Una città - anno III - n. 24 - luglio 1993

luglio QUAL:EONU? Antonio Papisca, esperto di diritto internazionale, ci spiega quali debbano essere, secondo lui, le condizioni perché possa funzionare una polizia internazionale dell'Onu, ormai auspicata anche da tanti pacifisti. In PASCOLI E IL NUOVO ORDINE MONDIALE, Rocco Ronchi riprende la straordinaria tesi del poeta secondo cui giustizia e pietà sono indissolubilmente legate. In seconda e terza, insieme alla lettera sconsolata di un giovane gravemente ferito in Bosnia. SE INVECE DI UN MILOSEVIC. Cosa succede nei paesi dell'est? Presi da problemi economici terribili e dal riemergere di nazionalismi e xenofobie, stanno macinando anche molte cose positive. E' Lisa Foa a parlarne. In quarta e quinta. I PROTAGONISTI INVISIBILI sono quelli che studiano e combattono la mafia nel riserbo e ignorati dai mass-media. Giovanni La Fiura è uno di loro. In quinta. MONACI ZEN è il servizio fotografico sul monastero zen di Fudenji. In sesta e settima. Per stazioni, Gianluca Manzi ci parla de LA LIBERTA'DELLAPERSONA AMATA. ANDARE VERSO SUD è l'intervista a Adriano Sofri sull'amore per il sud che animò il 68. L'eccezionale incontro fra figli di papà con una gran voglia di sole e giovani operai meridionali della Fiat. Poi il riflusso, il risentimento, anche il carrierismo ••• In ottava e nona. UNA FATICOSA SERENITA' è quella di tre giovani lesbiche alle prese con le difficoltà a dichiararsi, a incontrarsi e a convivere. In decima e undicesima. SOCIETA' DI COMUNITA' è l'intervista a Marco Torchi, della "nuova destra". Per lui l'annullamento delle diversità non può che portare a una colossale implosione. In dodicesima e tredicesima, insieme a un intervento di Giovanni Tassoni sul futuro della DC. ASCOLTAREPERAIUTARE è l'intervista a Gemma Martino, dell'Istituto Tumori di Milano, che si occupa di aiutare i cittadini operati di tumore a rientrare in città non come ex-pazienti ma come persone. I DIRITTI DELMORENTE è l'intervista a Franco Pannuti, primario di oncologia a Bologna, che si batte per la dignità di vivere e morire del malato condannato. Con un intervento su questi temi di don Sergio Sala. L I EMA 10 PIANGO è il monologo di Maria, travestita spagnola. In ultima.

un inese d, luglio ... · .,'J , ••• , .:.;-::·:/:,/:.-:::<:···-:-·-)< / .. "... senonché tra le due linee vicino alle case abbandonate ci trovammo di fronte un serbo, solo, giovanissimo, con la divisa militare, sicuramente un volontario. Camminava quatto quatto, armato solo di un vecchio fucile ... Lo abbiamo disarmato. Lui spaventato si giustificava che era lì solo per recuperare delle pecore perse, dei maiali che i contadini avevano abbandonato scappando. Lui li catturava e vendeva. Giura che viveva di questi traffici. Poteva essere vero, anzi era così sicuramente. Certo, aveva avuto un bel fegato a passare la linea. Ce lo portiamo dietro. Ci dice che si chiama Dragan, che il fratello era rimasto ferito, i suoi genitori erano profughi. Lo tenevo io, così fraternizzammo un po', una sigaretta, una battuta scherzosa e il ragazzo comincia a tranquillizzarsi. Era disposto a passare dalla nostra parte: si vedeva che era uno sbandato, era anche simpatico. Eravamo lì lì per lasciarlo andare, quando i serbi si accorgono della nostra presenza, danno l'allarme e aprono il fuoco, anche se non avevano individuato esattamente la nostra postazione. Il ragazzo diventa per noi un impiccio. Il momento era molto delicato, avevamo con noi parecchio esplosivo. Dragan comincia a agitarsi, vuole scappare. Se lo avesse fatto i serbi ci avrebbero localizzato e sarebbe stata la fine. Andava presa una decisione, subito e senza esitare. Ci scambiamo delle occhia-te veloci. Il capo aveva già deciso. Con un gesto della ·mano ci fa capire che andava fatto fuori. Anche· il ragazzo capisce, è terrorizzato, si getta per terra, implorando di essere risparmiato. Piange. Si aggrappa a me, chiedendomi aiuto, protezione. Il capo si avvicina e con un colpo di karatè lo stende, con un altro colpo deciso gli spezza il collo, col pugnale lo finisce. Ci allontaniamo ... La necessità di una polizia internazionale ma anche di una chiarezza sugli scopi e i limiti degli interventi. La necessità di abolire il diritto di veto per ciò che riguarda i diritti umani. La necessità di evitare l'egemonia degli Usa. Intervista a Antonio Papisca. Quella sera ci sbronziamo. Mai, tra noi, un cenno, una parola su quello che era successo. Era stata una carognata, avremmo potuto risparmiarlo. Ma quegli occhi di Dragan, quegli occhi che chiedevano aiuto non li posso dimenticare ... Sl}i, Bruno, erano gli occhi di un ragazzo sveglio e ribelle ... Ma ero stato anch'io così alla sua età. Erano gli occhi di mio fratello Thomas". La citazione è tratta da un articolo di Bruno Zanin, volontario della Caritas, sul Corriere della Sera del 12 luglio '93. A parlare è Heinz Stefan Wiesenack, tedesco di 28 anni, di professione mercenario. In questa fosca estate appuntiamo la nostra speranza al ricordo di Heinz che alla fine è riuscito a ritrovare negli occhi dell'altro quelli di un fratello. Prima di spararsi alla testa mentre sedeva al bar Metropolitan di Srebrenica. Fondatore e animatore del Centro Studi sui Diritti dell'Uomo, che pubblica la rivista Pace, Diritti dell'Uomo, Diritti dei Popoli, Antonio Papisca, insegnante presso l'università di Padova, editorialista del quotidiano Avvenire, è una delle voci più ascoltate del movimento pacifista. Cosa c'è di nuovo rispetto al passato negli ultimi interventi militari dell'ONU sia dal punto di vista del diritto internazionale sia dal punto di vista dello stesso ruolo politico dell'ONU ? Sicuramente c'è un risveglio dell'ONU dovuto a una serie di fattori di cui il più importante è la fine del l'assetto bipolare, cioè del la fine della contrapposizione politica e strategico-militare tra est e ovest del mondo. Fino a quel momento l'ONU non ha potuto funzionare secondo quanto disposto dal suo Statuto (la carta di S. F,.ranciscoche fu adottata nel giugno del 1945). Il sistema di sicurezza dell'ONU fu concepito allora in termini abbastanza precisi e avrebbe dovuto funzionare sulla base della piena disponibilità da parte dell'ONU di una forza di pubblica sicurezza internazionale messa a disposizione in via permanente da parte di tutti gli stati membri. L'art. 43 della Carta ONU dispone l'obbligo per tutti gli Stati di conferire alle Nazioni Unite una volta per tutte una parte dei loro eserciti. Questa forza di pubblica sicurezza dell'ONU dovrebbe agire sotto l'autorità ed il comando diretto del Consiglio di , Sicurezza coadiuvato da un comitato di stato maggiore formato dai rappresentanti militari dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e da quelli di altri Paesi. La stessa carta chiarisce gli ambiti di utilizzazione di questa forza di sicurezza internazionale: non se ne può disporre a fini bellici, cioè a scopo distruttivo (per debellare un paese, per fare conquiste territoriali, etc.). Quindi è vietato l'atto di guerra. La forza di sicurezza internazionale dovrebbe quindi essere usata come deterrente per tutti, e poi può essere impiegata per rafforzare le sanzioni di vario genere, a cominciare da quelle economiche che il Consiglio di Sicurezza può adottare. La forLa di sicurezza può poi essere impiegata per adottare blocchi militari e al fine di dimostrazioni militari, ma non a scopo di rappresaglia, non a scopo di legittima difesa preventiva, etc. una forza di pubblica sicurezza internazionale Questo sistema di sicurezza dell'ONU può funzionare solo nel caso che le stesse Nazioni Unite dispongano effettivamente di questo strnmento di deterrenza e di dissuasione. Ma questo non è, neppure oggi che vediamo l'ONU più attiva. Ciò che è successo negli scorsi decenni, cioè l'impiego dei cosiddetti caschi blu, è una prassi di ripiego che come tale non è neppure prevista dalla carta ONU: siccome non si dispone in proprio di una forza di pubblica sicurezza Internazionale ecco che di volta in volta il segretario generale viene autorizzato a chiedere l'elemosina a questo o a quello stato di un certo numero di caschi blu per svolgere operazioni che vengono dette di "interposizione" ovvero di mantenimento della pace; per garantire una tregua sul campo; per agire da cuscinetto come ad esempio a Cipro; per presidiare una zona, come in Sinai. Negli ultimi tempi, alla luce dei grandi mutamenti strutturali avvenuti nel pianeta e soprattutto per l'emergere sulla scena politica internazionale del segretario generale Boutros Ghali, che è una grossa personalità, si stanno ponendo le premesse perché cominci veramente a funzionare il sistema di sicurezza così com'è previsto dalla carta. Per riuscire a capire dove si potrebbe arrivare in questo momento in termini di potenziamento dell'ONU è interessante leggere il rapporto recentemente presentato dallo stesso Boutros Ghali denominato "Un'agenda per la pace" in cui il segretario generale delle Nazioni Unite richiama gli stati al loro obbligo giuridico di deferire una volta per tutte all'autorità e al comando ONU una parte dei loro eserciti. Gli stati sono messi con le spalle al muro da quel documento. Per quanto concerne l'Italia ad esempio il governo ed il parlamento dovrebbero chiedere all'opinione pubblica ed al popolo italiano se la nazione intende mettersi in regola con la carta delle Nazioni Unite e quindi riconoscere definitivamente l'autorità soprannazionale dell'ONU e dunque uscire fuori da operazioni ambigue e pasticciate come questa delle coalizioni multinazionali che hanno operato ad es. nel Golfo, ma anche in Somalia. Boutros Ghali presenta anche una sorta di tipologia delle possibili operazioni di Polizia lnternazionaledell'ONU: è possibile usare lo strumento coercitivo a fini di deterrenza, a fini di mantenimento della pace, a fini di imposizione della pace ed a fini di costruzione della pace. Per almeno due delle suddette tipologie Boutros Ghali fa anche appello alle organizzazioni non governative per quelle che noi chiamiamo "operazioni umanitarie·•. E' qui necessario ampliare il quadro del discorso: è mia personale convinzione che esista la necessità di distinguere fra "operazione umanitaria'' e "operazione di pubblica sicurezza internazionale''. La prima deve essere gestita esclusivamente con strumenti civili e quindi con strumenti di emergenza e di solidarietà sia governativi che non governativi. Per quanto riguarda l'Italia, per esempio, questo tipo di interventi andrebbero gestiti dalla protezione ci vile e dalle associazioni di volontariato. Le operazioni di pubblica sicurezza internazionale invece si avvalgono dello strumento militare così come previsto dalla Carta ONU. Chiaramente anche in questi casi si può parlare di intervento umanitario nel senso che l'ONU non può mai intervenire a fini di guerra, per conquiste militari, per distruggere e via dicendo, però mi sembra ambiguo usare l'umanitario laddove si tratti di operazioni di polizia internazionale. Certamente possono sorgere situazioni in cui per far giungere aiuti alimentari e medicine a popolazioni assediate c'è bisogno della forLa di pubblica sicurezza internazionale che permetta di concretizzare gli obiettivi. Però è bene mantenere distinti gli strumenti e le modalità dell'operazione. "fu legittima o no?" La risposta fu "illegittima". E' evidente che nello stesso contesto ci può essere l'operazione di pubblica sicurezza internazionale e l'operazione umanitaria: però sono due operazioni distinte con strumenti distinti. Se torniamo un attimo a riflettere su quello che lei ci ha spiegato essere la logica dell'uso della forza previsto dalla Carta ONU, non le pare che nel Golfo si sia andati oltre? Ma certo! Nel Golfo si è avuto un processo bellico, cioè una guerra vera e propria dove l' ONU non c'entrava nulla: sul campo non c'era l'ONU, nemmeno la bandiera ONU per intenderci e questo dev'essere chiarito una volta per tutte. Nel Golfo ha agito una forza multinazionale sotto il comando degli Stati Uniti e non c'è stata una legittimazione esplicita dell'ONU nei confronti del Comando USA. Ci fu una infelice e illegittima risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la 11°678, con la quale il Consiglio di Sicurezza stesso andò al di là della Carta e quindi se vogliamo ci fu un eccesso di potere, uno sviamento di potere che oggi i più onesti esegeti e commentatori della vicenda riconoscono essere stata illegittima. lo ho avuto questa conferma 5 o 6 mesi fa a Gorizia dal doti. Giandomenico Picco che era allora il braccio destro di Peres de Cuellar. Alla domanda: "Fu quella una risoluzione legittima o illegittima?", la risposta fu: ''Illegittima". La spiegazione sta nel fatto che il Consiglio di Sicurezza, secondo la Carta ONU, una volta che sia investito di un'operazione deve gestirla e comandarla in proprio, non può delegare il potere che la Carta gli riconosce. E' vero poi che il Consiglio di Sicurezza non dispone ancora dello strumento per esercitare questo potere in proprio, cioè non dispone della forza di pubblica sicurezza internazionale prevista dall' art. 43 e seguenti di cui si è detto. Ma non per questo il Consiglio di Sicurezza può delegare gli Stati o riconoscere loro chissà quale autorità; può tacere, può non agire, ma non può riconoscere ad altri il potere terribile, il potere coercitivo, che la Carta riconosce solo al Consiglio di Sicurezza. Diversa è la situazione per i casi di autotutela individuale e collettiva. Per la vicenda del Golfo le cose, in termini strettamente giuridici, sono chiare ed evidenti: l'ONU non ha condotto la guerra del Golfo, la guerra è stata condotta da una coalizione multinazionale comandata dagli Stati Uniti. Gli Stati, anche ai sensi della Carta, rimangono titolari di quello che viene chiamato il diritto naturale di autotutela individuale e collettiva. Ma anche questa, che è un'eccezione al principio del divieto dell'uso della forza da parte degli Stati, è molto circostanziata. Quindi le recenti vicende dell'Iraq, che sono state costruite dagli USA come un caso di legittima difesa preventiva o addirittura di rappresaglia, sono al di fuori della Carta ONU. Non si possono legittimare ai sensi dell'art. 51 della Carta ONU. La stessa Santa Sede segue questa medesima visione dei problemi. Il caso degli ultimi bombardamenti dell'Iraq da parte degli Stati Uniti non possono essere considerati legittimi né come legittima difesa né come rappresaglia. lo direi che ciò che va criticato in termini fortissimi è il modo strumentale con cui gli Stati Uniti si stanno ponendo nei confronti dell'ONU. il deficit democratico dell'Onu Oggi gli USA possono concedersi tutti i lussi: possono fare tutto il male possibile contro il diritto e contro l'autorità ONU e allo stesso momento possono permettersi di fare tutto il bene possibile. Sono l'unica superpotenza sopravvissuta e quindi hanno sulle spalle una grandissima responsabilità che è quella di costruire in una direzione o in un'altra l'ordine mondiale. In questo momento danno esempio di irresponsabilità. E' chiaro che dietro ci sono grossi interessi; c'è la macchina multinazionale dell'economia, del commercio, della finanza e del la produzione e del commercio di armi. Allora bisogna stare attenti perché questi sono momenti cruciali per gli Stati e per i Governi. In Italia a questo punto i massimi garanti della costituzione

devono fare una dichiarazione dicendo che l'Italia riconosce nella carta dell'ONU e nelle convenzioni giuridiche internazionali dei diritti umani, che sono un prodotto della carta ONU, la suprema legge regolatrice dei rapporti internazionali e quindi l'Italia applichi l'art. 11 della Costituzione non in ossequio della legge del più forte e quindi dell'arbitrio anche nell'interpretazione delle leggi internazionali, ma in ossequio alle norme supreme sui diritti umani e quindi in ossequio dell'autorità soprannazionale dell'ONU. gli Usa stanno condizionando tutto l'Onu Io credo che l'opinione pubblica italiana dev'essere messa di fronte a dei dati precisi, va illustrato all'opinione pubblica il contenuto della carta ONU, quali sono i termini, le coordinate della sicurezza collettiva così come proposte dalla carta ONU. In questo momento insomma possiamo imbucare la direzione giusta, la migliore, oppure la direzione peggiore. Attualmente siamo in un pasticcio, in una melma e quindi ripeto che è molto importante la delucidazione di principi, di concetti, di norme giuridiche quali ritroviamo nella carta ONU e nelle convenzioni giuridiche sui diritti Umani. Dunque una riforma dell'ONU é necessaria o sarebbe sufficiente applicare l'attuale carta ? Io credo che la carta nel suo insieme resti valida, in particolare per quanto concerne il sistema di sicurezza, a parte qualche necessario ritocco. La carta va letta alla luce della storia e sulla base delle convenzioni sui diritti umani che sono la prima parte di una costituzione mondiale. L'ONU ha bisogno in questo momento di democratizzazione al suo interno, cioè se la carta viene applicata fino in fondo e quindi l'ONU dispone della sua forza autonoma di dissuasione e di sicurezza su scala planetaria, dovrà essere più legittimata e dovrà essere più partecipata politicamente. Questo significa che alcuni organi ONU devono essere legittimati direttamentedai popoli, quindi per l'ONU si pone il problema del deficit democratico come lo si pone nei confronti della Comunità Europea la quale si è data un Parlamento che però ancora non ha i poteri che un' assemblea legislativa eletta dai popoli deve avere. li problema del deficit democratico dell'ONU si pone ancora con una maggiore urgenza perché l'ONU non decide soltanto il prezzo dei ravanelli o delle zucchine, l'ONU decide anche l'impiego della forza militare. Quindi l'idea di un parlamento ONU direttamente eletto dai popoli dei vari paesi membri non è un'idea utopica, ma è un progetto politico che ha già delle formulazioni propositive. Poi bisogna rendere più efficace e più libera la partecipazione, al l'interno dei processi decisionali ONU, delle Organizzazioni Non Governative che hanno struttura internazionale. In questo momento 831 di queste ONG internazionali hanno un minimo di riconoscimento anche a livello ONU, ma hanno anche tanti limiti nel loro modo di agire all'interno dell'ambito ONU. Tra le più importanti fra queste ONG ricordiamo Amnesty International, Pax Christy International, la Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli, etc. Queste possono assicurare una valida forma di partecipazione politica e popolare nelle prese di decisione dell'ONU. Quindi io sto dicendo più potere all'ONU secondo quanto previsto dalla carta e contestualmente democratizzazione della struttura ONU. Un altro problema fondamentale è quello che si è già detto e cioè che l'ONU non dispone dello strumento per esercitare il potere che gli è conferito dalla carta, è cioè un minore sotto tutela e quindi prendersela con l'ONU e dire che l'ONU fa male e pasticcia e che potrebbe far di più, ha poco senso perché l'ONU non è in grado di realizzarsi secondo la sua identità. Bisogna dunque prendersela con gli Stati. Perché ilGoverno Italiano non comincia a realizzare l'art. 43? Sono dunque gli Stati che secondo interessi contingenti agiscono in un modo nel Golfo, in un altro in Somalia, in un altro nei confronti dei Territori Palestinesi occupati, in un altro ancora in Bosnia. Quindi bisogna prendersela con gli Stati che non si decidono a fare il salto di qualità. Dopo la scomparsa del1'URSS, a livello di equilibri, si è rotto tutto: minore sotto tutela prima, minore sotto calcagno adesso, dove il calcagno è quello degli USA. I quali coprono per il 20/23 % le spese ONU essendo così il massimo contribuente finanziario. Gli USA stanno condizionando il funzionamento dell'Organizzazione soprattutto per la materia più delicata cioè la sicurezza. Quindi nel Consiglio di Sicurezza gli Usa riescono a tirarsi dietro gli altri membri permanenti del Consiglio prendendoli per il collo dal punto di vista finanziario. Oggi dunque nel Consiglio di Sicurezza c'è una potenza egemone che condiziona tutto e sono gli USA. In una logica di democratizzazione dell'ONU il Consiglio non può andare avanti così, dev'essere sicuramente ampliato, dev'esserci una partecipazione importante dei paesi del sud del mondo, il potere di veto dev'essere abolito e nel frattempo, in via transitoria dev'essere abolito il potere di veto per ogni decisione riguardante i diritti umani. - PASCOLI E IL· NUOVO ORDINE MONDIALE Di fronte a tanta spietatezza in nome del diritto internazionale (Iraq, Somalia ecc), di fronte a tanto razionale realismo nella repressione giuridica di "incontrollati" flussi migratori (Francia, Germania ecc.), può essere di una certa utilità rileggere una vecchia conferenza di Giovanni Pascoli, un poeta per nulla sovversivo, il cui socialismo sentimentale e stillante lacrime piccolo borghesi è stato, anzi, da molti giudicato come un'involontaria anticipazione della pappa ideologica fascista. Nella conferenza "L 'Avvento" si legge però una piccola bellissima frase: "La giustizia, è detto, non comincia se non dove giunge la pietà". Dal punto di vista del concetto porre la pietà a fondamento della giustizia è una evidente eresia. Anche Pascoli sapeva bene che l'idea occidentale di giustizia è un sublime parto, come egli stesso scrive, della "ragione sola", vale a dire, come ha spiegato Aristotele, della "ragione senza desiderio". Le passioni, si dice, oscurano la ragione, la giustizia deve invece essere oggettiva, dunque, se necessario, anche spietata. Un argomento, questo, ineccepibile, e che costituisce l'orizzonte del tragico conflitto pietà-giustizia che da sempre accompagna l'umanità occidentale. Ma l'ateo Pascoli aveva imparato dal cristianesimo a diffidare di questa ferrea logica ed auspicava, nel suo linguaggio insopportabilmente patetico, una fondazione della giustizia in qualcosa di più grande della sola ragione. Egli diceva: "nel sentimento" epiù precisamente nella pietà. Ai spcialisti rivoluzionari del suo tempo, come ai commentatori marxisti della sua opera, una simile lacrimevole affermazione era sufficiente a far rizzare i capelli sulla testa. Non pietà essi infatti chiedevano, ma giustizia, non era un sentimento di benevolenza e carità nei confronti della loro situazione che desideravano, ma il riconoscimento di un diritto razionale. Chi lotta per la giustizia non pretende pietà per sé ed è disposto a sacrificare anche quella eventualmente suscitata nel suo animo dall'avversario "di classe", cioè "oggettivo". Nel suo "semplicismo filosofico" Pascoli non era molto attrezzato per rispondere a questa obiezione, ma nello scritto in questione egli osserva che l'apologeta di giustizia che dimentichi che il fondamento della giustizia è la pietà in realtà "agisce, combatte, soffre" perché non avvenga ciò che vorrebbe che avvenisse. La pietà non è infatti un sentimento accessorio, un affare privato della coscienza che non deve turbare il giudizio astratto della ragione sillogizzante, ma il terreno fertile sul quale soltanto la giustizia può crescere rigogliosa. Sganciando la pietà dalla giustizia, giustificando la spietatezza, il rivoluzionario, come l'operatore di giustizia in generale, in realtà addirittura compromette l'awento del regno per cui crede di agire. Ciò che egli infatti costruisce è un simulacro, un fiore senza radici. Una giustizia spietata -questa è, dopotutto, la semplice idea di Pascoli, meritevole, soprattutto oggi, di una qualche attenzione- è assoluta ingiustizia perché nega il suo fondamento. Non ha perciò nemmeno senso, continua Pascoli, discutere della legittimità o meno della pena di morte. Non mostrando alcuna pietà per il colpevole, anzi preparando per lui con meticolosa e burocratica cura, la più premeditata delle fini, essa non può, per definizione, essere altro che un atto assolutamente ingiusto (semplice gioia festiva del supplizio, aveva detto Nietzsche). Sia chiaro: Pascoli sa bene che la giustizia non è risolvibile nella .. pietà. La giustizia, egli infatti dice, comincia dove giunge la pietà. La giustizia umana è una "forma". Essa, infatti, può incontrare il prossimo solo nella figura di un altro anonimo e senza volto di cui riconosce astrattamente il diritto. La sua piccola frase però ci rammenta ciò che la ragione formalizzandosi e tecnicizzandosi dimentica. La ragione, essa ci dice, è stata capace di riconoscere astrattamente l'altro solo perché gli occhi della carne devono avere visto e devono aver sofferto questa nuda esistenza singolare che bussa alla mia porta. Perché la pietà deve averle rivelato quello che .da sola non avrebbe potuto mai scorgere. Da questa rivelazione, assente nel silenzioso mondo animale (si potrebbe infatti così completare la frase di Pascoli: la pietà comincia solo dove giunge il linguaggio), la ragione trae alimento e forza ~ senza di essa, senza il suo costante rinnovarsi, si perverte scadendo a mero calcolo. Da questa rivelazione essa è chiamata a costruire il suo edificio di regole che deve poi essere sempre pronta a dismettere, a rettificare, non appena risultino in aperto contrasto con r l'esigenza primaria della pietà. Non vi possono essere quindi "ragioni oggettive" che implichino il sacrificio totale della pietà. Una ragione disumana è semplicemente una non ragione, un feticcio o un idolo. Bestialità o natura, direbbe Pascoli. La piccola frase può allora aiutarci a smascherare tante ipocrisie e ad essere più duri e più esigenti con noi stessi. Se non altro ci invita a chiamare le cose col loro nome, primo passo, secondo Leopardi, per entrare nel regno della saggezza. Essa ci ricorda infatti che chi fa professione di realismo e razionalità spiegando "oggettivamente" la propria inevitabile insensibilità al dolore altrui, in realtà non ha visto quel dolore, non lo ha sentito. Ha dimenticato perciò il compito della ragione. Se allora parla di giustizia, scrive ancora Pascoli, se fa appello a oggettive necessità, èperché sta cercando, in cattiva coscienza, di "moralizzare il proprio egoismo". Rocco Ronchi QUEI SOLDATI DELL'ONU ••• senso dividere la Bosnia, ma posso capire. Ognuno vuole una parte. Posso capire. Ma perché quella violenza? Perché gli stupri? Perché si spara sui civili? Mio nonno ha quasi 80 anni, alle 5 della mattina i croati l'hanno preso e l'hanno portato, con tanti altri, nello stadio e l'hanno tenuto lì fino alle IO di sera, senza mangiare, senza dire perché. Non capisco. l'ONU sono buttati lì, non sanno cosa devono fare, assistono a dei massacri e non possono sparare, subiscono degli attacchi, sono minacciati. Mi sembra una situazione molto difficile, bisognava fare qualcosa prima, adesso ormai la Bosnia è divisa. Ho 26 anni e non posso dire come andati via. Non ho più visto i miei mi chiamo perché ho paura, non amici serbi. Molti se ne sono andati per me, ma per i miei parenti che per la paura, molti per combattere sono ancora là. A Mostar studiavo con i serbi. So di alcuni che hanno e lavoravo. Ero al terzo anno di partecipato ai bombardamenti che giurisprudenza e in estate affittavo dalle colline ogni giorno venivano un piccolo negozio vicino al ponte fatti contro la città. E questo è anvecchio e lavoravo coi turisti. La cora oggi per me incredibile. Però guerra è cominciata un anno fa, in devo dire che in questa guerra le aprile, poco dopo che era comin- persone non possono decidere da ciataaSarajevo. Prima ancora c'era sole. Tanti che non volevano comstata in Slovenia e poi in Croazia. battere l'hanno dovuto fare o per la Quando è cominciata in Croazia, la situazione, o per difendersi o perpaura è arrivata fino a Mostar. Nel- ché obbligati. Ogni giorno di più le la città, mussulmani e croati erano persone devono pensare solo a una contro la guerra, i serbi, lo abbiamo cosa: come sopravvivere. Le tue capito dopo, si stavano invece pre- idee, i tuoi desideri non contano parando. Anche i croati si dimo- più. Devi sopravvivere, puoi penstrarono abbastanza pronti, solo i sare solo a te e alla tua famiglia. mussulmani erano totalmente im- Non hai tempo per pensare. Solo i preparati, non l'aspettavano pro- civili perdono in questa guerra, tutprio quello che sarebbe successo. ti i civili. La povera gente soffre, Anch'io non immaginavo quello per una guerra voluta dai politici e che sarebbe successo. Avevo amici dai militari e a cui hanno partecipacroati e serbi. to tutti i criminali. Tutti quelli che Poco prima che a Mostar si comin- prima erano criminali sono andati a ciasse a sparare molti serbi sono combattere. Ci sono molte bande Biol1otecaGino Bianco che combattono per conto loro, e che ogni tanto vengono usate dagli eserciti regolari, e che sono composte di criminali, di ladri. Nel giugno di un anno fa i serbi, ormai sconfitti e allontanati dalla città, continuavano a bombardare, così, a casaccio, e una granata è caduta proprio davanti a casa mia. Ero nella strada con 5 miei amici. Uno è morto sul colpo, investito in pieno dalle schegge. Io ero di fronte a lui e per quello mi sono salvato. Le schegge hanno colpito anche me e sono stato portato inospedale. Ero morto anch'io, poi mi hanno rianimato. Sono stato trasportato a Spalato e là mi hanno salvato. Ho perso un occhio e ho una scheggia in un polmone. Non si può togliere. Poi sono arrivato in Italia per un terzo intervento aJI'occhio e per una specie di chirurgia plastica per la parte della faccia colpita. Per il polmone non si può fare più niente. Ogni tanto mi fa male, o dà fastidio. Adesso la situazione è grave, stanno dividendo la Bosnia, ma non ha senso, la gente è mescolata, ci sono i matrimoni misti. Non riesco a capire niente. Il piano di divisione mi sembra spinto dai serbi e dai croati per fare pulizia etnica. Tutti combattono contro tutti e i mussulmani sono nella situazione più grave, perché anche se sono di più hanno poche armi. I croati erano nostri alleati contro i serbi, adesso dove gli conviene si alleano con i serbi contro i mussulmani. questi non hanno posti dove andare, nessuno li aiuta, devono resistere e cercare di sopravvivere. Tutto questo non ha senso. Muoiono tutti. Ti uccide un cecchino, ti uccide una bomba, ti uccide una scheggia. Ho ancora molti parenti a Mostar, di cui so pochissimo. Io non posso chiamarli, loro ogni tanto riescono a telefonare. Chi può scappa. So di ragazzi croati che scappano perché non possono sopportare quello che sta succedendo e non vogliono partecipare a quella guerra. Non ha E dopo tutto questo, qualcuno dovrà vivere lì. E nessuno può vivere da solo. I croati non potranno vivere da soli in una provincia croata e così gli intrecci ci sono e ci saranno, per l'economia, per il lavoro, per i matrimoni. Per questo dico che non capisco qual è il senso di quello che sta succedendo. Il mio pensiero è solo che è tuti.acolpa dei nazionalisti. E adesso la situazione è molto grave. Prima, all'inizio, forse era possibile mettere la Bosnia sotto il protettorato dell'ONU e impedire la guerra, impedire ai croati della Croazia e ai serbi della Serbia di intervenire per dividere la Bosnia. Adesso è più difficile, c'è già la guerra. Questi soldati delOrmai tutti sono impazziti, quelli che fanno la guerra e i civili, che ogni giorno non sanno cosa succederà, hanno la psicosi del cecchino o della granata o di qualcuno che va a prenderli da casa. Devono pensare solo a sopravvivere. Non possono più scegliere, non sono più persone. Anche se succedono episodi dove si capisce che ci sono ancora degli esseri umani: ho saputo di persone ' costrette a combattere che hanno sempre sparato in alto. A volte i soldati opposti si riconoscono e allora non si sparano o sparano fuori bersaglio. So di amici e parenti che si sono salvati perché dei croati li hanno prima nascosti e poi aiutati a fuggire mentre i soldati croati li cercavano. •• U._.A CITTA' 3

di politica I VECE DI U ILOSEVIC ••• Le difficoltà economiche e sociali, le illusioni illuministiche, il ritorno di nazionalismi, xenofobia, antisemitismo. Ma anche una vitalità sotterranea, anticipazioni culturali, esperimenti economici nuovi. Sulla situazione dei paesi dell'est intervista a Lisa Foa. Tu ti sei sempre appassionata allo studio dei paesi dell'est europeo, ci puoi parlare della situazione attuale di questi paesi, apparentemente almeno, così afflitti da gravissimi problemi di transizione? Sono difficoltà che hanno radici lontane. Regimi come quelli che e' erano in Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia ma anche nell'Unione Sovietica, erano considerati quasi eterni e immutabili da parte di dirigenti e politici occidentali convinti che il fenomeno della dissidenza e dell'opposizione fosse assolutamente trascurabile, marginale, che non potesse scuotere la solidità politica, economica, militare di quei sistemi. Basti pensare che tutto il progetto dell'Europa unita aveva lasciato fuori questa fetta consistente dell'Europa. Da un'Europa che è già un piccolo pezzo del continente euro-asiatico, era stato ritagliato un pezzettino ancora più piccolo. Un progetto oggi quasi andato a monte per la sua imprevidenza, perché non aveva previsto -non dico il crollo di quei sistemi, non 1'89- ma nemmeno un'apertura, una possibilità di rapporti più stretti e organici. Aveva accettato questa spaccatura. E questo aveva avuto i suoi effetti su tutta l'opinione pubblica, impedendo la comprensione di quantq stava lì succedendo. Anche partiti di sinistra come il PCI avevano sempre considerato la dissidenza come qualcosa ancora peggiore del 68, una cosa da isolare, assolutamente, da non incoraggiare. Il Partito Comunista di solito si atteneva a questa regola: se il movimento riformista veniva fuori dall'ambito dei partiti comunisti - la primavera di Praga o l'esperimento di Gorbaciov- esso andava, anche se parzialmente, appoggiato. Ma tutto quello che era estraneo al sistema, che veniva dal mondo dell'opposizione, era assolutamente da non appoggiare, da ignorare. E questa cosa era passata nella testa di tutti, per cui 1'89 ha provocato un terribile disorientamento anche proprio nell'interpretazione di quello che stava succedendo. Cosa c'era al di fuori di questo potere così pervasivo e onnicomprensivo? Lo si ignorava semplicemente, per cui scoprendo questo mondo ci si è trovati di fronte a comportamenti, processi, fenomeni difficili da interpretare. C'erano state delle avvisaglie -non tutto avviene così ali' improvviso- ogni tanto delle esplosioni aprivano degli squarci. Dal '53 in poi questo periodicamente succedeva in un paese o nel1'altro. In Polonia ripetutamente, in Ungheria, nella Germania stessa. Però poi tutto sembrava ogni volta ricondotto alla nonnalità. i regimi forti hanno ancora un notevole fascino In fondo, questi regimi piacevano abbastanza a tutti. Innanzitutto perché i ~egimi forti, bisogna dirlo, hanno ancora un notevole fascino, come lo ha oggi, per molti, il regime serbo. Poi perché queste popolazioni consumavano poco e non ci dispiaceva che il consumismo fosse riservato solo a noi: l'austerità è una cosa abbastanza apprezzata da economisti, da madri di famiglia, da intellettuali progressisti, ma lo è ancor più poiché austera era quell'altra Europa. In fondo quest'Occidente, quest'Europa unita sembrava proprio che potesse esistere in quanto e' era un altro mondo che viveva in modo diverso, senza minacciare troppo questo modo di vita e, anzi, quasi rassicurandolo, rendendo delimitata l'area del privilegio. E poi quando tutto è crollato, si è cominciato subito a pensare che tutto sarebbe andato a posto in poco tempo: "Questo mondo adesso è cambiato, questi regimi se ne sono andati, tutti vogliono la libertà, la democrazia, vogliono il libero mercato e quei paesi un po' alla volta si omologheranno a quelli occidentali". Un ragionamento condiviso anche da quanti non volevano il trionfo assoluto del sistema capitalistico, anche nelle persone più critiche e che non consideravano I' occidente come il paradiso in terra. Un'illusione che fu anche in gran parte condivisa da quegli stessi che avevano più di tutti contribuito al crollo del socialismo reale, come Havel, Michnik, Geremek, personaggi che erano state le menti più attive e lucide nel corso di tutto il processo di disfacimento di quei regimi. Anche loro si erano illusi a un certo punto di poter guidare la transizione verso un modello più o meno democratico, un'economia più o meno di mercato, qualcosa di simile a quello che c'è qui. Però ben presto questa persuasione è caduta perché si è rivelata una grande illusione di tipo illuministico, dovuta ancora una volta a un difetto di razionalismo. La realtà scappava da tutte le parti, si aprivano crepe da tutte le parti e il mondo che veniva fuori era un mondo quasi ingovernabile, in cui qualsiasi ~-~-···!!%>' intervento, qualsiasi decisione provocava reazioni assolutamente imprevedibili, qualche voltà di segno opposto a quelle volute. l'indice catastrofico della speranza di vita Innanzitutto e' era una grandissima crisi economica, una recessione diffusa, c'era un sistema che non rispondeva più da tempo agli stessi comandi della pianificazione, e questa è stata fra le cause principali dello sgretolamento di quei regimi. C'era una situazione sociale estremamente deteriorata: basti pensare che tutte le statistiche demografiche indicavano un forte regresso (speranza di vita, mortalità infantile segnavano indici catastrofici, da terzo mondo tant'è vero che a un certo punto avevano persino smesso di pubblicare i dati); tutto andava a pezzi, anche i tanto celebrati servizi sociali e quel patto sociale - per cui si lavorava poco, si guadagnava poco però si aveva l'indispensabile- non funzionava più. In Polonia è risultato chiaramente che la diminuzione della durata della vita era anche connessa agli enormi sforzi per sopravvivere, ai doppi o tripli lavori: una regressione quindi non soltanto economica ma anche sociale. Questi gruppi che avevano guidato la fase della caduta di questi regimi, si sono poi ritrovati nei vari paesi in minoranza o emarginati. Sì. Lì l'intellighentia aveva svolto un ruolo assolutamente eccezionale rispetto a quello cui siamo abituati nei nostri paesi. In qualche modo sopperivano alla mancanza del pluralismo politico, alla manEZZA ~SINTESI ARREDAMENTO NEGOZI E SUPERMERCATI B LA FORTEZZA SINTESI s.r.l. 47034 FORLIMPOPOLI (FO) - ITALV Via dell'Artigiano, 17/19 Tel. (0543) 744504 (5 linee r.a.) Telefax (0543) 744520 canza di autonomia della società nel suo complesso, per cui un romanzo, un'opera teatrale, un quadro, un film erano cose che avevano una ripercussione sociale e una forza di aggregazione culturale e politica che andava al di là del valore dell'opera -un po' come succedeva da noi sotto il fascismo. Se poi li vediamo adesso, questi film non sono molto belli. E anche i romanzi spesso sono solo dei saggi che l'autore non ha potuto esprimere in forma saggistica, la più controllata dalla censura. L' intellighentia era stata indotta ad assumere ruoli politici che, una volta crollato il regime, sarebbe stato difficile continuare. L'illusione di potere seguire una linea di direzione che sembrava lineare e promettente, ha indotto molti di loro a continuare. Ma si sono presto trovati superati dagli eventi e quindi emarginati o nell'impossibilità di fare quello che volevano. Havel lo ha spiegato molto bene in un discorso fatto a Parigi, di come tutte le illusioni si siano consumate in un tempo rapidissimo. C'era soprattutto un vuoto di società civile. Sono stati i polacchi a dire per primi: "noi abbiamo contrapposto la società al potere, il movimento di opposizione ha cercato di ignorare il potere, facendo le università volanti, le lezioni clandestine, un'economia sotterranea: quasi un paese ombra". Ed era vero, queste cose c'erano, c'era un mondo che si muoveva al di fuori del potere, si erano creati degli spazi più o meno in forma clandestina. Ma col cambio di regime anche questo è svanito. tutte le illusioni consumate in tempo rapidissimo Geremek l'ha detto molto bene: "abbiamo visto quanto esile fosse questa società civile che puree' era". Eppure non era stata inventata a tavolino, si era articolata in Solidamosc che era stata la proiezione di un lungo lavorio sociale. Ma adesso sembra prevalere quell' atomizzazione che il sistema totalitario aveva creato, e in ogni caso è risultato che la nuova società non può essere costruita sulle vecchie reti clandestine. Quali sono i rischi ora? I rischi sono tanti, il più pericoloso è ovviamente il nazionalismo esasperato. Dopo tanti decenni di regime totalitario e ultraccentrato, nella ricerca della propria identità - che era una componente del processo di liberazione- ad un certo punto s'è sviluppato qualcosa che non porta più il segno della liberazione ma porta il segno della involuzione. Nella stessa Russia, da questo recupero di un'identità russa sono scaturite tendenze di tipo tradizionalistico, passatistico. Basta pensare a scrittori della cultura contadina, come Rasputin, scrittori straordinari per la capacità di cogliere la condizione reale delle persone, che diventano i propulsori del più esasperato nazionalismo. E questo succede quasi senza soluzione di continuità tra il positivo e il negativo. Ci sono poi i rischi connessi alle difficoltà economiche. In Polonia, ad esempio, un movimento come Solidarnosc, che è stato il fattore di sgretolamento del sistema, aspira a una migliore condizione della vita umana, delle condizioni materiali. Ma questa aspirazione, in un paese come la Polonia di oggi non solo non è realizzabile, ma contrasta con l'obbiettivo di rimettere sui binari il paese. E anzi nel trapasso è inevitabile avere un peggioramento. Un altro tipo di contraddizione abbastanza insolubile per lo meno sul breve-medio periodo, è quello legato al modo particolare in cui è avvenuto il cambio di regime. Nel senso che il vecchio regime è crollato, ma in qualche modo c'è una sorta di continuità. Molta della vecchia burocrazia è ancora lì, c'è molto trasformismo. La vecchia nomenklatura conserva buona parte dei suoi privilegi, non solo perché ha accumulato soldi in queste finte società egualitarie di cui si favoleggiava, ma è anche in grado di muoversi meglio, ad esempio per acquisire nelle privatizzazioni a prezzi di favore aziende, negozi. I loro figli hanno spesso studiato all'estero e si trovano in posizione di privilegio. Nel cambio di regime c'è anche bisogno di ristabilire la giustizia, che le colpe non restino impunite. E' il problema della decomunistizzazione. In Cecoslovacchia e' è stata la famosa legge della lustrazione e le menti più illuminate non sono riuscite a bloccare una forte tendenza a epurare, al limite della vendetta. Da un giusto desiderio di ristabilire la giustizia, il passaggio a una posizione di rivalsa, di vendetta non è così netto. Come dominare questa materia? In Polonia i democratici sono stati contrari a qualsiasi forma di decomunistizzazione ma sono stati attaccati dal1' ala più populista, come si usa dire, e accusati di cripto-comunismo. Nelle elezioni presidenziali, in cui erano contrapposti Walesa e Mazowiecki, questa cosa è stata al centro del confronto. Questo per dire qual è il groviglio di problemi. Lo vedi anche pericoloso? Questi paesi, afflitti da grave crisi economica, in fondo non hanno una Forlì, 10-19 settembre '93 VERSO SUD quarta edizione della "festa" di via Dragoni

tradizione democratica consolidata. Ed 'altra parte non sembra che l'Europa sia in grado di aiutarli più di tanto. Loro si sono già resi conto che devono lavorare soprattullo con le loro forze. E anche senza grandi aiuti esterni un po' di ripresa economica in alcuni paesi c'è già: in Polonia, per esempio, la terapia d'urto sta facendo uscire il paese dalla crisi; così in Cecoslovacchia che era, come disse Havel, ·'una casa in rovina". Il quadro non è poi così disastroso. Dopo tulio, forse, se l'occidente non ha risposto come loro si aspettavano e anche come pareva promellere questo è staro quasi un bene. Perché così queste economie non sono state del tutto colonizzate, non rischiano di diventare delle appendici dell'Occidente. E anche perché sono costrette a cercare forme nuove,originali, come succede ad esempio nel processo di privaùzzazione. Privatizzare è essenziale (nonostante quello che dice ancora la sinistra occidentale), perché queste imprese statali se continuano ad esistere assorbono capitali, producono beni che non trovano sbocco e quindi incrementano il deficit statale, l'inflazione, gli squilibri. Stanno venendo fuori esperienze nuove in questa terra incognita che è il passaggio dalla pianificazione al mercato come i fondi sociali collettivi, -una proprietà che non è né statale, né delle società per azioni- che, pur se sono solo ai primi passi, sono guardati con molto interesse anche dagli economisti occidentali. Attraverso strade spesso contorte qualcosa viene fuori, il quadro non mi sembra così catastrofico, per lo meno ha cessato di essere in discesa. Anche sul piano politico, se è vero che questi paesi hanno molti problemi di recupero di ritardi rispetto all'occidente, perché non ci sono state esperienze pro I unga te di vita democratica -e noi sappiamo quanto questo conti, basta paragonare la situazione dell'Italia e quella dell'Inghilterra- è anche vero che loro in qualche modo preannunciano dei processi attraverso i quali noi dobbiamo ancora passare. Loro hanno come bruciato delle tappe. Il sommovimento politico che oggi in Occidente porta al tramonto dei partiti politici-che sono, come diceva Mao, una formazione storica che è nata, vive e si estingue- loro l'hanno anticipato. I partiti storici da loro non so.no quasi più ricomparsi; c'erarro, però sono emerse altre cose, delle alleanze, delle aggregazioni diverse dai vecchi partiti. La Yugoslavia è un caso a parte perché lì più che un·esplosione etnica c'è stato l'affermarsi di un disegno egemonico ed espansionista serbo. La guerra etnica è stata preordinata e pianificata dall'alto. Ma a parie le zone a pericolo sismico permanente -come i Balcani, il Caucaso, l'Asia Centrale-, questi problemi si possono risolvere lavorando per un nuovo sistema di convivenza. Il ritardo della comunità mondiale su questo piano è enorme. L'ordine del dopoguerra, in cui le frontiere erano divenute immutabili, è saltato. Ed in fondo è giusto: se dei popoli vogliono modificare le frontiere questo deve essere possibile. Il problema è che le cose devono essere fatte senza scannarsi. Per esempio in Belgio fiamminghi e valloni si odiano non meno dei serbi e dei croati, però non si sgozzano. Le tensioni etniche ci possono essere e non c'è da scandalizzarsi, l'importante è che siano contenute entro limiti civili. Io credo che le tensioni etniche possano essere anche positive, che vivifichino le società. In questo dopoguerra i polacchi sono una nazione quasi completamente omogenea (anche se poi c'è diversità fra i polacchi dell'est, dell'ovest) e alcuni dicono "che bello, noi non siamo afflitti dalle tensioni etniche"; ma altri dicono: "questo paese una volta era straordinario, aveva i tedeschi, gli ebrei ... ora siamo un paese noiosissimo". Marek Edelman l'ha definita una nuova Auschwitz E comunque, realisticamente, bisogna riconoscere l'importanza del fattore etnico perché ogni volta che è stato negato e soffocato è tornato con più prepotenza. Il problema è che possa esprimersi in forma pacifica e non antagonista, attraverso rapporti di convivenza e non di esclusione, come succedeva a Sarajevo. Lasciamo spazio a quelli che non vogliono avere un'identità etnica e però lasciamo spazio anche a quelli che vogliono averla, perché può avere valori positivi, culturali per esempio. Un nuovo ordine mondiale quindi. Ma dominato dalla forza di qualcuno, degli Stati Uniti per esempio? Una specie di nuovo impero? Un nuovo ordine mondiale, che non sia più basato su una forza che si impone, come fu quello di Jalta, perché questa congela i problemi, li rinvia e poi non sappiamo che cosa lasciamo ai nostri figli e nipoti. Bisogna creare qualcosa che assomigli ad un ordine e che non sia imposto ma accettato. in Polonia la clericalizzazione non è passata Non vedo oggi tanto il pericolo di La stessa cosa la vediamo nella fine una ripresa dell'imperialismo USA della distinzione tra destra e sini- perché negli Stati Uniti sta prevastra. Se non ci fosse stato il logora- !endo una tendenza isolazionista. mento finale dell'esperienza stori- Loro lo negano, però il problema ca del socialismo reale, destra e c'è. Ed è per questo che il movisinistra avrebbero continuato a esi- mento per la pace sembra fuori dal stere nella loro configurazione tra- mondo: perché non c'è più l'impedizionale. E' proprio lì che si è rialismo americano. Abbiamo tutti consumata questa esperienza ed è pianto perché sono andati via dalstata vissuta più direttamente; noi l'lrak troppo presto e non sono in fondo la viviamo di riflesso. neppure riusciti a far fuori Saddam Quella situazione da noi viene tal- Hussein. E magari fossero intervevolta vista come un disastro: non nuti in Bosnia. c'è uno schieramento politico, c'è Maallorachipotrebbegarantire la frantumazione, non si riesce a questo nuovo ordine? L'ONU? fare un'alleanza stabile di governo, Tutti, se tutti diventassero un po' i governi cadono l'uno dopo l'al- più ragionevoli. Ora noi viviamo tro. un momento sfavorevole in cui tutIn realtà quei paesi stanno maci- to tende al peggio: la xenofobia, nando delle cose, in qualche modo, l'antisemitismo, la guerra in J ugosia pure sotterraneamente, proce- slavi a, la guerra nel Caucaso, l'odio dono. Stupefacente è la velocità in India per non parlare poi delcon cui, ad esempio, in un paese l'Africa. Ma poi vengono momenti come la Polonia, con tutto quello magici, quelli in cui tutti sono un che sotto il socialismo ha rappre- po' migliori, in cui, invece di venisentato la Chiesa -che ha aiutato re fuori un Milosevic viene fuori un non solo i cattolici ma anche i marxi- riformatore. In cui le cose si ricomsti, i dissidenti laici- si è respinto il pongono e si sviluppa quello che le clericalismo che la Chiesa voleva persone di buona volontà hanno imporre. Pensiamo invece ali' Ita- seminato. Questa è la ragione per lia che pur non essendo mai stato cui ha sempre senso lavorare nel un paese molto cattolico, s'è la- "politico", anche quando sembra sciato nel dopoguerra clericalizza- di essere completamente emargire dalla Chiesa e dalla democrazia nati, quando sembra che nessuno ti cristiana. Quindi non tutto è fosco stia a sentire, perché in fondo qualnell'altra Europa. La cosa più peri- cosa si può sempre seminare. colosa è il ritorno di nazionalismi, E' perquestocheèimportanteoggi tribalismi, dell'antisemitismo, del- fare qualcosa per la Bosnia, per la xenofobia. Ma queste cose ci questa sorta di nuova Auschwitz, sono anche da noi. comel'hadefinitaMarekEdelman. dopo la Yugoslavia... - B1 io eca Gino Bianco PRO'IAGONIS'II INVISl8111 La mafia come metodo e sistema. La mafia come impresa. Le ingenuità del proibizionismo. Intervista a Giovanni La Fiura. Quando -tra se11a11toacento anni- si potràfinalme111e scrivere una storia disincantata della mafia e de/l'a111imajia, per gli storici pitì a/lenti non mancheranno le sorprese. Si scoprirà, ad esempio, che per alcuni "protagonisti" de/l'antimafia, l'essenziale è stato -pera11ni-011e11ere 1111 "intervista su Repubblica o, pitì modestamente, 1111 '"passaggio" di qualche minuto su Samarcanda. Esi scoprirà -si potrà scoprire- che altri "protagonisti•· del movimento civile di lolla contro la mafia hanno preferito, per stile, il lavoro diwumo e nascosto, tanto pitì efficace quanto meno dis111rbatodai fari dei mass-media: hanno preferito lavorare produuivamente anziché disperdersi in mille iniziative di awopromozione, di presenzialismo e di polemiche contro i compagni di strada. Tra questi personaggi invisibili ci sono insegnanti elementari che trascorrono il pomeriggio gratis a scuola per lavorare con i bambini che la ma11i11eavadono; ci sono medici e infermieri che dedicano ore del tempo libero a visitare a domicilio le mogli dei carcerati, le madri degli spacciatori; ci sono preti che wiliu.ano i luoghi tradizionali della catechesi (la preparazione alla prima comunione, alla cresima e al matrimonio) per parlare della responsabilità verso il quartiere, della necessità di liberarsi dal dominio dei più violenti, de/l'importanza di 1111 lavoro onesto. E ci sono anche -come dire?- i più invisibili tra gli invisibili: quegli studiosi che. senza alcuna prospeuiva di successo economico o di carriera accademica, trascorrono le giornate ad analizzare il fenomeno mafioso, le sue metamo,fosi, i suoi intrecci con il resto della società. Senza /afatica quotidiana e so11ova- /111atadi queste poche persone, il movimento antimafia sarebbe un grosso bestione senza cervello: mancherebbero del tu/lo le analisi scientifiche, le ipotesi di lavoro, le proposte operative. Anche i pochi magistrati coraggiosi, anche i pochi politici onesti avrebbero lavorato, -lavorerebbero tu/fora- con difficoltà ancora maggiori se, ogni tanto, dalla società veramente civile non venissero co111rib11steiri per capire meglio il nemico ed i suoi punti deboli. Giovanni La Fiura è uno di questi protagonisti silenziosi lacui preziosità sarà misurabile solo in futuro, quando il tempo aiuterà a distinguere l'oro dai fondi di bo/figlia. Al presell/e, si gode -in una sperduta casella di montagna, 11011/0111a11d0a Monreale- la fertile tranquillità che la sua riservatezza temperame111aledesidera e che la tendenza dei mass-media a puntare i riflettori sul "sensazionale" gli regalano. Non è facile forzare la sua privacy: è riuscito ad evitare le telecamere della RAI anche quando, nel maggio del '93, don Luigi Cioui è venuto da Torino a Palermo per presenwre, nella Sala Gialla del Palazzo dei Normanni, la sua ultima pubblicazione (in collaborazione con Umberto Santino). Solo in pochi sapevano che Giovanni non era nessuno dei cinque personaggi al tavolo dei relatori e che era sed1110in terza fila, confuso tra i trecento spellatori. Approfi11a11dodella sua amicizia, ho voluto carpirgli le brevi confidenze che leggete qui di seguito. Costituiscono le risposte alla prima ùrtervista che egli ha sinora rilasciato. Augusto Cavadi Prima la laurea in filosofia, poi l'impiego inbanca; infine, dopo 6 anni, la scelta di dedicarti esclusivamente allo studio. Un itinerario insolito, si direbbe: seguendo quali ragionamenti? Più che seguire "ragionamenti", hanno fatto gioco il caso e la necessità: il caso di avere vinto un con: corso e dell'essere finito in banca, praticamente da un giorno all'altro, e la necessità di uno stipendio in mancanza di altri "sbocchi" lavorativi in quèl momento. Mi hanno mandato a Siculiana (in provincia di Agrigento) e così ho potuto "godere" dell'opportunità di una "full immersion" in una zona di mafia ancestrale e moderna allo stesso tempo. Quando ho lasciato un lavoro e un ambiente che non sopportavo più ho voluto fermarmi a riflettere, soprattutto sulle nostre "cose" di Sicilia; rimettermi a fare quello che avevo sempre fatto "prima", cioè studiare, anche se la scelta dello studio non volevaessereesclusiva, né eterna. La tua prima pubblicazione (La mafia come metodo e come sistema, Pellegrini, Cosenza 1989) è stata realizzata in tandem con Amelia Crisantino, tua moglie: perché proprio su questo argomento? Lo spunto è stato il premio Pio La Torre bandito dall'Istituto Gramsci per un testo scolastico sulla mafia. Era iI 1985 e dopo un'estate di assassinii (come quella che è trascorsa e come quella che è appena iniziata) ci siamo detti che valeva la pena dire la nostra sull "'argoment". Abbiamo impostato il nostro lavoro storicamente, fondandolo, per quanto potevamo e sapevamo, sul- !' esercizio della memoria, così negletto e poco praticato, nei fatti, dalla mafiologia "ufficiale" consacrata dalla televisione. Partivamo dall'assunto che il primo ostacolo alla conoscenza è la nozione stessa di arretratezza, con tanta sospetta costanza applicata alla Sicilia e notavamo che dietro il paravento della decadenza politica e della depressione venivano avanti dinamiche economiche e formazioni sociali tutt'altro che attardate, anche se rivolte costantemente al male (con l'eccezione importante dei fasci siciliani e del movimento contadino). La mafia dal nostro punto di vista, era il precipitato organico, indesiderato o meno, del processo di formazione dello Stato in Italia, e come tale riguardava e coinvolgeva I' intero paese, il suo modo di fare politica e di fare economia, da Torino a Gela. Questo lavoro è stato l'occasione per incontrarci (o reincontrarci) con Umberto Santino e per aderire al Centro Impastato. Il tuo lavoro più impegnativo resta a tutt'oggi l'opera a due mani (in collaborazione con Umberto Santino) L'impresa mafiosa, Franco Angeli, Milano, 1990: quali pensi siano state le acquisizioni più salienti e più durevoli di quella vostra ricerca? Aver posto il problema della mafia come impresa e dell"'impresa mafiosa" all'interno di una ricerca empirica condotta sugli accertamenti patrimoniali in attuazione della legge antimafia. Aver cercato di far risaltare tutta la complessità di un tema già ridotto a stereotipo dai media. L'indagine porta costantemente fuori e dentro: dentro, sul territorio segmentato delle famiglie siciliane, e fuori sul circuito finanziario mondiale. Io mi sono occupato soprattutto degli Stati Uniti; anche in quel paese risulta evidente da un lato il movimento della criminalità organizzata verso l'esterno, verso l'ambiente operativo del mercato e delle imprese legali, e dall'altro il movimento all'interno del bacino delle attività legali verso l'assenza di controlli, verso la non trasparenza delle strutture, comportamenti e transazioni. Il dato di fondo è I' incontrollabilità della corsa all'arricchimento individuale, che sempre più diventa, a partire dalle aree "marginali" (che oggi inglobano il Sud del mondo e quasi tutta la galassia dell'ex Est) via criminale al capitalismo. Poco prima di morire, Giovanni Falcone è tornato un pomeriggio da Roma espressamente per presentare -all'Università di Palermo- un volume a più voci sul maxiprocesso( AA.VV, Gabbie vuote, Franco Angeli, Milano 1992). ln quel volume, conte.~ente anche un tuo contributo sui "pentiti", vi erano delle crìtiéhe riguardanti sia la gestioné delmaxiprocesso sia alcune sue proposte (la Procura Nazionale antimafia): come avete vissuto queste divergenze di valutazione con il Giudice Falcone? In modo assolutamente "laico" e normale, direi. Dissentire, discutere ci vilmente su argomenti che erano e restano controversi come la centralizzazione del lavoro giudiziario antimafia mi pare assolutamente giusto. Una cosa però è la discussione e altra completamente diversa la calunnia e la denigrazione personale. Noi non ci siamo mai permessi di dire o di fare ipocritamente capire che Falcone era "passato dall'altra parte", era "funzionale al potere" e altre baggianate del genere. E' strano che chi ha condiviso questi metodi si presentasse, e fosse considerato dai più, come rinnovatore del costume politico. Recentemente a Palermo don Luigi Ciotti hapresentato un 'unità didattica multimediale sulle droghe (un audiovisivo e due libri). Tu sei l'autore di Droghe e mafie.Bibliografia ragionata e annotata su narcotraffico e criminalità organizzate (Quaderno del CSI "G.Impastato", Palermo 1993) ed il co-autore (con Umberto Santino) di Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo (Edizione Gruppo Abele, Torino 1993): che rapporti ci sono oggi fra traffico delle droghe e attività mafiose? La droga è stata ed è il grande affare della mafia: un potere e una ricchezza immensi regalati sul piatto d'argento del protezionismo. Si è pensato di affrontare un problema psicologico e sociale molto complesso e multidimensionale con una logica di contrapposizione, accampando il cosiddetto "buon senso" secondo cui per risolvere un problema critico e doloroso basta rovesciare la situazione, introducendovi elementi opposti a quelli che l'hanno creata. Il proibizionismo dell'alcool nell'America degli anni '20 aveva insegnato che questa soluzione era risultata fallimentare e anzi aveva contribuito acreare il problema stesso. Ma I' esperienza non è servita a nulla. La guerra alla droga ha oggi a ché fare con effetti-paradosso di intensità centuplicata rispetto al passato, per l'ampiezza della posta in gioco e della sua carica destabilizzante. Le scelte di interdizione sembrano avere avuto come risultato la crescita dell'intelligenza politica e operativa delle borghesie criminali che gestiscono i grandi traffici a livello planetario, la dislocazione e mimetizzazione ulteriore delle vie e delle basi di traffico, la crescita della quantità di prodotto illegale e fatalmente anche la crescita del consumo, se non altro per la disseminazione delle occasioni, dei punti-vendita, delle sollecitazioni. Credo che ogni strategia antimafiosa, in Italia e altrove, non possa che parùreda un radicale ripensamento del proibizionismo. Dopo il buio delle stragi all'inizio dell'estate '92,dopounanno, viè qualche piccola luce all'orizzonte. Che cosa pensi che si possa fare per non spegnere queste fiammelle? Queste luci sono davvero lontane, si vedono e non si vedono. Non sono ottimista: i successi di polizia sono importanti e così quel tanto di movimento antimafia che si è riformato, dopo un periodo di crisi e latenza, sotto il ricatto delle stragi. Ma non basta: il movimento coinvolge ancora poche persone (io non credo alle cifre dei giornali), che per altro non hanno, temo, molte cose in comune a parte la lodevole volontà di testimoniare. Mentre si tratterebbe, né più né meno, di cambiare le regole dell'economia e di smantellare un sistema sociale, una formazione sociale storicamente determinata, avremmo detto ai vecchi tempi del marxismo: capi e capetti, appena presi vengono sostituiti, mentre la mafia "coIT\emetodo e come sistema" -se rru permetti l'autocitazione- sopravvive e si adatta ai nuovi tempi, anche a quelli del "rinnovamento", specie in un quadro mondiale sempre più dominato da dinamiche violente e dall'entropia della ragione, come l'attuale. - UNA CITTA' 5

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