Una città - anno II - n. 11 - marzo 1992

marzo IN SECONDA. "Un mese una ciffà", fa nuova rul:Jrica di Andrea Brigfiadori. Poi Giorgio Calderoni clte ci racconta fa sua sorpresa quando al dil:Jaffito "educare alla legalità" ••• Infine Giancarlo Cerini interviene· sull'autoscioglimento di Democrazia 90. IN TERZA. Sul convegno del I 3 fel:Jl:Jraio, le conclusioni di Gianni Sofri. Mentre "Affilio e suo figlio Gaddo" è fa presentazione di un primo risultato importante della nostra giornata: fa storia di uno degli el:Jrei fucilati a Farli, Gaddo Morpurgo. IN QUARTA E QUINTA. Non violenza. Intervista a Nanni Safio. Poi un dialogo sulla ol:Jiezione di coscienza con Raffaele Barl:Jiero, militante pacifista. "le celate profondità della non violenza" è l'intervento di Ivan %affini. E alcune considerazioni di Franco Melandri. IN SESTA. "Zingari". Il racconto delle vicissitudini di una famiglia di zingari nelle parole del protagonista, della maestra clte lta in classe i l:Jiml:Ji piccoli e di due volontari della Giovanni XXIII° impegnati sul "fronte nomadi". IN SEfflMA. Un afl:Jero di limoni nel cortile, fa cravaffa portata anclte d'estate, quanto contano nella vita? "Oggeffi e identità" è l'intervento di Enrico loml:Jardi. E "La cravaffa" quello di Rita Agnello. Poi "no al parcheggio" è l'intervista ad alcuni anziani, ancora molto aHivi, della casa di riposo degli avventisti. IN OffAVA E NONA. Viaggi."Old Delhi": un lungo resoconto di Rodolfo Gafeoffi di ritorno dall'India. "Incontri con l'India religiosa" sono le "impressioni di viaggio" di lil:Jero Casamurata. E poi "feffera da Hong Kong" di Piero Rinafdi. IN DECIMA E UNDICESIMA. Per "ricordarsi": il diario di Affilio Morpurgo clte, partito da Gorizia l'indomani cieli' B seffeml:Jre per salvare il figlio Gaddo dalle SS, lo perse per colpa di italiani. E non ne ritrovò più neanche il corpo. IN DODICESIMA. In "ora non gioco più nemmeno al totocalcio" lo spaccato sconcertante della vita di un giocatore d'azzardo. Nell'intervento di Rol:Jerto Balzani "cful:Je gioco d'azzardo nel secondo offocento ". IN TREDICESIMA. Dalla cucina alla camera da feffo al l:Jagno. Qual è il l:Jaricentro della casa di oggi? Un intervento di Gianni Tadofini e le foto di Fausto Fal:Jl:Jri. IN QUAffORDICESIMA E QUINDICESIMA. In storie cieli' anima: lo Zen. Intervista a Fausto Taiten Guaresclti, maestro zen clte vive in un monastero vicino a Fidenza. E poi Gigi Ziniti ci racconta del suo incontro con lo zen nell'intervista "stare seduti". "Citi lta paura dell'Islam" è l'intervento di Sergio Sala. IN SEDICESIMA. "Quando saremo più adulti" è l'intervista a Katia Baffioni, insegnante. Dall'esperienza del femminismo ad oggi: considerazioni, anclte amare, sul rapporto fra genitori li li nell'ormai inevital:Jile confusione dei ruoli. , neo

FEBBRAIO di Andrea Brigliadori Raccolgo da terra un volantino abbandonato o buttato sul marciapiede davanti al cancello del liceo scientifico. E' vecchio di qualche giorno, un po' pesto di umidità, macchiato dal calpestio gommato degli studenti. E' a loro che avrà o avrebbe voluto parlare quella muta carta. Tra la quarta e la quinta classe, diciotto-diciannove anni, i miei studenti maschi spariscono a turno qualche giorno, chiamati alla visita di leva. Per andare poi, come si diceva una volta, a fare il soldato. Non so quanto ci tengano ad essere fatti abili, nessuno ha mai fatto commenti. Ci vanno e basta. La muta carta parlante invita a un dibattito nella sala Zambelli per mercoledì 19 febbraio alle 21. Presenti un onorevole local-nazionale e addirittura un generale. In fondo al volantino, in corpo maiuscolo piccolissimo, ben quattro punti esclamativi (un monstrum ortografico che nessuna grammatica italiana legittimerà mai) non riescono a dare convincente sostegno all'invito che vorrebbe essere liberale e perentorio nello stesso tempo: "Partecipa anche tu per esprimere la tua opinione!!!!". Il "tu" è, per fortuna, quello stesso studente anonimo che sul volantino ci ha camminato sopra con le scarpe bagnate. Il "tu" sono anche, penso, i due figurini di giovani, tratteggiati con tecnica da "mani di fata", che occupano la parte destra in basso del foglio. Stanno con le spalle l'uno voltate a quelle dell'altro, una miniatura del bifrontismo di Giano, quasi a rappresentare in simbolo due vite divergenti, due contrapposte scelte di direzione. O forse solo due tempi diversi della vita. Il primo, a sinistra, saluta allegro in partenza per un campeggio o un trekking: zaino sportivo, jeans, scarpe da ginnastica. Il secondo se ne va verso destra, elmetto militare sopra il volto assorto, zaino da guerra, fucile stancamente in mano, pistola alla cintura, divisa e scarponi da soldato. Sono la stessa persona, o due distinte? Significano nel primo caso due tempi diversi della vita, o nel secondo due diverse "concezioni" della vita? L'ambiguità resta. Ed è proprio nella evidenun mese una ciffà te contrapposizione delle due figure, la prima delle quali, quella gioviale e sportiva, sembra perderci accanto alla pensosa serietà dell'altra. Ma il titolo del diballito, stampato in grande su tutta la metà alta del volantino, mi sgomenta un poco. Anzi, tanto che non faccio subito caso a quell'altro monstrum ortografico che sono i ben cinque punti di sospensione all'interno del titolo (le grammatiche ne legiltimano tre). Dice il titolo: "Dalla Guerra del Golfo al la ..... Riforma della Leva". Ignoro cosa sarà stato il dibattito e non mi tocca la riforma della leva. Ma rileggere il nome di quella guerra, quel "terminus post quem" che essa sembra significare nel titolo, questo sì mi dà i brividi. Quella guerra di cui seguimmo con angoscia l'inesorabile avvicinamento, voluta indistintamente da tulti i potenti in una folle corsa al peggio, quella guerra contro la quale leggemmo pateticamente poesie in classe, quella guerra orribile e truccata, è riproposta tra noi, parametro di non so quali mutamenti di leva militare. Dunque anche l'orrore ha i suoi necrofili? Chi evoca, e perché, i fantasmi di una guerra di cui vedemmo tulio senza sapere nulla, e di cui ora sappiamo tutto senza aver visto nulla? . Ci sono due modi per ricordarla. Il primo è quella di una· insegnante mia collega che qualche giorno fa diceva di non essersi sentita più la stessa dopo quella guerra, e che da allora legge insistentemente ai suoi studenti tutto quanto possa significare un universale "no" alla guerra. Il secondo modo è quello di un giornalista televisivo che in un telegiornale del 27 febbraio evocò l'anniversario della fine della guerra con la resa di Saddam Hussein, quasi testualmente così: "Il Ko venne dalla resa delle truppe di terra irakene in ritirata nel deserto, incalzate dai carri degli alleati". Disse proprio "Ko", come per una partita di boxe finita prima del limite. E non disse che diecimila di quei soldati in fuga furono sepolti vivi nella sabbia del deserto dai bulldozer americani che correvano al seguito dei carri armati. In che modo vogliamo ricordarla noi, quella guerra? In che modo ha inteso ricordarla il volantino distribuito al liceo? E il silenzio che spetta a pietà di poveri morti inutili: non è un terzo modo di ricordare? DIBAfflTI, CONVEGNI, ASSIMBLII UN DIBATTITO SULBENECOMUNE di Giorgio Calderoni Giovedì 13 febbraio, ore 20,30: come spesso accade a Forlì, anche questa sera due belle iniziative si fanno purtroppo concorrenza. Tra la conclusione della giornata di riparazione, ricordo e riflessione promossa da "Una Città" al salone comunale e l'appuntamento su "Educare alla legalità" organizzato alla sala Albertini dalla Scuola di formazione all'impegno sociale e politico della Diocesi di Forlì-Bertinoro, scelgo quest'ultimo. Come me molti altri, tra cui diversi giovani, presumibilmente l'anima pulsante di quel volontariato cauolico attivo in cillà, a partire dalle parrocchie, anche quelle più periferiche; e poi le loro guide spirituali, i sacerdoti di quelle stesse parrocchie; alcuni consiglieri comunali democristiani; qualche aclista; uomini e donne di fede in genere: il risultato è una sala pressoché piena, dove forse Angelo ed io costituiamo motivo di sorpresa. Tutti variamente attraiti da un tema quantomai all'ordine del giorno e purtuttavia non ancora entrato -superficialità, colpevole disattenzione di tutti, ed in primis delle istituzioni locali- nel vivo del dibattito cittadino. L'introduzione è affidata a Mons. Cecchini, vescovo di Fano e Vice Presidente della Commissione ecclesiale "Giustizia e Pace" della CEI che il 4 01tobre 1991 (festa di S. Francesco) ha elaborato la nota pastorale da cui la serata prende il titolo. Il prelato delude un po' le attese e non va oltre la parafrasi e la diretta citazione del testo: il quale è però per suo conto ricco di spunti, tra cui in particolare qualcuno merita di essere, pur rapidamente, segnalato. Si parte dalla "viva preoccupazione dei vescovi per una situazione che rischia di inquinare profondamente il nostro tessuto sociale se non viene affrontata con tempestività, energia e grande passione civile" e si arriva ad una definizione ampia di legalità, come di un problema in cui "sono in gioco non solo la vita delle persone e la loro pacifica convivenza, ma la stessa concezione dell'uomo". E in questa prospeltiva non contingente è la categoria del "bene comune" a guidare l'analisi dei vescovi: così dal1'oblio del bene come ha origine l'eclissi della legalità; ed al contrario la ricerca del bene comune aiuta la crescita della legalità. Attorno a questo spartiacque si dipana sia il discorso più propriamente religioso (che denuncia le "cosiddelte strulture di peccato" fonti di ingiustizia sociale ma anche la trasgressione morale indoltadal divorzio e dall'aborto) sia quello latamente politico, che prende allo con rammarico della "sempre maggiore marginalizzazione di un'autentica azione politica", intesa come giusto mix tra spirito di servizio, competenza ed efficienza. Si traila di due piani dell'argomentare ovviamente distinti che pure verso la conclusione si intersecano, incrociandosi attorno alla soltolineatura dell'esigenza di una moralità civica, fondata su di un autentico senso dello stato, e della funzione politica della società civile, falla di controllo, denuncia, elaborazione progettuale. Chiude l'appello finale ai credenti perché si facciano coscienza critica e testimonianza concreta del vero senso della legalità, sebbene non in fiera solitudine, ma, anzi, divenendo "compagni di strada" di quanti cercano di realizzare il bene possibile. gresso del Partito popolare nel I 9 I9, quando Don Sturzo spiegò perché non si era neppure pensato al nome "partito cauolico"; penso a padre David Maria Turoldo, morto da pochi giorni, che proprio a Forlì nel 1975 aveva ricordato di aver risposto ad un vescovo: "Non voglio un partito che coinvolge la Chiesa, perché la Chiesa deve essere sempre più grande di un partito". Ed ora che scrivo non posso non pensare ali' appello del Presidente della CEI, card. Camillo Ruini e alla "nota dell'episcopato emiliano-romagnolo a tutte le parrocchie della regione in vista della prossima scadenza elettorale", che nel frattempo sono seguiti all'intervento, per così dire, anticipatorio di mons. Cecchini. Se poi riguardo i giornali di ieri 23 febbraio l'amarezza cresce: da Roma il Censis stima in 40-60 mila le leve minorenni arruolate nell'esercito "regolare" della criminalità e in 700 mila i giovani a rischio, pronti a scivolare nell'illegalità; e da Mondragone (prov. di Caserta)-dove tanto per gradire il Consiglio Comunale è stato sciolto per sospetta "mafiosità"- si apprende che altri giovani (studenti) sono costretti a pagare il "pizzo" a loro coetanei (non studenti) per le feste liceali da ballo, sotto forma di biglietti omaggio o percentuali sugli incassi. L'ESPERIENZA DI DEMOCRAZIA 90 Anche il vescovo chiude l'intervento e si apre il dibattito: come possibile compagno di strada, avrei qualcosa da dire proprio sul bene comune, se non altro per far presente che, guarda caso, a questo tema è dedicato pure l'ultimo fascicolo monografico della rivista "Democrazia e Diritto", pubblicata dal Centro per la Riforma dello Stato presieduto da Pietro Ingrao; e che vi si pone -con consonanza di accenti- il problema della "costruzione di relazioni sociali che trascendono l'etica dello scambio", prendendo in considerazione il multiforme approccio di Leopardi, Hanna Arendt, Elie Wiesel e, per finire, Giobbe. Mi confortano però le parole di un altro giovane, che ho colto casualmente quella sera nella ressa dell'uscita: rivolgendosi a quello che probabilmente era il suo (giovane) parroco, quasi incredulo gli ha chiesto: "ma come, con un tema come questo, abbiamo dovuto ascoltare queste ... insulsaggini" (e sono io ad usare volutamente un termine arcaico). APPENDICE (non polemica e puramente casuale) sufi' autoscioglimento del "clul," di Forlì alJIJiamochiesto un intervento a Giancarlo Cerini, militante del gruppo. Lavicendadi I?e':1ocrazi~'90 può nuovo soggetto politico a sinistra certi. La diversità è comunque as- inizio, di costruzione di una forsembr,are 0;g~r~cola,_ mgenua, (e _nonsolo): _-chidentro al vec- sicurata: l'incontroèresopossibi- ma-partito diversa dall'apparato un po sno a mtt~ra, ~a essa ch10PCic'èg1àstato,conqualche le perché il clima che si respira è che, partendo alla ricerca di consta dentro al _croceviadt q~e st0 disagio, con successive uscite ed quello di indebolire le ideologie sensi nella società, finisce per nostr ot~~P?,m~ezz?alle~ice?- entrate, ma sempre con problemi "dure", di andare al di là delle "occupare" pezzi dello Stato na- ?e ~ell mdimenl!cabile_btenm~ con l'apparato; -altri invece lon- appartenenze totali, di rifiutare le zionale e locale. /9- 9/, sul~o sfondo dt _scen~ tani dai ~a~_it_pi,er~ i~clini aHa forme classiche ma stagnanti del~ C'erano allora molte sintonie: or~~ o~ta~t e che perfiò I mass democraz1~ !~berai',_dialternat_1- la rappresentanz~, que_ll_eh~. s~ - la riscoperta della democrazia, me 1~ et nmbalz 1 ano ~n dentro va, magan già spenmentata m sono espresse nei partili poh11c1 non solo strumento, ma valore in casa 1~ temPo rea e,_con,o~d~ndo qualche concreta esperienza asso- dal 1945ad oggi. sé; grandi_st on~ e s~one_quo~diane, ciativa di base; -un'ala libertaria, Il gruppo però non è solo il conte- - il bisogno di far entrare aria freavv1_enDimerenauh e viss~tl ~erso- a radicale distanza dall'establis- nitore di insoddisfazioni intellet- sca nelle fumose stanze della parna 1. unque, sulle ~oghe_diqu~- mente la cui storia viene dai mo- tuali: c'è una piattaforma di valo- titocrazia; sto nostro (telemati~o) villaggi~ vimenti del '68 e '77 (più il primo ri. La politica non è un mestiere, - la richiesta di ritiro dei partiti g)obda~eu,~_ gruppo di perso?e <? 1 che il_s~condo)_-e;d infi~e ~lcuni ma una_respons_abilitvàerso la cit- dalle occupazioni abusive di bene citta mi, diremo col ~ennodi ~oi), cattohct attenti alle rag1001del- tà (pohs), da interpretare senza pubblico; ~?n alledsp~~e;.t?ne pubbhche l'impegno sociale e politico, ma interessi parriculari. Servono -l'elogiodellasocietàcivile,della iverse_, ~ct"e I m,~on~arst per non troppo impressionati dai ri- nuove regole, un'etica della poli- competenza V/s appartenenza; la vogha (ti pat~os ) di pens~e chiami all'unità politica (sotto le tica,uncodicedidirittiedidoveri. - la richiesta di nuove regole del a~ un m~do dtve~~o e pulito solite bandiere) provenienti dalle Le regole, i metodi, qualificano gioco politico, a partire dalla pri- (1ethos) dt far~ poh!tca. Ct sono gerarchie. gliobiettivi:glistrumentinonsono ma regola, quella elettorale (...real~e~o q~att~otdenut~che_corro- Le storie ovviamente sono più tatticismo in vista di un fine supe- ferendum & dintorni). no ti nsc_h 10 di conta~mar s1, n~lla complicate, iquattropercorsi sono riore, ma costituiscono le parti Insomma una politica più laica. prospettiva della COSlltuentedi un intrecciati, meno lineari, più in- frazionarie del fine (èd'obbligo la meno spartitoria. una casa comuVia M. FerrBaraindBinui1ti,5 Te(/0. 54730)0767 • FAX 780065 47100 FORLI' Il validosupportaolla , promozio edellaVs.attività Produzione Vendita Idealizzazione Orologi da parete e da tavolo, oggettistica da scrivania, articoli promozionali "ad hoc". Oggettisticapromozionale:penne, agende, articolida ufficio,calendari, portachiavi,pelletteriavaria,magliette, camicie tute da lavoro,valigette,ecc. Campagne pubblicitarie, oggettistica promozionalepersonalizzata, sponsorizzazionimanifestazioni sportive,realizzazionigrafichedi marchie stampati pubblicitarvi ari,ecc. Il m_ezzo più sempliceperesserericordati? ...taci~ il nostronumerotelefonico! citazione del buon vecchio John ne dove discutere il futuro, senza Dewey di "Democrazia ed educa- per forza dover difendere un intezione"). I piccoli passi, il qui ed resse di ceto, di lobby, di gruppo ora, testimoniano della bontà del personale. E' facileaquestopunto progetto, la sua coerenza interna, sorridere e ironizzare: esiste forse la qualità di un obiettivo pur pie- una cittadinanza allo stato puro? colo, ma ben fatto. Tutto ciò ha a gli interessi(corposi,materiali,ma che fare, credo, con l'idea di rifor- anche simbolici) non sono forse mismo. con una politica che si ciò che famuovere le persone? E' misura con i bisogni quotidiani di una riflessione che spesso ci siadonne, uomini, ragazzi, bambini: mo fatti nel gruppo, di fronte ai si torna ad incrociare un luogo successi differenziati delle divercaro alla cultura politica delle se iniziative: consistenti sul vernostre terre padane ed emiliane. santedell'indignazione, megliose che forse spiega perché qui da noi sintonizzata sulle onde lunghedei non è del tutto sopito, nelle pub- mass-media (mafia, Ustica. ecc.); blicheamministrazioni,l'impegno più limitatiquando l'agirericalcaper la qualità della vita. I discorsi va vecchi e nuovi schemi della di principio si misurano nella cit- politica (i dibattiti. i documenti. le tà, nel buon governo, nell'idea di campagne di stampa. ecc.). Ci siaun palazzo meno palazzo (la mo interrogati: è difficile far poli- "trasparenza"). che sa ascoltare la tica, è faticoso. è noioso a volte. gente (o meglio, i cittadini), che spesso pocogratificante e poi forvuole confrontarsi sulle scelte co- se bisogna mettere le mani in pamuni con loro, magari in forme sta. dirimere interessi, scegliere. nuove (la comunicazione circola- preferire, dire dei sì e dei no; ed re tra eletti ed elettori. 1·istruttoria ancor piùdifficile è fare tutto quepubblica, i referendum). Per que- sto in base e regole etiche, quando sto Democrazia ·90 ritenne non tutto intorno la politica è scambio solo un incidente di percorso le di favori (anche se oggi si dice -in elezioni amministrative della pri- bella coppia- che è conflitto e nemavera 1990, ma piuttosto un goziazionc). La parabola di Depossibile bancodi provaperparte- mocrazia '90 forse è tutta qui. in cipare inmodi innovativi alla vita questo sogno di rinnovamento politica. Ci fu la scelta di entrare annunciato, ma poco realizzato. con alcuni candidati di gruppo Innanzi tutto dal nuovo PDS. tutto nella lista dell'allora PCI, senza intento a far transitare il massimo peraltro la garanzia di essere eletti del popolo comunista al di là del (come era sempre capitato agli guado e quindi bisognoso di conindipendenti "di lusso"). Già, il dottieri dal volto sconosciuto. PCI: in quei mesi del '90 c'era piuttosto che di incertiesploratori molto movimento dentroe fuori il di nuove frontiere. Ma anche da PCI. Si "vedevano" e si "sentiva- una società civile che si indigna no'' forti aspettative di un nuovo facilmente contro le illegalità del CO palazzo, ma che poi vice con comodonellemille piccole illegalità del grasso welfare. Democrazia '90, il suo consigliere Calderoni (anche se non ha fatto gruppo autonomo, forse sbagliando, perché c'erano ragioni in abbondanza ed unconsenso diffuso in città) ha fatto battaglie importanti in consiglio comunale (statuto, bilancio, urbanistica, tariffe, servizi, ecc.) forse non capite, magari sottovalutate, comunquechiusedentro il teatrino municipale. Credo che si sia dimesso per questo. Perché un'ipotesi si era esaurita. Le istituzioni hanno le loro regole, la politica anche. Forse non piacciono più. Urge la riforma politica (facili gli slogan!?). Ma il nuovo fatica ad emergere: il "partito che non c'è'' non è dietro l'angolo. L'autoscioglimento di Democrazia '90 chiude una piccola pagina in una pigra città dove tutto sommato si continua a vivere bene e dove giungono da lontano e assai attutiti i drammi e i conflitti della nostra epoca. Restano però le ragioni. resta la ricerca di una qualità diversa della politica, resta il problema di una democrazia diffusa: dove tutti possono sedersi, almeno per un istante, al tavolo della politica. crescere ed esercitarsi nelle "virtù pubbliche". Potrebbe anche essere un·altra politica, forseunapre-politica, magari distribuita in una rete ricca di associazioni, di gruppi, di convivialità, dove sia bello confrontarsi, discutere, costruire progetti, muovere idee. Ma poi, alla fine. si deve decidere (nella città, nella nazione) e si decide contandosi in alcuni momenti istituzionali, quando (con le elezioni) scegliamo i nostri rappresentanti: ma in che modo si rendono visibili i nostri campioni? Sotto quali bandiere? Agitando quali valori/interessi? La ricerca continua... Giancarlo Cerini Mi verrebbe anche da esemplificare intorno a quella piccola "eclissi di legalità" che rischia di colpire lo Statuto del Comune di Forlì e alla conseguente necessità che la società civ ile fori ivese non lasci cadere anzitempo le opportunità che pure questo strumento offre. Ma poi mi frenano lo scrupolo del protagonismo e la relativa novità della platea, cosicché quando mi decido a chiedere la parola a Don Appi, le iscrizioni sono già chiuse e sta per iniziare la replica di Mons. Cecchini. Il quale, trovandosi evidentemente più a suo agio, trova anche il modo di sciorinare un esplicito appello al voto, anticipando ed esaurendo il tema di un altro dibattito -sull'unità politica dei caltolici- organizzato per il giorno successivo sempre a Forlì dalla Democrazia Cristiana. Non mi era mai successo di udire un sacerdote pronunciare parole simili, e francamente ci rimango male: penso alla "legi11ima molteplicità e diversità delle opzioni temporali" proclamata dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, più volte citata proprio dalla pastorale "Educare alla legalità"; penso al primo conVenerdì 14 febbraio, ore 18,50: mi reco alla libreria delle Paoline per acquistare l'opuscolo contenente la pastorale "Educare alla legalità". La suora è molto gentile, mi chiede se sono stato ali' iniziativa della sera precedente e le rispondo ovviamente di sì. Quindi mi porge l'opuscolo, che si trova esposto proprio appena sotto il registratore di cassa e costa appena mille lire: a mia volta le porgo una banconota da mille che non esige resto ma esigerebbe lo scontrino fiscale. Tuttavia la madre mi accomiata con un gentile sorriso che contraccambio, senza osare però fare il benché minimo cenno alla mancanza di quel pezzello di carta obbligatorio. Fuori dalla porta guardo l'orologio: ora sono le 18 e 55 e forse -ma onestamente non mi pare- i conti della giornata erano già stati chiusi; e poi si traila solo di mille lire (ma di lì a qualche giorno scoprirò che per un sacchetto di pop-com un ragazzino di sette anni è stato severamente multato). Tra il dubbio, la ricerca dell'assoluzione per la madre e dell'autoassoluzione per me, mi resta in mano l'opuscolo, il cui sottotitolo recita "Per una cultura della legalità nel nostro paese". E mi rendo conto che il vero nodo è quello che ci riguarda tutti e che non si può fare a meno di imboccare la strada (o la cruna dell'ago) della lunga marcia attraverso i propri mille piccoli comportamenti quotidiani. nel prossimo numero: BIOEFICA. Intervista a Giannozzo Pucci, ''fondamentalista verde''

la giornata di ricordo, di riparazione e di riflessione dalle conclusioni di Gianni Sofri ... Qualcuno ha chiesto, e non so se gli abbiamo risposto, perché torna la svastica. E' un ritorno, in effetti, preoccupante a tutti i livelli. Abbiamo letto notizie inquietanti sul presidente della Croazia, sulla Lituania ... Sono emerse cose pazzesche sulla Lituania: voi sapete che molti lituani cominciarono, durante la seconda guerra mondiale, a lottare al fianco dei nazisti contro gli occupanti sovietici, ma poi finirono anche per collaborare nella persecuzione degli ebrei. Su questo triste episodio non c'è stata per ora alcuna autocritica, anzi! ... Insomma, quando parliamo di antisemitismo oggi non dobbiamo credere che si tratti solo dei naziskin che abbiamo visto nella trasmissione di Giuliano Ferrara. Oggi l'antisemitismo è fortemente presente in larghe fasce giovanili, ma non solo giovanili,della Germania Orientale; è presente in buona parte dei paesi dell'Europa orientale, benché i milioni di ebrei che vi abitavano prima della Shoah siano solo ridotti a poche decine di migliaia; è presente in alcune tendenze, diciamo così per intenderci, di destra, nazionaliste e panrusse, della Chiesa ortodossa russa, come Pamjat. più vicino a noi, in Francia e in Svizzera, si violano turpemente tombe di ebrei. Esiste anche un antisemitismo di altro tipo, di difficile assimilazione a quello europeo, nel mondo arabo e musulmano (ma per il momento lo metterei da parte). Quindi il fenomeno dell'antisemitismo oggi è un grosso fenomeno. Dicevo prima che I storia non risolve quasi mai un problema una volta per tutte: lo vediamo oggi con la rinascita dei nazionalismi, delle guerre di religione, ecc. Persino rispetto ali' antisemitismo, neppure un evento spaventoso e indicibile come lo sterminio è stato un vaccino sufficiente. Per lo meno non per sempre. Vorrei insistere: dicendo che la storia non risolve i problemi una volta per tutte, non pensavo a piccolj residui, più o meno innocui e facili da controllare. La ripresa odierna dell'antisemitismo è un fenomeno grosso, che non va sottovalutato. Non si può abbassare la guardia. Noi in Italia abbiamo avuto degli episodi, anche molto brutti. Ci sono elementi, non tanto di antisemitismo (come in alcuni movimenti francesi), quanto di razzismo più generale, nelle leghe. Soprattutto, abbiamo una fetta di mondo giovanile che si agita riesumando vecchi slogan e facendo propria una cultura quanto meno ambigua e inconsistente, una pseudo-cultura. Ora, come comportarsi rispetto a queste cose? Questo è un problema politico, ma anche culturale, molto importante. Io credo che una prima cosa da dire sia questa: che bisogna sempre guardarsi dall'assimilare il presente al passato. O meglio. E' vero che esiste una continuità nella storia del razzismo su base "scientifica" (parlo di questo, perché altrimenti, se per razzismo intendiamo ogni forma di etnocentrismo, allora non finiamo più, cioè si parte dalla preistoria, dalle società primitive, ecc.). Quindi c'è una continuità che va tenuta presente: per esempio, non è un caso che i naziskin possano avere tra le mani una copia del Mein Kampf E però sarebbe molto sbagliato da parte nostra privilegiare l'elemento della continuità anziché sforzarci, con tutte le nostre forze, di vedere lo specifico che di volta in volta si presenta nel fenomeno. E allora -ma qui non è certo il momento né il luogo per farlo, e io non ne sarei in grado, perché ci vorrebbe il contributo di analisti del mondo giovanile, di sociologi, di psicologi, di pedagogisti e studiosi della politica-, allora, dicevo, la mia sensazione è che, molto spesso, anche l'uso di tesi alla Faurisson sulla non-esistenza dei campi di sterminfo, l'uso di vecchi testi, di vecchie simbologie, ecc., si colleghino in un amalgama assai confuso, che non è immediatamente (e semplicemente) riconducibile al nazismo. E però, detto questo, uno sarebbe tentato di concludere: "ma allora dobbiamo lasciarli fare?". E' un problema molto inquietante. Rispetto al lasciarli fare, se è vero che la storia qualche cosa insegna (non che sia magistra vitae, per carità!, non ci crede più nessuno, ma se insegna qualcosa), allora, nei primi anni Venti, Hitler era uno dei tanti, ce n'erano tanti nella Germania di allora, e non tutti imbianchini, cioè facevano anche altri mestieri ... , che andavano in giro dicendo che prima o poi gli ebrei andavano sterminati. Se qualcuno li avesse fermati, se qualcuno li avesse mandati da un buon psichiatra (e ce n'erano, soprattutto in Germania, di eccellenti), forse le cose avrebbero preso un'altra piega. Per carità, la storia non è mai, lo sappiamo, solo opera di singoli individui. La storia esige che si muovano forze profonde, strutture, eccetera. Però se intanto si fermassero in qualche modo i singoli individui, sarebbe un buon risultato: non sufficiente da solo, certo, ma qualcosa sì. Voglio dire che a volte, nella storiografia, bisognerebbe recuperare il naso di Cleopatra. Voi sapete che Croce aveva-e giustamente- attaccato questa forma di storiografia, che lui accusava di essere quella del "naso di Cleopatra" appunto: una storiografia secondo cui i rapporti tra Romani, Egiziani e in genere le cose che accaddero allora nel Mediterraneo avrebbero preso una certa piega perché Cleopatra aveva un nasino all'insù particolarmente affascinante, in grado di conquistare alcuni importanti leader politici romani. Croce, naturalmente, ironizzava su questo, e diceva: no, le strutture profonde, lo Spirito della Storia, l'Idea, ecc. (altri avrebbero detto i rapporti di produzione) fanno la storia. In realtà, a volte, la storia è fatta davvero anche di coincidenze, di circostanze banali, e credo che noi lo stiamo proprio riscoprendo in questo periodo: altrimenti nessuno capirebbe, per esempio, gran parte della politica italiana dell'ultimo anno, nella quale è difficile vedere strutture profonde, mentre c'è un gran fiorire di nasi di Cleopatra ... Naturalmente, si potrebbe discutere se questo sia Storia, ma tant'è ... Vengo all'ultimo punto, che vuole essere anche da parte mia un saluto e un ringraziamento a voi tutti. Io non so se gli organizzatori, ... Massimo Tesei, per esempio, avrebbe voluto n:iagari dei risultati maggi on. Io devo dire che personalmente ho trovato molto interessante questa serata, ho trovato interessante l'iniziativa in sé (mi sono anche fatto raccontare come sono andate le cose, le puntate precedenti, di stamattina e del pomeriggio). Io non credo che in una situazione del genere potessero emergere né una serie di importanti rivelazioni storiche improvvisamente fermentate ali' interno di una sala del Comune di Forlì, né una soluzione di problemi quali quello del nostro rapporto col razzismo, per dirne uno. Tuttavia, di problemi, ne abbiamo messi a fuoco tanti, che chiaramente non si potrebbero mai risolvere in una serata, in un gruppo volenteroso di persone, quando sono problemi che invece impegnano al loro massimo la nostra cultura e altre culture da alcuni decenni. Io trovo che invece sia stato molto positivo da tutti e due i punti di vista sia di aver presentato in maniera non accademica quello che avrebbe potuto essere un tipico prodotto accademico, e cioè i risultati di una ricerca. Risultati non freddi (come spesso è nelle ricerche accademiche), ma, come ho cercato di dire prima nella mia breve introduzione, palpitanti di vita e per questo commoventi, coinvolgenti, anche per persone, come molti di noi qui dentro, che non sono studiosi, ma che amano, e vogliono, ricordare. Quindi credo che questo sia stato importante, ed è un primo punto. Mentre il secondo punto importante credo sia stato semplicemente questo: che un numero elevato di persone, considerando le tre volte in cui ci si è radunati a discorrere, stamattina, questo pomeriggio e stasera, sia stato invitato a ripensare a dei problemi che forse molti di noi ritenevano, a torto, già chiari e definiti. lo sono, ovviamente, d'accordo con la Signora che prima diceva: "Noi sappiamo che i campi di concentramento, i campi di sterminio ci sono stati". Non c'è bisogno di discutere di questo. Però ci sono ancora tante cose che dobbiamo capire, e che riguardano il passato, ma che riguardano anche noi, o per lo meno i nostri figli, se noi stessi non ci sentiamo più in grado di fare progetti per il nostro futuro. Ecco, da questo punto di vista, non so voi di Forlì, che forse puntate molto in alto ... Noi che abitiamo in città lievemente più grandi siamo diventati forse più stanchi e scettici, eci contentiamo più facilmente. lo, di questa serata, sarei molto contento. B1011otecGaino 1:S1anco --------------------- a pagina dieci e undici ATTILIO I SUO FIGLIO GADDO '"Speroq11i11daincora nella bontà di Dio". Il signor Auilio non ha perso la fede, ma per la prima volta con tono sommesso alza la voce. Sembra che rivolgendosi a Dio lo avverw che la sua fiducia nella bontà dell'Altro sta passando unaprova durissima. Quelladi aversmarritounjìgliocheera "la luce dei suoi occhi" e che ha il presentimento di non rivederepiù. lmmediatame11tesopra annotava lafine de/fascismo, ma senza alcuna gioia. Per lui iniziava allora il terribile conto alla rovescia verso la certezza che suo figlio non sarebbe tornato. Efu così per tanti in Europa, alla fine della "terribile guerra di distruzione". E la loro angoscia fu come sommersa, scomparve nella gioia generale, quella gioia che loro non potevano condividere anche sepiù di rulli l'avrebbero dovuto. Siamo al 26 aprile del 45, alle ultime pagine di un diario iniziato l'8sellembredel43. E' ildiariodi un padre che, non in perfeua salwe, benestante, non esitò più di due giorni a lasciare tutroperché preoccupato per il figlio ventiquatrrenne. Non si era sbagliato il signor Auilio e non si darà pace quando in seguito moglie.figlio e governante, per una premura comprensibile nei suoi confronti, gli nascosero quello che avevano sentito annunciare alla radio: l'inasprimento delle misure antiebraiche. Lui forse avrebbe potuto prendere di nuovo la decisione giusta: far allontanare ilfiglio lettere Faccio seguito al mio versamento pro-convegno e mi scuso per il ritardo: ma sono stato degente in ospedalee, tutt'ora convalescente, non so se potrò partecipare al convegno del 13/2. Aderisco con entusiasmo alla Vs/ iniziativa di alto valore civile, come partigiano, e come reduce dellagaleranazi-fascista,inquanto ebbi a conoscere, appunto in carcere a Forlì, alcuni di quegli ebrei che poi furono fucilati sulla strada dell'aeroporto, assieme a patrioti italiani, il 5/9/44. Formulo queste righe come testimonianza vissuta. Fui arrestato il 30/7/44, nel quadro del drammatico epilogo dell'attività dell'organizzazione della radio-clandestina "Zelia", dipendente dell'Office of Secret Service. Rimasi in carcere sino all'8/8/44 allorchè, fortunatamente , mi si dischiuse il portone per essere deportato aMathausen: erano della mia stessa sorte, fra gli altri, i partigiani forlivesi Quinto Gentili e Antonio Andreoli. Durante i pochi giorni di restrizione ebbi la ventura di fare conoscenza con alcuni degli ebrei qui vi reclusi (provenivano da campi di concentramento dell'Italia meridionale che venivano smobilitati con l'avanzare delle truppe alleate) e la conoscenza fu determinata dal fatto che, durante gli allarmi aerei, le guardie carcerarieeranoautorizzatea liberare i prigionieri dalle loro celle per farli scendere al pian terreno del fabbricato (il primo, provenendo dal piazzale Ravaldino) per dar lorounpresuntosuperioremargine di incolumità nella eventualità di bombardamento.Che in veritànon vi furono, ma per i ricorrenti, numerosi allarmi, ci si trovava, a due a due, o a gruppetti, a parlare della guerra e, in parte, parzialmente, delle vicende personali. Un esame del foglio matricolare dell'epoca che credo, sia tuttora reperibile presso la Direzione del carcere, potrà dire quanti e quali erano i detenuti nel periodo a cui mi riferisco. Ricordo, fra gli altri, il caro amico Pietro Fabbri, anche luicollaboratore di radio "Zelia", che sarà poi fucilato dalle S.S., il dottor Marco Pordes, polacco, che dopo la Liberazione si stabilirà a Forlì ove impianterà uno studio dentistico, verso Firenze. E' il diario di un uomo che in quella tremenda bufera restò profondarne/I/e pio. Ridotrosi a dormire in una cantina senza.finestre e senza lenzuolo il signor Atri/io pensa solo che finalmente potrà metrersi i.filai/eri alle braccia per dire le sue preghiere. E dopo essersi lasciato esaurire per non mangiare il cibo impuro e quasi cosirei/o dal medico a cibarsi, appena inforze tornerà impaziellle a seguire la legge del suo Signore. O quando scrive che digiunerà per "implorare di poterlo rivedere in breve", il suo "benedetro" Caddo. Ma è il 7 dicembre 45 e sono esa11amente tre mesi che Caddo è stato fucilato. Ed è un diario che ci racconta di tanti italiani, non di tedeschi. Di carabinieri onnipresenti, difascisti che vanno a vedere le "bestie rare" del campo di concentramento, di suore che rifiutano una minestra. E poi di un medico provincia/e, della cui visita Caddo si dice in a/lesa in ogni lei/era, che alla fine scriverà su un foglio "abile" al concentramento, certo non immaginando neanche lontanamente di stare firmando ben altro che un semplice certificato medico. O di proprietari dell'appartamento affitrato, geme affabile all'inizio del diario, ma che allafine, per aver custodito alcuni valori, chiederanno un risca/lo di 40 gr. d'oro. Ad unpadre che ogni giorno sta perdendo di più suo figlio. O del "famigerato" che, l'avv. Razzini di Parma, Germano Spazzoli di S.Martino inStrada, il marchese Gian Raniero Paulucci e, in particolare, due ebrei che stavano sempre assieme: (non posso ricordarne i nomi, che, ovviamente, sono compresi nel cippo in via Seganti che reca nella dicitura ad arco: "Di tutte le Patrie, di tutte le fedi, caddero tutti per la libertà" e fra quei nomi è compreso Vincenzo Lega -"Cencio"- di Faenza, anche egli collaboratore di radio "Zelia") di questi, uno in particolare, si intratteneva con me. Di statura normale, abbastanza robusto, coi capelli castani, occhi celesti, sui 45/50 anni, non so se ungherese, o ceco, o apolide, che parlava molto bene l'italiano, con unaculturamedica,moltocordiale ed espansivo. Di lui ricordo questo particolare ricorrente nei nostri incontri: mi abbassava col pollice della mano destra le palpebre inferiori e mi diceva: "Tu hai gli occhi infiammati, congeniti fin da bambino: devi mangiare molte carote". Ho sempre ricordato, negli anni successivi, in famiglia e fra amici, questi incontri, quei gesti, e quelle parole e ricordo anche ora, con calore umano, quella figura di cui mi è ignoto il nome, ma che ho chiara nella mente e nel cuore. Stelio Che/li Quando ho ricevuto la vostra lettera di sottoscrizione per l'iniziativa alla memoria degli ebrei che furono fucilati a Forlì nel' 44 subito m'è venuto da chiedermi "perché m'hanno mandato questa lettera?". Forse solo perché sono nell'elenco degli abbonati. O forse come provocazione personale, per vedere come avrei reagito iodi fronte a questa iniziativa. Per completare questa premessa ci tengo a dire che sono amico sia di alcuni componenti della redazione sia di alcunimembri dell'Associazione per l'amicizia ebraico cristiana, tuttavia la vicenda non mi era chiara. Credo che in questa mia perplessità abbia avuto importanza quello che mi sembra un problema urgente: con tutto il rispetto per il giornale, che leggo sempre, si può sapere chi siete? Di che colore? Dove volete andare? Al di là di tutto questo, credo di essere fortunato per potermi esprimere su queste pagine a proposito dell'iniziativa sugli ebrei e spero di non dare fastidio a qualPubblichiamo l'elenco dei sottoscrittori a favore della giornata del ricordo, di riparazione, di riflessione, Rita Agnello, Roberto Ambrogelli, Rosanna Ambrogelli, Marina Baggioni, Farida Baldassarri, Fulvio Balestra, Fortunata Barbaro, Maria Luisa Bargossi, Milad Basir. Massimo Bertozzi, Patrizia Belli, Roberto Borroni, Giorgio Calderoni, Carla Campassi, Libero Casamurata, Flavio Caselli, Luisa Coen, Fausto Fabbri, Antonio Fantini, FlM.CISL, Antonietta Flandoli Conti, FIOM.CGfL, Rodolfo Galeotti, Silvano Galeolli, Giovanna Gardelli, Liana Gavelli, Stelio Ghelli. Amedeo Golinucci, Marzio Malpezzi, Alfonso Marra, Silvana Masselli, Franco Melandri, Rocco Messina, Lina Monti, Davide Moreno, Norma Naldoni, Benvenuto Occhialini, Giovanni Orlati, Susanna Pagano, Iole Pesci, Carlo Polelli, Trissa Pondi, Giuliano Preda, Gian Franco Sacchelli, Sergio Sala, Gianni Saporelli, Sulamit Schneider, Sonia Serri, Alberto Silvestri, Franca Silvestroni, Alberto Tanara, Massimo Tesei, Fabrizio Tesorieri, Enza Tonelli, UTLM.UIL, Marta Vallicelli, Luisa Zaban, Gabriele Zelli. Un vivo ringraziamento a Liliana Piccio110Fargion, Paola Di Cori, Paola Saiani, Enrico Deaglio, Fabio Levi, Mauro Pesce, Gregorio Caravita e al Rabbino Luciano Caro. Un ringraziamento particolare a Gianni Sofri. Ringraziamo altresì l'assessore Gabriele Zclli, Leo Melandri e Antonella Cellelli. dopo aver arrestato ilfiglio, se ne torna libero in paese sotro gli occhi del padre. Finito più tardi in carcere, per uscirne invocherà il perdono del signorA11ilio,dichiarandosene "devotissimo", non senza aver prima denunciato un Maresciallo ed essersene dichiarato "esecutore d'ordini". Dall'ultimo segretario di Fascio di paese italiano al responsabile della soluzione finale in Europa solo quelle parole: esecutore d'ordini. E' un racconto della banalità del male, di quella "normalità del male" di cui ci ha parlato Deaglio. A volte,forse, sarebbe bastata una cosa a/trellanto banale, scrivere "inabile" su un certificato, eforse oggi Caddo sarebbe un signore di 70 anni con dei.figli e un vecchio padre avrebbe.finito i suoi giorni consolato. Ma tant'è. Così andava il mondo nel 44. Continuerà a cercare, il vecchio padre. Invano. Non avrà la consolazione di sapere la verità. Nessuno lo metterà sulla traccia di quei loculi segnati dalla P e dalla X del cimitero di Forlì. Una signora amica seguirà le ultime tracce che portavano al carcere di Forlì. Da Urbino Caddo era stato trasferito a Forlì insieme agli altri ebrei stranieri, fra cui il giovane Arthur Amsterdam con cui aveva fauo amicizia, e che furono tu/li fucilati il 5 e il 17. E fa impressione la gelida prosa cuno. Innanzitutto voglio dare la mia adesione "economica", politica, etica e religiosa e consentitemi di spiegare il perché: I) Sono assolutamente convinto che le ingiustizie, le sofferenze e le persecuzioni che gli ebrei hanno subito in Europa non sono solo da condannare, ma ancheda ricordare per fare in modo che non accadano "mai più". 2) La mia adesione nasce da un senso di solidarietà sia per quelle vittime, sia per i loro famigliari, sia per la loro comunità. E da un senso morale (se lamoraleesiste ancora, soprattutto nelle azioni concrete, in questo mondo) perché è impossibile accettare moralmente quegli avvenimenticosì orrendi. 3) Né la Bibbia, né il Vangelo, né il Corano giustificano questi fatti, anzi li condannano proclamando giustizia, fratellanza e convivenza. 4) Aderisco per condannare qualsiasi forma di razzismo, di intolleranza e di antisemitismo e ne approfitto per ricordare che gli arabi non sono antisemiti. .. essendo semiti essi stessi. 5) Ritengo che quanto sta accadendo in Europa sia moltopreoccupante, che razzismo e antisemitismo siano di ritorno e che occorra vigilare perché il "mai più" sia davvero mai più. 6) Mi ritengo un cittadino di questa città e faccio del mio meglio perché ciò avvenga a tutti gli effetti e, come cittadino, credoche sia doveroso che gli ebrei fucilati qui nel '44 trovino una sistemazione dignitosa e siano ricordati i loro nomi. Vorrei concludere ricordando a tutti che l'oppresso di ieri non deve essere l'oppressore di oggi. E' moltochiarocheil miorichiamo è a quanto succede oggi in Cisgiordania e Gaza, che per me è inaccettabilee vorrei che così fosse per tutti, perché la pace é un diritto di ogni individuo al di là della sua religione, del colore della sua pelle, del suo credo politico. Tutti noi abbiamo la responsabilità, davanti alle nuove generazioni e alla storia, di dare un contributo perché la pace e la convivenza fra i popoli diventino veramente un denominatore comune per tutte le coscienze. C'è un detto ebraico che dice: il Messia verrà. Forse ritarderà, ma verrà. Vorrei che fosse così anche per la pace. Milad Basir Nel leggere gli articoli sugli Ebrei hopensato: finalmente un avvenimento sconvolgente della storia mondiale trova così ampio spazio di approfondimento e di memoria su ungiornale di Forlì. Finalmente anche nella ns. città uno sforzo per rompere il silenzio calato sinistramente sulla Shoà: tragedia immane e unica della storia dell'uomo. Nel 1988,in un convegno per il 50° della promulgazione delle leggi razziali, la dott.ssa Saiani relazionò su quanto accaduto a Forll durante la guerra. Chi non sapeva nulla di quei fatti rimase annichilito e tutto finl. Nessuna eco nella città, nessun gesto di riparazione, seppur tardivo. Natalia Ginsburg scrive, a proposito del dopo-Auschwitz: "dopo di allora ilmondoè sembrato(loro) diverso. Impossibileguardarlocon UNA CITTA' con cui il questore di Forlì, pochi mesi dopo la liberazione, risponde a un padre ebreo disperato che suofiglio fu prelevato da SS tedesche il 7 sel/embre per destinazione sconosciuta. Ma è impossibile che almeno non la sospetlasse, la destinazione, perché varie testimonianze avevano riportato che lefucilazioni, in quei dieci giorni, erano state più di due e perché la questura non poteva non sapere che a/l'esumazione dalla fossa comune i corpi erano risultati di più dei 37 nomi dell'elenco dei fucilati. E quel questore è l'unico che a Forlì in 45 anni pronuncerà il nome di Caddo Morpurgo. Cosìalla.fine,a differenza di Giobbe, il signorAtritionon avrà alcuna "restituzione" finale. Neanche quella del corpo del suo sventurato figlio. E al ritorno nella sua ciuà saprà che due sorelle, fra cui l' "adorata" Elda del diario, non ci sono più. E che anche la comunità da cui tallle volte si era lamentato di essere lontano non esisteva più. Speriamo con tulio il cuore che abbia potuto finire i suoi anni in pace almeno con il suo Dio e nella certezza che tutto, prima o poi, possa ritornare. Noi ringraziamo vivamente Franco e Andrea Morpurgo, nipote e pronipote del Signor Allilio, per averci permesso, nel nostro piccolissimo, di onorare la memoria del vecchio padre e di suo figlio Caddo. c.s. gli occhi di prima. Non che lo trovassero prima felice o amabile: lo trovavano sempre inamabile, infelice, ingiusto e sanguinario. Speravanosolodi renderlounpoco migliore.Maquandohannosaputo di Auschwitz edelle camere a gas, di colpo gli è sembrato che la vita e lamorte non avesseropiù nessun senso. Non c'era spazio per disegni e speranze". * Oggi, anche per noi qui a Forll, è impossibile guardare con gli occhi di prima. Un saluto Maria Rita Agnello * da un articolo dell'Unità (1985) La giornata sull'antisemitismo è andata bene. Siamo contenti. Sul numero scorso ci chiedevamo se per giustificare un imeresse, una ricerca, una riflessione sull'antisemitismo non bastasse aprire i giornali. Eppure l'altro giorno non eravamo ugualmente preparati a leggere che a Roma un corteo di 600 giovani ha sfilato dietro unostriscione con su scritro "no alla società inulti razziale" e che sfiorando il gheuo di Roma ha imonato "Juden raus". E tutro sotro gli occhi dei carabinieri che L'hannoaccompagnato. Cosa sta succedendo? Crediamo che chiederselo, che cercare di capire sia una cosa importante. E che ricordare serva anche a questo. Ed è così strano essere convinti che allafine si stia parlando di noi? Che L'antisemitismo sia in Europa il "pennino" più sensibile del nostro malessere? Comunque, altri avran certo cose più importanti dafare. Per esempio, e solo per restare nella sellimana in questione, piccole, molto piccole kermesse provinciali, ma con un titolo, "Europa", talmente altisonante da costare, in amplificazione, /60 milioni, quanti dei quali delle nostre tasche non sappiamo. Ma queste sì che sono cose che non riescono più a stupirci. Neanche se, e mettiamo pure il colmo della viltà, un politico che prendesse soldi per esonerare dal servizio militare organizzasse un dibattito cittadino per scagliarsi contro l'obiezione di coscienza. No, neanche in quella occasione ci stupiremmo. E non lo consideriamopositivo, per niente. Ma quel corteo di Roma ci ha fatto ancora impressione. Così come che Forlì avesse dimenticato i suoi martiri ebrei. E per fare qualcosa abbiamo messo a repentaglio il nostro piccolo giornale. Noi dal comune abbiamo avuto 60000 lire, il costo abbuonato della sala. Ed è una cifra, per un convegno che ha avuto anche una piccola risonanza nazionale, di cui non ci lamentiamo affatto, anzi. Poi ci hanno aiutato i convegnisti, venuti gratuitamente, la Provincia, e soprattut/o amici, conoscenti, e cittadini che avevano saputo della nostra piccola sol/oscrizione. Su circa 200 avvisi abbiamo raccolto quasi 60 adesioni. Lo consideriamo un buon segno e un incoraggiamento. Ed è grazie a loro, non già se la giornata sull'antisemitismo s'è falla, che omwi era deciso, ma se questo giornale può continuare a uscire, perora, con un certa tranquillità.

INTERVISTA NANNI SALIO La nonviolenza, come metodo di lotta e come visione del mondo, è una questione presente nelle discussioni culturali e politiche da quando la lotta per l'indipendenza dell'India, guidata ed ispirata da Gandhi, riuscì a sconfiggere l'allora potente impero britannico. Per la sua particolarità, e al di là dei suoi successi o delle sue sconfitte, è certo una proposta che pone una quantità enorme di problemi pratici e teorici; della nonviolenza, della sua efficacia, dei suoi metodi, dei suoi contenuti filosofici, abbiamo parlato con Giovanni (Nanni) Salio, 48 anni, insegnante di fisica all'Università di Torino, teorico della nonviolenza e traduttore e curatore di vari testi su tale tema e sull'ecologia (fra questi: "Ecologia Profonda"; "I movimenti per la pace" (3 voi.) ; edizioni del Gruppo Abele, Torino). La nonviolenza può essere vista solo come uno strumento fra gli altri dell'agire politico oppure, per poter essere praticata, necessita di un'etica specifica, di una particolare visione del mondo? Ci sono degli esempi di lotte nonviolente, precisamente delle forme di resistenza civile nonviolenta, che non hanno presupposto una totale adesione ad una cultura nonviolenta, Ce ne sono tantissime nel corso della storia. Ad esempio, le trasformazioni avvenute nei paesi baltici, per rimanere in tempi vicino a noi, sono avvenute con forme di resistenza civile nonviolenta che hanno avuto successo e non hanno certo presupposto una totale adesione culturale alla nonviolenza da parte della popolazione. Anche solo da un punto di vista empirico, quindi, la nonviolenza ha una sua efficacia; questa è una delle tesi che Gene Sharp ( uno dei massimi teorici contemporanei della non.violenza, ndr) ed altri sostengono. Tuttavia questo non vuol dire che ci si debba ridurre a queste sole forme di lotta, non è questa l'intenzione di chi fa osservare questa efficacia empirica, ma è un aspetto pratico che va messo in evidenza, proprio perché è difficile persuadere sugli altri aspetti della nonviolenza, sulla sua visione del mondo. Ma è anche vero che tale efficacia si ha solo quando l'avversario non è disposto ad oltrepassare certi limiti. Se invece dell'Armata Rossa di Gorbaciov ci fosse stata l'Armata Rossa di Breznev, la resistenza nonviolenta nei paesi baltici sarebbe stata molto meno efficace .. non violenza non solo come mezzo, ma come fine Questo è sempre discutibile. Ci sono stati dei casi in cui, anche nei confronti dell' Armata Rossa di Breznev, ad esempio nel 1968 a Praga, la resistenza nonviolenta ha avuto una sua efficacia; non ha vinto, ma ha saputo contrastare per più di sei mesi le truppe del Patto di Varsavia. Si deve comunque considerare che la lotta nonviolenta si sviluppa nel tempo, non diversamente da qualsiasi lotta violenta, e nel corso di lunghi periodi cambiano anche le controparti. Nel caso della Cecoslovacchia, quelli che nel '68 avevano perso sono quelli che vent'anni dopo hanno vinto. In ogni caso la lotta nonviolenta ha bisogno di tempi lunghi; la lotta di Gandhi è durata quarant'anni. Il criterio dell'efficacia ha comunque una sua, anche se relativa, importanza perché molte Brsone devono essere convinte anche su quel versante. La lotta violenta, per cui alcuni optano, non ha problemi diversi dalla lotta nonviolenta: la lotta per la liberazione del Salvador, che dura da dieci anni, deve oggi piegarsi ad un compromesso; per la lotta, vittoriosa, dei Sandinisti tutto dipende da quando la facciamo cominciare, perché Sandino operava negli anni venti. Il criterio dell'efficacia serve quindi per contrastare la tesi, ritenuta fondamentale, che in molte situazioni, se non in tutte, non ci siano alternative alla lotta armata. Entrando invece nel merito di che cosa è la nonviolenza come visione del mondo il discorso diventa diverso. La nonviolenza, innanzitutto, non si presuppone solo come mezzo, ma anche come fine. Ritornando all'esempio dei paesi baltici, c'é da dire che, al di là dei mezzi nonviolenti usati, potrebbe succedere che domani questi paesi si diano dei fini non omogenei con la nonviolenza; come già un po' avviene, potrebbero creare una società discriminante nei confronti della minoranza russa. Questo fatto non appartiene certo al mondo della nonviolenza e, anzi, proprio il non avere dei fini coerenti con una visione nonviolenta può far sì che alcuni dei conflitti che si genereranno in futuro non vengano affrontati con metodi nonviolenti. La nonviolenza comporta una coerenza su due fronti: nei metodi e nei fini. Il fine è la costruzione di una società; il che vuol dire costruire rapporti nonviolenti fra le persone, un sistema economico nonviolento, un rapporto con la natura di tipo nonviolento; tutto questo va ben oltre la semplice efficacia dei mezzi nonviolenti in un momento di conflitto. Purtroppo, sovente, c'è uno scarto fra mezzi e fini: si mette l'attenzione sugli uni o sugli altri e quindi o c'è incoerenza sugli uni o c'è incoerenza sugli altri. li progetto complessivo della nonviolenza richiede una grande capacità, una grande chiarezza, su entrambi. un'azione ~r1;ventJva1 di r1moz1one delle cause profonde Ma se vedo alcuni individui violentare una ragazza? lo intervengo come posso, con tutto ciò che è a mia disposizione... Questo è il tipico esempio che viene fatto, ma non è pertinente per varie ragioni. Prima di tutto la nonviolenza di Gandhi è la nonviolenza del forte, cioè di chi può in qualche modo scegliere. Nel caso di una situazione di ingiustizia, come quella che dici tu, si richiede innanzitutto la disponibilità ad intervenire e, a meno che tu non vada in giro armato, dovresti intervenire a mani nude e quindi interverresti in maniera nonviolenta. r , E se riesco a dare ! ' un cazzotto sui denti a uno dei ~ violentatori? . '""". 1,#l~J -~h Questa è una azione tecnicamente violenta, ma solitamente non comporta l'uccisione della persona; semmai è più probabile che siano i violentatori ad essere armati e quindi sei tu che ti esponi ad una violenza che può anche essere quella estrema. Inoltre, anche in quel contesto, potrebbe essere più efficace, se non sei solo, un intervento collettivo, anche se su piccola scala, che metta in difficoltà il violentatore. Per questi motivi l'esempio che hai fatto non è probante. Poi, questi ragionamenti non dovrebbero mai essere fatti con il "se"; ragionando in questo modo si innescano dei processi riduzionisti delle situazioni. Certo ci si può trovare in simili situazioni, ma un altro compito della nonviolenza è proprio quello di sviluppare delle azioni preventive. Sicuramente nessuna società potrà mai essere perfetta, e neanche le azioni preventive riusciranno mai ad escludere tutte le manifestazioni di violenza. Noi oggi ci confrontiamo con una realtà nella quale certe forme di violenza crescono e molti pensano che per fermarle siano necessari interventi molto violenti delle forze di repressione, ma così non ci si accorge che neppure avendo una grande disponibilità di violenza da parte dello Stato si può risolvere la questione; ancora una volta è l'azione preventiva, di rimozione delle cause profonde, che dovrebbe essere intrapresa per tempo. Non c'è certo bisogno di essere nonviolenti per capire che se tu lasci delle città nella situazione di Napoli, con duecentomila persone senza lavoro, non puoi aspettarti un clima di serenità. Poi, i ragionamenti che facciamo sulla nonviolenza devono essere fatti calandoli in un contesto culturale, la qual cosa comporta un processo, del le scelte, degli orientamenti specifici. Fra questi anche una CO NON VIOLENZA distinzione tra gradi diversi di violenza, che però non comportino la giustificazione in linea di principio di quelle strutture che, invece, continuiamo non solo a sostenere, ma a rendere via via più forti. L'esempio del "micro", inoltre, non dovrebbe essere fatto per giustificare il "macro", per giustificare il fatto che mandiamo una forza multinazionale nel Golfo. tuffi gli • esser, viventi sono soggeffi alla sofferenza Tutto questo rimanda comunque ai fondamenti della nonviolenza .. Infatti; come già accennavo prima alla base della nonviolenza c'è la visione dell'omogeneità fra mezzi e fini e il concetto di unità fra tutti gli esseri viventi. Tutto questo comporta una "compassione", per usare un termine della cultura buddista, nei confronti degli altri esseri in generale, cioè l'essere consapevole che tutti gli esseri viventi sono soggetti alla sofferenza; l'atteggiamento che deriva da questa consapevolezza spinge a cercare situazioni di condivisione e di riduzione della sofferenza nel corso delle azioni che si intraprendono. Oltre a questo c'è anche una base razionale, empirica, che parte dalla constatazione che non possiamo mai possedere la verità e quindi dovremmo cercare un genere di azione che consenta la correzione e la reversibilità, che possa essere corretto man mano che procede. Invece vediamo che nella storia, anche in quella recente, partendo spesso da nobili ideali si sono attuate delle azioni politiche che si sono rivelate fallimentari dopo pochi anni, ma coloro che le hanno intraprese non sono riusciti a correggerle proprio perché le hanno praticate ritenendo, per esempio, indiscutibile la giustezza dell'uso della violenza . Dopo ci si accorge che queste scelte hanno diviso la società, la comunità, creando ulteriori tensioni ed in certi casi ulteriori violenze. La nonviolenza come modalità di lotta e di intervento sui problemi della giustizia parte anche dalla disponibilità, da parte di coloro che agiscono con mezzi nonviolenti, ad accettare su di sé il prezzo che la loro lotta comporta, cioè essere disponibili al sacrificio, che può essere anche quello estremo. Questo sacrificio rende visibile agli altri l'assoluta buona fede di coloro che stanno lottando e quindi favorisce l'emergere del meglio anche negli oppositori. li "meglio" sono gli aspetti umani più profondi che di fronte al sacrificio, alla sofferenza, vengono prima o poi colpiti. Questo è un fatto empirico, che non si può dimostrare in termini teorici, ma che si è verificato in molte occasioni proprio perché, intuitivamente, c'è una sostanziale omogeneità fra gli esseri umani. E gli aguzzini nei lager nazisti? Questa è una questione su cui si è riflettuto parecchio e va detto che anche nei lager, ne parla Be\telheim, si sono verificati dei casi di persone che, in virtù di una forza interiore che aveva dato loro un coraggio estremo, hanno saputo contrastare i kapò in modo nonviolento. Questo in un contesto già dato, ma la vera questione è che la responsabilità era precedente al momento in cui sono nati i campi di sterminio. La responsabilità delle popolazioni, della società civile, è che è stata incapace di intervenire quando c'era ancora tempo. Non si può mai chiedere alla nonviolenza, ma neanche a qualsiasi altra forma di lotta, di intervenire all'ultimo momento; ci sono situazioni in cui anche la violenza più forte potrebbe perdere. Noi ragioniamo in questi termini nei confronti di Hitler perché ha perso, ma ha perso ad un prezzo altissimo, pagato da tutti coloro che sono stati coinvolti allora e in seguito, perché proprio con la giusti fìcazione della lotta contro il totalitarismo si sono costruite ed usate le armi nucleari, si è avuta la guerra fredda. Il modo di vedere la storia come se fosse fatta da segmenti isolati e non ci sia invece una continuità è pericolosissimo, perché può far pensare che tu devi intervenire in un dato istante, isolato dal contesto, mentre invece la storia è complessa, c'è sempre continuità. Quindi occorre preparare il terreno perché diventi sempre più difficile che si realizzino nuovamente certe situazioni. la storia dell'Occiden• te è se_g!'a!~ da, p,u terribili genocidi Ma non c'è al fondo della nonviolenza una visione mistica delle cose che, all'atto pratico, impedisce di produrre una teoria politica realistica e coerente? Innanzitutto una teoria politica della nonviolenza c'è. Autori come Gene Sharp, Theodor Ebert, Johann Galtung da tempo lavorano, su versanti diversi, al problema della risoluzione dei conflitti: dai conflitti all'interno di un paese ai conflitti fra paesi. In secondo luogo c'è il fondamento razionale, cui accennavo prima, che è proprio quello che non viene preso in considerazione dalle teorie politiche tradizionali. Se si può fare un'accusa a queste ultime, che sono fallite tutte (basti pensare al fallimento clamoroso della teoria che postulava la creazione del comunismo nell'est europeo), è proprio quella di non aver tratto dai fallimenti le debite conseguenze; non c'è un tribunale della storia che chieda ai vari teorici e politologi il conto dei loro errori. Sono tutte teorie politiche idealistiche che non si possono valutare solo in base alle intenzioni e alle speranze; è questa la grossa differenza fra il realismo vero della nonviolenza e la mancanza di realismo degli altri. La nonviolenza consente la correggibilità degli errori e questo è l'unico realismo, l'unico elemento di razionalità, che sia fondante per una teoria politica; le altre sono delle visioni idealistiche con degli effetti disastrosi. Sono idealismi fondati su una visione di potenza che porta ad accettare qualsiasi costo in nome di un risultato futuro che non ci sarà mai. Ma se tu fai un esperimento e questo non funziona lodevi correggere e, soprattutto negli esperimenti sociali, devi fare in modo che non ci siano dei costi sociali altissimi come quelli pagati nelle società comuniste. D'altra parte non è che nei sistemi capitalistici non vi siano degli effetti negativi: la guerra del Golfo o le 140 guerre "locali" verificatesi dal 1945 sono anche il frutto di un certo modo, quello capitalistico, di intendere l'espansione economica e il modello di sviluppo. La storia dell'occidente è segnata dai più terribili genocidi: da quello degli indiani d'America alla tratta dei neri, allo schiavismo; dalle due guerre mondiali allo sterminio degli ebrei, che abbiamo fatto noi, mica i palestinesi. Questo atteggiamento, che contempla un uso senza limiti della violenza anche nei rapporti economici, é implicito nella nostra cultura. Ecco perché le teorie politiche tradizionali, se si prefiggono il benessere degli esseri umani, sono fallite; se non se lo prefiggono, per me sono da scartare in via di principio, per una scelta di fondo che è quella di cercare di realizzare una società giusta. Ma, in linea di principio, nessuna teoria sostiene di non volere una società giusta: ciò che hanno di errato è il fatto che non prendono in considerazione in modo rigoroso gli effetti che derivano dall'applicazione delle teorie stesse. Sono dei paradigmi sbagliati. una crescita della sensibilizzazione clte per ora non c'è Ma come spieghi la rinascita del nazionalismo che sta avvenendo un po' dappertutto? Ed i nonviolenti, al di là dell'essere contro, cosa propongono oltre alla testimonianza? Quello che sta avvenendo in Europa, in particolare all'est, va visto in modo attento, con una lente di ingrandimento. Per quanto riguarda la Jugoslavia occorre dire a chiare lettere che la responsabilità di quanto sta avvenendo è delle elites politiche e che ci sono forti opposizioni popolari alla guerra. A Belgrado ci sono più di ventimila disertori nascosti nelle case e, nonostante non siano riusciti a prevenire il conflitto, ci sono dei movimenti pacifisti significativi. Discriminare le responsabilità e cercare di far emergere le componenti pacifiste presenti è importante, altrimenti sembra che improvvisamente tutta questa gente abbia perso il lume della ragione e sia diventata nazionalista in forme estreme. Ci sono invece delle persone, con dei nomi ben precisi e che in parte sono degli ex comunisti riciclatisi come nazionalisti, che per loro scopi di potere hanno alimentato un certo clima sino a portarlo alle estreme conseguenze. Questi stessi pericoli sono presenti, seppure in forma molto embrionale, anche in Italia. L'aspetto razzista delle Leghe, ad esempio, potrebbe far esplodere manifestazioni di violenza qualora fosse unito ad una situazione di crisi economica, ma credo che questo non sia molto probabile perché, nonostante tutto, la situazione italiana è molto diversa da quella dei paesi dell'est. L'emergere di gruppi come i "naziskin" è, attualmente, a metà strada fra il folklore negativo e le bande giovanili o i fenomeni da stadio; sono più espressione di un disagio delle componenti giovanili della società che una espressione politica. Non è detto che in futuro questi non possano diventare dei fenomeni perversi, ma credo che attualmente il pericolo maggiore venga dal1 'evoluzione del sistema capitalistico in un grande sistema mafioso su scala mondiale. Di fronte a questo mi chiedi cosa possono fare i nonviolenti, ma se pensi che il Movimento Nonviolento organizzato ed i componenti di altri movimenti che esprimono una sintonia con gli ideali della nonviolenza sono poche centinaia capisci che siamo al livello di piccole minoranze. Sono minoranze che portano avanti varie campagne e che, peraltro, riescono a mobilitare un numero di persone mo!to maggiore dei loro aderenti, ma, e non credo che ci sia da meravigliarsi, non sono in grado di occuparsi di tutto quel che avviene in questa società, non lo possono materialmente fare. li problema credo sia quello di studiare come il movimento possa crescere, come debba organizzarsi, come possa collegarsi ad altre forze che vogliano ispirarsi alla scelta nonviolenta. Attualmente sono forze frammentate, ad esempio mi viene da chiedere che tipo di impegno e di formazione hanno i ventimila obiettori di coscienza che ci sono ogni anno in Italia, ma è certo che la crescita delle opzioni e delle pratiche nonviolente passa per una crescita della sensibilizzazione che perii momento non c'è. a cura di Franco Melandri Via M. FerrBaarindBinui1ti,5 Te(/0. 543) 7007•67 F/J7J8. 0Cl65 moo FORL/ 1 Il validosupportaolla promozionde llaVs.attività Produzione Orologi da parete e da tavolo, oggettistica da scrivania, articoli promozionali "ad hoc'. Vendita Oggettisticapromozionalep: enne, agende, articolida ufficioc, alendari, portachiavip, elletteriavaria,magliette, camicie tuteda lavoro,valigette,ecc. Idealizzazione Campagnepubblicitarie, oggettistica promozionalepersonalizzata, sponsoriuazionimanifestazioni sportive,realizzaziongi rafichedi marchie stampatipubblicitarviari,ecc. Il mezzo piùsempliceper esserericordati? ...facile il nostronumerotelefonico! ---- - --------

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==