Una città - anno IV - n. 37 - dicembre 1994

dice,nbre LEMILLE NOTTI DI SARAJEVO. Al telefono con Adriano Sofri: una città allo stremo, al gelo, senza luce e senza pane, in cui ogni giorno si infittiscono le granate, in cui l'Onu ha un gran daffare per mantenere se stessa e in cui la Cnn riprende in diretta la morte da snipers. E' l'intera storia di un mezzo secolo che sta crollando a Sarajevo. In seconda e terza. LA PIENA. Giuliano Cannata ci spiega cos'è un fiume e cos'è il bacino di un fiume e perché, ormai regolarmente, a eventi di pioggia non eccezionali corrispondano piene disastrose. In quarta e quinta. Insieme a LIMBO OPACO di Aldo Bonomi. BREVETTOUNIVERSALE è l'intervista a Alexander Langer, che ci parla di come la brevettabilità di piante, animali e anche di uomini sia ormai un passo compiuto. I DIRITTI SULL'UOMO è l'intervista a John Moore, primo uomo brevettato. In sesta e settima. UOMINI ORDINARI è un libro non ancora edito in Italia, di cui ci parla Carlo Ginzburg. Nel '42 un battaglione di poliziotti, riservisti di mezza età, senza alcun addestramento particolare e senza l'ausilio della distanza tecnologica dalla vittima, massacrarono 38000 ebrei. Erano persone normali, come fu possibile? In ottava e nona. ORA CHE I MARITI SONO TORNATI. Ruba Salih ci racconta come le donne palestinesi stanno discutendo di costituzione e di leggi, di interpretazione del Corano finora al maschile, di come non fare la fine delle donne algerine, beffate dopo la rivoluzione. In decima e undicesima. Insieme a UBBIDIENZE, la stazione di Antonella Anedda. LA LUNA E FAENZA è l'intervista a Pietro M. Toesca, sul federalismo delle piccole città, dove ancora è possibile una democrazia "a portata di mano". In dodicesima. IL PICNIC E IL MURO è l'intervista a Walburga von Absburg, che, organizzando la prima grande fuga di tedeschi dell'est, evitò una Tien An Men europea. In tredicesima. LO DIMOSTRI. La monotonia del carcere, la discrezionalità di viceré e guardie, ora accresciuta da una legge premiale, la Gozzini, che lega il premio di libertà al comportamento in carcere. A cosa serve un buon avvocato. L'arroganza dei giudici. Intervista a Salvatore Buzzi, responsabile di una cooperativa di ex-detenuti. In quattordicesima e quindicesima. ATTRAVERSO LE IDEE è il racconto di Madina Fabbretto, istriana, sulla sua militanza giovanile nella destra fascista nella Padova degli anni '70. In ultima. Bianco

un 111ese di u an o Una città allo stremo, al gelo, senza luce, senza pane, dove ogni giorno si infittisce la pioggia di granate. L'unica possibilità per salvare i bosniaci resta quella di un intervento internazionale per disarmare i banditi. Una persecuzione razzista, sostenuta dalla disgustosa incapacità e complicità dei paesi occidentali, trasmessa in diretta nel pianeta, che ha distrutto tutto il senso che i bosniaci avevano della loro storia, del loro passato, dei presunti valori dell'Europa in cui loro avevano creduto. Intervista a Adriano Sofri. Adrano Sofri è da un mese a Sarajevo. L'abbiamo intervistato per telefono domenica 4 dicembre e domenica I I. Le interviste quindi sono due. Intanto, com'è la situazione lì dopo le ultime prese di posizione internazionali, anche di Boutros Ghali, secondo cui.non c'è più nulla da fare e i serbi .hanno vinto? Mi pare che non ci sia dubbio che nell'ultimo periodo il cosiddetto realismo, la realpolitik, abbia guadagnato moltissimo terreno nell'atteggiamento internazionale, delle potenze occidentali in particolare. E mi pare che la grande novità e anche la più grande ragione di rammarico, di disinganno e di delusione, per molti qui, derivi dall'atteggiamento degli Stati Uniti. Pare, cioè, che esponenti americani abbiano detto qualcosa di simile a quello che tu adesso attribuivi a Boutros Ghali e che, secondo molti qui, Boutros Ghali pensa da sempre: lacontroffensivacetnica nellazonadi Bihac mostrava che praticamente i cetnici avevano vinto la guerra sul campo e che quindi bisognava assecondare unaqualunque conélusione. L'amarezza e la delusione qui sono particolarmente forti perché, dopo le elezioni americane con la vittoria del repubblicani e il credito che Dole si era guadagnando venendo qui, avevano fatto sperare in un atteggiamento diverso. E anche i raid della Nato, benché qui fossero visti obiettivamente come una burletta, come azioni, cioè, che avevano ottenuto il massimo di procurare una pozzanghera riparabile nel giro di 5 minuti sulla pista di un aeroporto o di colpire altri obiettivi telefonando prima quali sarebbero stati, tuttavia sembravano segnalare un atteggiamento diverso. il supplizio del popolo bosniaco. sta culminando nel momento in cui Sarajevo e la Bosnia affrontano il terzo inverno in questa tragedia. Tu sull'Unità hai addirittura paventato una cosa impensabile, terribile: la caduta di Sarajevo. Una cosa impensabile come la caduta di Sarajevo a questo punto diventa possibile. Ed è necessario che questa possibilità sia sottoposta ali' attenzione di tutti, che se ne parli apertamente. Questa possibilità c'è non solo per la situazione del quadro internazionale a cui abbiamo accennato, ma perché tutta la storia della ex-Jugoslavia è una storia di cose impensabili che sono diventate fatto compiuto. Dopodiché non penso affatto che sia imminente una caduta di Sarajevo. La caduta di Sarajevo resta impensabile, uno scenario di cui non si può immaginare se non l'orrore indicibile, totale. Dell'andamento delle operazioni militari so poco e sono pochissimo competente. Per esempio qua, nell'ultima ora, c'è stato un grande bombardamento, con raffiche, granate, ma continuo a non distinguere le nostre dalle loro, per così dire, e continuo a non distinguere un rombo dall'altro, un crepitio dall'altro. Le uniche cose che distinguo sono le pallottole che si piantano nella casa di fronte perché dei vicini con cui ho fatto amicizia me le hanno portate da tenere come ricordo. Sono proiettili antiaerei che vengono usati abbondantemente ad altezza d'uomo e sulle case della città. Alla domanda perché mai usino i proiettili antiaerei in questo modo e con tale dilapidazione, i tecnici mi rispondono che ne hanno talmente tanti che non sanno che farne e li usano, per la loro caccia serale e quotidiana, come fossero normali proiettili di fucile da caccia. Sul piano delle operazioni militari, i repubblicani bosniaci sostengono di avere fermato la controffensiva cetnica su Bihac. Ma l'opinione che avevo prima e incui mi sono confermato è che Ia speranza, coltivala e nutrita nell'estate dai bosniaci, di una presunta, sperata, ritrovata compattezza ed efficienza militare dell'esercito bosniaco fosse in gran parte illusoria e alimentata questo punto la storia dell'embargo sulle armi diventa anch'essa molto pretestuosa, perché ormai non c'è una possibilità di rifornimento di armi tale da modificare i rapporti di forza. Il che mi fa credere fortemente che sia un'altra strada cercata per disimpegnarsi, per preparare l'abbandono internazionale della Bosnia da parte delle Nazioni Unite e della Nato. Resto dell'idea che non ci sia soluzione se non attraverso un diverso impegno internazionale. E siccome sono del tutto pessimista, più che pessimista, disgustato dal1 'atteggiamento internazionale e da quello che si può prevedere che sia, penso che non ci sia soluzione. Detto questo, segnalo anche che qui, invece, ci sono molte persone che hanno fiducia nella combattività delle truppe bosniache, che sono convinte, anche con buone ragioni, che dal punto di vista dell'attaccamento ai valori, della combattività sul campo, della fermezza, le persone bosniache siano più forti dei loro aggressori. D'altra parte, perfino quando lo squilibrio di forze era clamoroso, come nel primo periodo della catastrofe di Sarajevo quando ci fu il primo assalto, qui andavano a mani nude o coi fucili da caccia contro i cannoni. Poi c'è un diverso fondamento della ragione che spinge gli uni e gli altri e c'è una molto tenace tradizione di attaccamento al proprio valore storico: i bosniaci sono convinti di essere stati più combattivi durante la guerra, durante la resistenza, attribuiscono a questi cetnici un'ubriachezza vile, codarda e così via. Stereotipi che sono largament'e inaccettabili da qualunque parte vengano, ma che qui forse hanno qualche fondamento nella tradizione storica. Del resto Sarajevo è una situazione palese da questo punto di vista. C'è una grande città che sta in basso come l'agnello della storia, e inalto, di gran lunga più inalto, sta il lupo. Il lupo però è una minoranza. una piccola minoranza armata fino ai denti. che può giocare al tiro a segno dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina senza Del viaggio del segretario generale del- !' Onu, quel loche è importante è iI fatto che un viaggio di tale rilievo sia andato totalmente a vuoto. Boutros Ghali non ha incontrato Karadzic, come era previsto che incontrasse, per una questione ridicola di puntiglio secentesco -se lui doveva andare a Paleo quello doveva venire ali' aeroportoe così il suo viaggio si è concluso con un altro schiaffo dato da Karadzic in faccia alla principale autorità internazionale e, anche, con uno schiaffo morale datogli dal presidente Izetbegovic che gli ha detto molto seccamente, davanti alla stampa, che si trattava di scegliere fra la democrazia e il fascismo e che Boutros Ghali e le Nazioni Unite quella scelta non I·avevano fatta. L'impressione che ho è che tutto questo possa segnare un altro passo molto negativo, non già per il suo apparente fallimento, ma perché questo fallimento era messo in programma da Boutros Ghali per poter dire al mondo: "le ho provate tutte, adesso sono anche andato a Sarajevo, ma non c'è niente da fare, bisogna rassegnarsi al fatto compiuto''. dai mezzi di comunicazione internaziona- •· li. Quando sono partito dall'Italia si leggevano titoli come")' irresistibile controffensiva mussulmana'', inparticolare dopo Kupres. La mia impressione è che non ci sia né Mi dicono che in questo periodo anche in Italia, nella penuria di prese di posizione su Sarajevo e la Bosnia, sono usciti degli articoli -ad esempio uno su Repubblica di Caracciolo- che esprimono lo stesso concetto: l'Italia, cioè, deve rassegnarsi a riconoscere il fatto compiuto della grande Serbia, della grande Croazia e così via. Così tutto questo andazzo, tutto questo rilancio della geopolitica, della realpolitik, che negli ultimi anni ha seguito, assecondandolo. ci possa essere un riequilibrio dei rapporti di forza perché il retroterra militare di cui dispone il governo cetnico di Pale, nella Serbia, nella Russia molto più di quanto si potesse temere, è fortissimo. incomparabilmente superiore. Anche tutta la storiella americana su cui si sono barcamenai i così a Iungo, della caduta dell'embargo sulle armi. da tempo è stata superata. Ammesso. cioè. che fosse una questione cruciale, lo era nel primo periodo della guerra quando la partita non era ancora giocata dal punto di vista delle conquiste territoriali e della supremazia militare. E se nel primo periodo, per chiarire le posizioni. le responsabilità reciproche. era sacrosanto sostenere la necessità di togliere l'embargo delle armi alla Bosnia perché la comunit~tinternazionale, in pratica. stava tenendo ferma la vittima mentre l'aggressore la massacrava, diventando così complice dell'aggressione, a In copertina. Mezzo chilo di fagioli. Un chilo di farina. Una scatoletta di carne. Un etto di zucchero. Un etto di sale. Un etto di strutto. Cinquanta grammi di lievito. E' la razione alimentare mensile di un adulto distribuita dalle organizzazioni umanitarie. A Sarajevo, al settembre del 1994. Finiranno anche quelle, come tante altre cose. Ci eravamo illusi, ma sembra proprio che il secolo si chiuderà sotto il segno dell'atroce martirio delle città bosniache e della vittoria dei fascisti, dei nazionalcomunisti, dei razzisti e delle loro soluzioni finali. Siamo colpevoli. Che altro dire? Che vorremmo augurare ai bosniaci un buon anno nuovo, ma non si può fare. Auguriamo a noi e a tutti di poter fare B I anco a g a~c~~r ancora Fls6temp .■••• 0 alcun disturbo, che può decidere, dal punto di vista militare come da quello civile, qualunque cosa senza avere la minima opposizione da parte di nessuno. Qualunque bersaglio, a Sarajevo, può essere colpito. Semplicemente con una cartina millimetrata, un qualunque piccolo graduato di questa banda cetnica può dire: ·'oggi colpisco il Ministero degli Interni nella tale finestra". Negli ultimi due giorni hanno centrato per due volte la stessa finestra del Ministero degli Interni di Sarajevo, iIche, ovviamente, non è casuale, è spettacolo. Gli stessi esponenti del Ministero degli Interni ieri mi dicevano: ·'Jo fanno perché pensano che ci sia sempre una nuova troupe straniera che rimane impressionata dalla cosa". In questi giorni hanno ripetutamente colpito la presidenza della Repubblica. una volta con un missile che è arrivato in vicinanza di Akashi. Se lo avesse beccato finalmente la Bosnia, grazie a un giapponese, sarebbe tornata nelle prime pagine di tutti i giornali del mondo. Hanno colpito il Ministero degli Interni ripetutamente, colpiscono le sedi istituzionali della Repubblica bosniaca. Stanno facendo una specie di gioco sportivo del tiro a segno, una dimostrazione dell'efficienza della loro mira. Quando fra poco rifaranno la strage dei civili questa strage non potrà essere attribuita da nessuno, neanche dai più ipocriti e codardi, al caso, all'errore, all'incertezza sulle fonti. Ugualmente possono decidere. con la loro cartina millimetrata, di colpire la finestra della tua stanza da letto. Molti sarajevesi dormono nel corridoio o nei bagni nonostante la scomodità e il freddo perché le stanze da letto e i soggiorni, dalle finestre più esposte, sono quelle dove si muore. Si muore dom1endo. Conosco una persona il cui padre è morto a letto mentre sua moglie si è salvata perché dormiva in bagno. nella vasca nella quale aveva messo un materasso di fortuna. Mi dicono che i giornali non ne parlano, ma a Sarajevo ogni giorno si incrementa il tasso di fuoco contro la città, il numero di granate, di bombe di mortaio, di missili antiaerei. Si prepara, cioè, esattamente come previsto e annunciato, un inverno in cui la città sarà martellata fino a farla stramazzare materialmente, se non moralmente. Moralmente Sarajevo è al di qua e al di là di qualunque resistenza ulteriore, perché in parte anestetizzata e in parte incapace di una resi tenza di cui non si vede più il limite. Contemporaneamente queste stesse persone che tengono in pugno una grande città - i calcoli più megalomani arrivano a pensare che ci siano 20 mila persone a tenere in scacco una città che prima era di più di mezzo milione di abitanti e che ora ne avrà ancora 300 mila- si possono permettere di togliere il gas, la luce, l'acqua quando vogliono. E ora che dopo un novembre straordinariamente tiepido e senza pioggia l'inverno è arrivato di brutto, gli assedianti l'hanno inaugurato chiudendo completamente il gas agli assediati. In montagna è nevicato, in città non è nevicato e questo rende ancora più rigido il freddo, la notte scorsa c'erano 8 gradi sotto zero, c'è ghiaccio dappertutto, maormai da una settimana tutta Sarajevo è senza gas e quindi senza quasi mai la luce elettrica. lo ho una casa normale in un quartiere normale, sono qui da 21 giorni, in tutto questo periodo ho avuto la luce 3 o 4 ore una notte e 3 o 4 ore un'altra notte. In 21 giorni. Il gas era la principale fonte di riscaldamento e di alimentazione, anche se solo per qualche ora al giorno, per la grande maggioranza delle case di Sarajevo. E' stato tolto il gas in coincidenza, anche qui millimetrica, con l'arrivo dell'inverno e la città è piombata nel gelo assoluto. E se l'infittirsi delle granate nei giorni scorsi aveva veramente spaventato i sarajevesi perché abituarsi a una tregua, a una situazione estiva più calma e confortevole, a una specie di vacanza dal lager, dall'aspetto più rigido del lager, indebolisce di molto le coscienze e i corpi, ora le granate che continuano a infittirsi giorno

per giorno sono un problema assolutamente secondario nei confronti di tutti gli altri. In primo luogo il freddo, in secondo luogo il pane che non c·è perché i forni pubblici funzionano col gas. C'è solo il pane che si trova dai fornai privati, quelli che hanno il forno a legna, che si arrangiano così, ma che naturalmente è molto poco rispetto al fabbisogno della città e poi costa, mentre quell'altro pane, di cui le famiglie normali si nutrono, lo si ritira coi buoni. Un pane dei privati costa un marco, cifra che sembra a noi irrisoria, ma che come sapete qui non lo è affatto. Questa è la situazione, la città è nel buio, nel gelo. Non c'è casa di Sarajevo in cui le persone non siano per così dire barricate nell'unica stanza in cui cercano di fare il fuoco con metodi inenarrabili. In una casa ho trovato una vecchia signora che stava segando l'ultima sedia di legno della sua stanza per infilarla nella stufa. La gran parte delle persone, dopo averla accesa coi cartoni che vanno raccogliendo per strada, brucia nella stufa pezzi di stoffa, di panno, feltro, che non ardono, non fanno fuoco e quindi tengono un po· più a lungo una specie di piccolo tepore, ma naturalmente non riscaldano e fanno un gran fumo. Tutte queste stanze sono piene del fumo delle sigarette che i sarajevesi fumano come fosse la realizzazione dell'ultimo desiderio di un'intera città condannata a morte e del fumo che viene fuori da congegni assolutamente commoventi Hai paragonato la persecuzione dei bosniaci aquella antisemita contro gli ebrei. Puoi parlarcene? I bosniaci si paragonano agli ebrei. E' il primo dato che dovrebbe impressionare. I mussulmani bosniaci -cosa strana per dei mussulmani, se lo stereotipo islamico funzionasse- si considerano, e si proclamano tra loro, l'equivalente contemporaneo degli ebrei, del loro destino, ivi comprese espressioni di puro sfogo, di speranza di rivalsa futura: "adesso soffriremo per chissà quanti anni, ma poi troveremo il momento del nostro riscatto, troveremo la nostra Israele". L'altro dato impressionante è che i bosniaci mussulmani vengono trattati dal mondo civile tutt'al più come un capitolo della questione islamica. Anche da questo punto di vista vengono trattati malissimo. Se si trattasse di questione islamica, che, si sa, è esplosiva e riguarda il destino dell'intero pianeta per le prossime due generazioni, bisognerebbe almeno trattarne bene il capitolo più prossimo e più esplosivo, se non altro geograficamente. Già così, i paesi occidentali che si proclamano civili, più con i quali cercano di riscaldarsi un poco. A questo punto i sarajevesi penseranno di contare solo su se stessi. Rimane tuttavia uno spazio per fare qualche cosa? Non è che rimane lo spazio, rimane la necessità estrema di fare qualunque cosa uno ritenga giusto provare a fare. Il pessimismo radicale, che in questa situazione non solo è autorizzato ma obbligatorio, non consente a nessuno poi di non fare personalmente e collettivamente tutte le cose che sono giuste da fare. Perlomeno per alzare il prezzo che devono pagare questi piccoli, mediocri, cinici titolari del potere mondiale nei confronti delle loro diserzioni, delle loro complicità, delle loro omissioni, quando non delle loro deliberate spartizioni del mondo altrui. Quindi credo che continuino ad esserci una gran quantità di cose da fare. Penso che il problema principale sarebbe riuscire ad avere per la prima volta un'opinione pubblica capace di farsi sentire nei confronti dei titolari del potere mondiale, di coloro che possono fare quelle cose che le persone, i gruppi, le associazioni, gli enti non possono fare da sé. Finora su un tema cruciale come la ex-Jugoslavia e la Bosnia-Erzegovina non c'è stata opinione pubblica. E in particolare non c'è stata in Italia, paradossalmente proprio per la stessa forza, superiore agli altri paesi, del volontariato. L'altra faccia del soccorso civile che si è esercitato nei confronti della Bosnia è ca, somatica, o di costumi, di lingua. Se io sono bianco e il mio prossimo è nero, io lo considero uno sporco negro e desidero buttarlo fuori.C'è un razzismo invece molto più profondo, molto meno controllabile e sradicabile, che tocca nervi molto più scoperti, che è il razzismo che fa odiare con tutto il proprio furore, con tutta la propria forza il prossimo sentito come simile, un altro di cui si avverte l'assoluta somiglianza con se stessi ma anche, al tempo stesso, un'eccezione, un'anomalia inafferrabile, incontrollabile, una differenza da sé che spesso si presenta come superiorità rispetto a sé. Il paradigma di questo secondo razzismo è l'antisemitismo. L'ebreo è come te, solo che spesso è più intelligente, con una vocazione artistica migliore, più capace di fare soldi, di fare affari, più cosmopolita, più mobile. quel cosmopolitismo così odiato dagli antisemiti attenti ai diritti dell'uomo, alla democra- Nei suoi confronti scatta un meccanismo zia, alle libertà, avrebbero seguito una li- sia di incapacità di distinguersi da lui sia di nea suicida, lasciando in balia delle ag- frustrazione, di impotenza, di desiderio di gressioni, della violenza bruta una specie rivalsa. E ciò spiega il particolare furore di ènclave mussulmana, di appendice isla- dell'antisemitismo. Dopodiché bisogna mica nel mondo contemporaneo europeo. inventare degli stereotipi che cerchino di La verità è che i mussulmani bosniaci non ricondurre la differenza a dati fisici, matesono un capitolo della questione islamica. rial i, connotabili, da manuale delle aberrala verità principale, secondo me, è che i zioni psichiatriche: si inventa l'ebreo dal bosniaci mussulmani, e in generale i bosni- naso adunco, si coltiva il sospetto, la paura, aci, che poi oggi sono costretti a dichiararsi l'insinuazione nei confronti del!' uso abmussulmani, spesso contro la loro stessa norme che l'ebreo fa delle sue sinagoghe, intenzione, hanno una storia, da quando delle sue letture segrete e separate, del l'impero turco se ne è andato da queste modo in cui usa il suo libro e la sua lingua terre, caratterizzata dal fatto di essere una cifrata, il suo Talmud e il suo ebraico come minoranza culturalmente, ma non ernica- territori segreti in cui si rifugia, in cui vive mente, connotata. Questo destino di mino- in esilio e trama contro gli altri. ranza incide moltissimo sulla storia delle Ma un altro paradigma meno noto, ma popolazioni, del loro modo di sentire se gravissimo, di questo tipo di razzismo è stesse e del modo altrui di sentirle al pro- l'avversione contro gli armeni, manifestaprio interno. Allora, in questa storia loro tasi nel loro genocidio ali' inizio di questo sono stati una minoranza, spesso persegui- secolo da parte dei turchi. Anche gli armetata e maltrattata. Vi segnalo un libro, ni sono una comunità che si distingue per intitolato Il genocidio contro i mussulmani la grande capacità negli affari, per la granin Bosnia-Erzegovina, scritto da Vladimir de mobilità, per un suo carattere cittadino, Dedjief, che è stato un compagno di Tito, colto, artistico, mercantile, intellettuale. un atleta formidabile, un partigiano, un Ora, con differenze evidenti e che do per comunistatendenzialmenteeterodosso,che scontate, penso che il destino della minoha scritto una biografia di Tito, che ha ranza bosniaca all'interno della situazione scritto un libro famoso sul I914, che era un jugoslava e slava sia paragonabile, non uomo notevole. Ebbene, questo volumone dico assimilabile, a quello delle altre minoè pieno di pagine di indici di nomi di ranze vittime di questo tipo di razzismo. I assassinati, di fotografie, esattamente come bosniaci sono slavi come gli altri slavi fra in altri di questi repertori tragici. Ma già il i quali vivono, addirittura parlano la stessa titolo di un libro del genere, scritto da un lingua che parlano serbi e croati. A un certo non-mussulmano, da un comunista, scritto punto della loro storia si convertono a una in anni non sospetti, negli anni '50 credo o religione diversa, ma lo fanno in un modo all'inizio degli anni '60, mi sembra un taledanonauLOrizzareun'effettivaseparacampanello d'allarme enorme. Nella sto- zione di costumi, di stili di vita. Alla fine, ria di questa minoranza, la furia dell'odio quindi, gli islamici bosniaci, quelli, cioè, che i loro vicini hanno messo in campo che hanno il nome islamico -al fondo un contro i mussulmani bosniaci è la stessa mussulmano bosniaco è uno che ha un con cui si è manifestato il razzismo più nomeislamico-hannounalingua,unacomprofondo e invincibile della storia, in par- posizione etnica, uno stile di vita e una ticolare della storia moderna. cultura moltodifficilmentedistinguibili da Schematicamente si può distinguere fra quelle degli altri, se non per una tendenziadue tipi di razzismi. Da una parte il razzi- le maggiore urbanità, spirito cittadino a smo che fa disprezzare, odiare e se possibi- fronte del carattere fortemente contadino e le cancellare, sopprimere, e violentare il rurale altrui, per una tendenziale vocazioproprio prossimo, in quanto radicalmente ne agli affari e alla laboriosità a fronte di differente da noi, un razzismo dettato da un una vocazione al burocratismo e militaririfiuto radicale della diversità, persino fisi- smo altrui, insomma, per "un cosmopoliti- B I l1otecaGino Banco stata un·assoluta rinuncia a qualunque interferenza, a qualunque influenza sulle decisioni governative, statali, interstatali, europee, della Nato, delle Nazioni Unite. Per ottenere questo naturalmente bisogna mettersi d'accordo su che cosa si ritiene giusto che avvenga. Da molto tempo so che cosa ritengo giusto che avvenga, posso solo ripeterlo: ritengo giusto che la comunità internazionale faccia pesare con la forza il suo compito di tutela della legalità internazionale e dei diritti umani in questa come in qualunque altra zona del mondo. Che quindi accetti di venire qui a misurarsi con quei banditi per disarmarli, per rispondere con una forza legale, con una forza di polizia internazionale alla loro violenza. Questo a me pare ancora un punto straordinariamente importante, dopodiché rimangono importanti una quantità di altri obiettivi minori, limitati. Tutti sanno ormai che Sarajevo vive attraverso questo tunnel incredibile, una galleria scavata nella terra attraverso cui vanno avanti e indietro le persone che devono scappare, le persone che tornano, i militari, le persone che portano il loro pacchetto al mercato, il nutrimento di un'intera città. Insomma, il polmone sotterraneo di un'intera città moribonda. Allora, le Nazioni Unite sono qui con uno spiegamento di forze, di uomini, di mezzi, una dilapidazione di denaro, uno spiegamento di macchinari, di ingegneria, di tecnologia che fa veramente un effetto smo di provincia". Sarajevo è diventata una grande città, si è gonfiata, ma è rimasta un paesone dove anche oggi si finisce per conoscere tutti, per sapere le storie di tutti. Non è una grande città moderna ma al tempo stesso questa provincia ravvicinata, domestica, confidente, per molti versi tradizionale, è attirata con una forza magnetica dal l'Occidente, dal le libertà, dal la cultura, dalle capitali europee. Ed è la combinazione di provincialismo e cosmopolitismo -non a caso questa parola stava sulla bocca degli antisemiti, era l'accusa gravissima rivolta agli ebrei, alla loro mobilità contraria ali 'umanità ariana- che spiega l'accanimento particolare di nazionalisti e razzisti serbi e croati nel voler cancellare questa specie di anomalia, d'irregolarità, di eccezione dentro la storia di questa parte del mondo. Un accanimento del tutto diverso dall'odio che contrappone fra loro serbi e croati, un odio che li rende molto simili, un odio fra concorrenti, fra rivali, fra gente che si ammazza per sopraffarsi a vicenda, ma considerandosi reciprocamente "fatti della stessa pasta", della stessa tempra. Ma quel misto di paura, di insofferenza, di rigetto e di brutalità particolare che gli uni e gli altri rivolgono contro i bosniaci ha una radice psicologica e culturale molto più profonda: l'insofferenza nei confronti di quello che è come te e che rischia di essere migliore di te o più fortunato, più capace di cavarsela con la modernità. Allora, se questa specie di schematizzazione che sto facendo ha un qualche fondamento, se la questione bosniaca non è un capitolo della questione islamica, tutto quello che sta succedendo riporta ali' incapacità assoluta della nostra cultura, -della nostra classe dirigente, delle nostre persone colte, dei nostri maestri di pensiero, dei nostri dirigenti politici- a capire cosa succede qua, a sapere cos'è la Bosnia, cos'è Sarajevo, a conoscere almeno l'abc della sua storia. Su Sarajevo i maestri del pensiero sono silenziosi in maniera atroce e, prima ancora, totalmente ignoranti di qualunque cosa riguardi la tragedia che si va consumando così distillatamente sotto i loro occhi mentre loro si voltano da un'altra parte. Considero questa cosa veramente un'aberrazione. Bisognerà prendere atto dell'assoluta incapacità di fare i conti con l'esistenza, nel cuore dell'Europa, di un' eccezione storica, culturale come questa, di affrontare, cioè, una diversità che è una similitudine, una somiglianza che è al tempo stesso una distinzione. l'orrore che si voleva superato ora è sotto i nostri occhi Tutto ciò apre una quantità di problemi enormi. Se queste cose che sto dicendo sono vere, ne deriva una specie di bancarotta, fraudolenta perché costa lacrime e sangue al le vittime, della sistemazione della storia compiuta nella seconda metà di questo secolo da parte della nostra cultura. La nostra cultura ha ritenuto di superare r orrore della metà di questo secolo, dei campi di sterminio, dello stalinismo, dei gulag, pensando di reincontrarlo sulla sua strada solo nella periferia del suo impero -in Cambogia, nelle fosse comuni del Centrogrottesco e surreale. Nelle strade di Sarajevo si vedono continuamente passare non solo carri armati, ma grandi camion. gru, trattori, il cui uso è semplicemente interno, autofago. Così come le Nazioni Unite consumano per il proprio mantenimento pressoché per intero tutto l'investimento mondiale nella Bosnia Erzegovina, consumano anche per intero tutto il proprio macchinario tecnologico per la ricostruzione quotidiana della propria presenza qui. Ora, aprire una strada come è stata la strada blu per un breve periododell"estate, scavare una galleria che, a differenza di un tunnel scavato con le mani, con la pala e con il piccone, possa essere attraversata da un normale traffico automobilistico, di camion, sarebbe il minimo. Qual è la ragione per cui non lo fanno? Perché Karadzic si oppone a che lo facciano! Capisci? C'è una galera e la possibilità che un'autorità legalmente costituita sul piano internazionale assicuri che in questa galera illegale, dove le persone sono sequestrate da banditi, sia assicurato perlomeno il vitto per i prigionieri e la comunità internazionale non fa nemmeno questo. La comunità internazionale fa molto di meno ancora. In quel punto in cui vedete, o che non vedete più perché non fa più notizia, gli snipers colpire almeno una persona al giorno, in quel punto da cui passano i tiri che ammazzano bambini nelle case, passanti, il conducente o i passeggeri del tram con quotidiana frequenza america, nel Terzo Mondo-, di superarlo e in qualche modo sistemarlo razionalmente, esorcizzandolo e sottraendolo dal proprio orizzonte possibile. La nostra cultura è vissuta, nella varietà apparente, su una uniformità di fondo delle sistemazioni della storia dell'orrore perpetrato negli anni '30-'40 in particolare. Ora, alla fine del secolo, la nostra cultura si trova di fronte a un fenomeno minacciosamente simile a quelli degli anni '30-'40 in Europa senza saperlo trattare, e quindi, nella migliore delle ipotesi, l'abbandona a se stesso, alla ferocia e alla brutalità dei rapporti di forza. Questo ha come conseguenza una rimessa in discussione radicale del problema del nostro senso del la storia del l'Europa, della cultura occidentale e liberale. Pensiamo a quante volte si è discusso, anche accanitamente, per tanti anni, in merito alla conoscenza o meno di quello che avveniva nei campi di concentramento e di sterminio degli ebrei. Ora, nella circostanza di Vukovar, Mostar, Sarajevo, Goradze, arriviamo a scoprire che sapere perfettamente, in tempo reale, in qualunque punto del pianeta, che cosa succede a Vukovar, Mostar, Sarajevo, Gorazde non impedisce in alcun modo che succeda, anzi lo trasforma in una specie di spettacolo planetario. Siamo di fronte al fallimento dell'impalcatura razionale costruita in questo mezzo secolo. L'altra faccia di questo fallimento che mi preme segnalare con grande allarme è che le persone di qui, i sarajevesi, quelli che frequento, e non gli intellettuali o gli artisti, ma soprattutto una quantità di persone comuni, stanno elaborando, di necessità, una specie di radicale cancellazione della storia ereditata in questo dopoguerra. Quello che loro stanno subendo da tre anni non è compatibile con quella storia. Tutte le loro identità sono state cancellate, un bosniaco mussulmano che sia stato partigiano, prigioniero, ferito, combattente, decorato, comunista si è visto sottrarre nel giro di pochi giorni tutte queste identità, l'intero senso della propria vita e a volte questo gli è successo quando la propria vita era vicina alla fine. E a 70 anni era difficile che pensasse di dover ricostruire non un'esistenza, ma un'anima, un rapporto con se stesso. Le persone che hanno ripetuto parole in cui credevano, in cui gli era stato insegnato di credere, sull'Europa, sui valori, hanno sperimentato da tre anni il fallimento beffardo di tutto questo. Persone che pensavano che non si sarebbe potuta ripetere l'ignominia del razzismo, dei nazionalismi sfrenati, delle persecuzioni di popolazioni per ragioni etniche e religiose, perché se ne era conosciuta l'enormità, la crudeltà, si sono accorte che invece questo avviene. E a differenza dei serbi, che, abbandonato nel giro di una notte il comunismo che era stato la loro bandiera, il loro medagliere, per tanto tempo, l'hanno rimpiazzato col nazionalismo grande-serbo tramutato in un nazional-comunismo che funziona benissimo e permette loro di continuare a detenere il potere e a rappresentare se stessi e la propria identità in maniera addirittura vittimistica, paranoica, per i bosniaci c'è una specie di tabula rasa di tutti i valori, di tutte le sistemazioni, di tutti i possibili manuali aggiornati della storia del mondo contemporaneo. Per la prima volta nei bosniaci ho avvertito venir avanti molto fortemente una tendenza a presentae puntualità da impiegati modello, durante l'estate sono stati rimossi, dalle stesse Nazioni Unite ma anche dalla gente di Sarajevoche pensava che ormai se ne potesse fare a meno, i container e le altre barriere protettive. Ebbene, in quel punto non è stato messo più niente. La tecnologia di un mondo che va sulla luna e che fa per l'appunto i tunnel sotto la Manica, non ha più fatto mettere neanche uno di quei patetici lenzuoli con cui nella periferia di Sarajevo la povera gente difende la propria casa perlomeno dalla vista dei cannocchiali dei tiratori scelti. Sapete cosa c'è che a Sarajevo segnala l'altezza della tecnologia contemporanea? Ci sono le telecamere delle televisioni internazionali che hanno messo delle postazioni fisse, al riparo del palazzo del!' ex-Parlamento, nella piazza vicino ali' albergo Holiday lnn, quella, appunto, in cui ogni giorno c'è il tiro a segno contro gli inermi, di preferenza bambini, bambine e donne. E queste telecamere sono continuamente aperte in maniera che quando uno viene ferito o ammazzato, la telecamera lo ha ripreso e lo manda nei telegiornali di tutto il mondo. Lo trovo straordinario. Trovo veramente straordinario che un passante di Sarajevo si trovi tra questi due fuochi: da una parte gli snipers che esercitano la loro professione competitiva sportiva, dall'altra parte le telecamere. Ogni giorno c'è un fortunato sorteggiato che passerà sui telegiornali del pianeta. - D re una versione, involontariamente o deliberatamente confusa fino alla provocazione estrema, della storia di questo secolo. Ma tanto più significativa perché non concordata, spontanea, perché espressa in manifestazioni superficiali, modi di dire e battute. Le stesse persone che ti dicono che il più grande uomo di questo secolo è stato Tito, cosa che in Bosnia è molto diffusa, aggiungono che bisogna ripensare al ruolo che ha avuto Hitler nella storia dell'Europa, ti dicono che se Hitler non avesse avuto la maniacale volontà di sterminare gli ebrei non avrebbe avuto tutti i torti. Persone ti salutano scherzando per strada dicendo "Heil, Hitler". Sto dicendo cose molto pesanti che sicuramente i farabutti equivocheranno a loro vantaggio, ma sto dicendo cose che mi sembra capitino. E' in corso una specie di revisionismo storico che non consiste nell'equiparare nazismo e stalinismo, che sarebbe un'acqua di rose, che consiste in qualcosa di più profondo, deliberato e confuso, nella volontà di sfregiare qualunque sistemazione di questo passato. Perché nella realtà qui quel passato è stato sfregiato e violentato interamente. lo dico che l'atteggiamento di chi è responsabile della vita di questa popolazione, e in fondo del destino del mondo, ma anche della propria popolazione e di se stesso, sta covando negli scampati della Bosnia una radicale destituzione di senso della cultura ereditata da questa fine di secolo. un luogo dove • r1mangono solo le storie Queste cose sono confuse nella mia testa, sono ~olo l'oggetto di questa mia esperienza senza importanza, ma ho trovato in persone molto brave, con un passato glorioso, una gran quantità di sintomi di una voglia, per così dire, di far morire Sansone con tutti i filistei. C'è una battuta su Sarajevo, da me deplorata pubblicamente in una riunione, sia pure con buona educazione, che circola ormai da tanto tempo: "sai qual è la differenza fra Auschwitz e Sarajevo? Che a Sarajevo manca il gas". Ma col tempo che passa per i sarajevesi quella freddura diventa sempre più vera. Il loro assedio, la loro prigionia, la loro umiliazione durano da 1000 giorni. Il 27 gennaio sono i 1.000 giorni dell'assedio e ci si prepara a rappresentare simbolicamente e spettacolarmente i record della situazione sarajevese. Si preparano già i manifesti, i poster, le assemblee, gli spettacoli, le canzoni. Ma l'espressione "i 1.000 giorni dell'assedio di Sarajevo" è un'espressione veramente innocua, sembra un qualunque giubileo. In realtà quei 1.000 giorni sono 1.000 notti. E se uno sa cos'è una notte di Sarajevo, quanta fatica costa cercare di accendere un fuoco, quanta fatica costa cercare di procurarsi una candela, allora ti vien da pensare che fra poco saranno le mille e una notte di Sarajevo. Di un luogo, cioè, in cui la storia sembra aver fatto bancarotta totale e le storie sembrano rivatersi di essere state considerate una cosa minore. Di un luogo dove le storie la vincono di gran lunga su una storia totalmente squalificata. Di un luogo dove rimangono solo le storie. Poi l'Unprofor andrà via, tutto andrà via e rimarrà solo Shahrazad. UNA ClffA' 3

di fiumi, pioggia e altro Bi Perché regolarmente ad eventi di pioggia molto intensi corrispondono piene disastrose? Aree urbane impermeabili, terreni agricoli nudi a novembre per coltivazioni antieconomiche, boschi tagliati ogni 18 anni. L'acqua scorre via ovunque. Il grande saccheggio degli alvei, canalizzati per privatizzare le terre demaniali, sfogo delle piene, e per vendere ghiaia e sabbia. La forza formidabile della lobby delle costruzioni. Intervista a Giuliano Cannata. Giuliano Cannata, ingegnere, insegna Pianificazione di bacini all'Università La Sapienza di Roma. E' tra i fondatori della Lega Ambiente. Da molto tempo tu ti occupi dei regimi delle acque e sei andato in Piemonte dopo l'alluvione, vorremmo sapere la tua opinione su quanto è successo. Purtroppo non c'è niente di tanto strano da capire o da arzigogolare, sono cose che ormai tutti dovrebbero sapere. A tutti quelli che si occupano di questi problemi ha fatto impressione il fatto che non abbia funzionato la cosiddetta "allerta rapida", che è uno dei nodi canonici dei sistemi di protezione civile. Nei casi di alluvione l'allerta rapida si fonda sul fatto che tra una pioggia, anche straordinaria, eccezionale, e l'alluvione passano un certo numero di ore. Nel caso del Piemonte sono passate almeno 1618 ore. Un'altracosachestupiscee aggiunge rabbia al dolore, alla costernazione, è il fatto che quasi tutte le morti sarebbero state evitabili con estrema facilità. Una cosa che sorprende molto la gente, ma non sorprende coloro che si occupano di fiumi, è che la maggioranza dei morti aff9ghi in pochi centimetri d'acqua, il che è inaccettabile. In Piemonte, su quasi 70 morti, più di 50 erano in macchina. Una persona sta in macchina, a un certo punto si spaventa, la macchina è ferma, esce, l'acqua che scorre nella strada la fa inciampare, cade e finisce per affogare in 50 centimetri di acqua. A posteriori è facile dire che è una cosa assurda, ma è un problema conosciuto anche a priori. Sarebbe bastato avvisare la gente di non uscire di casa i morti, invece di essere 70, sarebbero stati 20. Quello che risulta estremamente chiaro da questa alluvione, ma anche dalle altre precedenti, è il fatto che ad un evento di pioggia tutto sommato non eccezionale, risponda un evento di piena eccezionale, addirittura fuori scala rispetto ai precedenti storici.D'altra parte, che negli ultimi anni ad uno stesso evento di pioggia corrispondano portate di fiume sempre più alte è un dato di fatto ormai risaputo e teoricamente spiegato da chi fa il pianificatore di bacini idrografici o l'ingegnere idraulico, l'idrologo. Il territorio risponde in forma sempre più rapida e quindi con sempre meno efficienza dal punto di vista idrologico alle piogge. In un libro dell'86 scrissi che, se si fosse ripetuto l'evento di pioggia che causò la grande alluvione del Polesine nel '51, quello stesso evento, con la stessa distribuzione, concentrazione e durata di pioggia, con la stessa marea alta nel!' Adriatico, lo stesso evento di scirocco, con lo stesso scioglimento precoce delle nevi, la piena, che nel '5 I era stata di 13.000 metri cubi secondo, nell'86 sarebbe stata di 16.000 metri cubi secondo. E questo per motivi dovuti solo al mutato uso del suolo nel bacino idrografico del Po, su quel territorio, cioè, di 70.000 kmq, un quarto dell'Italia, le cui acque alla fine confluiscono nel Po. Come è cambiato l'uso del suolo? Vediamolo nelle sue tre classi principali: suolo urbano, agricolo, boschivo e prativo. Negli ultimi 20-25 anni il suolo urbano è aumentato di due volte e mezzo: si calcola che, nel '51, in Piemonte fossero urbani, cioè asfaltati e costruiti, 2.000 kmq su 25.000, oggi saranno 5.000, quindi si è passa~i dall'8% al 20%. Inoltre questi chifometri quadrati costruiti e asfaltati" sono stati realizzati in modo da ridurre assolutamente a zero l'infiltrazione. Per esempio tutti i parcheggi sono impermeabili, tutte le fogne sono a rapido scorrimento, le acque bianche e le acque nere vanno nella stessa fogna, non esiste più reticolo naturale per le acque bianche, eccetera. Vediamo le aree non urbane, ma coltivate. In Piemonte i kmq coltivati sono I0.000 sui 25.000 di tutta la regione. Ebbene, il sistema di coltivazione moderno, la cosiddetta coltivazione contoterzi, o comunque la coltivazione intensiva su grandi estensioni, ha finito per radere al suolo, spianare completamente il territorio e quel che è peggio è che sono tipi di coltivazioni che rendono il suolo completamente nudo nel mese di novembre. Si vede dalle riprese in elicottero: la campagna è assolutamente nuda, non c'è un filo d'erba, in 10.000 chilometri quadrati! una campagna a novembre senza un filo d'erba E guardate che questo è un fatto assolutamente nuovo nella storia dell'uomo, non c'era mai stato un uso del suolo agricolo che lo lasciasse completamente nudo nel mese di novembre, che è quello in cui avvengono le alluvioni. Tanto per dare un dato statistico: dal '500 in poi tutte le alluvioni del!' Amo sono avvenute nel mese di novembre. A volte colleghi di altri paesi mi dicono: da voi la prevenzione dovrebbe essere facilissima: piove sempre nello stesso mese, più facile di così! Il terzo punto è l'uso del suolo boschivo e prativo. Secondo la legge regionale piemontese e la legge regionale ligure, i boschi vengono tagliati ogni 18 anni. Un bosco di 18 anni -di essenze dure, roverelle, cerro o gli altri tipi di quercia o anche di piante a crescita un tantino più rapida- ha un'efficacia idrologica limitatissima. Se poi è più giovane, se ha 9-1 O anni, come statisticamente finisce per avere metà del bosco, la sua efficacia idrologica è vicina a zero: ff. CarrdaeRi irparmdiFi orlì s.p.A. Jllffl Ria CONTO, Id!! dA O a 10 annt da 11 a 19 anni Perloro il migliorfuturopossibile Aut. Min. n. 6/1758 del 2/10/93 o tutto quello che piove scorre. Faccio un passo indietro: cos'è l'idrologia? L'idrologia è quella scienza che studia come le precipitazioni diventano deflussi. Un millimetro d'acqua precipitato può fare cinque cose: la prima, può traspirare con i vegetali; la seconda, può servire a bagnare le foglie, gli alberi, i fili d'erba: la terza, può servire a riempire le piccole cavità superficiali del terreno, soprattutto se il terreno è irregolare; la quarta, importantissima, può infiltrarsi nel sottosuolo; la quinta, infine, se non è riuscito a fare nessuna di queste quattro cose, defluisce. L'acqua piovuta che defluisce, come media annua, è nell'ordine del 40%; nei momenti di alta intensità di pioggia potrebbe essere del 55-60%, ma in situazioni in cui l'uso del suolo è quello che ho prima descritto finisce per avvicinarsi molto al I00%. Piovono 100 millimetri e ne defluiscono 100. C'è un problema anche di alvei? Infatti. Oltre ai tre tipi di uso del suolo visti prima, l'altra categoria di fenomeni che induce grande portata di fiumi anche con precipitazioni limitate, è la manomissione degli alvei. Anche i giornalisti più distratti e confusionari, come purtroppo sono lamaggioranza di loro, hanno captato, anche se magari non l'hanno capita completamente, questa parola: cementificazione degli alvei. Gli alvei torrentizi per loro natura hanno una dimensione molto più grande di quella della portata media del fiume proprio perché sono destinati ad essere riempiti dalle portate di piena. Il loro riempimento, in condizione di piena, fa sì che una grandissima quantità d'acqua, milioni e milioni di metri cubi, vada fisicamente a riempire questi spazi, venga, cioè, stoccata senza interessare il deflusso dei fiumi principali, almeno nelle prime ore. Dal punto di vista fisico una piena è un fenomeno di moto vario, non di regime, un fenomeno di rapida accumulazione e di altrettanto rapida decumulazione di portate. E il fatto, per esempio, che l'accumulazione duri un'ora in più, 12 ore anziché 11, già basta a limitare di molto la portata massima e quindi a far sì che un fiume come il Tanaro non debba esondare. I dati fisici sono incontrovertibili: nel bacino idrografico del Tanaro, che è di circa 9.000 kmq, la quantità di pioggia piovuta in 24 ore è stata nell'ordine medio dei 120 millimetri, nelle 48 ore si dice sia stata nell'ordine dei 200 millimetri, ma essendo un'ondata di piena molto corta mi interessa più quella delle 24 ore che non quella delle 48. 120 millimetri è una quantità alta, ma non certo fuori dalla prevedibilità statistica. Precipitazioni di questo genere si erano già verificate altre volte, per esempio nella grande piena del 1927. Invece la portata del Tanaro di quei giorni è stata stimata, a Monte Castello, a 3.500 metri cubi al secondo, che, questa sì, certamente, è una portata fuori scala rispetto ai dati storici. La piena massima registrata nel '27, sempre a Monte Castel lo, fu di 3.200 metri cubi al secondo. Un altro dato che dimostra quanto sia drasticamente diminuita l'efficacia idrologica del bacino è stato il tempo di esaurimento della piena. Gli idrologi chiamano tempo di esaurimento l'intervallo che passa tra il colmo della piena e la sua riduzione al 10% del colmo. Mi dicono che in questa ultima alluvione questo tempo sia stato attorno alle 16 ore, che è un tempo estremamente breve rispetto alle 25-35 ore che si potevano prevedere per un bacino così grande. Tu hai parlato di aumento del suolo urbano e di coltivazioni che mettono a nudo il terreno. Ma qui entriamo anche in un discorso economico e sociale. Perché si scelgono queste coltivazioni? Perché sono quelle che vengono sovvenzionate dalla Comunità Europea. La cosa che, di questo uso devastante del suolo, fa più arrabbiare è che non ne esistono spiegazioni economiche o socio-economiche. L'Italia, per il consumo del suolo, è un caso unico al mondo. Non esistono altri paesi che consumino il suolo tanto quanto l'Italia, che, fra l'altro, ha scarsità di suolo. in un solo anno nuovi capannoni per 16000 ettari Negli altri paesi con alta concentrazione di popolazione e poco suolo da spendere ci sono rigorosissime regole sul consumo di suolo. Fra questi l'esempio più clamoroso è quello del Giappone. Il Giappone è il paese più ricco, più industrializzato, più tecnologico del mondo e, pur avendo 300 abitanti per chilometro quadrato, è riuscito a mantenere il 66% del suo territorio a bosco. E il terreno consumato per lavorare, vivereemuoverequesti 300 abitanti per chilometro quadrato è del l'ordine del 12%,mentre in Italia siamo oltre il 20% con 190 abitanti per chilometro quadrato. Il caso dell'Inghilterra è altrettanto clamoroso. Prendiamo solo due dati. Nel 1992, quando già i costruttori edili si strappavano i capelli dicendo che non si costruiva più, quando già c'era tangentopoli -che dicono abbia ucciso l'edilizia- in Italia sono stati spesi 40.000 miliardi per costruire capannoni industriali. Significano 16.000 ettari capannonizzati, cioè 160 Kmq coperti di capannoni. In un anno! Sui capannoni c'è poi da dire un'altra cosa: in Italia la produzione industriale non cresce in volume o in peso. cioè in quantità fisica, da almeno 20 o 25 anni. Questo succede perché un paese DIFFUSIONE SPECIALISTARTICOLIDABAMBINO CENTROCOMMERCIAL«EILGIGANTE» BABYCROSS · GIGANTE ViaCampodeiFiori47100ForlìTel.0543/72102F3ax0543/724797 BABYCROSS · RIMINI ViaNuovaCirconvallazion2e1, 47037Rimin(iFO)Tel.0543/777552 molto sviluppato, molto moderno, con un'economia post-industriale va verso la cosiddetta smaterializzazione. A poco a poco questo volume di produzione industriale diminuirà a vantaggio di un maggior valore aggiunto, di un maggior contenuto tecnologico innovativo di ogni singola merce, e quindi la domanda di capannoni industriali nuovi dovrebbe tendere a zero. Invece non solo non è andata a zero, non solo non è diminuita, ma è sistematicamente cresciuta. Ogni anno si sono costruiti più capannoni dell'anno prima. L'altro esempio: nel '92-'93 è partita la mascalzonata incredibile degli interporti, autoporti, eccetera, eccetera, che non sono altro che laghi di asfalto che non servono assolutamente a niente. Servono solo alla speculazione edilizia. Pensate che 32 interporti costruiti in Italia sono qualcosa come 70 kmq, cioè 7 mila ettari, di territorio asfaltato. Pensate che tutta la città di Piacenza è meno di 1.000 ettari e che il suo interporto sarà di 500 ettari: un megalago di asfalto, fatto con l'unico scopo di fare speculazione edilizia. I terreni agrari vengono comprati da un consorzio, il consorzio fa finta di essere pubblico, ma è privato, per avere sovvenzioni e agevolazioni, il giorno che il consorzio si troverà in difficoltà interverrà il pubblico per finanziarlo e così via. La speculazione poi è diventata un fatto connaturato, una cultura: la gente crede che questo sia "sviluppo". Tutte le amministrazioni regionali fanno il programma annuale o triennale e scrivono "infrastrutture necessarie allo sviluppo". Va così. Veniamo alle coltivazioni. Il grosso dei terreni coltivati in estate è coltivato a granoturco e mais, che viene tagliato in ottobre, molte stoppie vengono bruciate sul campo e quindi in novembre il suolo è assolutamente nudo. In questo modo il suolo ha efficacia idrologica zero: la crosta argillosa si è indurita, è diventata lateritica, e non solo, quindi, non c'è nessuna vegetazione da bagnare per intercettazione, ma il suolo non filtra più, è diventato impermeabile. Il mais in Italia non esisterebbe senza finanziamento pubblico, non servirebbe assolutamente a niente, una grossa parte si butta. Il prezzo di compenso dell'Eima o dell'Aima, o del mercato comune, è di circa 330-370 lire al chilo, ma se tu apri il Sole24ore di oggi vedrai che il prezzo internazionale del mais è di 170 lire al chilo FOB. Questa differenza fra 170 e 330 viene pagatadal contribuente europeo, quindi dal contribuente italiano. E i veri beneficiari di questa torta non sono certo i piccoli coltivatori, che sono veramente quelli che ancora coltivano e non beneficiano quasi per niente dei compensi del mercato comune, ma sono i grossi che in pratica non sono coltivatori, se ne stanno in città e danno la loro terra al contoterzismo. E il lavoro in contoterzismo significa cinque giornate lavorative all'anno: una giornata per l'aratura. due per il diserbo e la concimatura. tutta chimica, due per il raccolto e la sgranatura, basta. Questo è l'impatto occupazionale di questa coltivazione' E ognuno di questi cosiddetti lavoratori costa al contribuente italiano20.000.000di lire l'anno' Ci sono anche altri dati che dimostrano come ormai la diseconomicità introdotta nell'agricoltura da queste distorsioni della politica di intervento sfiora l'assurdo: le case esenti da Jciap perché definite case rurali sono5.200.000, mentre i coltivatori iscritti ali' Inps nel '94 sono 906.000. Il che vorrebbe dire che una famiglia di 4 coltivatori possiede e usa mediamente 20 case. C'è diseconomicità anche nella gestione dei boschi: l'economicità di produrre legna da ardere per venderlaogni 18annia4.0001ireal quintale è zero. Eppure per l'agricoltura non-devastante esisterebbero molti incentivi comunitari che, se fossero gestiti bene, consentirebbero di far crescere il bosco come servizio territoriale. Pensate poi a quanto costa una piena e quanto poco sarebbe costato remunerare, stipendiare, dare contributi, ai singoli proprietari di questi ettari boschivi perché li facessero crescere 50 anni anziché tagliarli ogni 18. li problema delle alluvioni come problema del territorio ... Esiste certo un problema specifico degli alvei dei fiumi, che, come dicevo prima, sono stati cementificati o canalizzati per cui non hanno più lacapacitàdi assorbire i milioni di metri cubi d'acqua che si hanno quando ci sono forti piogge. Ma da chi sono stati cementificati e canalizzati? Dal Genio Civile che, nella pianura Padana si chiama Magistrato del Po. La canalizzazione di fiumi e torrenti è stata fatta con due scopi evidenti: privatizzare le terre demaniali e vendere ghiaia e sabbia. Sapete che fino a gennaio di quest'anno esisteva un articolo del Codice Civile, abrogato dalla legge 37/'94, che consentiva di cedere gratuitamente ai privati i terreni demaniali, pezzi, cioè, di alveo di fiume, che fossero stati abbandonati dalle piene ordinarie. E per farli abbandonare dalle piene ordinarie il Genio Civile e il magistrato facevano quel le opere di protezione che apparentemente non servivano a niente, in realtà servivano a poter privatizzare le terre demaniali. C'è, per esempio, il caso di un povero comune, che si chiama Rivarone sul Tanaro, in cui i migliori terreni demaniali, decine e decine di ettari. sono stati ceduti gratis a una signora che con questa elementare operazione si è messa in tasca centinaia di milioni. Se si pensa che per far questo basta un geometra del Magistrato del Po. il quale decide. senza progetti. dicostruire una prismata e nel far questo impedisce l'erosione e la divagazione del Tanaro e quindi impedisce che questi terreni che prima erano sommergibili continuino ad esserlo, abbiamo un'idea di quanto costi alla comunità questo regalo fatto a un privato. Il secondo motivo è quello di vendere sabbia e ghiaia. Alla fine degli ì

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