Camillo Berneri - Compiti nuovi del movimento anarchico

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Camilla Berneri . COMPITI NUOVI del movimento anarchico BibliotecaGinoBianco

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PREFAZIONE Pubblichiamo queste pagine di Berneri, con la soddisfazione di offrire ai nostri lettori .ctel materiale di grande interesse, ma col rammarico di veder limitata la pubblicazione solo ad una piccola parte dell'opera di Berneri che meriterebbe di essere ristampata. Il movimento anarchico gei;ierico - quello che si illude di essere vivo rendendo continui omaggi commemorativi alla tradizione - avesse almeno assolto pienamente e seriamente questo compito « commemorativo », cominciando a pubblicare gli scritti più impegnativi di Camillo Berneri. Senza difficoltà ne sarebbero usciti diversi volumi: uno, ad esempio, dedicato alle polemiche antifasciste, uno a studi e ricerche di carattere cultura.le, uno alle « stroncature » di contemporanei, uno ai problemi concreti della società italiana, uno alle questioni interne del movimento, etc. Invece, di Berneri, è stato ripubblicato qualche opuscolo, qualche articolo, una esile selezione dell'antologia « Pensieri e Battaglie », già pubblicata in Francia, ed importante più come specchio umano che come valorizzazione politica (la stessa cosa si dica per la biografia scritta dalla madre Adalgisa Fochi ved. Berneri). Gli è che al movimento generico piacciono le commemorazioni ma quelle che non gli turbano ma gli conciliano il sonno della mente. Berneri è uno scrittore scomodo. Tanto scomodo che ad ogni passo nei suoi scritti si incontrano spietate punte d'autocritica. « Sono 'convinto, scriveva nel primo dopoguerra, che il movimento anarchico è ancora in tale stato di infantilismo pqlitico e di confusionismo morale che è necessario intensificare la propaganda per rigenerare l'ambiente con elementi giovani e nuovi» (Libero Accordo - 1-15 agosto 1922). Ed a quest'opera di chirurgo, di castigatore e di riformatore di programmi e di costumi egli si dedicò con la stessa passione missionaria che in quegli anni impegnava Gramsci nel partito comunista, Rosselli nel movimento socialista, Gobetti nelle correnti liberali. Appunto sul giornale di Gobetti egli, rispondendo a Umberto Morra, difende il movimento anarchico da arbitrarie interpretazioni, proprio sulla base di una netta differenziazione dell'anarchismo dalle sue inorganiche appendici individualiste: « Intorno al movimento anarchico organizzato vi è un vasto alone di elementi vari, anarchici di un anarchismo amorfo che va dal ravacholismo alle rimasticature stirneriane e nietzschiane. Ma, storicamente, il movimento anarchico va considerato in rapporto alle forze organizzate e che presentano una continuità di pensiero e di azione. E questo movimento non è che l'ala estrema del socialismo» (La Rivoluzione Liberale del 19 febbraio 1924). Contro l'individualismo, contro l'amorfìsmo, contro le tendenze disorganizzatrici ed antisocialiste si appunta con particolare vigore Bibl oteca Giro Bianco

la critica del Berneri. Egli vede il pericolo di un sopravvento all'interno del movimento di queste tendenze negative, favorite da una malintesa tolleranza. « Se me la piglio con l'individualismo, scrive a Luigi Fabbri nel luglio 1930, è perché, se la corrente individualista ha poca imp@rtanza numerica, è riuscita ad influenzare quasi tutto il movimento. Quasi tutti gli anarchici, ai miei occhi, sono individualisti, ottimisti e dottrinari ... ». Connessa a questa critica è la denuncia dei pericoli impliciti nella dispersione dell'anarchjsmo in tanti « atteggiamenti » sporadici che, rappresentano altrettante evasioni ai problemi centrali della lotta rivoluzionaria: dal neomalthusianismo, che egli criticò con particolare asprezza, al pacifismo, attaccato validamente in alcune note di polemica. « I tempi richiedono una nostra mobilitazione culturale. Vi è il mito bolscevico da sventrare. Vi è il sistema capitalistico in stato fallimentare da anatomizzare. Vi sono i problemi della rivoluzione da discutere. Vi sono gli equivoci socialdemocratici da mandare in aria. E tante altre battaglie d'idee da combattere. In Francia la rivoluzione è lontana e certi dilettantismi si spiegano. Ma là dove c'è un mondo da abbattere e un mondo da ricostruire, come è in Spagna, qualunque specializzazione (educazionista, igienista, libero-amorista che sia) è grottesca». Berneri avvertiva l'enorme responsabilità che in questi nostri tempi incombe sul movimento anarchico, come guida del proletariato rivoluzionario. Ed ogni faciloneria, ogni spreco di energie, ogni irresponsabilità, ogni illusione non disillusa, ogni indulgenza verso difetti individuali o deficienze collettive, ogni ottimismo follaiolo gli apparivano come attentati al movimento ed al suo avvenire. Parallelamente l'assillo, il cruccio di Berneri è quello di attirare la discussione dei suoi compagni sulle questioni concrete della società in generale e della società italiana in particolare, di attivare nel movimento una discussione su questi temi concreti. In questo senso si può parlare di un « problemismo » di Berneri, forse mutuato da Salve-- mini, di cui egli era stato discepolo e collaboratore nel!' Unità. Chi scorra la bibliografia berneriana, le centinaia di articoli sparsi su diecine di periodici, incontrerà un ingegno multiforme, il critico, il narratore, il polemista, lo storico, lo specialista in questioni pedagogiche, il cultore della ricerca scientifica. Ma troverà soprattutto un vivo' interesse per i problemi concreti della società italiana, dall'emigrazione agli alloggi, dalla cultura professionale all'organizzazione scolastica, dal lavoro a domicilio alle otto ore, dai rapporti fra la città e le campagne alle legislazione sociale. Sempre nella citata lettera a Fabbri scrive: « Il mio sogno è di suscitare l'esame di una grande serie di problemi, poi, raccogliendo le osservazioni critiche, le aggiunte, le soluzioni, ecc. di coloro che li tratteranno., arrivare ad un programma per il 1932 o 1933, da presentare come programma di un gruppo di anarchici, che lasciano vivere in pace gli altri ma che vogliono marciare per una strada propria... Per far questo bisognerà che mi dedichi per vario tempo a studiare cinque o sei problemi, poi altri cinque o sei, e così via. Spero che inizierò, come esperimento, con il problema 7erroviario. Io non capisco perché tu parli di un'infinità di gente che è o può essere ferita da quello che scrivo. Fino a che si continuerà a parlare di problemi da risolvere come risolti e si parlerà dell'anarchia invece del!' Italia, dell'Emilia, di Bologna, del problema edilizio, di quello sanitario, di quello scolastico, ecc. e nell'anno 1933 o 1934, io continuerò a strillare ». Bibl•otecaGinoBianco

Assieme al problema di un rinnovamento politico, Berneri sentiva con eguale se non maggiore impegno, il problema di un risanamento morale del movimento. I suoi rilievi su questo argomento, potrebbero costituire una raccolta di precise annotazioni sul costume del militante. In proposito non possiamo fare a meno di presentare ai nostri lettori una di queste note, relative al problema della vigilanza e della profilassi rivoluzionaria contro le spie e i profittatori, intrufolatisi nel movimento: « Chi vive in seno al nostro movimento nota da qualche tempo in qua che si vanno facendo sempre più numerosi quegli individui che si professano compagni e, come tali, richiedono, quando non pretendono, la nostra solidarietà. L'aiuto non viene negato; non si va per il sottile, non si chiedono informazioni, non si lesina; si o[Jre denaro, ospitalità con quella generosità che è una delle qualità morali indiscutibili del nostro movimento. E' frequente il caso che il « compagno» aiutato sparisca da un momento all'altro e che, quando si vuol chiudere la gabbia l'uccello abbia preso il volo. Il più delle volte si. tratta di sfruttatori, qualche volta di spie. Una necessità che s'impone oggi, data questa frequenza dei casi sopraccennati, è quella di aprire bene gli occhi e di non allargare tanto facilmente i cordoni della borsa, tanto più se è quella stessa da cui attingiamo il denaro indispensabile allo sviluppo della nostra propaganda: dalla sottoscrizione per il giornale alle spese per la conferenza. Occorre diffidare anche degli « intellettuali ». Molte volte una facile loquela od una penna abile sono un ottimo vade mecum per gli sfruttatori e un'ottima maschera per le spie. Molti compagni vengono attratti dall'eloquenza incendiaria di questi parassiti che il più delle volte tendono insidie al moVimento, e si lasciano accalappiare nella rete del savoir faire oratorio e scribacchino in modo tale che anche se qualche voce onesta, certa e coraggiosa si leva a smascherare, non l'accolgono. Occorre diffidare di chi non lavora, di chi vive una vita i cui mezzi sono sconosciuti o dubbi, anche se si tratta di un giornalista o di un conferenziere di valore. Il « ci torna comodo» è stupido quanto assurdo ..... Occorre liberare il movimento dagli spioni e dagli sfruttatori. Come? Diffidando dei nuovi venuti, di coloro che non si sa donde vengono e dove vadano, di coloro che non si sa come e di che cosa vivano, di tutti coloro che confidano con facilità azioni immaginarie e che spingono i giovani entusiasti ed ingenui ad agire, che sfruttano o fanno la spia o gli agenti provocatori coprendo il loro ignobile agire con la retorica esplosiva, con gli abbracci espansivi e le parole grosse. Se non sono nè sfruttatori nè spie sono dei leggeri, degli esaltati, dei bacati, degli individui che non possono che danneggiare il nostro movimento. I o sono per allontanare sistematicamente da noi coloro che conducono una vita oscura ed indegna, anche se intelligenti ed attivi. E' meglio che muoia un giornale piuttosto che sia diretto da un Terzaghi; è meglio che si rinunci ad una tournée di conferenze se le deve fare un farabutto parolaio. Chi non lavora, chi nasconde la propria vita, chi getta la zizzania e lo scoraggiamento, chi predica un invidualismo malsano è da sospettarsi. Se si attendono le prove materiali non si leverebbe dal movimento che qualche sfruttatore o spione minchione. Quelli intelligenti ed astuti sanno crearsi un seguito. E vi sono dei compagni - e formano, forse, la maggioranza - che non vogliono creare scandali. Io la penso diversamente, molto diversamente» (« Libero Accordo» - 3 settembre 1920 J. · Cosi era Berneri. Di lui riproduciamo in questo opuscolo sei articoli: primi tre su B1bl,otecaGino Bianco \

questioni di cultura e di propaganda; i secondi tre sulla questione elettorale. Vogliamo dire qualcosa in merito a questa scelta. Per l'articolo dal tit.,10 « Il proletariato non si nutre di curati », forse questo momento pohtico che vede il clericalismo all'assalto dello stato, della scuola, dell'assistenza, della stampa, dei sindacati, sembrerà il meno opportuno per una critica dell'anticlericalismo, o meglio dei suoi limiti e delle su~ deviazioni. Eppure Berneri, che era avversario serio del clericalismo. aveva ragione in quella critica come aveva ragione nella sua polemica antimassonica. Berneri, che in numerosi saggi aveva studiato il fenomeno del partito popolare, la sua struttura sociale, le sue ten,lenze, (anche questi saggi potrebbero costituire un bel volume di grande attualità) capiva che il vecchio armamentario anticlericale era un anacronismo davanti al movimento delle masse cattoliche, di cui dovevano essere individuate le spinte progressive, le rèmore reazionarie, le contraddizioni stesse, in funzione della rivoluzione operaia in cammino; davanti al Vaticano, non più fortezza di un papa in esilio, ma grande potenza mondiale, con una sua politica espansionistica, con le sue alleanze, con le sue consorterie finanziarie; davanti alle scosse profonde, alle inquietitudini, alle eresie che la crisi della società contemporanea provocava nello stesso mondo cattolico. Ed avendo compreso tutto questo: Berneri indicava agli anarchici la via da seguire, fuori dalle botteghe anticlericali, per una conseguente lotta contro la clerocrazia. Oggi che abbiamo visto il più forte partito operaio italiano, il P.C.I., oscillare, col moto pendolare dell'opportunismo, fra il rancido anticlericalismo di marca massonica (commemorazione del XX settembre, apologia delle persecuzioni antireligiose etc.) e la più succube acquiscenza agli interessi della Chiesa (votazione dell'art. 7, propa.- ganda ai discorsi del Papa, mano tesa alla gerarchia ecclesiastica etc.), questa pagina di Berneri è una lezione non solo per noi, ma per tutti i lavoratori italiani. Di Berneri pubblichiamo anche tre articoli sulla questione elettorale. Questi articoli hanno una importanza storica per il movimento anarchico non solo perchè, all'atto della loro pubblicazione, attirarono contro l'autore tutti i fulmini dell'Olimpo anarchico internazionale, ma soprattutto perchè rappresentano a nostro giudizio il più avanzato e il più serio tentativo fatto in campo nostro per dare una soluzione giusta al problema, fuori della falsa soluzione dell'astensionismo assoluto. Qui non si tratta di concedere un lasciapassare al parlamentarismo. Qui si tratta di elaborare una tattica giusta, efficiente, rivoluzionaria davanti a quel fatto concreto che sono le competizioni elettorali. A questo fine i tre articoli di Berneri non possono essere ignorati nè da noi che operiamo nella ricerca di questa tattica nè dai nostri contradditori. Devono essere meditati da tutti. Non possiamo scrivere di Berneri senza parlare della sua fine. camillo Berneri era il solo militante di primo piano, il solo dirigente rivoluzionario, in senso intellettuale e in senso politico, che nell'Italia liberata dal fascismo potesse avviare il nostro movimento sulla via della rinascita, trasformarlo da carovana in organizzazione, da famiglia in partito, da velleità in certezza, il solo capace di promuoverlo a !orza attiva della rivoluzione italiana. Per questo coloro che temevano come il fumo agli occhi questa rinascita, che paventavano questa rinascita come la fine ignominiosa delle loro menzogne, ce lo ammazzarono in una rambla di Barcellona il 5 maggio 1937. BibliotecaGinoBianco

NOTE D'AUTOCRITICA CONTRIBUTAOD UNDIBATTITOSULFEDERALISMO Carlo Molaschi risponde a Gigi Damiani, che propone un avvicinamento, da parte nostra, agli elementi sovversivi federalisti, dicendo che sarebbe d'accordo, se tali elementi esistessero. Egli dice che i repubblicani hanno dimenticato il loro federalismo per l'influenza unitaria esercitata da Mazzini e che i sindacalisti non possono dare garanzie perchè non hanno un atteggiamento ben determinato. Quello che dice Molaschi è vero, ma solo in parte. Che la generalità dei repubblicani abbia seguito, e segua tuttora, Mazzini, invece di Ferrari e di Cattaneo, è vero, ma è anche vero che vi è un forte gruppo di repubblicani che continuano la tradizione federalista, arricchendola ed elaborandola. Basta, per esempio, la lettura della rivista La critica politica per convincersene. I repubblicani federalisti hanno, bisogna riconoscerlo, fatto molto più di noi, nel campo teorico! Noi siamo ancora al federalismo di Bakunin, che a Molaschi pare, a quanto sembra, non plus ultra. E questo è un grave segno. Dimostra che non abbiamo fatto che pochi passi più in là dei maestri. Molaschi, opponendosi al revisionismo, dice: « Rimaniamo fedeli al buon anarchismo di cinquant'anni or sono che è sempre giovane, gagliardo, pieno di promesse pel vicino domani ». Bisogna intenderci: l'anarchismo di cinquant'anni or sono è sempre giovane, e lo sarà anche fra cinquant'anni e anche più, nel senso che contiene delle verità che sono ben lontane dall'essere smentite, anzi rifulgono di nuova luce sullo sfondo dei fatti. Ma le ideologie di cinquant'anni fa sono sorpassate. Lo dimostra uno dei più vecchi e più giovani compagni nostri, Malatesta, che sta esaminando i vari problemi della rivoluzione con criteri che differiscono da quelli da lui adottati cinquant'anni fa e che contrastano con la gretta e pigra mentalità di molti compagni che trovano più comodo Biblioteca Giro Bianco \ 1

ruminare il verbo dei maestri che affrontare i problemi vasti e complessi della questione sociale quale si presenta oggi. Siamo immaturi. Lo dimostra il fatto che s'è discussa l'Unione Anarchica sottilizzando sulle parole partito, movimento, senza capire che la questione non era di forma, ma di sostanza, e che quello che ci manca non è l'esteriorità del partito, ma la coscienza del partito. Che cosa intendo per coscienza di partito? Intendo qualche cosa di più del lievito passionale di una idea, della generica esaltazione di ideali. Intendo il contenuto specifico di un programma di parte. Noi siamo sprovvisti di coscienza politica nel senso che non abbiamo consapevolezza dei problemi attuali e continuiamo a diluire soluzioni acquisite dalla nostra letteratura di propaganda. Siamo avveniristi, e basta. Il fatto che ci sono editori nostri che continuano a ristampare gli scritti dei maestri senza mai aggiornarli con note critiche, dimostra che la nostra cultura e la nostra propaganda sono in mano a gente che mira a tenere in piedi la propria azienda, invece che a spingere il movimento ad uscire dal già pensato per sforzarsi nella critica, cioè nel pensabile. Il fatto che vi sono dei polemisti che cercano di imbottigliare l'avversario invece di cercare la verità, dimostra che fra noi ci sono dei massoni, in senso intellettuale. Aggiungiamo i grafomani pei quali l'articolo è uno sfogo o una vanità ed avremo un complesso di elementi che intralciano il lavorio di rinnovamento iniziato da un pugno di indipendenti che danno a sperar bene. L'anarchismo deve essere vasto nelle sue concezioni, audace, incontentabile. Se vuol vivere, adempiendo la sua missione d'avanguardia, deve differenziarsi e conservare alta la sua bandiera anche se questo può isolarlo nella ristretta cerchia dei suoi. Ma questa specificità del suo carattere e della sua missione non esclude un migliore incuneamento della sua azione. nelle fratture della società che muore e non nelle costruzioni aprioristiche degli architetti del futuro. Come nelle ricerche scientifiche l'ipotesi può illuminare la strada delle indagini, quando si sia capaci di spegnere questa luce se essa risulta falsa, l'anarchismo deve conservare quel complesso di principi generici che costituiscono la base del suo pensiero e l'alimento passionale della sua azione, ma deve sapere affrontare il complicato meccanismo della società odierna senza occhiali dottrinari e s~nza eccessivi attaccamenti all'integralità della sua fede. Il nemico è là: è lo Stato. Ma lo Stato non è solo un organismo politico, strumento di conservazione delle ineguaglianze sociali; è anche un organismo amministrativo. Come impalcatura amministrativa lo Stato non si può abbattere. Si può trasformare. Si può cioè smontare e rimontare, ma non negarlo, poichè ciò arresterebbe il ritmo della vita della nazione; s Biblioteca Gino Biarco

che batte nelle arterie ferroviarie, nei capillari telefonici, ecc. Federalismo! E' una parola. E' una formula senza contenuto positivo. Che cosa ci danno i maestri? Il presupposto del federalismo: la concezione antistatale, concezione politica e non impostazione tecnica, paura dell'accentramento e non progetti di decentramento. Ecco, invece, un tema di studio: lo Stato nel suo funzionamento amministrativo. Ecco un tema di propaganda: la critica sistematica allo Stato come organo amministrativo accentrato, quindi incompetente ed irresponsabile. Ogni giorno la cronaca ci offre materia a tale critica: milioni sperperati in cattive speculazioni, in lungaggini burocratiche; polveriere che saltano in aria per incuria di uffici «competenti»; ladrocini su larga e piccola scala, ecc. ·ecc. Una sistematica campagna di questo genere potrebbe attirare su di noi l'attenzione di molti che non si scomporrebbero affatto leggendo Dio e lo Stato. Dove trovare coloro che possono alimentare regolarmente questa campagna? Gli uomini ci sono. Bisogna che si facciano vivi. Ci vuole una mobilitazione! Ingegneri, impiegati, dottori, studenti, operai, tutti vivono a contatto dello Stato e per lo meno di grandi aziende. Quasi tutti possono osservare i danni della cattiva amministrazione: gli sperperi degli incompetenti, i ladrocini dei farabutti, gli intoppi degli organismi mastodontici. E' l'ora di finirla coi farmacisti dalle formulette complicate, che non vedono più in là dei loro barattoli pieni di fumo; è l'ora di finirla coi chiacchieroni che ubriacano il pubblico di belle frasi risonanti; è l'ora di· finirla con i semplicisti, che hanno tre o quattro idee inchiodate nella testa e fanno da vestali al fuoco fatuo dell'Ideale distribuendo scomuniche. Bisogna ritornare al federalismo! Non per adagiarsi sul divano della parola dei maestri, ma per creare il federalismo rinnovato' e irrobustito dallo sforzo di tutti i buoni, di tutti i capaci. Chi ha un grano di intelligenza e di buona volontà sforzi il proprio pensiero, cerchi di leggere nella realtà qualche cosa di più di quel che si legge nei libri e giornali. Studiare i problemi odierni vuol dire sradicare le idee non pensate, vuol dire allargare la sfera del proprio influsso di propagandista, vuol dire far fare un passo avanti, anzi un bel salto in lunghezza, al nostro movimento. Bisogna cercare le soluzioni affrontando i problemi. Bisogna che ci formiamo un nuovo abito mentale. Come il naturalismo superò la scolastica medioevale leggendo nel gran libro ·della natura invece che sui testi aristotelici, l'anarchismo supererà il pedante socialismo scientifico, il comunismo dottrinario chiuso nelle sue caselle aprioristiche, e tutte le altre ideologie cristallizzate. 9 BibliotecaGiro Biarico

Io intendo per anarchismo critico un anarchismo che, senza essere scettico, non s'accontenta delle verità acquisite, delle formule sempliciste, un anarchismo idealista ed insiemerealista, un anarchismo, insomma, che innesta verità nuove al tronco delle sue verità fondamentali, sapendo potare i suoi vecchi rami. Non opera di facile demolizione, di nullismo ipercritico, ma rinnovamento che arricchisce il patrimonio originale e gli aggiunge forze e bellezze nuove. E quest'opera la dobbiamo fare ora, poichè domani dovremo riprendere la lotta, che mal si concilia col pensiero, specie per noi che non possiamo mai ritirarci sotto la tenda quando infuria la battaglia. Articolo apparso sotto il titolo generale « Anarchismo e federalismo » e col titolo particolare « Il pensiero di Camilla Berneri » sulla rivista Pagine Libertarie (a. II n. 14 - 20 Novembre 1922). RISPOSTAAD UNACONSULTAZIONE SUI COMPITIMMEDIATEIFUTURDI ELL'ANARCHISMO Caro Faure, accolgo il tuo invito a rispondere al questionario promosso dalla Revue Internationale non senza un certo imbarazzo dei varii problemi proposti, ognuno dei quali richiederebbe una particolare trattazione. I compiti immediati dell'anarchismo? Questa questione richiede per me un'impostazione del problema limitato al movimento italiano, del quale faccio parte. E questa limitazione esprime un criterio di metodo. Infatti, uno dei segni più tipici e più gravi dell'impreparazione degli anarchici ad affrontare i mille e varii problemi che la realtà presenta, mi pare questo cosmopolitismo della nostra propaganda; cosmopolitismo che non consiste nel carattere internazionale delle nostre iniziative, bensì nel prevalere della propaganda generica, a base prevalentemente dottrinaria, che non è sempre collegata con la particolare situazione politica e sociale della nazione, nella quale i nuclei anarchici italiani vivono ed operano. Leggendo, ad esempio, un nostro giornale che esce all'estero, il lettore non vede chiaramente quale possa essere l'efficacia della sua propaganda fuori della stretta cerchia dei compagni e dei simpatizzanti. Pare che i problemi particolari di quel dato paese, di quella data regione siano estranei alla vita dei nostri emigrati, e non presentino loro alcuna possi10 Biblioteca Giro Biarco

'bilità di azione. La propaganda ideologica va bene a Milano -come a Parigi, a Londra come a Buenos Ayres, ma essa non basta. Bisognerebbe che i compagni italiani si ambientassero anche politicamente, cercando di parlare la lingua del paese nel quale vivono, di partecipare alla vita sindacale del luogo, di esaminare i problemi sociali sotto gli aspetti particolari che quelli presentano in quel dato paese, per quella data categoria di lavoratori. Molti compagni cadono nell'errore di considerare il movimento, solo come una scuoia di propaganda nella quale si ripetono i principi, e non come un'officina di indagini e di esperienze, rivolte alla vita più vasta della specifica attività politica. La propaganda educazionista e tutte le "iniziative come quelle naturiste, vegetariane, esperantiste, ecc. sono utili, ma dimostrano l'incapacità o la mala voglia di affrontare problemi più vasti e di agire su campi più pratici. Si è dato troppo peso a questioni secondarie, come quella del libero amore, perchè è più facile fare dell'accademia che impostare i problemi su basi di studio, di osservazione, di esperienza pratica. E' necessaria una revisione di metodo. Bisogna che i compagni più intelligenti e più colti trattino, utilizzando le particolari conoscenze ed esperienze, dei problemi tecnici della ricostruzione sociale, del movimento operaio, e di tutte le altre questioni che hanno importanza per la maggioranza degli uomini. Bisogna che tutti i compagni considerino il proprio lavoro (l'operaio la fabbrica, l'impiegato l'ufficio, l'insegnante la scuola, ecc.) come un fecondo campo di osservazione e di riflessione, e cerchino di svilupparsi professionalmente, per la propria emancipazione e per il potenziamento del movimento; che ha bisogno di élites anche, anzi, principalmente nel mondo del lavoro. Questa riforma il movimento anarchico italiano deve volerla realizzata al più presto ed il più possibile, poichè, appena perso il contatto con le forze operaie, esso non è riuscito ad affermarsi come avanguardia rivoluzionaria, mancando così anche all'unica forma in cui pareva e si diceva preparato. Il movimento nostro, abbandonato al rivoluzionarismo generico e al mito populista, è caduto in doppio errore: quello di un estremismo verbale troppo continuo per essere efficace e per trovare adatte rispondenze nella situazione, e quello di contare troppo sulle masse, fino a subordinare l'iniziativa rivoluzionaria alla partecipazione di quelle, mancando così al compito di aprire la strada con l'audacia ed il sacrifizio delle . minoranze volontarie. L'organizzazione (l'Unione Anarchica Italiana) ha vissuto poco, ma qualche anno di vita sarebbe bastato, se fosse esistita tra noi una costante ed intelligente volontà rivoluzionaria, a fare di essa un organismo di combattimento capace di agire con coordinazione e simultaneità, anche fuori dei -quadri sindacali ed indipendentemente dai fronti unici, che I I B1bloteca Giro Binrco

si risolsero in bluff. Si consumarono energie insurrezionali in sporadiche azioni e si perdettero ottime occasioni. Gli anarchici italiani in Italia stanno preparandosi intellettualmente e moralmente, e ne fa fede Pensiero e Volontà. Il movimento sta riorganizzandosi, e pare probabile l'uscita del quotidiano, Ma le esperienze del passato non vanno dimenticate. E la diagnosi dei nostri mali e delle nostre deficienze va accompagnata alla ferma volontà di un rinnovamento. Mi pare che la nostra rivista potrà servire a collegare i nuclei dei compagni italiani all'estero e in Italia, in uno scambio di idee e in una più larga diffusione dei risultati, delle riflessioni e degli studi dei migliori. Saluti cordiali ed auguri Camillo Berneri Lettera apparsa nella sezione italiana de La Revue Internationale Anarchiste (a. I n. 3 - 15 Janvier 1925) nella rubrica « Una consultazione mondiale sui compiti immediati e futuri dell'anarchismo ». "IL PROLETARIATNOONSl NUTREDI CURATI" La rivista esperantista Herezulo ha pubblicato una « lettera dalla Russia», datata 20.5.1935, nella quale rilevo questo passo: « Forse vi interessa sapere che il nostro famoso giornale Il Senza-dio ha cessato di uscire. Perché? E' difficile rispondere. Alcuni affermano che manca la carta; altri dicono che Stalin vuole preparare il terreno per un ravvicinamento con il papa e con gli altri capi della Chiesa. Il fatto é che, nel corso delle ultime feste pasquali, le chiese erano interamente piene, ed i giovani comunisti ed atei non hanno fatto niente che possa turbare le cerimonie religiose. La quale cosa faceva contrasto con gli anni precedenti in cui si organizzavano delle manifestazioni ». Che il famoso giornale Il Senza-dio sia sospeso non mi commuove affatto e se il ravvicinamento trii, lo zarismo bolscevico e il Vaticano mi · ripugna come tutti i compromessi governati vi, la politica di tolleranza nei riguardi del cui to greco-ortodosso e degli altri culti mi pare indice di un salutare ravvedimento. Che le chiese siano piene di fedeli dopo diciotto anni di intensa propaganda ateistica é un fenomeno che dovrebbe far riflettere i giovani atei nonché adoratori- di Stalin rimpiangenti di non poter più turbare le cerimonie religiose. L'atteggiamento attuale di Stalin in materia di libertà dei culti si richiama strettamente alla legislazione dell'U.R.S.S. 12 Biblioteca Giro Bianco

/ Di nuovo non v'è che ·la stretta applicazione di leggi e di de- ·creti fino al 1935 non ·regolarmente rispettati dalle locali autorità. Il diritto al « libero esercizio della libertà di coscienza e di culto religioso» e di protezione « contro qualunque danno o persecuzione che siano inflitti ai credenti a causa- della loro fede o del loro culto religioso » è garantito dall'articolo 3 del Decreto del 23 gennaio 1918. Il diritto di celebrare tranquillamente servizi e riti religiosi è garantito dall'articolo 5 del Decreto del 23 gennaio 1918, che affida alle autorità locali il compito di assicurare questa tranquillità e l'articolo 127 del Codice Penale stabilisce che •« qualsiasi intervento nell'esercizio dei culti religiosi, qualora questi non compromettano l'ordine pubblico o non violino i diritti di terzi, è passibile della pena dei lavori forzati per una <lurata non eccedente i sei mesi». Il diritto di affittare, costruire o mantenere in istato appropriato degli edifici destinati ai culti, quello di costituire :associazioni religiose e di raccogliere denaro destinato ai culti ed al mantenimento dei loro ministri sono assicurati dall'arti- ,colo 10, dall'articolo 15 e dall'articolo 45 del Decreto dell' 8 aprile 1929, dall'articolo 54 del Decreto del 18 aprile 1922, Mi pare che si possa concludere che la legislazione dell'U .R.S.S. afferma la libertà dei culti e la protegge. Ebbene, <lichiaro che pur non praticando alcun culto e non professando alcuna religione sarò nel corso della rivoluzione italiana a fianco dei cattolici, dei protestanti, degli ebrei, dei grecoortodossi ogni qualvolta costoro rivendicheranno la libertà religiosa per tutti i culti. Dato che ho avuto occasione di constatare che questo mio atteggiamento e questo mio proposito non riscuotono l'assenso generale dei miei compagni di fede e di lotta, credo utile, e lo credo utile perché oltre alla -santità del principio ho in vista errori rivoluzionari a mio parere gravidi di danni gravi e di pericoli gravissimi, dire il mio pensiero sulla questione. Ogni intellettuale dovrebbe - ha detto Salvemini nel suo ·bel discorso al Congresso Mondiale degli Intellettuali - prendere come divisa le parole di Voltaire: « Signor Abbate, sono convinto che il vosto libro è pieno di bestialità, ma darei l'ultima goccia del mio sangue per assicurarvi il diritto di pubblicare le vostre bestialità ». Ogni anarchico - dico io - non può respingere questo principio senza cessare di essere anarchico. Quando, nel corso dell'ultimo congresso mondiale dell'A.I.T., dicevo ai delegati spagnoli di considerare non-anarchico, angusto e pazzesco l'anticlericalismo propugnato dalla C.N.T. e da molti elementi della F.À.I. e che uno dei fattori di successo delle correnti fasciste spagnole era questo loro anticlericalismo, avevo sotto gli occhi una deliberazione compilata da anarchici spagnoli 13 Bibl1oteca Gino Bianco

nella quale si negava il diritto ai culti di esteriorizzarsi, pur tollerando i sentimenti intimi, come• questi sentimenti non fossero del tutto liberi sotto il tallone di Mussolini, come sotto quello di Hitler e di Stalin. L'anticlericalismo assume troppo: spesso il carattere di inquisizione... razionalista. Un anticlericalismo illiberale, qualunque sia la colorazione avanguardista, è fascista. Oltre che fascista, l'anticlericalismo illiberale è poco intelligente. Malatesta è sempre insorto contro i fanatici del... Jibero pensiero. Riportando da un giornale anarchico questa notizia (« A Barcellona è scoppiata una bomba in una processione religiosa lasciando sul terreno 40 morti e non sappiamo quanti feriti. La polizia ha arrestato più di 90 anarchici colla speranza di metter le· mani sull'eroico autore dell'attentato»), cosi la commentava, nel numero unico L'Anarchia, dell'agosto 1896: « Nessuna ragione di lotta, nessuna scusa, niente: è eroico aver ucciso donne, fanciulli, uomini inermi, perchè erano dei cattolici? Questo è già peggio della vendetta: è il furore morboso dei mistici sanguinari, è l'olocausto sanguinoso sull'ara di Dio o dell'idea, che è poi lo stesso. Oh Torquemada! Oh Robespierre! ». Leandro Arpinati,. quand'o faceva Fanarchico, aveva la specialità di promuovere la dispersione delle processioni in quel di Santa Sofia di Forli; e ha finito per disperdere le processioni rosse in Bologna ed altrove. Mussolini da mangia-preti è finito « uomo della Provvidenza». Podrecca, l'asinesco direttore dell'Asino, è finito fascista e bacia-pile. L'anticlericalismo grossolano in auge in Italia fino al 1914 ha dato i voltafaccia più spettacolosi; e non poteva essere ~ltrimenti, poichè alla virulenza settaria si univa la superficialità intellettuale e la rigatteria culturale. L'anticlericalismo in Italia fu fascista quando vietava il suono delle campane, quando impediva o disturbava le processioni, quando invadeva le chiese, quando molestava i preti per le vie, quando falsava la storia, quando appoggiava le false testimonianze di bambini mitomani o di parenti cupidi per contare un « prete porco » di più, quando negava la libertà d'insegnamento, quando sognava di impedire ai credenti qualsiasi libertà di rito e di culto. I risultati sono stati quello che sono stati. I comunisti che oggi flirtano con i cristiano-rivoluzionari di Francia e con i cristiani-comunisti di Jugoslavia e si servono di Miglioli come di uno specchietto per allodole demo-cristiane di ogni paese, nel 1919 e nel 1920 contribuirono, con i socialisti... estremisti, a spingere il Partito Popolare verso l'alleanza con il fascismo. I repubblicani, dimentichi di Mazzini, là dove erano preponderanti caddero anch'essi nell'anticlericalismo grossolano e sopraffattore. Il sovversivismo e il razionalismo demo-massonico furono 14 Bibltoteca Giro Bianco

in Italia clericalmente anticlericali. Urbain Gohier scriveva in uno dei suoi acuti articoli (Leur République - Paris 1906): « Il clericalismo non è l'attaccamento fanatico ad un dato dogma o a certe pratiche; è una forma particolare del pensiero, che si manifesta soprattutto_ nell'intolleranza. La maggior parte dei sedicenti « anticlericali » di oggi sono dei clericali protestanti o dei clericali ebrei, che combattono la religione cattolica a profitto della loro religione; oppure dei settari massoni, ingombri di altrettanti pregiudizi, di cerimonie altrettanto vane e di orpelli ancor più ridicoli di quelli del clero.· I loro principali « meneurs » sono degli ex-preti o degli ex-frati, che non possono sbarazzarsi delle loro abitudini mentali nè della loro anteriore disciplina, che ristabiliscono nel « libero pensiero» dei Natali pagani, delle Pasque socialiste, dei battesimi civici, delle comunioni e sopratutto delle scomuniche, dei banchetti al posto dei digiuni, degli Evapgeli, dei Credo, dei catechismi e dei biglietti di confessione ». Questa categoria di « preti del libero pensiero» ha prevalso in Italia, come in Francia e in Spagna. In Italia nessuna rivista «razionalista» ha avuto l'importanza culturale de La Ci, viltà Cattolica dei Gesuiti, della Rivista Neotomistica dei cattolici, di Bylichnis, protestante, di Coenobium, spiritualista. I più seri storiografi delle religioni in Italia sono stati dei preti cattolici o protestanti • non vi è stato un solo « razionalista » che avesse la preparazione culturale, in materia reli• giosa, di un Turchi, di un Fracassini, di un Bonaiuti, ecc. In Italia· vi era, ancora nel 1919 e 1920; lo scandalo di riviste come Satana di Roma, dirette da asini presuntuosi che criti; cavano le religioni con argomenti ridicoli e che pubblicavano articoli di una povertà di idee e di documentazione da far pietà. All'ignoranza e alla stupidità di quell'anticlericalismo faceva riscontro l'intolleranza, che in Francia, sotto l'egemonia massonica, conduceva ad escludere dalle Università dei preti di grande valore soltanto perchè preti. Così venne rifiu. tata una cattedra al padre Scheil, una delle migliori autorità in materia di assiriologia. Di lui, il Morgan dice, nel suo trattato Le prime civiltà: « A mala pena, si contano oggi, in Eu• ropa, quattro o cinque di questi scienziati (degli assiriologisti) la cui opinione faccia autorità e, fra questi, è V. Scheil che ho avuto la fortuna e l'onore di avere collaboratore nei miei lavori in Persia. Il suo nome resterà per sempre unito alla di lui magistrale traduzione delle leggi di Hammaurabi e della decifrazione dei testi elamiti, tour de force compiuto senza l'aiuto di un bilingue». Gli anticlericali non si commossero affatto di fronte al fatto che ad uno scienziato di reale valore fosse negata la cattedra di assiriologia al Collège de France, perchè secondo loro un prete non avrebbe avuto l'imparzialità necessaria per trattar materie aventi relazione con gli 15· Biblioteca Giro Bianco

studi biblici. Io ebbi a professore di storia delle religioni, alla Università di Firenze, il prof. Fracassini, che era un prete, e nel circolo di studi filosofici di quella città ebbi occasione di ascoltare delle conferenze del prof. Bonaiuti, anch'egli prete. Ebbene, non esito a dichiarare che non ho mai udito trattare argomenti religiosi con maggiore spregiudicatezza filosofica, con maggiore rigorosità scientifica, con maggiore onestà. Se quasi tutti gli anticlericali non credono che vi possano essere dei preti intelligenti, colti ed onestamente e seriamente sacerdoti cattolici o protestanti o giudaici questo vuol dire che quasi tutti gli anticlericali sono dei clericali a loro modo. L'anticlericalismo oltre che filosoficamente povero e scientificamente arruffone e superficiale è stato in Italia, e ancora lo è in Francia e in Ispagna, angusto dal lato della comprensione del problema sociale. Il « pericolo clericale » ha servito in Italia come diversivo alla borghesia liberale e al radicalismo; in Francia, dal 1871 in poi, la lotta contro la chiesa ha permesso alla borghesia repubblicana di evitare le riforme sociali. In Ispagna, il repubblicanismo alla Lerroux ha giocato anch'egli la carta dell'anticlericalismo, che messo in pratica dalle sinistre ha sviluppata la coalizione cattolico-fascista. Bisogna finirla con questa speculazione. Il proletariato non si nutre di curati. E i rivoluzionari socialisti sanno che la gerarchia ed i privilegi della chiesa sono una cosa mentre il sentimento religioso ed il culto sono un'altra cosa. Il diritto al battesimo non può essere messo sullo stesso piano delle gua,. rentigie pontificie. Il convento di francescani non può essere considerato alla stessa stregua della banca cattolica. Il prelato fascista non può essere considerato come il prete che non si è mai piegato al fascismo o come il povero Don Abbondio di villaggio. Le organizzazioni sindacali cattoliche si sono dimostrate capaci, come nella Lomellina, di scioperi, di sabotaggi, di occupazioni di terre e domani, nella rivoluzione italiana, sarebbe stupido mettersi contro, a causa di un giacobinismo anticlericale, larghe masse del proletariato rurale passibili di entrare nel gioco delle forze rivoluzionarie e socialiste. Gli anarchici devono aver fede nella libertà. Quando l'istruzione sarà aperta a tutti, quando la miseria del proletariato sarà scomparsa, quando i ceti medi saranno modernizzati, il clero non potrà più, cessata la sua situazione di casta, colmare interamente i propri quadri. Già nel dopo-guerra i seminari erano spopolati e frequenti i casi di giovani preti che, conquistato un titolo professionale, gettavano la veste talare alle ortiche. Quando in ogni villaggio il circolo di cultura, il circolo ricreativo, l'associazione sportiva, la filodrammatica, il cinematografo, la radio, ecc. distrarranno la gioventù dalla chiesa e dai ricreatori cattolici; quando più armoniosa si sarà fatta ·1a convivenza matrimoniale, sì che la donna non sentirà più 16 l Bibl·oteca Gino Bianco j

I il fascino della confessione ed il bisogno del conforto religioso; quando di fronte al pergamo sarà la cattedra del maestro, € il prete sarà chiamato non più a pontificare in incontrastato <l.ominio bensì a tenzone di idee in pubblici dibattiti; quando, insomma, il grande soffio della rivoluzione avrà spazzato via -quasi tutte le condizioni che il clero rafforzano e corrompono, che al dominio del clero sottopongono ignara infanzia, giovinezza senza orizzonti, femminilità afflitta bisognosa di sperare e avida di sostegno morale, che cosa sarà il « pericolo clericale»? Monumenti di una potenza abbattuta, le chiese, come l'arco imperiale e come il feudale castello, rimarranno, ammutolite le loro campane; silenti le loro navate di canti liturgici, .spogli i loro altari di ori e di ceri, quando la rivoluzione abbia vinto negli spiriti. Fino a quando essa sarà vittoria sulle cose, .muta e travestita sotto lo sguardo inquisitore dei giacobini, apparentemente vinta e dispersa ma sotto le ceneri più che mai viva, la chiesa risorgerà presto o tardi, forse rafforzata. L'anticlericalismo anarchico non può essere nè illiberale nè .semplicista. Articolo apparso sotto il titolo « Anarchismo e anticlericalìsmo » :sul periodico L'Adunata dei Refrattari (a. XV n. 2 - 18 Genn. 1936). 17 Bibl,otecaGinoBianco

LA QUESTIONE ELETTORALE: IL CRETINISMOASTENSIONISTA In una sua lettera al Gambuzzi (Locarno 16 Novembre 1870), Michele Ba~unin scriveva di esser lieto che egli fosse tornato a Napoli per cercare di essere eletto deputato e soggiungeva: « Forse ti meraviglierai di vedere che io, astensionista deciso e appassiona.to, spinga ora i miei amici a farsi eleggere deputati. Gli è che le circostanze e i tempi sono mutati. Anzitutto i miei amici, cominciando da te, si sono talmente agguerriti nelle nostre idee, nei nostri principi, che non c'è più pericolo che possono dimenticarli, modificarli, sacrifi-- carli, e ricadere nelle loro antiche abitudini politiche. E poi,. i tempi sono diventati talmente seri, il pericolo che minaccia la libertà di tutti i paesi talmente formidabile, che bisogna che dovunque gli uomini di buona volontà siano sulla breccia, e che i nostri amici sopratutto siano in una tale pos1z1one che la loro influenza diventi quanto più efficace è possibile. Cristoforo (Fanelli) mi ha promesso di scrivermi e di tenermi al corrente delle vostre lotte elettorali che m'interessano al massimo grado». Fanelli fu eletto deputato di Torchiara nel dicembre 1870 e Friscia fu rieletto in Sicilia. Bakunin vedeva nell'elezione a deputati dei più attivi organizzatori della 1• Internazionale un potenziamento di questa, per le agevolazioni materiali (viaggi gratuiti), per la possibilità di relazioni più estese, per una maggiore influenza sulle masse nonchè una maggiore libertà di propaganda. Di fronte all'istituzione parlamentare egli rimaneva antiparlamentarista ed astensionista ed il suo atteggiamento del 1870 non è affatto da avvicinare a quello di Andrea Costa e nem-- meno a quello di F. S. Merlino. Per Bakunin il problema era di strategia e non di tattica. · Il non distinguere la prima dalla seconda conduce al ere-- 18 Biblioteca Giro Bianco

tinismo astensionista non meno infantile del cretinismo parlamentarista. Quale differenza corre tra la strategia e la tattica? Mi servirò di un esempio semplicissimo, al quale non va attribuito un significato che nori vada oltre a quello dimostrativo. Mi trovo asserragliato in casa, assediato da una turba di fascisti che gridano : « A morte ! » Accorrono i carabinieri che cercano di impedire agli assedianti di sfondare la porta di casa mia. Sarebbe idiota e pazzesco che mi mettessi, dalla finestra, a sparare su quei carabinieri. Se agissi così compirei un enorme errore strategico. Mi trovo in una manifestazione di piazza. I carabinieri sparano sui manifestanti. Prendo la parola e spiego alla folla che i carabinieri rappresentano il potere repressivo dello Stato, che come tali dovrebbero trovare di fronte a loro manifestanti armati e decisi, ecc. ecc. Se parlassi, invece, dei ca-· rabinieri che arrestano i pazzi, che salvano la gente nelle inondazioni, ecc. cadrei in un errore tattico. Chiarita la differenza sopracennata, si pone il problema: se è evidente che il parlamentarismo non può essere conciliabile con l'anarchismo, l'astensionismo è per gli anarchici una questione tattica o una questione strategica? Nel 1921 mi sono, per la prima volta, posto questo problema, in seguito a questa piccola avventura. Il mio portalettere era un socialista. Vedendo che ricevevo giornali di ·sinistra, mi trattava con una certa familiarità, benchè non avessimo mai scambiato che dei -saluti o dei rapidi commenti sulla situazione politica, e mi mostravl). ·la sua simpatia domandando ai miei familiari, quando non mi vedeva: « E Camillo? come sta Camillo? ». Non lontano da casa mia vi era una casa operaia abitata da ·socialisti e da comunisti e quando vi passavo davanti, le sere di primavera o di estate, gl'inquilini che stavano godendo la freschezza vespertina mi salutavano cordialmente, benchè non avessi mai avvicinato che uno di loro. Il calzolaio, davanti alla botteguccia dal quale passavo ogni giorno, mi salutava anch'egli benchè non fossi suo cliente. Le perquisizioni, gli arresti, il vedermi di frequente in compagnia di operai mi avevano cattivato la simpatia del « popolo » del quartiere. Ma ecco che un pomeriggio vedo entrare nel mio studio il portalettere e altri giovanotti a me sconosciuti. Si era in giorni di elezioni politiche e venivano a prelevarmi come elettore. « Abbiamo l'automobile! » mi dicevano. Ed io: « Se volessi votare andrei a votare a piedi o in tramway; non è per pigrizia che non vado alle urne. E ... qui tenni loro una lezione di anarchismo, della quale, certamente per colpa mia ma anche un po' perchè erano caldi del• la « battaglia elettorale », capirono così poco che se ne andarono con dei: « Ce ne ricorderemo! » da sanculotti del 1789. 19Biblioteca Gino Bianco

Lo stesso giorno mi accorsi che il « popolo » del quartiere mi aveva giudicato: «disertore» e che la mia... popolarità era compromessa. Il guaio è che, per la prima volta, mi sono chiesto se l'astensionismo è sempre opportuno. Chi sa che cosa siano sta- ·te le ·elezioni politiche del 1921 mi scomunicherà, forse, ma certamente non mi fucilerà se dirò che mi sono astenuto dal fare propaganda astensionista e che mi sono messo contro i vpstali dell'anarchismo per difendere quei pochi compagni •dell'Unione Anarchica Fiorentina (due o tre) dall'ostracismo al quale erano stati condannati per essere andati alle urne. Dicevo, allora come oggi: l'errore è di strategia e non di tat- -tica, è peccato veniale e non peccato mortale, Ma i vestali concludevano che ero « troppo giovarle », per non dirmi che non avevo capito niente dell'anarchismo, Il richiamo ai principii a me non fa· nè caldo nè freddo, perchè so che sotto quel nome vanno delle opinioni di uomini e non di dei, delle opinioni che hanno avuto fortuna per due o tre anni, per decenni, per secoli anche, ma che, poi, sono finite per sembrare barocche a tutti. Le eresie di Malatesta, sono, oggi, dei principi sacrosanti per tutti ·i malatestiani. Ora è un fatto che Malatesta, non essendo nè prete nè megalomane, ha esposto delle idee come opinioni e non come principii. I principii sono legittimi ·soltanto nelle scienze sperimentali e, allora, non sono che formulazioni di leggi, formulazioni .approssimative. Un anarchico non può che detestare i sistemi ideologici chiusi (teorie che si chiamano dottrina) e non può dare ai ·-principi che un valore relativo. Ma questo è un argomento che richiederebbe particolare ·sviluppo e ritorno a bomba: ossia all'astensionismo. Come constato l'assoluta deficienza della critica antipar- ·1amentare della nostra stampa, lacuna che mi pare gravissima, così non sono astensionista nel senso che non credo, e non ho mai creduto, all'utilità della propaganda astensionista in periodo di elezioni e mi sono sempre astenuto dal farla se non occasionalmente e a tu per tu con qualche individuo pas- ·sibile, secondo me, di passare dalla scheda al revolver. Il cretinismo astensionista è quella superstizione politica che considera l'atto di votare come una menomazione della ·dignità umana o che valuta una situazione politica-sociale dal numero degli astenuti delle elezioni, quando non abbina l'uno e l'altro infantilismo. Del primo ha fatto giustizia Malatesta, che scrivendo a ·Fabbri nel Maggio 1931, osservava che molti compagni danno un'estrema importanza all'atto di votare e non capiscono la ,vera natura della questione delle elezioni. Malatesta citava ,dei tipici esempi. Una volta, a Londra, una sezione municipale distribuì dei .20 Biblioteca Gino Bianco

bollettini per domandare agli abitanti del quartiere se volessero o no la creazione di una biblioteca pubblica. Vi furono degli anarchici che, pur desiderando la biblioteca, non vollero rispondere al referendum perché credevano che rispondere sì fosse votare. A Parigi e a Londra, degli anarchici non alzavano la mano in un comizio per approvare un ordine del giorno rispondente alle loro idee e presentato da un oratore che avevano calorosamente applaudito ... per non votare. Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, ecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi. Questo cretinismo astensionista è così estremo che non vale la pena di soffermarvici. Vi é, invece, ragione di esami- , nare il semplicismo astensionista. Nella lettera sopra citata, Malatesta ricordava che quando Cipriani fu eletto deputato a Milano dei compagni furono scandalizzati perché, dopo aver propagandata l'astensione, egli, Malatesta, si compiacesse del risultato dell'elezione: « Dicevo, e lo direi ancora, che poiché vi sono coloro che, sordi alla nostra propaganda, vanno a votare, é consolante vedere che votano per un Cipriani piuttosto che per un monarchico od un clericale - non per gli effetti pratici che la cosa può avere, ma per i sentimenti che essa rivela». Ora, vorrei poter proporre a Malatesta questo quesito: se un trionfo elettorale dei partiti di sinistra fosse un tonico rialzante il morale abbattuto della classe operaia, se quel trionfo permettesse il discredito degli esponenti di quei partiti e avvilisse al tempo stesso le forze fasciste, se quel trionfo fosse una conditio sine qua non degli sviluppi possibili di una rivoluzione sociale, come un anarchico dovrebbe comportarsi? Si risponderà che tutte queste ipotesi non sono che fantastiche, ma questa risposta non elude il problema: se un anarchico valuta una data situazione politica come richiedente eccezionalmente la partecipazione degli anarchici alle elezioni, cessa costui di essere anarchico e rivoluzionario se pur non svolgendo una propaganda che alimenti le illusioni elettorali e parlamentariste, se pur non cercando di rompere la tradizione teorica e tattica deil'astensionismo, va a votare senza illudersi sui programmi e sugli uomini dei partiti in lista ma, anzi, volendo contribuire ad ottenere che svaniscano le illusioni che le masse nutrono nei riguardi di un governo popolare, volendo contribuire ad ottenere che le masse vadano oltre i loro pastori? Che quell'anarchico possa errare nella valutazione del momento po!itico é possibile, ma il problema è: se giudicando così un momento politico ed agendo di conseguenza egli cessa di essere anarchico. Il problema, insomma, é questo: l'astensionismo é un 21 Biblioteca Gino Bianco

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