Volontà - anno XVII - n.6 - giugno 1964

(segue dai numeri precedenti) I CLASSICl DELL'ANARCHISMO Indaginesulla giustiziapolitica CAP. VI • LA PRATICA DEL GIUDIZIO PERSONALE (*) JNNANZITUTTO, si rende necessario l'intervento di un arbitro in tutti quei casi in cui l'azione del singolo minaccia di provocare danni pregiudizievoli alla collettività e quando l'urgenza del caso non consente di confidare sul lento processo delle ragioni e delle argoment;rzioni addotte alla comprensione del perturbatore dell'equilibrio sociale. Si supponga che un concittadino abbia commesso uno o più assassinii. Avendo esso trasgredito, in modo evidente e grave, alle restrizioni alle quali la maggioranza degli uomini si è sottoposta, è da presumersi per analogia che quella sua attitudine ad uccidere potrà indurlo a commettere nuovi delitti. Conseguentemente, non sembra che venga ad essere violato il principio del giudizio personale nel caso in cui si sottoponga quel concittadino ad una determinata forma di costrizione. Tuttavia l'esempio ripor– tato presenta alcune complicazioni degne di essere tenute in debita conside,. razione. Dal momento che riteniamo giusto sottoporre il colpevole ad una qualsiasi forma restrittiva, il nostro compito immediato consisterà nel decidere circa il metodo da adottare per condannare o per assolvere, secondo giustizia, la persona accusata. Noi sappiamo, però, che non esistono prove evidenti le quali possano considerarsi infallibili, giacchè - come in tutti gli assunti umani - anche per le prove si procede per supposizioni e probabilità. li colpevole deve essere identificato da un testimone oculare, il quale potrà anche sbagliarsi; ci dovremo accontentare, quindi, di prove presunte sia relativamente ai moventi di un delitto e sia - delle volte - anche relativamente al fatto come tale. E' facile immaginare l'inevitabile conseguenza di tale procedimento. Attual– mente non è ritenuto grossolano far subire ad un innocente un processo irro– gandogli un castigo che è destinato ai più spaventosi crimini. D'altro canto, lo stesso delitto, considerato in sè e per sè, può contenere le più varie gradazioni del vizio o della virtl1. C'è chi uccide un molesto testj– mone delle sue infami azioni appunto perchè non le porti a conoscenza deJ pubblico; c'è chi uccide perchè non sopporta la schietta sincerità di chi gli rinfaccia i vizi; c'è chi è spinto al delitto dall'invidia la quale non sopporta i meriti altrui; un quarto uccide perchè, sapendo che la sua vittima si disponeva a causargli un danno enorme, non trova altra maniera per prevenirlo; un quinto uccide per difendere la vita di suo padre o l'onore cli sua figlia. Ognuno .:li (*) La prima parte di questo capitolo è stata pubblicata nel numero 5 (maggio) di questa rivist:i (pag. 301-305). 367

RkJQdWJsaXNoZXIy