Discorso del conte Terenzio Mamiani recitato al banchetto ... - 1847

~~ , DISCORSO DEL CONTE ~mmmrllmiDJmmte: RECITATO AL BANCHETTO ~DE I ~ON~ITTA.DINI SliOI GLI OFFRIVANO E DEDICAVANO . ;e ~· 3t ~· cllcC.. ~J · ~47 ~) , PESARO 1847

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Sempre è dolcissima cosa rivedere la patria, e per poco ch'ella sia stata lungi dagli occhi nostri, un attraimento soave ed irresistibile a lei cl rimena. Ma rivederla dopo compiuti sedici anni che sono sì gran porzione di nostra vita; rivederla dopo l'esilio e per cessazione di quel divieto crudele che il desiderio di lei raccendeva e rinnovava senza conforto; rivederla infine e ricuperarla, quando la speranza n' era affatto venuta meno , quando parea cosa certissima dovere il

4 povero rifuggito lasciare in terra straniera le sue ossa non lacrimate da alcuno, ciò è tale e tanta dolcezza e consolazione che le parole non vi arrivano e l'arte del dire smarrisce ogni sua facoltà. Ora, questa per appunto è la condizione e la insufficienza in che trovasi di presente la mia lingua e il cuor mio. N è con tutto ciò io v'ho ancora ricordato le cagioni tutte quante della mia profondissima commozione e della piena impossibilità di significarvela. Conciossiachè io pensava che a' miei sospiri e al mio dolore trilustrc fosse unico testimonio Iddio e solo qualche amico d'infanzia dentro nel chiuso animo se ne compiangesse; laddovc voi mi dimostrate, o fratelli, con mille prove che tuttaquanta la mia città c provincia natale partecipava al mio lutto e dolore. Vollero i nemici del bene c più specialmente nemici d' ogni libertà c grandezza d'Italia non che sbandcggiarmi

per sempre e togliermi ogni cosa cara e diletta quaggiù, ma cziandio alla pena aggiunger lo sfregio, darmi appellazioni piene d'ingiuria, svegliarmi contro non l'amore e la compassione de'popoli, ma bensì l' odio e lo sprezzo. E voi in quel cambio, o miei Pesarcsi, voi m'accogliete con quegli onori che non alla povera mia persona, ma sì starebbero bene a un uomo illustre e magnanimo; voi vi compiacete di me come s'io fossi una vostra gloria c passar mi fate, per così dire, dall'oscurità alla fama, dall'esilio al trionfo. Tutto questo, o concittadini, versa sulle piaghe che m'aprì la fortuna un balsamo soavissimo, ed anzi elle sono già tutte chiuse e rimarginate. Se non che per la necessità ineluttabile in cui vivesi l'uomo di riconoscere in ogni cosa pitt lieta e felice la fralezza di sua natura, una qualche stilla d'amaro si sparge eziandio in tal pienezza di gaudio.

6 Imperocchè io mi partiva di questa terra carissima vigoroso e fiorente di età e di salute, ed ora mi vi riconduco assai cagionevole c prossimo alla vecchiezza. Il sedere e conversare tra voi e con voi m'è somma gioja e compiacimento; ma quando io giro lo sguardo ne' vostri aspetti, troppe sono le sembianze amatissime c nel mio cuore scolpite che io cerco cd aih non ritrovo. H.apidissima mutazione , irreparabile caducità delle umane cose! Nello spazio di sedici anni, o quante memorie soavi s'estinguono, quanti sepolcri si schiudono, quanta parte della coetanea generazione vi scende! Ma perchè lasciomi io andare a sì triste meditazioni in ore sì belle e sì fortunate? E che può mai importare la mia vecchiezza e la mia infermità, quando io rimiro che la patria nostra ringiovanisce, c che lo spirito di libertà cominciando a scorrere nelle sue vene tutta maraviglios<~mcntc la risana c 1·in-

7 tegra 7 Parecchj de' miei prediletti amici ànno chiuso gli occhj nel sonno mortale; ma più non riposano in terra di schiavitù, ma il piede dello straniero non potrà oggimai calpestare le tombe loro e la viva riconoscenza del popolo inverso ciò che vollero ed operarono a bene di lui, a bene d'Italia più non fuggirà paurosa li sguardi de' vilissimi spiatori ; ed anzi mentre esso popolo verserà su quelle tombe dolci lacrime di gratitudine, le mani de' sacerdoti Jeverannosi a benedirle e le lor sante bocche pregheranno la pace de' giusti alle anime infiammate di carità cittadina; imperocchè il maggiore de' prodigj e il più profittevole al mondo che la sapiente bontà di PIO IX conduce in atto si è del sicuro quel caldo e fratellevole abbracciamento che vediam farsi in modi così impensati e sublimi tra la virtù privata e la pubblica, tra la libertà e la religione, tra l' incivilimento c la Chiesa.

3 Io vi dichiaro, o fratelli, con gran fermezza che quando anche i miei disagi e le mie affiizioni state fossero immensamente più dolorose, quando avessi incontrato non pure un esilio quale ò sofferto ma dicci altrettali ed ancor più acerbi, queste nuove sorti d'Italia porgerebbermi una mercede e un compenso oltremisura superiori; e la contentezza che mc ne procede esser dee riposta tra le cose ineffabili c tra quelle divine pregustazioni delle delizie celesti che alcuna ben rada volta sono agli uomini concedute affin di aprire il loro intelletto e crescere illor desiderio inverso le bellezze sovramondanc ed eterne. Per rispetto poi all'intenzione amorevole che tutti manifestate di onorare in mc non solamente le mie opinioni c la santissima causa a cui son devoto, ma cziandio la mia persona c quello che di lodevole a voi par di trovare nell' animo c nell' ingegno mio, sincera-

9 mente vi affermo che delle vostre onoranze ed cncomj io sento di meritare appena una minima parte e che pur questa io debbo da voi riconoscere. Jmperocchè voi, come se tutti mi foste padri e fratelli m'avete con amorosi consigli c con blandimenti e applausi continui avviato al bene e con una specie di cortese e affettuosa violenza m'avete fin dalla puerizia sospinto a desiderare la celebrità delle lettere. Cosl da voi s'è mostrato con bello e utile esempio che non riesce dannoso come pensano molti allo svolgimento dell'intelletto e d'altre nobili facoltà il nascere fuor delle grandi e rumorose città capitali, perchè pure alle acquile innanzi di avere spiriti c gagliardezza per volare in cima dell'alpi c affrontar le bufferc fa duopo di crescere quietamente nel picciolo nido c con silvcstre ma dilicato cibo venir nudrite. E similmente da voi s'è mostrato come quello che suoi domandarsi oggidì

IO spirito municipale, quando sia ben temperato e commisurato all'amore e servigio che tutti dobbiamo alla patria comune divenga sorgente perpetua di profitto e virtù, massime in questa nostra Italia in cui la potenza individuale tiene spesso del prodigio, quando che altrove le grandi cose si operano solo per virtù collettiva come sforzo e peso di masse i quali in ciascun atomo componente non appariscono e non ànno valore assegnabile. Ma pcrchè lo spirito municipale non nuoca ed anzi giovi e fruttifichi, egli è gran mestieri non solo connettere e subbordinare ciascun atto della vita del proprio comune all'universal vita della nazione, ma stringere quanti più legami si possono di socialità e di fratellanza con le città finitime e prossime, affinchè un flusso perenne di scienza e di civiltà corra e ricorra pet· esse tutte come sangue per ogni vena di corpo ani~

H mato. In cotal guisa, o Signori, poco avremo ad invidiare a quelle nazioni in cui li sparsi raggi d'ogni bene comune e d'ogni specie di sci bile radunansi tutti in un centro solo sfolgorantissimo; conciossiachè i lumi del viver nostro civile, non ostante la picciolezza e tenuità di ciascuno congiungendosi e rischiarandosi mutuamente e a simiglianza di speccbj l'uno nell'altro riverberando, cresceranno da ultimo sì fattamente e di numero e d' intensione da soverchiare ogni forma e grandezza di umano splendore. Dalla qual cosa procederà fra gli altri beni questo prezioso e singolarissimo di convertire l'astio profondo e le misere nimistà antiche in emulazione ardente e operosa. Nè a voi, Pesaresi, dee fare apprensione e paura l'entrare in simile competenza con mille altre città; dapoichè la natura v' à di raro ingegno e di non comune gentilezza privilegiati, sicchè picciolo popolo siete ma glorioso e

12 caro alla nostra gran madre Italia. Deh vogliate, o giovani, serbare a questa città natale il titolo suo invidiato di culta e di gentile e non vi piaccia di confondere mai l'austerità e l'energia con Ja salvatichezza e con la ferocia c di scompagnare dall'uso dell'armi gli studj gravi e gli ameni. Ben conoscete che l'armi indotte sono barbare e in guerra non durano e non prevalgono, come per lo contrario la scienza imbelle c indifesa appiccolisce sè stessa c muor nel servaggio. E a cui non è noto il simbolo elegantissimo per via del quale rappresentavano i greci l'alleanza perpetua c necessaria dell'armi e delle lettere? Chi non sa che Minerva figliuola della mente di Giove usciva dal capo del Dio brandendo l' asta e imbracciando Io scudo? Ma perchè m'andrò io ravvolgendo tra le favole greche , mentre la storia vera d'Italia ofli·e a noi mctaurensi e ai popoli tutti cornpaesa-

:15 ni uno spccchiatissimo esempio del sapere alle armi contemperare gli studj c fare scorta e governatrice d'ambedue ]a sapienza civile 1 E che altro erano le città famose di Metaponto, di Crotone , di Tarento, di Locri se non collegi e famiglie di filosofi c di guerrieri 1 quale altra parte del mondo à saputo a un tempo medesimo e con l'ufficio degli uomini stessi trovar le scienze e fondar le repubbliche; eccellere nell'arte della poesia c della musica, come nell'arte del difendersi c del battagliare 1 A chi non cntrcdt in cuore una giusta c durevole ammirazione considerando quell' alternare continuo delle ginastiche e de1le meditazioni, quel passare di frequente dalle accademie al campo dalla investigazione profonda delle fisiche c delle matematiche all' apprendimento severo della milizia e dalla quiete c solitudine contemplativa al maneggio c all'uso delle faccende poli ti-

i4 che 1 Sono d'ogni cosa i padri nostri stati trovatori e maestri, nè mai ci bisogna di trarre altronde gli esempi e gl' insegnamenti. Nè dicasi che tutto ciò è antichissimo. e troppo remoto e diverso dalle condizioni moderne. Conciossiachè, a rispetto della natura, noi siamo sempre i medesimi e nulla à cangiato sostanzialmente in Italia salvo che la tempra degli animi, a ricomporre la quale ci basterà oggimai il fermo e saldo volere. Nulla nell'ordine delle cose mondane è più resistente e meno mutabile che i germi primitivi e le forme ingenite delle specie; c da voi non s'ignora per che serie innumerabile d'anni si serbano integre e incorrotte le tenui semenze di mille gracili pianticelle: or quanto più forti riescono, quanto più perdurevoli i germi primitivi ed originali delle umane famiglie! Noi siamo, ripeto, e ciò ne serva d'orgoglio insieme c di vergogno-

t a so rimprovero, noi siamo li stessi che i padri nostri; e la invasione de' barbari altro non à pur fatto che insinuare piccioli rivi d'estrania vena nel regal fiume delle razze latine; e que' rivi o sono già dileguati, o, come insegnano i fisici, servito ànno a ravvivare la virtù e l'efficacia d~ li e antichissime stirpi. Nè a chiunque s'ostini di ciò negare dobbiamo rispondere altra cosa se non invitarlo a girare gli occhj verso le sacre sponde del Tevere. Là veggia, là contempli la forza e generosità indomabile delle vecchie progenie. Essendochè quella misera plebe romana giaciuta in sonno in gelo e in torpore di servitù e d'ignoranza pel voltare di qualche secolo e dopo aver tollerato lo sprezzo oltraggioso non che degli strani ma de' medesimi compatrioti, ecco si vien riscuotendo alla voce soave del suo Pontefice e fa l'Italia e l'Europa ma'ravigliare de' pensamenti e delle ope-

:16 l'e sue. Ella così stramazzata nel . fango e l'ultima giudicata fra le plebi Italiane, già sorge c procede animosa , già entra innanzi a noi tutti e pianta in Campidoglio un Labaro nuovo promettitore di certa vittoria e in cui la riconoscenza di tutti i figliuoli d'Italia potrà dallato al nome augustissimo dell' autore e principiatore di nostra risurrezione > potrà, dico, senza paura di scandalo e con approvazione e contentamento del mondo civile riscrivere le famose e tremende parole S enatus Populusquc Romanus. Pisa uri llie ~ no,ernLris 1847· l mprimltut Fr. Cltm. Gio. Gi1comini de' Pred. Pro,•iuc. Ji. S. Off. Pipuri Jio 2 oonmbria 1847. l mptimatur· P ro I lluslriuimo •c Rttc.rtndiaaimo Eplxoro Jo. Kar. Cu tal i Fraociaw• C•nonieua ltlutbiooni Tbtal. PtMro li 2 nottmbre 1847. Visto PS' ~~~ roliti ca· p. Mucioi C ensore. '~ . \:.:.. 36 ~ ~ ~~

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