Via Consolare - anno I - n. 4 - marzo 1940

parelle degli uomini, non sai più se sei nella patria degli angeli o in quella dei pestapepe. Dappertutto una grazia, una forza, un buon sangue; rivai i capitani del popolo, la rocca di Ravaldino, il vin santo, il cotechino. Il tamericio ha il suo poeta. E a Forlimpopoli devi fare uno sforzo per non dir subito: e' Passador ! Ma ti trattieni. Nessuna morale ti vieta di anteporre il soprannome di un brigante ai nomi propri di cardinali o dei papi, ma preferisci far l' impostore ; accennare a quel cardinale Albornoz di cui non t'importa niente, alludere alla ricostruzione di Urbano VI - Già già. Civitas Foropopilii - poi entri in argomento: - E adesso, boja di sgnur, mi piacerebbe sentire com'è andata la sera della Lucia ! Va' là, che è bella la Romagna anche per questa sua nobiltà di popolana che fa pensare a Caterina Sforza che tira su le gonne a mostrare il conio con cui si stampano i Giovanni dalle Bande Nere. Soffia sempre da sopra Cattolica fino a trenta onde in mare il gran vento di Focara. E però è bella per la forza che le vien dal passato. li contadino che per venire in città col biroccio ha infioccato i buoi non può saperlo : cammina davanti re~gendo il giogo e il timone del plaustro romano, calca le prime strade del mondo, le grandi arterie consolari e sente risonare le rote sui ponti dalle antiche basi di calcestruzzo. Ma quando entra in città col biroccio fiorito e col figlio che gli traballa sul carico, egli sa di passare sotto lo stesso arco di Cesare. E certo di sera, allora cbe tornato a casa si mette fuori , seduto sui calcagni a strologare il tempo, e lascia riposare e pendere le grandi mani callose, e guarda verso quei monti i calanchi laggiù verso Predappio o il faro di Caminate, egli sa di toccare con gli occhi la prova della propria fierezza. Chiama una dei suoi figli più piccoli: - Di' su, Minghino, se lo sai perchè noi romamagnoli ci chiamano così. Il piccolo è troppo piccino, - La signora maestra non me l'ha detto - risponde. - ·Allora te lo dico io : Perchè siamo un getto di Roma. Ed è vero. Ma la ragione di Roma è Ìa ragione delle ragioni, quasi un destino, un ordine prestabilito· in natura, essi non sanno, in quanto ciò scaturisce dalla terra, dalla terra in sè come materia viva e materia da cui prendono luce e sostanza e vigore le co'Se, tanto più sapide quanto più sono stentate, e che fa dell'Italia sintesi di tutte le sintesi, la viva essenza di tutte, poichè v'è nella terra, in ogni terra un proprio slancio vitale, una sua propria forza, quella forza per cui la quercia si torce e spasima l'ulivo, e certo quella che da millenni si· tramanda nel lievito del pane poichè il mosto è giaciuto una volta con la fa. rina: un che di segreto, una carica, forse la stessa che dà lo slancio ai larici e ai poeti, la stessa che rende prolifici i popoli, e il contadino che sposa fonda una dinastia. Nessuna legge umana può violentarla o costringerla, così nei deserti non cresce l'abete nè i palmizi sull' Alpi, nè la rondine nidifica in Africa, nè il cefalo nell'acqua di mare: ed ogni creatura ha la sua terra ed ogni terra ha le sue proprie creature. E da ciò l'origine divina della patria, VIA CONSOLARE 17 FondazioneRuffilli- Forlì

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