due, per una scala stretta, salimmo su su fino all'organo. Si brandirono le scuri, si alzarono i bastoni, e un rumore, come di persone che scappino strisciando, ci fece avvertiti cbe il nemico era Ji. << Ammazza l ammazza! » dissero i più coraggiosi che erano rimasti indietro; ma io che tenevo la lanterna foi il primo ad accorgermi di che si trattava. e detti in una gr·ande -risata. I nemici che fuggivano erano talpe enol'mi, e topi grossi come r.-attini d'un mese. Scivolavano fra le nostre gambe, ci mor de· vano a.nche, e mandavano quello stridìo gutturale che è proprio dei topi jn1pauritL Ne infilammo qualcu.no nelle ::>curi, tanto per non tornare ingiù a mani vuote, e la serata finì con una )mprecazione, ripetuta da tutti a mo di preghiera d~lla sera, contro gli indugi p~·olungati ·che ci costringevano a far Ja guerra ai topi, alle talpe e &.i Baresi inclu~ive. Chi fosse entrato nella nostra caserma allo spuntare del giorno avrebbe goduto d'un singolare s pettacolo. Tutta l'area era occupat:t da garibaldini distesi per terra: gli 2ltari', come ho detto, facevano a ruba a chi ci montava il primo, e garibaldini si rannicchiavano pure nei confessionali, di~tro i'altar magg)ore, sulla scal~tta dell'organo, in sagrestia. L'altar maggiore, tutto lavorato di marmo beJljssimo, era stato da1 preti pre· veggenti 'turato con un muro a mattoni per ritto, ma fin dalla prima sera con un pot.ente calcio H muro era· crollato, e que' mattoni servivano di guanciale a chi ci dormiva sopra. Il coro, di dove i frati erano soliti cantare i vespri, era stato mutato in una latrina, di cui i miasmi ammorbavano tutta la Chiesa. , Ano svegliarsi. .tutti ci affrettavamo a uscire di là per respir are un pò d'ai ia più libera; e io penso .che i Baresi avranno avuto l ' '

r 22 Biblioteca Patriottica un bel :la fare, per ripulire dopo la nostra partenza quel sozzo letamaio. Il giorno seguente alla nostra eroica spedizione sull'organo contro le taipe; ci si annunzia una grata novella : il mutamento d1 guarnjgione. Er~a tempo, e ~redo ci levassero di là temendo qualche grosso guaio. Fummo condottl in Acquaviva, paese distante da Bari una quindicina di miglia, e anche là avemmo per caserma una Chiesa. .. Eravamo attesi in Acquavi va dal nostro colonnello, il barone Nicotera. · Il Nicotera è un bell'uomo, di bassa statura ma'ten tarchiato, con una bella vqce baritonale da ddputato de· Inocratico : mi ricordo d'averlo sentito parlare molto forte nella Sala dei Cinquecento. Cotesta volta seppe Jirci delle cose bellissime. Cominciò a fare grandi e ~ ogi di noi, disse che ci aveva già battezzati per valorosi, cbe egli aveva Ufl' ambizione sola, quella dt morjr bene; che al termine della guerra avremmo dovuto vantarci, di essere appartenuti al sesto reggimento.. che noi sa· remmo stati primi a gustare il battesin1o del fuoco, cbe avremmo vinto sempre, che avremmo sbalordito l'Eu- , ropa col nostro valore. Pa.reva jnsomma che noi e lui si dovesse fare l'Italia. Raccomandò la disciplina e la pazienza,; soprattu to raccomandò che non molestassimo le donne del paese, e che, in ricompen8a., ci · avrebbe data a Vienna quanta libertà si poteva desiderare. 8oncluse l'arr IJga, dicf.l ndo che per quel giorno bisognava starsene in caserm;1, perchè com1ndava davvero anche per noi la vita militare. · Andammo a dormire brontolando, dopo aver mangiato un po' di salame e di pane. Per giunta ci venne fatta una nuova r1duzione nella paga : otto soldi in contanti, ed una pagn~ tta. Nuovi lamenti. nuovi sussurri : ma bisognava striderei. Fortunati quelli che avevano in ta~ca qualche franco avanzato! L'orario nostro venne solennemente annunziaco alle compagnie. Alle tre della mattina sonava la diana, poi l'appello e la manovra in un gran piazzale, poi 1n casarma alla dist' i buzione della pagnotta. Il dopopranzo manovra daccap'o, all6 Sètte usmta libera, alle otto in caserma? e a lle nove silenzio. Se çi avessero arreggi· ' '

Men~orie di un Garibaldi1~o 23 mentati nell'esercito, non potevamo avere disciplina più rigorosa. Lo spurgo della canaglia fatto a Bari non era stat o completo. V'erano an ~ora mo lti, che c~ ol loro contegno mettevano a soqquadro il qnartjere. Mi ricordo che una sera, dopo jntim&to il sile·r.r zio e quando già molti co~ minciavano a pigliar sonno, uno di que' mascal zoni prese in mano una mezza pagnotta, e la t1rò alla ventura contro un groppo di garj baldi ni. Quel\ o che rimase colpito si alzo in fur ja . e restituì il pro1et tile accompagnandolo con una grossa bestemmia. Pal·e che andasse a cogliere chi non ci aveva che vedere, perchè altri si levarono in piedi, e schiamazzando si disponevano a venire alle mani. A un tratto si vede volare per l'arja una s '·arpa, che andò a ferire col tacco il naso del mio vicino . Quì urli e moccoli spavento ~ i ; tutr.e le scarpe erano ìn aria, tutti gli oggetti della Chiesa, lampade, candelieri, segg-iole descrivevano belllssime paraboTe, e ci voleva del buono 3 cansarle : dai proiettili venimmo all'arme bianca, cioè alle mani, e per ragion di difesa la mischia dive11ne gener8le . Pareva 11 finimondo. Gli ad ~ dormentati si destavano in sopras~alto, fra quella oscurità non capivano di che si trattas8e, a dritta e a mancina si distribuivano colpi, ·e chi andava giù a gambe all'aria, chi scappava fuori gridando socco1so, ch1 imbrand i va le scuri che per mannanza di fucili erano state distribu1te ~l corpo di guardia. La baruffa poteva finire in vera tragedia. quando entrò in caserma il colonnello chiamato in fretta dai fuggitivi. Prima d1 ascoltare r agioni, si buttò addosso a tre o quattro dei più f'ur·ìbondi somministrò loro una buona dose di pugni, e li fece condurre in prigione. Fu sentita allora la necedsità di un nuovo spurgo, .e d'allora in poi somiglianti scene non . . ' SI rinnovarono p1u. La popolazione d'Acquaviva non ci goa rdava con oc· chio più benigno dei Ba1·esi. Erano sospettosi, diffidenti. taciturni con noi; e i bottegai si ingegnav ano a poterc~i metter·e in mezzo - La carne 1n Acquaviva 0 un mito: a cb i ed ere una m1nestra e un po' di lesso, non capiscono neppure·, Si Cl bano soltanto di sahliDl e fo rmaggio, e nelle case accendono di rado il fuoco. Un paio d'ova al tegame è il non plus ultra della splendidezza culinaria;

24 Biblioteca Patriottica ma credo che le mangiasse a malape!la il sindaco, e neppur tutti i giorni. He qualcuno dei nostri riusciva ad aècaparrare delle uova, bisognava andasse a cuocersele in qualche casa, perchè nelle bett.ùle i cammini non usano. Acquaviva si potrebbe scamb1are con un paese dell' Arabia Petrea, se non ci fossero state le granite a due soldj, e il caffè a un soldo. Laseio considerare al signor Gaspero Doney che granite e che caffè potessero essere! VI. UN OMICIDIO E UNA RIBELLIONE ARl'IIATA. Qu::tndo, dopo no-ve · giorni, ritornammo in Bari, eravamo già divisi regolarmente per compagnie. A me toccò la ventiquattresima compagnia del sesto, quella a cui toccò poi ìl nome di facehina del reggimento, e che ebbe , mietuti quasi due terzi dei soldati dalle carabine tirolesi. Ved.ete dunque che casi da raccontare ce ne ~ono parecchi. Non riavemmo a Bari la solita. .c·aserma, oceupata da un altr·o reggimento. Cj ro.andarono fuori della città, nel magnifico Convento di Sant'Antonio : ma la nostra ruggine coi Baresi s'era arrotata di più e traversando la città per raggiungere la caserma, vedevamo faccie in cagnesco, occhiate di t raverso, gesti offensivi, e sentivamo parole che non capivamo, perchè discorrono che· paiono turcbj, ma che non dovevano essere complimenti. - « La faccenda stavolta mette male (1iissi io a un mio compagno) : se ci lascjano stare parecchi giornì in Bari, o noi o ~ oro ci facciamo scorgere. » Non passarono molti giorni che la mia profezia si avverò. , . Un dopopranzo iufatti m'ero dilungato dal Convento, per andare in città a far due chiacchere con una tabaccaia, la quale si divertiva molto a sentirmi parlare toscano, e che, per quello che fa la piazza, si poteva dire belloccia. A un certo punto della strada, mi parve di

Memorie di ~tn Garibaldino 25 vedere nel campo vicino uno · dei nostri compagni addormentato. Andai là per fargli uno scherzo ; ma egli era lungo disteso, e a vea la faccia pallidissima dolorosamente contJ:·atta. Mi precipitai sopra di lui, lo scossi chiamando lo a nome, lo sentii stecchito. Dètti una voce ad alcuni garibaldi-ni che vidi passare sulla via, e aprendo intanto i vestiti al cadavere, mi accorsi raccapricciando che una Jarga ferita al cuore - mi parve ferita di coltello - lo ave va ucciso. La camicia e Ja sottoveste erano inzuppate di sangue. Con le lacrime agli occhi mostcai ai compagni il nefando spettacolo. La loro risposta fu un grido d'indignazione ; poi a corsa ci conducemmo al convento, e a quanti incontravamo si raccontava l'atroce caso. Potete immaginarvi che effetto facessero le nostre parole. I più arrisicati volevano che si corresse a mettere il fuoco alla città, e vendicare così degnamente l'infelice ~ompagno. I più moderati opinavano che si andasse a prendere il cadavere, c che po rtandolo alla città qualche esempio si sarebbe potuto dare. Parve questo il partito migljore, e con grida ed imprecazioni ci avviammo al luogo dell 'assassinio. Ma Ja voce era corsa in città che si preparava dai garibaldini qualche cosa di grosso : avevamo appunto quella mattina ricevuti i fucili, e già qualcuno era corso in caserma, già s~ vedevano luccicare le baionette. Presso al luogo dove giaceva il morto s'erano intanto radunati. in buon numero i paesani, e facev-ano per conto loro un grande sussurro. Pareva che ci aspettassero di piè fermo, e ci venne il sospetto che voles:Sero contrastarci le spoglie della vittima. Non ci voleva di più per rinfocolare i nostri amici già volti all'ira, e raddoppiando il passo urlando come dannati ci precipitammo nei campi. Dalla folla nemica vedemmo uscire un uomo vestito di nero, che fece at to con la mano di voler discorrere. - « Zitto ! sentiamo che vuole. - Cosa ci ha che vedere lui. ~ Chi è quel coso? - Silenzio,! è H Delegato di sicurezza. - No, è il Prefetto. - E un a.iutant.e di Garibaldi che si raccomanda perchè siamo buoni. - Si e! tu un vedi come gli è brutto~ e un napuriello ! - Abbasso i napurielli 1 - Mort e ai Baresi ! - Vogliamo il garibaldino ! - Viva Galibardi. - Fuori le spie! »

26 Biblioteca Patriottica Il frastuono si faceva sempre maggiore, e l'uomo vestito di nero, che era precisamente un DPlegato, cer·cava alla meg1io di do1ninare quel baccano d'inferno.- «Sicuro ! (egli diceva) vengo a notne dei vos t,ri capi, vengo a nome dei buoni cittadini di Bar i, a nome del la legge che voi siete soliti di rispettare. Tornate addietro, figi iuoli ! andate alla caserma . Vi sarà resa giustizht, vi sarà reso il garibaldino Par e ch'egli abbia dato noia a una ragazza.... » - < Non è vero ! si cheti le1 ! c'ha ella 1 l'hanno ammaz~ato perchè sono borbonici! Morte ai Bare e i ! viva Galibardi ! Con queste e somiglianti grida tutto il frutto della eloquenza del Delegato se n'andava in fumo. Non sapea pitì quel che dire, si guardava imbar azzato addietro, non osava dir parole più sever~ per non eR&cerbare di più gli animi abbastanza esacerbati. Finalmente, credendo di far bene, il poveruomo si sbottonò il soprabito coma ho vist~ fare nelle commeiie del Federici, e mostrò la fuciacca tricolore. Fu peggio il rimedio del male. Si credette che il Delegato ci volesse mjnacci~re con quello spauJ•acchio, e un immenso urlo salutò il distintivo della legge. Cotesto urlo fu preso come segnale della battaglia, e spingendoci in avanti andammo addosso ai paesanL Scappa. tu che scappo io: facevano a. chi correva di più, e noi dietr<.', proprio alla bersagliera, e quanti ne capitavano sotto, tanti sentivano il peso dei pugni garjbaldini . Al primo che ricevevano si buttavano in ter1·a, raccomandandosi a.lla Madonna e a tutti i Santi del Paradiso. Era uno scorazzarfi di qua e di Jà, un rin· corrersi, un chiamarsi, un cascare nei fossi. Quando Dio volle si videro di lontano i lncernooi dei carahinieri, e arrivarono in tempo per dividere i duellanti più accaniti. Fummo lasciati stare, e tumultando ci avvJ ammo alla ca.serma con la vendetta nel cuore. Arrivati dentro, te· nemmc consulta. Io affacciai modestamente l'opinione che biSOftnasse troncar lì la faccenda, d che lasciassimo fare le indagini alla giustizia. Fui debolmente appoggiato da una microscop1oa minoranza. I più non erano soddisfatti, volevano potersi vendicare Hl una volta di tutte le persecuzioni sòffert~, mettevano avanti i più spr('positati disegni. VinP.e il partito di quelli che pro- :ponevano di armarsi? e uscire nella città, e sfidare ::t

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==