Una città - anno V - n. 39 - marzo 1995

,narzo SCORCIATOIE PER IL BARATRO. Marco Boato ci racconta la storia del fallimento della via dolce, graduale, razionale alla Seconda Repubblica, delle colpe della sinistra per il marasma successivo, di come ormai un'assemblea costituente sia l'unica strada che resta. In seconda e terza. RIVEDERE IL PAVIMENTO. E' il racconto di un'epopea: i 25 giorni bastati a operai e dirigenti della Ferrero di Alba per rimettere a nuovo una fabbrica ultramoderna sepolta dal fango. Ora solo una targa ricorda quell'alluvione di cui la gente delle Langhe, dura e riservata, neanche parla più. Intervista a Chiara Cane, Silvano Faroppa, Claudio Risso. In quarta. ANCORA COINCIDENZE, di Gigi Riva, è la ricostruzione inquietante dei misteri della Uno Bianca: lo/li razzisti o che? In quinta. COS'HAI? è l'intervista a un giovane studente napoletano che racconta la sua lotta interiore Ira quartiere e scuola. In sesta. IL VERTICE DELLAPOVERTA' è quello, del/'Onu, che si terrà a marzo a Copenaghen ed è anche quello raggiunto in questi anni da più di un miliardo di abitanti della terra: meno di un dollaro al giorno. Intervista a Sabina Siniscalchi di Mani Tese. In settima. USARE IL DOLORE, di Ulla Barzaghi, è il racconto del tragitto che ha portato lei, casalinga, e suo figlio Enrico, a cui è dedicata la nostra copertina, sulla strada di un impegno pubblico per far uscire /'ammalato di Aids dal ghetto per appestati in cui stampa e Tv, borghesia, cultura, e purtroppo, a volte, il volontariato, l'hanno rinchiuso. In ottava e nona. IMMAGINI AL TATTO. Il disegno in rilievo può essere per il cieco la seconda grande possibilità, dopo il Braille: poter leggere le immagini. Intervista a Fabio Levi, in decima. I CENTO PROGETTI sono quelli che stanno fiorendo nel pubblico impiego, un mondo in cui iniziativa privata e entusiasmo nel lavoro non sono banditi per definizione. Intervista a Filippo Bucare/li, in undicesima. LA PICCOLA PUNTURA è quella che lascia nel bambino /'incontro con chi viene da lontano. Franco Lorenzoni racconta la sua esperienza di maestro elementare. In dodicesima. VIAGGIO A TUZLA è il diario di tre altoatesini/ sudtirolesi. In tredicesima. A TURNO. Da Peppino Ortoleva una riflessione sulla TV di oggi, sul nesso inscindibile Ira Tv e democrazia, su derive plebiscitarie ed elitarie. In quattordicesima e quindicesima. UN PEZZETTODI FUTURO è quello che si può costruire per i propri figli disagiati associandosi innanzitutto Ira le famiglie. Intervista a Clara Sereni, in ultima. Bianco

un 111ese di un anno B 1129 aprile del 93, una data che resterà nella storia del paese, quando il "partito del crollo" trainato dal giustizialismo di Lega e Rete tende una trappola al governo Ciampi. Ogni ipotesi di transizione graduale, per riscrivere le regole e dare tempo alle forze politiche di cambiare, viene travolta dalla fretta di vincere che si impossessa di una sinistra che di lì a poco sarà travolta. Una pagina di storia da meditare. Intervista a Marco Boato. Marco Boato, oggi ricercatore all'Università di Padova, è staro in Parlamento ininterrottamente per sette anni, per i Verdi, prima come senatore e poi come deputato. In particolare dal 92 al 94 si è dedicato alle questioni istituzionali e costituzionali e delle leggi elettorali, partecipando ai lavori della Commissione Affari Costituzionali e della Commissione Parlamentare per la riforma istituzionale. Tu hai vissuto la crisi degli ultimi anni da un osservatorio privilegiato, quello delle riforme istituzionali. Volevamo ripercorrerè un po' la storia di tale crisi, per tentare di capire perché siamo giunti al marasma attuale. Intanto va detto che, della crisi finale del sistema politico e istituzionale italiano, Tangentopoli è stata solo l'epifenomeno. La ragione profonda della crisi stava nel blocco, nella mancanza di alternativa in un sistema politico fondato al tempo stesso su una conventio ad excludendum e una ad includendum: esclusione della sinistra dal governo nazionale e sua inclusione in tutto il resto dell'amministrazione dello Stato. Con il crollo del Muro di Berlino e la fine della divisione in blocchi, viene meno il riferimento-internazionale che legittimava il blocco del sistema politico. Ovviamente questa paralisi del ricambio aveva incentivato fenomeni di corruzione a un livello inimmaginabile anche per chi, come me, ha fatto vita politica per molti anni dentro il Parlamento, però questo, ripeto, è una conseguenza, non è la causa, come molto spesso in questo periodo si è confuso. Ora, in questa crisi si fronteggiavano due schieramenti: da una parte il "partito del crollo", formato da forze di diverse aree politiche -Lega, Rete, Rifondazione Comunista- ma convergenti nel ritenere che bisognasse semplicemente picconare e buttar giù e che ogni tentativo di cambiamento graduale fosse non solo inutile, ma dannoso. Dal!' altra parte il "partito della transizione", di coloro che, rendendosi conto della necessità di superare il :vecchio sistema partitocratico e consociativo ma anche della follia, dal punto di vista di un cambio politico, di un crollo improvviso e generale, puntavano ad un processo di transizione graduale e guidata dal vecchio al nuovo attraverso una serie di tappe: il referendum elettorale, il varo successivo di una nuova legge elettorale, le riforme costituzionali e istituzionali in materia di forma di stato, di forma di governo e di garanzie istituzionali e, infine, il processo di cambiamento delle forze politiche, determinato sia dalla fine del vecchio sistema dei partiti sia dal cambiamento del sistema elettorale e costituzionale. Tre elementi facevano pensare che ci si fosse avviati su questa seconda strada: la vittoria dei sì nel referendum, sostenuta da una maggioranza di forze politiche, alcune delle quali ali' inizio alquanto scettiche che poi, per scelta o puro opportunismo, si erano accodate alla marea montante dell'opinione pubblica; l'istituzione, per la prima volta nella storia italiana con una modifica una tantum dello stesso articolo 138della Costituzione, che è I' articolo cardine per riformare la Costituzione, di una commissione, an- .data sotto il nome di Commissione ·Bicamerale, a cui veniva attribuito il compito di disegnare la riforma costituzionale della seconda parte della Costituzione, cioè dell'ordinamento della Repubblica; l'inizio del lavoro di messa a punto della nuova legge elettorale. Questi elementi e un adeguato lasso di tempo, non anni ma alcuni mesi, avrebbero poi permesso i processi di adeguamento e cambiamento delle forze politiche. Qual è il punto di svolta che ha bloccato e fatto fallire questo processo di transizione? Il punto di svolta è il 29 aprile. Ricordiamoci le tappe della primavera '93: il 18 aprile il referendum segnò anche la fine del governo Amato; si formò per la prima volta il governo Ciampi, che era un mix tra un governo in parte tecnico e in parte politico, molto aperto e potenzialmente con una grossa base parlamentare, che dal vecchio pentapartito, oramai in aperta rotta, si allargava al Pds e ai Verdi, piccola formazione, ma nuova ed estranea al vecchio sistema del pentapartito. i ministri del Pds durarono ventiquattro ore Io seguivo dall'ufficio di Rutelli le difficoltà spaventose che stava incontrando in quel momento il Pds nel decidere se accettare o meno, ma finalmente il governo Ciampi fu varato il 28 di aprile e il 28 sera venne annunciato che quattro ministri erano del Pds e uno dei Verdi, il che era già una svolta storica perché si legittimava per la prima volta il Pds a governare, ma era una svolta graduale, non traumatica rispetto ai pentapartiti precedenti, con Ciampi presidente del Consiglio e con una serie di ministri, per di più altamente qualificati, che per la prima volta erano stati scelti senza trattative di partito. Il tutto è durato lo spazio di 24 ore: la mattina del 29 i ministri giurarono al Quirinale e si avvertiva la sensazione perfino fisica di una svolta profonda e anche gioiosa, perché inquel clima di disfacimento del vecchio si cominciavano a vedere novità: il referendum dieci giorni prima, ora il governo, le nuove facce dei ministri. Ricordo che, a mezzogiorno, partecipai con Rutelli a una conferenza stampa molto festosa all'Hotel Nazionale, in cui Rutelli alla presenza di tutte le associazioni ambientaliste, annunciava il programma di lavoro. li pomeriggio del 29, per una pura coincidenza casuale, c'era alla Camera la votazione sull'autorizzazione a procedere su Craxi e nel1' inavvertenza di quasi tutti scattò un trabocchetto parlamentare classico, una trappola per fare cadere un governo formato la mattina, che nulla c'entrava con quel voto parlamentare: Craxi ottenne la maggioranza in proprio favore su alcune votazioni, non tutte, e fu subito chiaro, perché alla Camera pochi minuti dopo il voto si hanno i tabulati della votazione e si possono fare le somme, che Craxi aveva ricevuto sottobanco una settantina di voti da chi sui banchi gli urlava contro, cioè dal!' area della Lega, della Rete e del Msi. Che fosse una trappola, poi, l'avrebbe riconosciuto anche un bambino dal fatto che, tre minuti dopo il voto su Craxi, c'era già una manifestazione organizzata davanti alla Camera, con urla contro il governo e il Parlamento. Ma stupidamente e irresponsabilménte il Pds e, purtroppo, anche i Verdi, ci cascarono e, col parere contrario mio e di pochi altri, decisero l'uscita immediata dal governo Ciampi per punire il Parlamento che aveva votato a favore di Craxi. E' una vicenda che seèondo me ha segnato una svolta nella storia italiana. Se l'Italia oggi si è incartata su se stessa, senza proseguire il processo di cambiamento graduale che pure nel terremoto si era sviluppato, la ragione sta in quel confronto fra il partito del crollo e il partito della transizione, o, in altre parole, fra il partito massimalista, populista, giustizialista e il partito riformatore, democratico, garantista. Occhetto credo dica la verità quando nel suo libro fa capire che fu D' Alema a chiedergli di ritirare i ministri dal governo, ma ciò non toglie che ogni leader politico deve assumersi le sue responsabilità. Comunque, di chiunque siano personalmente le responsabilità, quelle scelte comportarono la scelta dell'astensione: il governo Ciampi diventava a termine e a fine anno Ciampi doveva essere liquidato per andare rapidissimamente alle elezioni. Tutto questo impresse un' accelerazione enorme nel varo delle leggi elettorali. Cambiare un sistema elettorale che ha retto per 50 anni non è una cosa facilissima. Ricordo che a volte trovavamo errori sulle norme e per fortuna riuscivamo a correggerli, ma ali' ultimo momento, perché qualcuno faceva una verifica. E naturalmente la necessità di fare in fretta rese più forte la pressione del!' ala proporzionali sta, che allora, non dimentichiamolo, andava dal Msi a Rifondazione Comunista, dalla Rete alla Lega. Quella fretta portò anche al varo a tempi forzati della regolamentazione delle campagne elettorali, quella di cui si riparla in queste settimane. Il risultato fu, da una parte, quello di un eccesso, a volte maniacale, di normative, per cui adesso ci sono centinaia di eletti e di candidati non eletti, sottoposti a multe di 30, 40, 50, I00 milioni per errori formali o per ritardi di alcuni giorni, e dall'altra che cose macroscopiche come i conflitti d' interesse passassero senza neanche rendersene conto. Abbiamo discusso ore e ore casi come quello del politico locale che ad hoc si compra o si affitta la televisioncina locale per farsi propaganda elettorale e iIcaso più grave, quellodell 'eventuale presentazione del padrone delle principali tv private, di chi non le deve comprare perché le ha già, non fu esaminato. Ma ripeto: non si cambiano le regole da un giorno all'altro, di notte, improvvisando. Vi potrei raccontare come facevamo le leggi perché eravamo 5-6 persone in tutto: è una commissione di 30 che le vota, ma chi le fa sono 56 persone, che possono capire e non capire, pensarci e non pensarci e se tu non hai il tempo di farle vedere a degli esperti e di sottoporle al vaglio dell'opinione pubblica, tutto diventa abborracciato, improvvisato. Malgrado ciò si produsse un progetto perfettibile ma dignitoso di riforma della seconda parte della Costituzione nelle due materie principali: riforma dello Stato, cioè la questione regionalismo-federalismo, e riforma del governo, la questione del primo ministro, della sfiducia costrutti va. Ed erano tante le innovazioni importanti. Basti un esempio: oggi il Presidente del Consiglio può scegliere un ministro, che poi il Presidente della Repubblica nomina, ma non ha il potere di revocarlo. O c'è una mozione parlamentare di sfiducia ad hoc su di lui, che però deve avere la maggioranza -e finora non ne è mai passata una e ne sono state presentate varie-, oppure quel ministro resta lì anche se è in totale dissenso con il Presidente del Consiglio del cui governo fa parte. Una delle cose ovvie che avevamo introdotto è il fatto che il primo ministro ha il potere di nomina e di revoca dei ministri. Pensiamo a cosa sarebbe successo se fossimo riusciti ad andare alle elezioni 6 mesi dopo, avendo fatto o il federalismo o la riforma regionalista -e su questo terreno il progetto elaborato era molto avanzato-: avremmo tolto tutto il terreno alla Lega, che ha avuto l'esplosione massima proprio nel marzo facendo una campagna ali' insegna di un federalismo puramente flatus vocis, usando una parola vuota di contenuti come randello sulla classe politica. E se c'è una cosa su cui dò ragione a Berlusconi, perché sono testimone, è quando dice di aver sempre chiesto alla Lega: "datemi il vostro progetto federalista, datemi un pezzo di carta, ditemi cosa intendete" e di non aver mai avuto niente. Il progetto è stato presentato il 12 gennaio, se non ricordo male, e pochi giorni dopo si è sciolto il Parlamento. Io ho vissuto in prima persona il dramma di una donna come la Jotti, che è diventata presidente della commissione quando De Mita ha dovuto dimettersi per le vicende del fratello, la quale, essendo tra l'altro un'antica membra della Costituente del '46-'47, della stessa commissione dei 75, aveva preso con molto impegno questa carica. Ma il suo stesso partito all'interno della commissione faceva di tutto per delegittimarla, per impedirle di fare. A un certo punto il relatore di una delle parti di questo progetto, Bassanini, cioè l'esperto del partito della Jotti in materia di riforme costituzionali, minacciò le dimissioni da relatore per costringere la Jotti a frenare la sua volontà di accelerare i tempi per arrivare all'esame. Ma sia la Lega che la sinistra erano entrambe convinte di poter e dover dare la mazzata definitiva al vecchio sistema, quello era ormai il clima incandescente che si era creato nell'autunno del '93. Ogni giorno c'era un martellamento costante sul Presidente della Repubblica perché sciogliesse il Parlamento. una sinistra che scappa se c'è da governare Feci una lunga interrogazione al Presidente del Consiglio indicando tutte le occasioni in cui la Lega insultava il Presidente della Repubblica Scalfaro in modo violentissimo e feroce. Allora la Lega considerava Scalfaro poco meno di un criminale, oggi siamo a parti rovesciate con la Lega che difende Scalfaro e qualcun altro che lo attacca: paradossi dei tempi che viviamo. Se ci andassimo a rivedere le tribune politiche di allora vedremmo che quasi tutti continuavano a dire "bisogna sciogliere il Parlamento e andare a nuove elezioni". Era la follia, frullo della scelta fatta quel 29 aprile, abbandonando la logica del governo Ciampi. E il Pds non capiva su quale china ci si stava mettendo? La sinistra credeva di avere la vittoria in tasca, si sarebbe magnanimamenteoccupala delle regole poi. "Le faremo dopo", dicevano, senza rendersi conto che, chiunque vinca, è completamente diverso fare le riforme costituzionali col sistema proporzionale e farle col sistema maggioritario. All'obiezione che bisognava dare tempo alle forze politiche di riorganizzarsi, di rifondarsi, di riflettere, perché ci vuole tempo per cambiare in politica -il Ppi dovette fare il congresso di fondazione praticamente già a elezioni indette- la risposta era: "non diamo il tempo alle destre di riorganizzarsi". Il risultato s'è visto: le destre hanno vinto le elezioni. Non parliamo di cosa fu la campagna elettorale. Tutti quelli che avevano una concezione riformatrice, graduale, equilibrata, della transizione democratica, sono stati quasi tutti Iiquidati perché oggetti vamente alleati della destra. Oggi ci lamentiamo che le coalizioni del marzo '94 erano abborracciate e improvvisate. E se sicuramente lo era quella di destra perché non si può fare un'alleanza al nord con la Lega e una al sud col Msi mentre i due si insultano in tutta la campagna elettorale, la sinistra non fu da meno. Chiunque abbia conosciuto quelli che vanno sotto il nome sciagurato di "tavoli dei progressisti" sa che i peggiori esperimenti di intergruppi della nuova sinistra degli anni '70 erano un capolavoro di equilibrio, rispetto alla guerra per bande, alla rissosità e alla strumentalità di quei tavoli, dove l'unico problema era piazzare i propri nei collegi che si ritenevano vincenti. Si potrebbe fare uno studio psichiatrico sul concetto di collegio vincente. Quali risse, quali coltellate, quali lotte hanno suscitato quei collegi vincenti che nel 90% dei casi, o perché non c'erano i voti o perché candidati erano ignobili, sono diventati perdenti! Non so se avete mai riflettuto sul- !' idiozia del concetto di progressismo: se c'è qualcosa che fa a pugni con una moderna concezione dei rapporti fra uomo e ambiente, fra uomo e scienza, fra uomo e produzione è la cultura di progresso che è un'ideologia ottocentesca tardoilluminista, esattamente l'opposto di una moderna cultura politica. Noi siamo arrivati a presentarci - noi?loro?-nell'annodigrazia 1994, alle elezioni con un concetto riesumato negli anni '30 dallo stalinismo, quando, superata la teoria del social-fascismo, bisognava recuperare come "compagni di strada" i socialisti. L'idea che nel '93-'94 si potesse affrontare la sfida di governo con questi concetti, con questa cultura politica è un'idea folle. Il bello poi era che tutto questo andava esattamente nella direzione opposta ali' indicazione che duetre mesi prima era venuta dall'elezione dei sindaci. Quali sindaci avevano vinto in Italia? I Castellani, i Rutelli, i Sansa, i Cacciari, quelli che avevano un' impostazione di centro-sinistra, di sinistra moderata, capace di conquistare il centro. Avevamo avuto tre casi paradigmatici che ci dovevano insegnare cosa sarebbe successo se quella fosse stata, come poi è stata, l'impostazione dei progressisti: Novelli a Torino, Dalla Chiesa a Milano, Fava a Catania. Tre casi in cui una sinistra egemonizzata dalla Rete, con posizioni oltranziste, masUNA CITTA' Abbonamento annuale La testata UNA CITTA' è di proprietà della cooperativa UNA CITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Rosanna Ambrogetti, Paolo Bertozzi, Rodolfo Galeotti, Franco Melandri, Gianni Saporetti, Sulamit Schneider. Redazione: Rosanna Ambrogetti, Marco Bellini, Fausto Fabbri, Silvana Massetti, Franco Melandri, Morena Mordenti, Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). Co/laboratori: W CarrdoeRi irparmdiFi orlì s.p.A. a 1Onumeri: 40000 lire. e.e. postale n.12405478 intest. a Coop. Una Città a r.l. - Forlì Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421 Si possono richiedere copie saggio. UNA CITTA' è alle librerie Feltrinelli. 4na copia: 5000 li.re Edoardo Albinati, Loretta Amadori, Antonella Anedda, Giulia Apollonio, Giorgio Bacchin, Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Barbara Bovelacci, Vincenzo Bugliani, Dolores David, Hubert Gasser, Liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Gianluca Manzi. Carla Melazzini, Enzo Nicolodi, Linda Prati, Carlo Poletti, Edi Rabini, Gigi Riva, Rocco Ronchi, don Sergio Sala. Interviste: A Marco Boato: Gianni Saporetti e Massimo Tesei. A Claudio Risso, Silvano Faroppa, Chiara Cane: Marco Bellini. Allo studente napoletano: Carla Melazzini. A Sabina Siniscalchi:Gianni Saporetti. A Ulla Barzaghi'. Gianni Saporetti. A Fabio Levi: Gianni Saporetti. A Filippo Bucare/li: Massimo Tesei. A Franco Lorenzoni: Massimo Tesei. A Peppino Ortoleva: Marco Bellini. A Clara Sereni: Massimo Tesei. Disegni: di Stefano Ricci. Foto: di Fausto Fabbri. In copertina: dall'album personale di Ulla Barzaghi. A pg.4-5 di Marco Bellini. A pag.6 di Tano D'Amico. A pag.13 di Enzo Nicolodi. In copertina: Enrico Barzaghi. Grafica: "Casa Walden". Fotoliti: Scriba. Questo numero è stato chiuso il 22 febbraio '95. - CONTO, l!!!1 M. O a 10 anni da 11 a 19 anni Perloroil migliorfuturopossibile

simaliste, populiste, giustizialiste. aveva sistematicamente perso. Ora, se dovessimo con sintesi brutale riassumere qual è l'errore principale fatto prima del marzo '94, potremmo dire che si è cercato di vincere seguendo una scorciatoia, non la strada maestra. La strada maestra era la transizione graduale. la scorciatoia era prendere gli altri in contropiede e rimandare al futuro la questione delle regole. Questa ha portato nel baratro. Ma forse un'altra atroce verità emerge dalla storia italiana: ogni volta che la sinistra si avvicina alla possibilità di governare, scappa, fa di tutto per non dover affrontare la sfida di una cultura di governo che è diversa dalla cultura dell'opposizione. Ma se nel sistema proporzionale può sopravvivere benissimo anche per secoli una cultura dell'opposizione, che non fa affatto schifo, nel sistema maggioritario la cultura del l'opposizione non esiste. Esiste che se perdi fai I' opposizione, ma la sfida è fra due culture di governo, chi perde fa l'opposizione per riproporsi per iI governo. Anche far cadere Berlusconi sia stata la seconda scorciatoia? Dopo la sconfitta di marzo, a chi continuava con angoscia a chiedere come si potesse recuperare, ho sempre ripetuto: prima queste cose si potevano fare, ormai il disastro è tale che è troppo tardi per avere fretta. E invece, di nuovo la fretta! Il governo Berlusconi era ormai destinato a cadere, perché aveva passato mesi di completo stato confusionale -ricordiamoci cosa è stata l'estate '94-, aveva avuto, anche nel consenso, un crollo che i sondaggi registravano, le sue contraddizioni interne erano dilaceranti. Quel governo sarebbe caduto magari a febbraio, a marzo, ma agli occhi dell'opinione pubblica sarebbe caduto per la propria incapacità di governare. Per la seconda volta, che mi auguro ultima, ma non ci giurerei, si esce dalla strada e si prende la scorciatoia: fare dal1'esterno, da parte del Ppi e del Pds, da sponda al la Lega. In Parlamento il 21 dicembre furono presentate due mozioni parallele, una firmata da Buttiglione e Bossi, l'altra firmata da Berlinguer, che erano convergenti, tant'è che ci si illudeva che fossero mozioni all'insegna della sfiducia costruttiva, che significa buttare giù un governo perché se ne può fare subito un altro. Si dava, cioè, per sancito un accordo fra Ppi e Progressisti che si sarebbe saldato poi con la Lega. Ora, questa è stata la seconda operazione scandalosa per cercar di vincere non con le tue gambe, col tuo progetto, col tuo consenso, ma attraverso una scorciatoia: la Lega, che fino a poche settimane prima era un partito inaffidabile, fatto di irresponsabili, di destabilizzatori, di gente che si faceva scudo del federalismo per solleticare gli istinti peggiori del nord italiano diventa improvvisamente la salvatrice della democrazia. Buttiglione, che fino a poche settimane prima era considerato colui che aveva battuto la sinistra interna del Ppi, che aveva vinto il congresso su una logica di centrodestra, diventava l'interlocutore privilegiato in una logica di centrosinistra. Quando a Striscia la notizia furono carpite quelle conversazioni a bassa voce fra lui e Tajani, in cui lui proponeva un accordo con Forza Italia per far fuori il Pds e la Lega, si è ritenuto che quella fosse poco meno che una barzelletta, mentre quella era la sua strategia politica già detta e, in quell'occasione, ripetuta a bassa voce. Orlando, l'ormai decaduto leader della Rete, arrivò a dire che '·Buttiglione probabilmente sarà il nuovo Moro della politica italiana•·, il che fa capire che ormai non c'è più nessuna bussola, nessun criterio di orientamento, nessuna serietà nei giudizi: quello che una volta è un pericoloso secessionista l'altra volta è il salvatore della democrazia; quello che una volta è un ciellino integralista l'altra volta è il nuovo Moro, cioè l'opposto dell'integralismo. E la scorciatoia per la seconda volta porta al disastro: la sfiducia costruttiva non ha funzionato perché la Lega si è disgregata, perché i numeri non c'erano, perché era bene che non ci fossero, ma l'operazione ha fatto sì che un Berlusconi e una maggioranza di centro-destra in gravissime difficoltà, presentandosi come vittime del "traditore", del "giuda", del "voltagabbana", di chi piglia i voti da una parte e poi li regala all'altra, hanno risalito la china dei consensi. Tutto questo non lo dico in difesa di Berlusconi, lo dico perché la sinistra rischia di eleggere per la seconda volta Berlusconi. E anche questa volta, nel frattempo, si era riproposta la vicenda dei sindaci con la vittoria paradigmatica con Martinazzoli a Brescia. Di nuovo, cioè, si era visto che si riescono a conquistare le città laddove si mettono in campo visibili candidature dell'area di centro-sinistra, su posizioni di gradualismo, capaci di conquistare il consenso di quella parte di centro non ancora saldata con la destra. Ora il centrosinistra sembra essere un dato acquisito ... Nell'annodi grazia 1995, febbraio, si è arrivati finalmente a capire, almeno a parole, quel che non si era voluto capire alla fine del '93: in un sistema maggioritario non si possono vincere le elezioni attraverso l'unità delle sinistre, che in Italia sarà sempre perdente e minoritaria, perché il suo tasso di consenso, fra il 30-35%, è rimasto immutato dal '46 ad oggi. Ci si è resi conto che se si vuole tentare di sfidare in modo potenzialmente vincente la proposta di centrodestra che, obiettivamente, al di là delle loro contraddizioni interne, che pure ci sono, si sta sempre più saldando, si devono fare convergenze programmatiche sulla base di un progetto riformatore democratico, che saldi il centro alla sinistra liberale, non massimalista, non populista, non giustizialista, una sinistra che si candidi a governare e non a stare all'opposizione. In questo contesto la discesa in campo di Prodi è sicuramente un elemento positivo perché Prodi è espressione di una cultura riformatrice liberaldemocratica, attenta ai problemi della solidarietà, del cambiamento, e può suscitare energie all'interno di un mondo cattolico democratico che altrimenti avrebbe potuto essere fortemente attratto dalla saldatura con la destra. un'assemblea costituente è ormai inevitabile Inoltre è un elemento di accelerazione di quel processo di cambiamento delle forze politiche che è ancora molto in alto mare. Abbiamo ormai due Psdi, quattro Psi, due Pri, due Dc e poi i Cristiano Sociali, Ad, due Leghe, adesso forse un nuovo Msi, eccetera: una moltiplicazione, cioè, invece che una riduzione, di forze politiche e in Parlamento si forma un gruppo parlamentare nuovo al la setti mana. Credo che attorno a una candidatura come quella di Prodi potranno aggregarsi quattro aree politiche: un'area cattolico-democratica, un'area ambientalista, un'area laica che in qualche modo riassuma tutte le varie componenti disgregate del mondo laico precedente e un'area di sinistra di governo che fa riferimento al Pds. E la riforma istituzionale? Sul piano politico istituzionale la questione fondamentale è quella della riforma della Costituzione. Ritengo che tutte le invenzioni di D' Alema, da una parte, e di Bossi, dall'altra, ma anche di altri con loro, di un governo delle regole, di un governo costituente di cui si siano riempiti la bocca in ottobre, novembre e dicembre, sono giustamente scomparse: erano un puro espediente ideologico per mascherare il cosiddetto "ribaltone" o per mascherare l'impotenza di affrontare la questione delle regole non come questione di schieramento, ma come problema che deve interessare tutti gli attori politici sulla scena. A questo punto, siccome riforme costituzionali varate da un parlamento maggioritario sarebbero sospette -le regole del gioco non possono essere cambiate con prevalenza maggioritaria di uno schieramento sull'altro, ma cercando, se non l'unanimità che non ci sarà mai, larghe convergenze- e siccome, invece, il prossimo Parlamento, chiunque vinca, sarà un Parlamento un po' più maggioritario dell'attuale, l'unica soluzione, a cui personalmente penso da molti mesi e che adesso vedo farsi faticosamente strada nel mondo politico, è quella di varare il più presto possibile, con una legge costituzionale ad hoc che modifichi una tantum l'articolo 138 della Costituzione, una legge costituzionale per eleggere un'Assemblea Costituente, su base proporzionale, che affronti la riforma organica della seconda parte della Costituzione, quella che riguarda l'ordinamento dello stato. Non si tratterebbe cioè di rifare tutta la Costituzione, questo in genere avviene dopo una rivoluzione o un colpo di stato o una guerra. In Francia avvenne dopo l'Algeria, in Italia dopo la seconda guerra mondiale, in Unione Sovietica dopo la fine del comunismo. Noi dobbiamo ritenere che i principi fondaSOGGIORNI IH CAMPMHA /!pt~pA S.S.1'2 ~li C,P, -100 ·.95()lfS MISr~QIANCO (cr) TtJ.../FA)( 095- '113002. 9 eca 1no 1anco mentali della nostra Carta costituzionale siano rimasti sostanzialmente validi, anche se io ritengo che nella prima parte della Costituzione alcuni articoli vadano cambiati -per esempio gli articoli 9, 24 e 32 in materia ambientale o l'articolo 21 in materia di libertà di stampa che fu scritto in una fase in cui dei moderni mass-media esisteva sÒlo la stampa, per l'appuntoma sono questioni di principio che possono essere affrontate successivamente. In questa fase va cambiato l'ordinamento della Repubblica: tutte le questioni che vanno sotto i nomi di regionalismo e federalismo, di primo ministro, di sfiducia costruttiva, di elezione diretta o meno del Presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica, la questione delle garanzie costituzionali, dei quorum qualificati per le elezioni dei giudici costituzionali, dei membri del Csm e del Presidente della Repubblica, l'eventuale allargamento dei compiti della Corte Costituzionale. Tutte questioni da affrontare non singolarmente articolo per articolo, ma in un disegno organico perché ogni cambiamento si ripercuote sugli altri. E anche le leggi di rilevanza costituzionale in materia di informazione, di conflitti di interessi, che dilacerano la scena politica oggi, potrebbero essere affrontate meglio da un'assemblea costituente su base proporzionale, depotenziata degli elementi di conflitto politico quotidiano legati al rapporto col governo. Per eleggerla potrebbe essere adottata, per esempio, la legge elettorale delle elezioni europee; la sua composizione dovrebbe essere limitata a un massimo di cento componenti, eletti ad hoc per quella assemblea e che non possano essere rieletti e candidati immediatamente dopo nelle elezioni politiche ordinarie; la sua durata limitata, potrebbero anche bastare 18 mesi. A questa proposta si risponde, da parte di alcune persone anche di grande nobiltà storica e d'animo, penso a Dossetti, o, per altri versi, a Stefano Rodotà, che è sbagliato fare l'assemblea costituente perché i problemi da affrontare sono problemi di carattere politico, che la Costituzione, se va toccata, va toccata con mille precauzioni e mille garanzie soltanto in aspetti marginali. Col massimo rispetto anche per la dignità con cui sostengono questa tesi, devo dire di essere in totale disaccordo perché ritengo che una fase drammatica come quella che sta vivendo l'Italia -in cui si sommano le crisi strettamente politiche a quelle di carattere istituzionale a quelle di carattere economico, finanziario, nel contesto internazionale in cui tutto questo si colloca- sia un gravissimo errore ritenere di poter conservare l'esistente. Lasciare che la situazione si incancrenisca e si incarognisca, come sta sistematicamente avvenendo da oltre un anno, potrebbe portare semplicemente al collasso del sistema, magari determinato da questioni di carattere economico-finanziario o da questioni legate alla criminalità organizzata o a tutte due le cose assieme o a una situazione di paura collettiva che improvvisamente potrebbe diffondersi. meglio avere un Fini che avere Le Pen Proviamo a immaginare cosa potrebbe succedere nel momento in cui marco e dollaro andas~~ro alle stelle e si cominciasse a vociferare di consolidamento del debito pubbi ico: alcuni milioni di rispa1TI1iatori italiani contemporaneamente, nella stessa settimana, si potrebbero presentare agli sportelli delle banche chiedendo di monetizzare i loro bot. Fenomeni che nella storia succedono, e improvvisamente: è la differenza fra crisi prolungata e catastrofe. Le piccole scosse che si ripetono nel tempo e poi improvvisamente il terremoto distruttivo. C'è il rischio di uno scollamento fra laCostituzione formale e quella chiamata "materiale"? Alla permanenza della Costituzione formale, quella del '48, si sovrappongono i rapporti di forza effettivi non codificati in norme. E questo avviene non solo per aspetti deteriori -questioni di interessi, di conflittualità debordante dalle immagini istituzionali-, ma anche per gli aspetti più nobili. Prodi alle 17.45 del 6 febbraio dà un comunicato ali' Ansa in cui sostanzialmente annuncia che si candida a fare il Primo Ministro in Italia. Bene, il significato politico di questa dichiarazione lo capiamo tutti e personalmente lo condivido, ma dal punto di vista costituzionale, che non è secondario, vuol dire comportarsi come se in Italia esistesse l'elezione diretta del Primo Ministro, mentre in Italia esiste un sistema parlamentare con l'elezione diretta dei deputati e dei senatori, che a loro volta danno la fiducia a un Presidente del Consiglio nominato dal Presidente della Repubblica. Dichiarare di candidarsi a fare il Primo Ministro e trovare un così largo consenso è, di fatto, legittimare il passaggio da un sistema di governo parlamentare a un sistema a elezione diretta, presidenziale o semi-presidenziale. Credo basti questo esempio per capire quanto la realtà attuale faccia già a pugni con la Costituzione tuttora in vigore. Quindi, delle due: o si lascia totalmente delegittimare la Costituzioneesistente, talmente poco importante da poter fare come se non esistesse, oppure si prende atto che bisogna cambiarla e a viso aperto. Pensi che esista un pericolo di destra ancora non democratica? Penso che il congresso di An sia stato una cosa importante per la democrazia in Italia. Non ho nessuna simpatia per An, non mi alleerò mai nella mia vita con An, salvo dovessi votare una legge costituzionale sull'assemblea costituente, che è un caso di accordo sulla regola per cambiare le regole, non avrei nessun interesse ad avere un rapporto di alleanza di qualsiasi tipo con An. Ma proprio perché dico questo, riconosco anche che quel congresso, in cui il partito postfascista fa una scelta contro l' antisemitismo, contro il razzismo, riconoscendo esplicitamente il ruolo storico dell'antifascismo, è una conquista per la democrazia italiana. Dopodiché restano avversari politicamente da battere. Non c'è dubbio che dentro ad An ci siano ancora molti che sono culturalmente fascisti, come dentro il Pds e Rifondazione comunista, specialmente per ragioni di età, di generazione, ci sono molti stalinisti, formati nella cultura totalitaria di quegli anni. Non per questo però io delegittimo D' Alema o Occhetto, non per questo penso, che so, che Bertinotti sia un capolavoro di totalitarismo. Tutto sommato, penso che l'Italia sia un paese fortunato dal punto di vista democratico ad avere An anziché un Le Pen o un Schonhiiber. E' singolare che gente della sinistra Dc per attaccare Buttiglione dica che An è un covo di fascisti. Non so se avete mai sentito come parla Andreatta dei fascisti oggi: ne parla come un estremista di sinistra degli anni '70, quando i fascisti erano fascisti davvero e c'erano le bombe, le stragi e tutto il resto. E' la riprova di un impazzimento della politica. Il vizio principale dello scontro ideologico politico, nell'ultimo anno e mezzo, non è stata la durezza dello scontro, ma è stato il tentativo reciproco, sistematico, di delegittimazione, cioè il non riconoscere legittimità all'altro. Se tu riconosci la legittimità delle scelte dell'altro poi puoi fare lo scontro anche più duro perché la democrazia è conflitto, lo scontro può essere anche feroce sul piano dei contenuti, ma a partire dal fatto che tu riconosci ali' altro legittimità. - UNA CITTA' 3

da Alba B PAV Una delle fabbriche più moderne del mondo sommersa da fango, da sabbia, da detriti di ogni genere che in 25 giorni riprende la produzione. Un miracolo dell'abnegazione e cooperazione di migliaia di dipendenti e dirigenti, rimasto sconosciuto anche per la riservatezza della gente delle Langhe. Intervista a Claudio Risso, Silvano Faroppa, Chiara Cane. Claudio Risso è segretario regionale della F.a.t.Cisl Piemonte, Silvano Faroppa e Chiara Cane sono delegati difabbrica alla Ferrero di Alba (Cn). Claudio. Di quello che è successo alla fin fine se n'è parlato poco proprio per la riservatezza che c'è dalle nostre parti. E' sempre stato così. La stessa cultura manageriale, che pure non è chiusa ali' interno e interviene molto sul sociale, non dà troppo rilievo alle cose che si fanno. Anche con l'alluvione è scattato questo riflesso, che poi ha impedito che certe foto venissero pubblicate e che le televisioni avessero libero accesso in fabbrica. Quando sono venuti Berlusconi e Scalfaro, che ovviamente non potevano non entrare, hanno trovato già tutta la gente ali' opera che cercava di levare i segni del disastro. Magari da un'altra parte si aspettava, si lasciavano lì per far vedere cos'era successo, qui no. La voglia di tornare alla normalità ha preso subito tutti. Così, nemmeno a un mese dall'alluvione, le prime linee sono ripartite. Un risultato davvero incredibile per chi avesse visto le immagini di quel lunedì col fango e l'acqua che in certi posti arrivavano a tfe metri. E ora, per ricordare, ci sono dei segni; ma messi a bella posta ... Chiara. Sì, ali' entrata, con la data e il livello raggiunto dall'acqua. A memoria dei posteri. Ma dentro non c'è più nessun segno, tutto è cancellato. Forse è quella mentalità di voler escludere, di voler cancellare in fretta le cose brutte per ritornare al più presto alla normalità, migliorandosi anche. Certamente, però, le persone che si sono trovate lì dentro conserveranno una foto che rimarrà impressa per tanto tempo. Silvano. Il lunedì l'impatto fu tre- . mendo. All'ingresso la prima cosa che veniva da dire era: "è finito tutto". Penso che questa sia stata anche la considerazione dei massimi dirigenti. Anche perché l'ingresso è uno dei punti più elevati dello stabilimento, per cui uno immaginava cos'era successo nelle zone più basse: tre metri d'acqua, gli impianti sommersi. Poi, però, è scattata immediatamente la reazione, la voglia di cancellare in fretta. Con questo non si vuol dire che la gente di Alba, la gente della Ferrero, sia il meglio che si può trovare in giro. E' il nostro modo di affrontare qualunque tipo di evento, che deriva dalla nostra cultura, dalle nostre radici. E' iniziata subito una corsa a lavorare alla velocità massima, con un unico scopo: riuscire a vedere il pavimento. Una corsa che è durata tre giorni. E il terzo giorno in alcuni reparti riuscivamo già a vedere le piastrelle. Era il primo traguardo raggiunto, ma importantissimo a fronte di quella massa di fango, acqua e quant'altro, del lunedì. Ho visto gente che non si è mai fermata in otto ore, cosa che, ovviamente, non succede in orario di lavoro normale. Ho visto una grande collaborazione, devo anche dirlo, tra operai e capisquadra, capiisola e dirigenti. In quei primi giorni lì non esistevano più gerarchie: solo la fretta di cancellare. Il terzo giorno i generatori hanno sostituito le fotocellule e si sono normalizzati orari e turni; questo ~a reso anche più efficace l'intervento ·perché trovandosi in migliaia sullo stesso orario di lavoro ci si ostae0lava anche. Erano turni di otto ore, ma senza rigidità. Se qualcuno aveva dei problemi seri a casa non c'erano vincoli, faceva solo sei ore o arrivava alle 8 del mattino e andava via alle 12. Poi quasi tutti, senza che nessuno glielo imponesse, hanno rispettato in modo rigido la turnazione. Fare la notte in quelle condizioni, al freddo, all'umido, con l'acqua dappertutto, non era affatto piacevole ma, a differenza di quanto solitamente succede in condizioni normali, non ho sentito nessuno che si sia lamentato. Ci si fermava solo per il pasto. In quei giorni c'è stata la novità dei pasti caldi in Ferrero, che non abbiamo normalmente perché non c'è la mensa. Arrivavano confezioni non so da dove e a mezzogiorno, con i tavoli improvvisati, si sono fatte lunghe tavolate: una cosa nuova, apprezzatissima dalla gente, perché dopo 5-6 ore nell'acqua e nel fango, mangiare un pasto caldo ti può anche far ritornare il buonumore. I primi due giorni parecchi operai, che lavorano anche la terra, hanno portato giù i trattori. Se quel fango, se quella miscela terrificante di sabbia e di ogni genere di detrito si fosse seccata sugli ingranaggi avrebbe avuto un effetto devastante: il danno sarebbe stato di cento invece che di dieci. Allora i trattori attrezzati con le pompe per l'acqua alle viti che potevano usare l'acqua portata con le autocisterne, perché non c'era più niente, neanche l'acqua, sono stati impagabili. Ferrero dovrà essere riconoscente a questi colleghi di lavoro che per parecchi giorni sono stati dentro l'azienda coi loro trattori. Insomma, la risposta è stata forte e immediata da parte di tutti. E se qualcuno non è stato lì da subito è perché non ha avuto notizie per due o tre giorni, o perché le strade erano bloccate. E non ho notato neanche diversità di comportamento fra chi è in azienda da tanto e chi da poco. Abbiamo avuto parecchie presenze di ragazzi che sono a contratto stagionale e questo la dice lunga sulla risposta che c'è stata: gente a cui scadeva il contratto in quella settimana è venuta, li ho visti io, ci ho lavorato insieme. CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' 4 UNA CITTA' f"Q Claudio. Come diceva Silvano per capire gli operai della Ferrero bisogna conoscere la caratteristica della gente di Langa: un'estrema riservatezza nell'affrontare i problemi. Ti faccio un esempio, se vuoi indicativo: tutte le sorprese delle uova kinder erano sparse dappertutto, in città e fuori, ma i bambini, quando vedevano questi enormi mucchi di sorprese, da loro tanto ambite, avevano quasi come un senso di rispetto. Non le prendevano, le posavano di nuovo, magari rimproveravano il compagno che era tentato di prenderle. Si avvicinavano ai mucchi di questi giocattolini e poi scappavano via. E' il segno che anche nei bambini si ritrova quella cultura lì. E sono immagini che poi servono a far capire, che danno anche l'idea di quella che è la cultura della gente, di quel lo che si è fatto, di quelle che potevano essere le sensazioni di quel momento. Ma sembra che questo non interessi i giornali nazionali, che non approfondiscono, che cercano semplicemente loscoop. In quei giorni c'era il problema delle pensioni e il titolo su Il giornale di Feltri fu: "a Roma si sfila, a Cuneo si spala". Strumentalizzazione incredibile, perché qui, finiti i primi 6-7 giorni di emergenza, le due preoccupazioni si sommavano. Gli operai che spalavano avevano anche la paura che si strumentalizzasse l'alluvione per far passare determinate cose. E il rischio, a un certo punto, c'è stato. Bisognerebbe cercare di capire cosa pensa veramente la gente, di capirle anche, certe culture, invece di fare determinati titoli. Silvano. Il Tanaro ha portato tutto a valle, azienda per azienda ha spostato a valle la produzione. L'acqua è così, si porta dietro tutto, poi, dove si ferma, lascia. Attorno alla Ferreroc'erano ipalloni della Mondo Ruber che è 3 chilometri sopra. I prodotti Ferrero erano anche alla Miroglio, che è più a valle ancora. Non era difficile vedere cose strane in giro in quei giorni. I bambini avevano a disposizione un campionario incredibile di "coccodritti" e di tutto il resto, ma è intervenuta quell'educazione che poi crescendo uno si porta dietro, quella forma di rispetto che ti suggerisce: "in questo momento è barbaro toccare, perché non è roba che ci appartiene". Chiara. La maggior parte degli operai e delle operaie Ferrero aveva avuto danni anche a casa. Ciononostante hanno fatto i turni, controvoglia magari, perché dovevano pensare anche a quello che era successo a casa propria, ma, al massimo, si facevano trovare in un turno invece che in un altro. Noi donne abbiamo cominciato al mercoledì quando ci hanno lasciato entrare ... Silvano. Non siamo stati maschilisti ! Tutt'altro, i primi due giorni era talmente pesante il lavoro che non ci sembrava proprio il caso. Le donne sono tornate utilissime quando poi c'era da pulire gli impianti, ma la prima smazzata era faticosa in modo bestiale. Bisognava muoversi in 30 cm. di fango, bisognava spostare interi impianti, perché I' acqua aveva spostato da un reparto all'altro le attrezzature. Le pedane di prodotto finito si trovavano in un reparto invece che in un altro, abbiamo dovuto caricare e sbattere tutto fuori. Il fabbricato sarà 50.000 mq! Togliere il fango e vedere il pavimento: l'importante era quello. Tu toglievi e ritornava, non riuscivi a capire neanche se avevi fatto qualcosa oppure nulla. Poi, invece, poco per volta ... Chiara. lo direi che le donne sono state al pari degli uomini. Problemi ne avevano tutte e chiaramente chi ne aveva bastava lo dicesse al capolinea e tutto si risolveva. Chi aveva dei bambini piccoli poteva anche starsene a casa. Ma, almeno ali' incarto, che è il reparto più grande, dove incartiamo i Mon-Chèri, i Pocket-Coffee, le donne sono venute tutte. Quando siamo entrate era proprio un disastro: tutto sporco, molta fanghiglia, molta acqua, impianti che non c'erano neanche • Disinfestazioni - Derattizzazioni - Disinfezioni • AJlontana111ento colo111bl da edifici e 111onu111entl • Disinfestazioni di parchi e giardini • Indagini naturallstlche 47100Forlì• viaMeucci,24 (ZonaIndustriale) Te/. (0543) 722062 Telefax (054.1) 712083 quasi più perché delle macchine erano già state portale a pulire. Ricordarlo come l'avevo lasciato il venerdl e ritrovarlo il mercoledì così vuoto, sporco, annebbiato, fuligginoso, mi ha lasciato proprio un'immagine di disgusto, come fossi entrata in un camino molto sporco. Però, poco per volta, con la rabbia dentro, siamo andate avanti. Forse è stata anche tanta rabbia che ha sfruculiato dentro le persone e le ha spronate. Silvano. Devo dire che le donne sono state importantissime proprio nella seconda fase, per un lavoro anche più difficile del nostro. Noi siamo entrati, con stivaloni e pala, a togliere fango, e dal! 'inizio turno alla fine era duro, ma alla fine del turno uno poteva già avere una piccola soddisfazione, riusciva a vedere un qualche cambiamento nell'aspetto del reparto. Quando Lutogli sul macro poi hai quella piccola soddisfazione di dirti: "toh, incomincio a vedere i contorni di qualcosa". Quando sono intervenute le donne le aspettava un lavoro massacrante, ma che non dava soddisfazioni. Si sono infilate in queste linee, in questi macchinari giganteschi tra l'olio, il grasso, armate di pennellini e di disinfettante, per andare a lavare proprio i particolari, a sanitizzare tutto perché noi facciamo prodotti alimentari. E lì, il risultato poi non lo vedi. Un lavoro di cesello così noioso solo le donne sarebbero state capaci di farlo. Le vedevi uscire conciate in modo pietoso; non so quanti uomini avrebbero retto tre o quattro giorni quel tipo di lavoro. Insomma, ci siamo divisi i compiti: quello che era faticoso è stato fatto velocemente, molto bene, poi sono intervenute le donne, tante, tantissime, sono intervenute alla grande e hanno completato l'opera. Senza di loro non si sarebbe potuto riprendere in così poco tempo, assolutamente. Chiara. Sì, non è stato tanto simpatico, però, in quel momento lì si faceva tutto e spontaneamente. E anche se ti dicevano "vai da un'altra parte", non ti pesava, era logico cooperare insieme. Il 3 dicembre l'incarto partiva. Poi, il IO dicembre, sono partite tutte le linee, appena un mese dopo il disastro. Va detto, però, che ci hanno aiutato anche i militari. Saranno stati 300, anche loro divisi in turni. Avevano la loro "caserma" al piano rialzato dei cereali. E anche loro spalavano, poverini. Il magazzino automatico è merito loro. Silvano. Mentre uscivamo mascherati di fango dalla Lesta ai piedi li abbiamo visti tutti in fila, vestili di verde, con la pala nuova in spalla, che ci guardavano preoccupati. Qualcuno cominciava a grattarsi la capoccia. All'indomani li ho rivisti, erano proprio statue di fango, poveretti. Ma altri volontari non potevano entrare, asso Iutamente. Era proprio tassativo, entravano esclusi vamente i dipendenti e i militari. All'ingresso c'erano i capi di ognuna delle sei isole che a occhio, perché lì ci si conosce, individuavano gli appartenenti al la propria isola, prendevano i nominativi, formavano le squadre, poi li indirizzavano. Ma non è entrato nessuno che non fosse dipendente. Anche questo fa parte del modo di essere di questa azienda, giusto o sbagliato che sia. D'altronde, tranne che negli ultimi tempi che a livello televisivo è tanto pubblicizzata, è un'azienda che è esplosa senza far troppo rumore. Ancora oggi credo che nessuno, all'infuori di noi, conosca fisicameme il signor Michele Ferrero. Non è mai apparso in televisione e mi sono anche stupito, l'altro giorno, vedendo su Class un'intervista al figlio con servizio fotografico e tutto perché normalmente la Ferrero non appare mai. E anche nella vicenda dell'alluvione è stata coerente con questa sua linea. Silvano. Ora dell'alluvione non se ne parla più. Ma è così anche fra gli esterni alla Ferrero. Gente che aveva attività proprie e che è stata messa in ginocchio, a distanza di ': ,~ .· ' ~;· 1 ~. ·~ " '~, N,_._, ' due mesi non ne parla più. Anche se non ha avuto aiuti dallo Stato. Al massimo hanno messo i segni del1'acqua e hanno scritto sulle vetrine, con un giusto senso polemico che "hanno ripreso grazie agli amici ma lo Stato non si è visto", così che chiunque passa riesce a capire cos'è successo, ma poi non se ne parla più. Anche questo è normale proprio per tagliare con quella cosa brutta che c'è stata, proprio per non averla più presente. E se nel profondo dei segni resteranno e se certi flash ritorneranno alla mente magari per dieci anni ora non si sente più nessuno che accenni a questo disastro. Chiara. Resta la rabbia per come tutto è successo, per non aver capito subito, per non essere stati avvisati in tempo. lo ho visto l'alluvione in modo minimo, anche perché per noi è logico che ogni tanto scenda giù tanta pioggia e casa mia non è stata toccata per niente. Alla domenica è mancata la luce, acqua, gas e mi ha telefonato una mia amica: "guarda che l'acqua ha divelto la portineria alla Ferrero". Onestamente, mi sono messa a ridere, perché non sapevo quello che era successo nella notte. Solo quando mi sono ritrovata il giorno dopo a vedere la Ferrero, allora ho capito effettivamente il dramma. E non mi sembrava possibile. E' per quel-

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