Una città - anno III - n. 28 - dicembre 1993

Tutto il sindacalismo novecentesco è basato sull'idea di organizzare uno dei due fattori antagonistici della produzione in vista di una mediazione. Conflitto e mediazione erano i due aspetti ciel problema. Questi due aspetti vengono meno nella fabbrica integrata toyotista. non è ammesso il dualismo, la comunità cli fabbrica è monistica, è univoca, è ammessa un'unica soggettività, la rappresentanza del lavoro è realizzata nelle funzioni tecniche, il delegato di squadra è anche il capo della squadra. Il ruolo lavorativo e la soggettività sono la stessa cosa, non c'è un versante negozialeconfl ittuale mecliatorio, c'è esclusivamente una comunità di fabbrica articolata nelle sue diverse funzioni le quali devono essere organicamente sincronizzate tra di loro. Questa è l'idea, che si proietta all'esterno nella crisi di un'idea di uno stato sociale che deve mediare tra due grandi classi, di una comunità nazionale che deve competere con altre unità nazionali per attirare gli investimenti e così via. La fine del '900 è la fine di tutti quegli istituti che erano legati alla rappresentanza di interessi, al conflitto e alla mediazione. Di fronte a tutto ciò cosa può essere un movimento operaio? In questo senso io credo che ci siano tre strade possibili di fronte a un'ipotetica sinistra. La prima è quella di difendere la vecchia struttura e le vecchie relazioni industriali, l'idea del sindacato generale, ripeto, l'idea del lo stato assistenziale, l'idea della organizzazione politica di tutti i lavoratori come monopolista della loro soggettività, l'idea di un conflitto di fabbrica che ha come posta l'egemonia ali' interno della fabbrica stessa da parte dei lavoratori perché aura verso questa si egemonizza la ·società. Una seconda via è invece quella di aderire pienamente a questo modello cercando, ali' interno dei suoi caratteri inediti, la realizzazione di pezzi di programma operaio, che ci sono. Non c'è dubbio che nel toyotismo e nel I' onhismo c'è l'idea del la partecipazione, della soggettività valorizzata dal capitale, che è un'idea che è stata dentro per buona parte al programma delle sinistre, al programma operaio del superamento dell'alienazione produttiva. Quindi si può leggere in questa uscita dal fordismo-taylorismo un elemento di realizzazione di questo programma, comunque un terreno su cui battersi per consolidarlo, per incentivarlo. Mi pare che le cose che Vittorio Rieser scrive sulla fabbrica integrata rispondano un po' a questo carattere. Ovviamente questa idea presuppone che la nuova fase non faccia tabula rasa, in modo catastrofico, della istituzioni della fase precedente, che possa sopravvivere un sindacato che negozia e così via. Questa è una possibile strada. O addirittura decidere che si è chiusa un'epoca, che il programma operaio in parte è fallito, in parte è stato realizzato dal capitale. autogovernare collettivamente la propria quotidianità lo credo che tra queste due vie -l'apologia del nuovo e la difesa del vecchio- ci sia anche una terza via. Quella di una disincantata e realistica presa d'atto delle novità e di ciò che è ormai indifendibile nel repertorio politico-organizzativo del movimento operaio, ma, contemporaneamente, di una ricerca delle forme nuove di realizzazione di quello che continuo a considerare il nocciolo duro del programma operaio: i valori dell'autonomia della persona che lavora, della autonomia culturale, sociale, esistenziale della comunità del lavoro dalle devastazioni dello sviluppo capitalistico. Il movimento operaio si è costituito nei suoi principi fondamentali dentro un processo di resistenza alla mercificazione integrale delle condizioni di lavoro implicite nel processo di induslrializzazione. Non è stato un mero prodotto del l'industriai izzazione, ma anche di un processo di resistenza e di difesa di prerogative pre-industriali. Penso alle comunità di lavoro inglesi descritte da Thompson, alle lotte dei luddisti in quanto comunità etico-politiche, eticosociali, che difendevano in qualche modo relazioni non mercificate contro I' introduzione del macchinismo. Credo, cioè, che il movimento operaio si sia costituito nella difesa di un nucleo di umanesimo sociale dentro il processo di burocratizzazione, razionalizzazione, meccanizzazione, mercificazione capitalistico. Questo nucleo essenziale è stato difeso nell'800, nella fase pre-fordista-taylorista con lotte di resistenza, compresa quella delle 8 ore, lotte di resistenza di spazi, di autonomia. Mentre nel corso del '900 il valore dell'autonomia sociale e esistenziale della forza-lavoro è arretrato molto. Lo stesso stato sociale può essere considerato come l'effetto di un BI ES 0 dei céa auGianeo sicurezza, si rinuncia alla propria autonomia di mestiere, produttiva, e si ottiene in cambio una garanzia di un elevato livello di consumo. L'autonomia operaia ritorna fuori con grande forza nel periodo crepuscolare del fordismo, negli anni '60, nelle lotte dell'operaio-massa contro la reificazione e contro l'alienazione, lotte per certi versi fallite perché poi il salto tecnologico le ha spiazzate, ma che avevano al centro questo valore. Ora questo valore dell'autonomia può essere giocato con forza in questa terza fase. Si tratta cliinventare gli strumenti attraverso i quali si continua a praticare quel programma originario del movimento operaio. Che a mio avviso ruota fortemente intorno ali' idea di una cultura della solidarietà. Di fronte a comunità aziendali di produzione egemonizzate dalla domanda di impresa, dall'idea dellacompetizionedi impresa, che tenderanno a assorbire al proprio interno quello che le macerie dello stato sociale hanno lasciato scoperto -avremo le imprese che gestiscono le pensioni, la sanità dei propri dipendenti fedeli, gli asili nido, eccetera- credo che noi dobbiamo accettare questa sfida, tentando di costruire microcomunità solidaristiche dominate dal l'obiettivo del l'autonomia e non dalla adesione all'egemonia aziendale. E farne una scuola, una palestra di solidarietà e di autonomia. Un luogo in cui quello che è stato dissipato nel corso del '900 -la capacità, cioè, della gente di far da sé, di autogovernare pezzi della propria vita quotidiana- delegandolo alle grandi macchine burocratiche e all'impersonalità dello stato, venga restituito alla gente attraverso processi di libera associazione e di autogestione e autogoverno, non della produzione, ma della riproduzione sociale. Oggi è fondamentale recuperare il legame sociale nel territorio e non più solo nella fabbrica dove rischia di essere travolto continuamente dai movimenti e dalla mobilità del capitale. In che modo? Dobbiamo accogliere la sfida, costituire delle mutue autogestite con un numero relativamente basso di soci in modo tale da garantire la continua trasparenza e la partecipazione della gente. Rispondere, per esempio, al fauo che lo stato non copre più, se non in minima parte, il terreno della sanità. Ma senza rivendicare il ritorno a uno stato sociale che ci ha presi in ostaggio per poi abbandonarci, che ha monopolizzato i redditi operai e poi non ha mantenuto le proprie promesse, lasciando per di più milioni di persone indifese, senza più gli strumenti soggettivi per difendersi, ma scegliendo di costruire organi di autogoverno attorno a una cultura della solidarietà. Certo, i rischi sono enormi. Anche questi organi possono degenerare in piccoli gruppi avari, in gruppi di privilegiati che si contrappongono all'esterno come a un nemico. Ma il modo poi con cui il gruppo di coloro che hanno costituito una mutua, un'associazione di mutuo soccorso, o un fondo di solidarietà viene gestito -se lo aprono all'extracomunitario oppure no, se lo aprono al recupero dei tossicodipendenti del quartiere oppure no- non può essere un problema di automatismo istituzionale, ma di cultura, che deve essere in qualche modo rinnovata giorno per giorno a diretto confronto con i casi concreti. L'idea del mediatore istituzionale impersonale, astratto, universale che ha il monopolio della solidarietà, ti lascia poi un mare di leghisti, di gente espropriata cieli' idea stessa di solidarietà e che odia quel mediatore istituzionale perché lo rapina. Questa è una strada sbarrata. Dobbiamo essere in grado di inventare nuovi modelli, nuovi meccanismi di elaborazione, giorno per giorno, di procedure adeguate, di decisione, di criteri di ripartizione delle risorse. la logica della domus al posto di quella della polis Faccio un esempio concreto: noi a Torino abbiamo costituito l'Associazione dei Lavoratori Torinesi che non ha l'obiettivo di essere essa stessa la società di mutuo soccorso o la struttura solidaristica, ma di favorirne la formazione, di mettere a disposizione conoscenze tecniche, competenze, consulenti ecc. per chi volesse praticare l'autogoverno della propria vita, l' autogoverno collettivo e solidaristico della propria vita quotidiana. E' ai primi passi, è complicatissimo tutto perché ci si muove su un terreno inedito. Abbiamo deciso però di costituire un fondo di solidarietà edi sostegno per licenziati per atti di rappresaglia. A quel punto, nella necessità di scegliere i criteri con cui ripartire i fondi, di decidere chi ha diritto e chi no, ci siamo trovati di fronte alla tipica tentazione che qualsiasi politica solidari- sepra nocotra: quella di riprodurre il meccanismo statale, peraltro estremamente efficace, perché evita tutta una serie di problemi, della formulazione di regole astratte, impersonali, formulate prima dell'emergere di qualsii\Si esempio concreto, bisogno concreto. Quindi giuridicizzare rigorosamente a priori il funzionamento del fondo, stabilire chi ne ha diritto in astratto, in modo tale che poi non ci si presti alle accuse di favoritismo, precisare a priori le percentuali e le aliquote di distribuzione del fondo, costruire una casistica molto precisa di condizioni che ne danno diritto. A metà di questo percorso ci siamo resi conto che questo meccanismo, fatto per realizzare un progetto solidaristico, avrebbe inevitabilmente generato conflittualità invece di solidarietà. Perché all'interno di quelle regole è chiaro che chi avesse goduto di un emolumento di fronte alla possibilità di entrata di un secondo avente diritto si sarebbe appellato alle regole per di fendere l'entità del proprio emo1umento. Ci siamo accorti che proprio un meccanismo impersonale della ripartizione favorisce l'individualizzazione e lacompetizione anziché la solidarietà. Allora abbiamo abbandonato la strada della giuridicizzazione a priori, decidendo che l'assemblea dei soci valuta le nuove domande di sussidio a partire dalle caratteristiche concrete del caso, se ha altri redditi, quanti figli a carico ha e così via, e ridefinisce di lre mesi in tre mesi le quote che ognuno versa e le quote che vengono dislribuite a chi ne ha bisogno. Esattamente come in casa, giorno per giorno, si ridefiniscono le quote di ripartizione del reddito. Abbiamo applicato, non la logica dello stato, della polis, ma la logica della domus, la logica della casa, che non è la logica formalizzata e giuridicizzata della sfera pubblica e non è nemmeno la logica individualistica cieli' atomo, bensì quella della ree iprocità, dello scambio, del dono, quindi del legame sociale fortemente personalizzato che rompe sia con l'impersonalità del mercato, sia con l'impersonalità dello stato. Questo, da un punto di vista giuridico, significa dare vita ad un processo di costruzione di precedenti molto più vicino a quello del diritto anglosassone che a quello del codice napoleonico. Fare in modo, cioè, che siano le delibere dell'assemblea, volta per volta, a creare il nuovo diritto, un diritto che si produce nel farsi. Questa, secondo me, può essere una logica della solidarietà che si contrapponga alla logica novecentesca della burocratizzazione statale o del puro mercato. La proposta di riduzione dell'orario? Anche per l'orario di lavoro bisognerebbe far lavorare la fantasia. Ora si riesce solo ad inventare 35 ore a parità di stipendio, che era la proposta, una delle più giuste, di Lotta Continua nel '75. Allora era l'unico modo per stare dentro al processo di innovazione tecnologica continuando a far pesare l'operaio. Proporlo però oggi, quando il salto tecnologico è avvenuto e consumato, secondo me è un errore. Dirò una cosa che potrà scandalizzare: l'aumento di produttività è stato tale per cui una riduzione di 5 ore cieli' orario non cambia iIproblema occupazionale. Nel 1978 un operaio Fiat in un anno produceva 9,5 vetture, oggi ne produce 79. Allora ditemi quanta mano d'opera ti fa risparmiare 5 ore di diminuzione che equivalgono a poco più del I0% dell'orario di lavoro? Niente, a fronte di una produttività aumentata del I000%, per uomo a ore. contrapporre una solidarietà razionale all'egoismo razionale Diminuire l'orario di lavoro a parità di salario oggi significa solo accelerare il processo di periferizzazione e di rilocalizzazione del capitale. Perché uno deve produrre auto in Italia dove gli mettono questo vincolo, quando può produrle in Estremo Oriente dove un lavoratore gli costa 30 dollari al mese? Qui costa 30 dollari al giorno. Bisognerebbe, semmai, avere il coraggio di dire: 20 ore settimanali, o 16 o 30 ore settimanali, orari flessibili con una relativa diminuzione anche del salario, e con la A noi sta il compito di costruire un programma di solidarismo razionale altrettanto adeguato ai tempi, contrapposto, ma che non neghi i presupposti. E i presupposti sono che il territorio nazionale non è più lo spazio di riferimento, che lo stato sociale così come si è costituito è indifendibile, che la solidarietà deve scegliere strade nuove. Mi pare che in Italia pochissimi lavorino in questo senso. In Francia sono tantissimi, dal Mouvement Antiulitariste dans !es Sciences Sociales, una serie di filoni di sindacalismo rivoluzionario che comunque sono rimasti, pezzi di cooperativismo proudhoniano, la Francia ha una tradizione molto forte di antistafalismo, che in Italia manca. In Italia abbiamo la cultura del PCI che era "massa e stato" e "le masse dentro lo stato" e basta. Togliatti. E Gramsci, certo, ma Gramsci è stato grande perché ha capito perfettamente la portata strategica del fordismo e del taylorismo, quello che ora sta chiudendo. società di mutuo soccorso, circoli e giornali operai possibilità del lavoratore di negoziare rap- E la sinistra italiana è indifesa, non ha più porti di lavoro parziali non con un unico neppure la memoria della sua fase mutuadatore di lavoro. Io, lavoratore Fiat, posso . listica. Che è stata una fase di una ricchezfare benissimo 20 ore settimanali alla Fiat . za straordinaria fino al 1904. Lo sciopero per 700 o 800 mila lire, invece di fame 40 generale è un momento in cui questa rieper 1.400.000, e poi costituire una coope~ chezza delle società, delle leghe, dei merativa per la gestione del territorio, lavoro stieri, questa complessità è stata ridotta altre I O ore alla settimana, mi guadagno le nella logica della organizzazione centramie 300, 400, 500 mila lire e faccio dei lizzata. Poi la prima guerra mondiale è lavori di cura, ad esempio, agli anziani, ai stato un momento devastante da questo bambini, di cura del territorio, di pulizia punto di vista. dell'ambiente o un'infinità di lavori, arti- Ma andiamo a vedere quello che è stata gianali, creativi. Perché non immaginare l'esperienza del mutualismo, non dico in strutture della giornata lavorativa mobili, Emilia Romagna, ma in Piemonte che povariabili, integrate, e continuare a conside- trebbe sembrare poco significativa. Nella rare la giornata lavorativa come quel con- provincia di Novara c'erano 77 società di tenitore unico assorbente monolitico che è mutuo soccorso, alla fine dell'800 c'erano stata definita alla metà dell'800? La gior- 21 circoli operai, l'inaugurazione della nata lavorativa oggi può essere pensata Camera del Lavoro è avvenuta con la sfilamodulare, così come è modulare la vita ta degli stendardi delle leghe di resistenza della gente. Bisogna avere il coraggio di e delle società che raccoglievano decine di lanciare idee di questo tipo. esperienze, solo in una valle del novarese La Lega la vedi come un sintomo di c'erano 4 giornali operai. Il modello partiquesta crisi epocale? lo-stato ha spianato tutta questa ricchezza, Sicuramente. La Lega in Italia è stata l'uni- ha trascinato le risorse al cenlro, ha portato ca forza che, del tutto inconsapevolmente via i militanti dirigenti dalle fabbriche e dai penso, si è presentata come innovazione territori, li ha spostati di volta in volta nelle adeguata a questo doppio sfondamento capitali regionali e poi in quelle nazionali, dello stato nazionale: verso l'alto, per la ha fatto un processo di devastazione del globalizzazione del sistema economico, e tessuto operaio che nemmeno i padroni verso il basso, nel trasferimento del luogo hanno fatto, una cosa moslrUosa. in cui si produce identità dal territorio Per concludere. Mirafiori che fine farà? nazionale alla dimensione locale, al locali- Mirafiori è finita. Era addirittura quasi un smo. La Lega nel suo liberismo assoluto - paradosso nel modello fordista, un fordiglobalizzazione- e nel suo micronazionali- smo portato talmente alle estreme consesmo etnico, microcomunità locale -contro guenze da essere quasi assurda. Oggi a lo stato sociale, contro lo stato nazionale- Mirafiori esistono già almeno due fabbriha colto esattamente i segni del tempo. che: una che muore e una che vive. Quella Poi li ha trasformati in un brodetto mo- che vive ha tremila dipendenti che sono struoso dal punto di vista del contenuto, quellichefannolaPunto,quellachemuore perché ha esasperato tutti gli egoismi, però ha ventimila dipendenti che sono in cassa se si trattava di fare un programma adegua- integrazione. Mirafiori verrà chiusa nei to di egoismo razionale, la Lega l'ha fatto. prossimi IO anni, non ci sarà più. • UNA CITTA' 5

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