Giuseppe Mazzini - Dubbio e fede

,..t, - 1 c. rf d 17-U/r q&~ J: flv •e ./ f n;.___ , · JnQ,,rlo _ / 8 ) D ~/ };_L< Io~ ~-~,//~ ~d,r~ (),.;,"v:... ~ Pubblicazione Nazionale delle Opere di G. MAZZIN!# t/_ - . DUBBIO E FEDE (RICORDI DI G. MAZZIN!) Cent.. 10 ROMA per cura della Commisaione per la Pubblicazione delle Opere di G. Mazzini 1876

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AGL'ITALIANI Il lO Marzo 1876. I ricordi che seguono, tolti dal V volume delle Opere di G. Mazzini, rivelano, narrato da Lui medesimo, un momento solenne della sua vita interiore, nel quale è la chiave del suo lavoro sopra la terra. Noi vogliamo, in questo giorno di santa memoria, porgere, nelle sue stesse parole, la vera e viva immagine della sua grande anima, dinanzi a quanti leggeranno queste pagine, perchè i buoni n'abbiano conforto nella fede e nelle opere, e i deboli v'imparino come si vinca la guerra dell'egoismo, e come si adempia, che che possa costarci, il Dovere. · Negli anni che successero alla fallita spedizione di Savoia, Mazzini, profugo in !svizzera, fu trafitto da disinganni e dolori, che avrebbero abbattuta ogni più robusta virtù, se spoglia di quella fede, che a Lui fu schermo contro il disperare, o il rassegnarsi all'inerzia. La patria giaceva serva de' suoi carnefici e della propria ignavia; i più generosi fra gl'italiani erano condannati ad infami supplizì, alla prigione, o all'esilio, ed Egli, fatto bersaglio alle furie calunniatrici di tutta la reazione europea, o ai. vituperì della viltà, che bestemmia i caduti. Pure, la persecuzione, e lo scempio del suo paese e della sua fama, non lo avrebbero affranto, ma temprato alla lotta. Senonchè, i suoi più cari si ritraevano da Lni, insofferenti delle perdute speranze e della vita raminga. L'amicizia e l'amore, l e poche anime, alle

4 quali egli avea dato il fiore de' suoi affetti come a fide compagne nella sventura, lo abbandonavano fraintendendolo, e recando ad orgoglio dell'io, o a vana idea della mente, la croce ch'Egli portava per la Patria e per la Umanità. « Quand'io » , Egli dice, « mi sentii solo nel mondo, solo, fuorchè colla povera mia madre, lontana · e infelice essa pure per me, m'arretrai atterrito davanti al vuoto. Allora, in quel deserto, mi si affacciò il Dubbio». Com'Egli, presso a smarrirsi, sentisse che la idea, che gl'illumjnava la mente, non era la sua idea, ma il termine sacro, prescritto dalle sciagure di cento generazioni al suo dovere, al dovere di tutti: e come, a proseguirlo sino all'estremo, Egli, giovane, e caldo d'affetti, e privilegiato di facoltà, che avrebbero potuto acquistargli rinomanza e vita tranquilla nel mondo, consumasse il sacrificio d'ogni gioia e d'ogni speranza individuale, è qui espresso con parole, che hanno virtù d'inalzare lo spirito, dalle lacrime delle cose mortali, alla serena austerità del martirio. Le meditino quelli fra gl'italiani, che serbano, fra le odierne miserie, il presentimento di migliori destini, e contemplino in esse un altissimo documento di morale dottrina, incarnato nel dramma segreto della vita di un uomo. Sgorga dalle medesime tutta una Filosofia, o, per dir meglio, una Religione in atto: ed è la vera. Non esiste morale senza il concetto di un Fine della vita, indipendente dalle utilità della vita stessa, e dslle sodisfazioni dell'individuo. Non esiste morale, dove l'uomo guardi, nelle sue opere, non a ciò ch'egli deve alla parte di Bene, che gli è assegnata per còmpito nell'armonia dell'Universo, ma al frutto che, qui o altrove, ora o poi, gli possa esser dato di coglierne. La vera virtù è la virtù che non attende ricompensa.

5 Segno supremo della nobiltà della nostra natura è la coscienza del Dovere: argomento della nostra libert~ il sacrjfìcio de' nostri affetti al fine, che l'intelletto del Vero ci addita, educandoci ad inoltrare, ·di grado in grado e d'una in altra generazione, nelle vie à.ell'umano progresso. E dalla morale del Dovere discende la potenza delle grandi cose, la ragion vera della libertà e del diritto, e la forza di conquistarne e custodirne virilmente il retaggio, come condizione inviolabile del lavoro di ciascuno nel seno della Umanità. È questa la fede, che Mazzini raccolse dalla tradizione della patria antica a far grande la nuova, e ch'Egli riaccese al foco dell'anima sua, vincendo la lotta del dubbio e dello sconforto, e santificandone ogni atto della lunga sua prova. Possano i giovani d'Italia far propria la religione del suo pensiero e del suo sacrificio, e trarne virtù di compiere, puri d'egoismo e senza arrestarsi per delusioni o dolori individuali, la loro missione nell'opera della Vita.

6 Ma in quelli ultimi mesi, io m'era agguerrito al dolore e fatto davvero tetragono, come dice Dante, ai colpi della fortuna che m'aspettavano. Non ho mai potuto, per non so quale capriccio della mia mente, ricordare le date di fatti anche gravi, spettanti alla mia vita individuale. Ma s'anch'io fossi condannato a vivere secoli, non dimenticherei mai il finir di quell'anno e la tempesta per entro i vortici della quale fu presso a sommergersi l'anima mia. E ne accenno qui riluttante, pensando ai molti che dovranno patire quel ch'io patii e ai quali la voce d'un fratello escito -battuto a sangue, ma ritemprato -dalla burrasca, può forse additare la via di salute. Fu la tempesta del Dubbio: tempesta inevitabile credo, una volta almeno nella vita d'ognuno, che, votandosi a una grande impresa, serbi core e anima amante e palpiti d'uomo, nè s'intristisca a nuda e arida formola della mente, come Robespierre. Io avevo l'anima traboccante e assetata d'affetti e giovine e capace di gioia come ai giorni confortati dal sorriso materno e fervida di speranze se non per me, per altrui. Ma in quei mesi fatali mi s'addensarono intorno a turbine sciagure, delusioni, disinganni amarissimi, tanto ch'io intravvidi in un subito nella scarna sua nudità la vecchiaia dell'anima solitaria e il mondo deserto d'ogni conforto nella battaglia per me. Non era solamente la rovina, per un tempo indefinito, d'ogni speranza italiana, la dispersione dei nostri migliori, la persecuzione che disfacendo il lavoro svizzero ci toglieva anche quel punto vicino ali'Italia, l'esaurimento dei mezzi materiali, l'accumuland d'ogni maniera di difficoltà pressochè insormontabili tra il lavoro iniziato e me; ma il disgregarsi di quell'edifizio

7 morale d'amore e di fede nel quale soltanto io poteva attingere forze a combattere, lo scetticismo ch'io vedea sorgermi innanzi dovunque io guardassi, l'illanguidirsi delle credenze in quei che t•iù s'erano affratellati con me sulla via che sapevamo tutti fin dai primi giorni gremita di triboli, e più ch'altro, la diffidenza ch'io vedeva crescermi intorno ne' miei più cari delle mie intenzioni, delle cagioni che mi sospingevano a una lotta apparentemente ineguale. Poco m'importava anche allora che l'opinione dei più mi corresse avversa. Ma il sentirmi sospettato d'ambizione o d'altro men che nobile impulso dai due o tre esseri sui · quali io aveva concentrato tutta la mia potenza d'affetto. mi prostrava l'anima in un senso di profonda disperazione. Or questo mi fu rivelato in quei mesi appunto nei quali, assalito da tutte parti, io sentiva pih prepotente il bisogno di ricoverarmi nella comunione di poche anime sorelle che m'intendessero anche tacente; che indovinassero ciò ch'io, rinunziando deliberatamente a ogni gioia di vita, soffriva; e soffrissero, sorridendo, conme. Senza scendere a particolari, dico che quelle anime si ritrassero allora da me. Quand'io mi sentii solo nel mondo - solo, fuorchè colla povera mia madre, lontana e infelice essa pure per me - m'anetrai atterrito davanti al vuoto. Allora, in quel deserto, mi s'affacciò il Dubbio. Forse io errava e il mondo aveva ragione. Forse l'idea ch'io seguiva era sogno. E fors'io non seguiva ·una idea, ma la mia idea, l'orgoglio del mio concetto, il desiderio della vittoria più che l'intento della vittoria, l'egoismo della mente e i freddi calcoli d'un intelletto ambizioso, inaridendo il core e rinegando gli innocenti spontanei suoi moti che accennavano soltanto a una carità praticata

8 modestamente in un piccolo cerchio, a una felicità versata su poche teste e divisa, a doveri immediati e di facile compimento. Il giorno in cui quei dubbi mi solcarono l'anima, io mi sentii non solamente~ supremamente e inesprimibilmente infelice, ma come un condannato conscio di colpa e incapace d'espiazione. I fucilati d'Aless:mdria, di Genova, di Chambery, mi sorsero innanzi come fantasmi di delitto e rimorso pur troppo sterile. Io non potea farli rivivere. Quante madri avevano già pianto per me! Quante piangerebbero ancora s'io m'ostinassi nel tentativo di risuscitare a forti fatti, al bisogno d'una Patria comune, la gioventù dell'Italia? E se questa Patria non fosse che una illusione? Se l'Italia, esaurita da due Epoche di civiltà, fosse oggimai condannata dalla Provvidenza a giacere senza nome e missione propria aggiogata a nazioni più giovani e rigogliose di vita? D'onde traeva io il diritto di decidere sull'avvenire e trascinare centinaia, migliaia d'uomini al sacrifizio di sè e d'ogni cosa più cara? Non m'allungherò gran fatto ad anatomizzare le conseguenze di questi dubbi su me: dirò soltanto ch'io patii tanto da toccare i confini della follia. Io balzava la notte dai sonni e con-eva quasi deliro alla mia finestra chiamato, com'io credeva, dalla voce di Jacopo Ru:ffini. Talora, mi sentiva come sospinto da una forza arcana a visitare, tremante, la stanza vicina, nell'idea ch'io v'avrei trovato persona allora prigioniera o cento miglia lontana. Il menomo incidente, un suono, un accento, mi costringeva alle lagrime. La natura, coperta di neve com'era nei dintorni di Grenchen, mi pareva ravvolta in un lenzuolo di morte sotto il quale m'invitava a giacere. I volti della gente che mi toccava vedere mi sem- ;

9 bravano atteggiarsi, mentre mi guardavano, a pietà, più spesso a rimprovero. Io sentiva disseccarsi entro me ogni sorgente di vita. L'anima incadaveriva. Per poco che qnella condizione di mente si fosse protratta, io insani va davvero o moriva travolto nell 'egoismo del suicidio. Mentr'io m'agitava e presso a soccombere sotto quella croce, un amico, a poche stanze da me, rispondeva a una fanciulla che, insospettita del mio stato, lo esortava a rompere la mia solitudine: lasciatelo, ei sta cospirando e in quel suo elemento è felice. Ah! come poco indovinano gli uomini le condizioni dell'anima altrui, se non la illuminano- ed è raro- coi getti d'un amore profondo! Un giorno, io mi destai coll'animo tranquillo, coll'intelletto rasserenato, come chi si sente salvo da un pericolo estremo. Il primo destarmi fu sempre momento di cupa tristezza per me, come di chi sa di riaffacciarsi a una esistenza più di dolori che d'altro; e in quei mesi mi compendiava in un subito tutte le ormai insopportabili lotte che avrei dovuto affrontare nella giornata. Ma quel mattino, la natura pareva sorridermi consolatrice e la luce rinfrescarmi, quasi benedizione, la vita nelle stanche vene. E il primo pensiero che mi balenò innanzi alla mente fu: questa tua è una tentazione dell'egoismo: tu fraintendi la Vita. . Riesaminai pacatamente, poi eh 'io lo poteva, me stesso e le cose. Rifeci da capo l'intero edifizio della mia filosofia morale. Una definizione della Vita dominava infatti tutte le questioni che m'avevano suscitato dentro quell'uragano di dubbi e terrori, come una definizione della Vita è base p1ima, 1iconosciuta o no, d'ogni filosofia. L'antica religione dell'India aveva definito la Vita: contemplazione; e quindi l'inerzia, l'im-

lO mobilità, il sommergersi in Dio delle famiglie Ariane. Il Cristianesimo l'aveva definita espiazione: e quindi le sciagure terrestri considerate come prova da accettarsi rassegnatamente, e lietamente, senza pur cercar di combatterle; la terra, guardata come soggiorno di pena; l'emancipazione dell'anima conquistata col disprezzo inùifferente alle umane vicende. Il materialismo del XVIII secolo avea, retrocedendo di due mila anni, ripetuto la definizione pagana: la Vita è la rice?·ca del benesse?·e)· e quindi l'egoismo insinuatosi in noi tutti sotto le più pompose sembianze, l'esoso spettacolo d'intere classi che dopo aver dichiarato di voler combattere pel benessere di tutti, raggiunto il proprio, sostavano abbandonando i loro alleati, e l'incostanza nelle più generose passioni, i subiti mutamenti quando i danni della lotta pel bene superavano le speranze, i subiti sconforti nell'avversità: gli interessi materiali anteposti ai principii e altre molte tristissime conseguenze che durano tuttavia. M'avvidi che, comunque tutte le tendenze deH'anima mia si 1ibellassero a quella ignobile e funesta definizione, io non m'era tuttavia liberato radicalmente dalla sua influenza predominante sul secolo e nudrita tacitamente in me dai ricordi inconscii delle prime letture francesi, dall'ammirazione all'audacia emancipatrice dei predicatori di quella dottrina e da un naturale senso d'opposizione a caste e governi che negavano nelle moltitudini il diritto al benessere per mantenerle prostrate e schiave. Io avea combattuto il nemico in altrui, non abbastanza in me stesso. Quel falso concetto della Vita s'era spogliato, a sedurmi, d'ogni bassa impronta di desideri materiali e s'era riconcentrato, come in santuario inviolabile, negli affetti. • •

11 Io avrei dovuto guardare in essi come in benedizione di Dio accolta con riconoscenza qualunque volta scende a illuminare e incalorire la vita, non 1ichiesta con esigenza a guisa di diritto o di premio ; e aveva invece fatto d'essi una condizione al compimento dei miei doveli. Io non avea saputo raggiungere l'ideale dell'amore, l'amore senza speranza quaggiù. [0 adorava dunque, non l'amore, ma le gioie dell'amore. Allo sparire di quelle gioie, io avea disperato d'ogni cosa, come se il piacere e il dolore colti fra via mutassero il fine eh'io m'era proposto raggiungere, come se la pioggia o il sereno del cielo potessero mai mutare l'intento o la necessità del viaggio. Io rinegava la mia fede nell'immortalità della vita e nella serie delle esistenze che mutano i patimenti in disagi di chi sale un'erta faticosa in cima alla quale sta il bene, e sviluppano, inanellandosi, ciò che qui sulla terra non è se non germe e promessa: negava il Sole, perch'io non poteva, in questo breve stadio terrestre, accendere alle sue fiamme la mia povera lampada. Io era codardo senza avvedermene. Serviva an·egoismo pure illudendomi ad esserne immune, soltanto pereh·io lo trasportava in una sfera meno volgare e levata più in alto che non quelle nelle quali lo adorano i più. La Vita è Missione. Ogni altra definizione è falsa e travia chi l'accetta. Religione, Scienza, Filosofia, disgiunte ancora su molti punti , concordano oggimai in quest'uno: che ogni esistenza è un fine: dove no, a che il moto? a che il Progresso, nel quale cominciamo tutti a credere come in Legge della Vita? E quel fine è uno: svolgere, porre in atto tutte quante le facoltà che costituiscono la natura umana, l'umanità, e dormono in essa, e far sì che convergano armonizzate verso la sco-

12 perta e l'applicazione pratica della 'Legge. Ma gli in- . dividui hanno, a seconda del tempo e dello spazio in cui vivono e della somma di facoltà date a ciascuno, fini secondari diversi, tutti sulla direzione di quell'uno, tutti tendenti a svolgere e associare più sempre le facoltà collettive e le forze. Per l'uno è g iovare al miglioramento morale e intellettuale dei pochi che gli vivono intorno; per un altro, dotato di facoltà pih potenti o collocato in più favorevoli circostanze, è promovere la formazione d'una Nazionalitd,, la riforma delle condizioni sociali in un popolo, lo scioglimento d'una questione politica o religiosa. Il nostro Dante intendeva questo più di cinque secoli addietro , quand' ei parlava del gran Ma;re dell'Essm·e, sul quale tutte le esistenze erano portate dalla virth divina a d-iversi porti. Noi siamo giovani ancora di scienza e virtù, e una incertezza tremenda pende tuttavia sulla determinazione dei fini singolari, verso i quali dobbiamo dirigerci. Basti nondimeno la certezza logica della loro esistenza; e basti il sapere che parte di ciascun di noi , perchè la vi~a sia tale e non pura esistenza vegetativa o animale, è il trasformare più o meno, o tentare di trasformare, negli anni che ci sono dati sulla terra, l'elemento, il mezzo, nel quale viviamo, verso quell'unico fine. La Vita è Missione; e quindi il Dovere è la sua legge suprema. Nell'intendere quella miss ione e nel compiere quel dovere sta per noi il mezzo d' ogni progresso futuro, sta il segreto dello stadio di vita al quale, dopo questa umana, saremo iniziati. La Vita è immortale; ma il modo e il tempo delle evoluzioni attraverso le quali essa progredirà è in nostre mani. Ciascuno di noi deve purificare, come tempio, la propria

13 anima d'ogni egoismo, collocarsi di fronte, con nn senso religioso dell' importanza decisiva della ricerca, al problema della propria vita, studiare qual sia il più rilev::tnte, il più urgente bisogno degli uomini che gli stanno intorno, poi interrogare le proprie facoltà e adoprarle risolutamente, incessantemente, col pensiero, coll'azione, per tutte le vie che gli sono possibili, al soddisfacimento di quel bisogno. E quell'esame non è da imprendersi coll'analisi che nou può mai rivelar la vita ed è impotente a ogni cosa se non quando è ministra a una sintesi predominante, ma ascoltando le voci del proprio core, concentrando a ... getto sul punto dato tutte le facoltà della mente, coll'intuizione insomma dell'anima amante compresa della solennità della vita. Quando l'anima vostra, o giovani fratelli miei, ha intravveduto la propria missione, seguitela e nulla v'arresti: seguitela fin dove le vostre forze vi danno : seguitela accolti dai vostri contemporanei o fraintesi, benedetti d'amore o visitati dall'odio, forti d'associazione con altri o nella tristissima solitudine che si stende quasi sempre intorno ai Martiri del Pensiero. La via v'è dimostra: siete codardi e tradite il vostro futuro, se non sapete, per delusioni o sciagure, correrla intera. Fortem posce animum, mortis t errore carent'em, Qui spatium vitae extremum inter munera ponat • Naturae, qui ferre queat quoscumque labores, Nesciat irasci, cupiat nihil .......•.. Son versi di Giovenale, che compendiano ciò che noi dovremmo invocare sempre da Dio, ciò che fece Roma signora e benefattrice del mondo. È più filosofia della vita in quei quattro versi d'un nostro antico che non in cinquanta volumi di quei sofisti

14 che da mezzo secolo inorpellano, traviandoli, con formole d'analisi e nomenclature di facoltà la troppo arrendevole gioventù. Ricordo un brano di Krasinski, potente scrittore polacco ignoto all' Italia, nel quale Dio dice al poeta: « Va e abbi fede nel nome mio. Non ti calga della tua gloria, ma del bene di quelli ch'io ti confido. Sii tranquillo davanti all' orgoglio, all'oppressione e al disprezzo degli ingiusti. Essi passeranno, ma il mio pensiero e tu non passerete ....... Va e ti sia vita l'azione! Quand'anche il cuore ti si disseccasse nel petto, quand'anche tu dovessi dubitare de' tuoi fratelli, quand'anche tu disperassi del mio soccorso, vivi nell'azione, nell'azione continua e senza riposo. E tu sopravviverai a tutti i nudriti di vanità, a tutti i felici, a tutti gli illustri; tu risusciterai non nelle sterili illusioni, ma nel lavoro dei secoli, e diventerai uno tra i liberi figli del cielo ». È poesia bella e vera quant'altra mai. E nondimeno - forse perchè il poeta, cattolico, non potè sprigionarsi dalle dottrine date dalla fede cattolica per intento alla vita - spira attraverso quelle linee un senso di mal represso individualismo, una promessa di premio ch'io vorrei sbandita dall'anima sacra al Bene. Il premio verrà, assegnato da Dio ; ma noi non dovremmo preoccuparcene. La religione del futuro dirà al credente: salva l'anima altrui e lascia cu?·a a Dio della tua. La fede; che- dovrebbe guidarci splende, parmi più pura, nelle poche parole di un altro polacco, Skarga, anche più ignoto di Krasinski, ch'io ho ripetuto sovente a ma stesso: «Il ferro ci splende minaccioso sugli occhi : la miseria ci aspetta al di

15 fuori; e nondimeno, il Signore ha detto: andate, andate senza riposo. Ma do\1e andremo noi, o Signore? Andate a morire voi che dovete morire: andate a soffrire voi che dovete so({1·ire! » Com'io giungessi a farmi giaculatorie di quelle parole - per quali vie di lavuro intellettuale io riuscissi a riconfermarmi nella prima fede e deliberassi di lavorare sino all'ultimo della mia vita, quali pur fossero i patimenti e il biasimo che m'assalirebbero, al fine balenatomi innanzi nelle carceri di Savona, l'Unità Repubblicana dolla mia Patria - non posso or dirlo nè giova. Io yergai in quei giorni il racconto delle prove interne durate e dei pensieri che mi salvarono, in lunghi frammenti d'un libro foggiato, quanto alla forma, sull'Ortis, ch'io intendeva pubblicare anonimo sotto il titolo di Reliquie d'un ignoto. Portai meco, ri copiato a caratteri minutissimi e in carta sottile, quello scritto a Roma e lo smarrii, non so come, attraversando la Francia al ritorno. Oggi s'io tentassi l'iscrivere le mie impressioni d'allora, non riuscirei. Rinsavii da per me, se11za aiuto altrui, mercè una idea religiosa ch'io verificai nella storia. Scesi dalla nozione di Dio a quella del Progresso; da quella del Progresso a un concetto della Vita, alla fede in una missione, alla conseguenza logica del Dovere, norma suprema; e giunto a quel punto, giurai a me stesso che nessuna cosa al mondo avrebbe ormai potuto farmi dubitare e sviarmene. Fu, come dice Dante, un vmgg1o dal martirio alla pace 1 : pace violenta e dii . . . . . . . . . . da martirio E da esilio venne a que:;ta p•tce. Paradiso, X.

16 sperata, noi nego, perchè io m'affratellai col dolore e mi ravvolsi in esso, come pellegrino n~l suo mantello; pur pace, dacchè imparai a soffrire senza ribellanni e fui d'allora in poi in tranquilla concordia coll'anima mia. Diedi un lungo tristissimo addio a tutte gioie, a tutte speranze di vita individuale per me sulla terra. Scava.i colle mie m~mi la fossa, non agli affetti - Dio m'è testimonio ch'io li sento oggi canuto come nei primi giorni della mia giovinezza - ma ai desideri, alle esigenze, ai conforti ineffabili degli affetti, e calcai la terra .su quella fossa, sì ch'altri ignorasse l'io che vi stava sepolto. Per cagioni, parecchie visibili, altre ignote, la mia vita fu, è e durerebbe, s'anche non fosse presso a compirsi, infelice; ma non ho pensato mai, da quei giorni in poi, un istante cbe l'infelicità dovesse influir sulle azioni. Benedico riverente Dio padre per qualche consolazione d'affetti- non conosco consolazioni da quelle infuorich'egli ha voluto, sugli ultimi anni, mandarmi, e v'attingo forza a combattere il tedio dell'esistenza che talora mi si riaffaccia; ma s'anche quelle consolazioni non fosser9, credo sarei quale io sono. Splenda il cielo serenamente azzurro come in un bel mattino d'Italia o si stenda. uniformemente plumbeo e color di morte come tra le brume del settentrione, non vedo che il Dovere muti per noi. Dio è al di sopra del cielo terrestre e le sante stelle della fede e dell'avvenire splendono nell'anima nostra, quand'anche la loro luce si consumi senza riflesso come lampada in sepoltura- (1862). •

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