Una città - anno I - n. 5 - settembre 1991

SEFFEMBR_E___________ _ IN SECONDA. "Eltsin e fa sinistra". Impressioni, riflessioni ed autocoscienza in due primi interventi a caldo di due "ex". E poi sulla linea del giornale. "chi di fronte al mistero non si fa tentare da Dio", lettera di Gabriele Attilio Turci e in "il pensiero debole, la fede, una città" una risposta di Franco Melandri. IN TERZA. Sul sospetto unanimismo della critica alfa partitocrazia e degli evviva alfa società civile. "l'ideologia italiana" di Rocco Ronchi. IN QUARTA E QUINTA. Sul problema handicap. "in quattro per scrivere un libro" e "unità nell'integrazione o unità nell'integrismo?" di Andrea Canevaro, docente di pedagogia speciale all'università di Bologna. "handicap, deficit" di Enrico Lombardi. Interventi su "solidarietà, fratellanza ed egoismo" di Fabio Strada e "una questione di dignità" di Stefania Navacchia. IN SESTA. Incontri strani a Cattolica. "fa sofferenza è già stata troppo grande per tutti". Parlando con due giovani, un israeliano e un palestinese, in colonia insieme. E all'improvviso ci raggiunge, in calzoncini, anche lui in questa strana vacanza, Nanna Siniora 1 dirigente dei palestinesi dei territori occupati. IN SEfflMA. "ho simpatia per le leghe, posso dirlo?". Un intervista a Marco Martinelli, regista delle Albe di Ravenna sulla loro esperienza multirazziale e multiculturale. Epoi Libero Casamurata, viaggiatore appassionato, ci racconta cosa significa per lui girare il mondo. IN OffAVA E NONA."e allora venimmo giù". In un'aspra intervista Umberto Fusaroli, ex-partigiano, ci fa rivivere il clima della guerra civile, al di là di retorica o speculazioni. E in "ne valeva la pena?" Enrica Fusaroli racconta del giorno in cui portarono via il padre. E poi altri ricordi di allora nei racconti di Silvano Galeotti. IN DECIMA. Con "lapidi, monumenti e nomi di strade" e "destino di un epigrafista" di Roberto Balzani, iniziamo un viaggio all'indietro fra i muri della nostra città e fra le lapidi dei nostri cimiteri. E poi "opere fuori luogo" di Massimo Pulini. IN UNDICESIMA. In "al di là di una gran lolla" Andrea Brigliadori ricord~ Don Francesco Ricci. Di ritorno da un concerto,"bob dyfan" di Fausto Fabbri. EIN ULTIMA. " •••in fondo il male esiste" Intervista a Patrizia Gentilini, aiutoprimario I~ a t oncologia dell'ospedale di Forli.

CHI DI FRONTE AL MISTERO NON SI FA TENTARE DA DIO Cari amici di "Una Città", scrivo a seguito della pubblicazione (sul n.4) della vostra intervista a Dario Antiseri, che a mio avviso si pone quale ulteriore "manifesto" del giornale, meritando perciò di essere macinata, digerita e discussa. Per quanto è po sibile. cercherò di non indulgere ad analisi sociopolitiche, ma di rimanere ancorato al fondo della questione che è sostanzialmente ideologico. Anzitutto, molte delle cose affermate da Antiseri 0110pienamente condivisibili; d'altra parte il titolo stesso"verità in tasca e chiavi di camere a gas", più che essere problematico, evoca tristi verità. E' tuttavia da aggiungere che il pensiero relativistico, oggi presentato come una grande scoperta dell'era cosiddetta ·'postindustriale" non è poi una gran novità. Contestualmente devo dire che tale espressione la ritengo ambigua in quanto si presta ad una lettura deformante degli attuali rapporti di forza fra ilmondo del capitale e quello del lavoro dipendente. Certamente vi è nel cosiddetto "pensiero debole" qualcosa che lo fa 'sentire' diverso, ed il enso di ciò sta probabilmente in quella affermazione di Antiscri per cui "... il pensiero debole non è un pensiero che fonda le fedi, però apre alla fede ...". Io ritengo che non a caso egli parli di 'fede' al singolare, e non solo e non tanto perchè pensi alla propria, e a me pare che stia appunto qui, cioè in questo aprirsi ad un pensiero che guarda al linguaggio della fede, intesa come fede 'religiosa'. la novità dell'odierno "pen iero debole". Trovo infatti, pur accettando quanto dice Antiseri sull'antinomia ateismo-teismo, che può lasciarequantomeno perplessi la sua professione di fede, proprio in un quadro di ··pensiero debole". In effetti non mi sembra che le posizioni di Antiseri o di altri esponenti del "pensiero debole'' siano assimilabili a quello di Spinoza o di Bertrand Russell.Invece, concordo sul fatto che non sia opportuno, oggi, muoversi entro i confini di un "fundamentum inconcussum". for e ciò non è mai stato saggio, neppure quando il senso degli eventi pareva so pingere le azioni umane in questa direzione; ma, tutta la premessa secondo la quale "non possiamo pretendere di avere assoluti terrestri" sembra porsi in aperta contraddizione con l'adesione ad un percorso religioso. Ancora una volta. si direbbe che la più grande tentazione umana sia non tanto di perdere o rifiutare Dio. quanto di cercarlo; e di fronte ad una simile ipotesi che nasce da un punto di vista 'ateo', ricordo come sia tipico della personalità atea. secondo lo psicanalista Ancona, il " .. desiderio inconscio di uccidere la madre ..". Purconvenendocon Durkheimche la" .. psicoanalisi è un regno con molte reggie ..." mi piacerebbe sapere quale è il desiderio inconscio del "credente"! Personalmente, pur ritenendomi un figlio amorevole e disponibile. non so è ovvio, e uccidere mia madre rientri fra le mie pul ioni inconscie; sono però convinto anch'io che dovremmo cominciare a conoscere, capire, distinguere le motivazioni di nostre scelte, religiose o non. Non so come Antiseri se la cavi con il concetto di "verità", quale ad esempio viene nuovamente riaffermato da Giovanni Paolo Il nella "CENTESJMUS ANNUS". "A questo proposito bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia .." concetto non certo attenuato dalla concessione che " ... Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica ...'·. Al di là di una maliziosa denuncia che si potrebbe fare a questo proposito di una forma di "recusatio non pctita", va da sè che potremmo discutere ore sulle forme non ideologiche della fede cristiana. ma mi permetterete di superare questo nodo con una battuta: chi è più ideologico fra Woityla e Bertrand Rus el? Intendiamoci, qui non si tratta di scegliere fra l'una o l'altra, ma piuttosto di individuare iI percorso da fare a ffi nchè le diverse ideologie si confrontino e le "storie" si intreccino, di capire i fattori che fanno scattare l'etica della separazione e della ·scomunica', di domandarsi se per caso abbiamo neces ità di "pensieri forti", di sperimentare ampie cornici di riferimento evitando però di doverle con iderare "l'ultima piaggia". Giustamente Antiseri fa un paragone con le ipotesi astrofisiche sull'origine dell'universo: ebbene la scelta stessa di tali ipotesi non è raramente immune dall'ideologia. Non è ormai tempo di cominciare a vivere le nostre ideologie quantomeno col respiro e l'approccio psicologico posto a fondamento di quelle ipotesi cosmologiche? Ciò beninteso, non impedirebbe la ricerca in campo politico e culturale, ma porrebbe valide premesse per un confronto, certo conflittuale, ma vivo e fecondo. Ritengo invece che Anti eri assuma pienamente iI "pensiero forte" del cristianesimo, ma questo, anzichè disturbarmi, mi con ente di conoscere i suoi punti di riferimento, le sue speranze, le tracce dei suoi percorsi: è infatti così che vengo ad apprendere che, per Anti eri, uno dei valori fondanti è la "resurrezione", perchè " ... se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra predicazione e vana pure la vostra fede... se noi riponiamo la nostra speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo i più miserabili di tutti gli uomini" (Paolo, I ai Corinti 15 - 14,19). Ora un positivo rapporto dialettico fra ideologie diverse, deve appunto portare uomini diversi ad interrogarsi reciprocamente. E' que ta la vera novità di oggi. dove molteplici ideologie hanno cittadinanza al- !' interno di singoli e dove ci viene chiesto non di abbattere le ideologie o le fedi, ma di fecondarle l'una con l'altra, alla ricerca non di un ipotetico sincretismo, ma di un modo di crescere più interdipendente e diver ificato. Sia in politica che in filosofia, e più in generale nel campo della cultura, abbiamo lavorato e prodotto così come si è fatto in agricoltura: grandi "monocolture", enormi campi dove una grande produzione indifferenziata ha poi portato inquinamento, parassiti, fame. Analogamente, abbiamo sviluppato attraverso "monoculture" una politica inquinata dalla disperazione e dall'arroganza, con una parte del pianeta "parassita•· di oltre due tcrli dell'umanità, e una grande fame di Dio. Ora iI problema è tornare alla foresta pluviale della filosofia, dove un'infinità di esseri viventi 'scorrono· insieme in perfello equilibrio e dove la diversità dell'uno è l'esaltazione di quella dcli' altro, e tutto a caralleri "forti". decisi, colori accesi, una natura esuberante. "Forte" anche la storia del "L'altra città", prima. e ora di "Una città". che si colloca su questo binario e comunque ci stimola a capire insieme il senso di nuovi percorsi, mentre siamo ancora invischiati tutti dalle nostre storie: tuttavia io penso che un orgoglioso recupero del senso del no tro passato renderebbe il nostro presente meno arrogante e meno servile. Peraltro, io rimango tuttora o incredulo o perplesso di fronte ad alcuni vostri percorsi. anche se in fondo. siamo solo all"inizio, mi auguro dunque che sappiate dare voce anche a chi (non parlo del piano del politico) ha imboccato itinerari di vita diversi: ad esempio a chi, di fronte al mistero. non si fa tentare da Dio. Con affetto Gabriele Auilio Turci NEL PROSSIMO NUMERO: • su razzismo e persecuzioni razziali. intervista al prof. Caro, Rabbino Capo di Ferrara ELTSIN E LA SINISTRA Dunque, bisognerebbe andare cauti. Infondo, questo Eltsin deve ancora dimostrare di essere 1111 grande statista ... E poi, quei ritratti dello zar! E la corsa all'indipendenza? Sono davvero sicuri di aver tanto interesse afrantumare l'Unione Sovietica? Così si sente dire in giro. Non sarà la nostra ca11ivacoscienza afarci essere così cali/i e sospellosi? Non sono mai stato un filorusso, da quando mi interesso di politica ww delle poche convinzioni è sempre stata quella che difronte alla Russia e al suo socialismo Marx stesse rivoltandosi nella tomba. Eforse anche Lenin. Tullavia sarei disonesto se non riconoscessi la facilità con cui ho sempre trovato gius1ijicazio11ie ragioni per il grigiore opprimente di quell' esperienza; se non amme11essid'aver sempre visto l'impero del male negli USA; se 11011 ricordassi quale peso ha sempre avuto l'idea che l'interesse superiore potesse giustificare, a volte, basse azioni. C'è poco da fare: per quami distinguo posso tentare, per quante prove posso addurre alla estraneità dei miei ideali dalle concrete realizzazioni del socialismo, il crollo del 'Unione Sovietica riguarda anche me. Sarà per questo che la gioia per i/fallito golpe non è la stessa che avrei provato nel 1973 sefosse fallito il golpe di Pinochet. E non credo di essere un isolato. Vedo intorno a me, fra amici di sinistra, tanta simpatia per Corbaciov e Eltsin, tanta razionale soddisfazione per la fine dei golpisti, ma gioia ed emozione sono contenute. Può darsi che sia l'età, può darsi che le macerie che abbiamo dentro ci consiglino cautela, può darsi che le vecchie rollure sifacciano lo stesso sentire. Specialmente quando il tempo peggiora. Sta di/allo che basta vedere in tv unpope che alza un ritratto dello zare il cuore si stringe. Eppure migliaia emigliaia di moscoviti hanno bloccato un colpo di stato, discutono e praticano la democra::.ia,Eltsin sale su un carro armato e incita il popolo alla resistenza: sono simboli che da sempre appartengono al mio immaginario, cos'è che non me lifd'godere pienamente? Ecco, vorrei che questo giornale indagasse questi temi, queste sensazioni che credo comuni a tu/la l'area di sinistra. All'orizzonte c'è molto di più, è ovvio. Il crollo dell'URSS condi::.ionerànel bene e nel male tutto il pianeta e per molti anni a venire. Basti pensare al riaccendersi dei nazionalismi e che la Jugoslavia potrebbe essere, in sedicesimo, la Russia di domani. Basti pensare allo spazio enorme che si apre ali 'integralismo religioso. Ma credo che sarebbe già una cosa buona se avessimo il coraggio di scavare su cosa significhi per ciascuno lafine del comunismo, se davvero è finito. E qual è il senso della sinistra oggi e se si può immaginare un suo domani. Credo che adesso i russi siano più liberi di sbagliare. Vediamo se lo siamo anche noi. Massimo Tesei La storia gioca strani scherzi. Per molti anni mi sono considerato anarchico ed anche in quanto tale non ho mai avuto alcuna simpatia o indulgenza per il sistema nato dalla rivoluzione d'ottobre. Considerato tullo questo dovrei essere oltremodo felice di veder crollare uno dei totalitarismi più brutali, certo il più duraturo, che la storia ricordi; dovrei esultare vedendo folle di persone, finalmente non più impaurite e taciturne, abbattere i simboli e le strutture di un potere autocratico e scoprire il gusto della discussione e del "prendersi la piazza". Ma non è così che mi sento io; all'opposto l'unica gioia sentita è stata quella provata per il fallimento del colpo di stato; per il resto, pur affamato di notizie, tulio quello che sta succedendo nella ex-terra dei soviet mi la eia freddo e disincantato. Non riesco a sentirmi in sintonia con la gente che, mentre abbatte le statue di rivoluzionari dimostratisi tiranni, non batte ciglio nel vedere inalberati i ritraili dello zar icola II Romanov. Certo la bandiera con la falce e martello è diventata simbolo di oppressione sociale e di oscurantismo intellenuale, con ciò tradendo le speranze che aveva suscitato di liberazione dalle ingiustiziee dai dogmi, ma mi lascia perplesso vedere ostituita ad essa la bandiera bianca, rossa e azzurra di una "Santa Russia" vista come suscitatrice di ogni virtù, "terza Roma", nuovo centro del mondo. Mi fanno pensare le folle osannanti i capi e ringhiose con l'avversario politico; pronte ad esplodere ai discorsi infiammati e tonanti di Boris Eltsin, ma fredde ai richiami alla ragione e al rispello dei diritti da poco conquistati falli non solo da un incerto Gorbaciov, ma anche dal rabbino capo di Mosca durante i funerali di tre delle villi me dei militari fedeli ai golpisti. Forse la mia incapacità a vivere questi giorni memorabili in empatia con le folle che riempiono le piazze, il distacco con cui guardo la cronaca farsi storia, è dovuto al fallo che non ho patì to settantacinque anni di paura, silen- ,:io, ingiustizia, rabbia. Più probabilmente, però, la causa della mia freddena è un'altra. Dicevoall'inizioche ero anarchico, devo aggiungere che già da un po' di tempo sono, o almeno mi considero, un ex-anarchico. Uno dei motivi di questo mio passaggio all'"ex" è stato proprioil capire che, pur se quanto realizzato in nome del comunismo bolscevico era l'opposto di quello che io desideravo e per cui militavo, qualcosa comunque mi legava, in quanto anarchico, a quel simulacro di socialismo. E quel qualcosa erano la logica profonda, le concettualizzazioni, un modo particolare di vedere la politica, la società, l'ente "uomo" stesso. Legami profondi, sfaccettati, comuni a tu/la la sinistra. Non ho in nulla abiurato le aspirazioni che mi portarono ad avvicinarmi all'anarchismo. Solo le sento e le vivo con disincanto e tutto questo ha la ciato in me una specie di vuoto. Un vuoto che, pur senza identificarmici, era in parte contenuto dalla speranza che il processo cominciato da Gorbaciov aprisse prospenive del tutto nuove. Ecco, for e il distacco che provo verso gli accadimenti nell'est europeo nasconde olo la rabbia di vedere che c'è sempre il rischio che la ricerca del "di verso dal!' esistente" non faccia tesoro di tutte le esperienze passate; forse in qualche modo ancora speravo che "ex oriente lux". Edèanchepossibilechequel che provo sia dovuto al mio non essere, di fatto, ancora abbastanza "ex". Certamente mi ripugna pensare che que to "occidente" sia il migliore dei mondi possibili, ma altrettanto certamente so che col crollo definitivo, e spero non sanguinoso, del simulacro sovietico anche tutta la sinistra ha definitivamente perso le ragioni di essere che l'avevano costituita, definita e divisa dalla rivoluzione francese ad oggi. Ha per o ogni speranza di riformarsi. E' possibile costituirne un altra, in cui possano trovare posto anche le mie disincantate aspirazioni? O l'unica possibilità non ridicola per i sinistrati della sinistra rimane una '•militanza del dubbio''? Franco Melandri IL PENSIERO DEBOLE, LA FEDE, UNA CITTA' lettera-------------, OBIEZIONE DI COSCIENZA L'obiezione di coscienza è un tema di moda ultimamente. specialmente dopo gli ultimi tragici fatti della guerra del Golfo. Nell'ultimo anno le domande di obiezione ono triplicate. ma fino a che punto pos iamo essere soddisfatti di ciò? Molti dei "nuovi obiettori", infatti, ignorano la storia (e purtroppo, alcuni, l'esistenza) di movimenti pacifisti ed ecologisti o si limitano a quanto crivono i giornali: tanti conoscono per onaggi come Gandhi o Martin Luther King La lettera di Gabriele Turci ha, innanzitullo. il merito di toccare argomenti la cui discussione in ciuà è stata sempre carente; ma pone anche un grosso problema: la mas a delle questioni filosofiche, religio e, politiche e per onali che in essa vengono affrontate, direllamente o in filigrana, è tale che una risposta minimamente esauriente diventerebbe un (non breve) saggio e dovrebbe coinvolgere praticamente tutta la redazione. In auesa che quc 10avvenga - se. come speriamo, il diballito "decollerà" coinvolgendo anche altri lct1ori-cerchcrò di fare qualche breve puntualizzazione su alcuni pa aggi del suo scri110,sperando che anche esse siano legna per il fuoco della discussione. In apertura Turci afferma che ritiene l'intervista ad Anti eri una specie di "manifc to" di questo giornale e chiude souolincando la sua perplessità di fronte a quelli che ritieneessere i percorsi dei componenti la redazione ed augurandosi, di conseguenza, che il giornale sappia dar voce anche a chi "non si fa tentare da Dio". Orbene posso ubito rassicurarlo: nè l'intervista ad Antiseri, nè altro di quanto fin qui apparso (a parte alcuni brevi "riquadri" o la risposta ad una precedente lettera dello stesso Turci) possono, o devono, essere ritenuti "manifesto" di "UNA CITI A'". E questo per un motivo molto semplice: non solo non abbiamo fin qui ritenuto necessario un tale "manifesto". e se avessimo deciso di farlo lo avremmo dichiarato apertamente, ma tuuora la "filosofia" del giornale è basata sul tentativo. difficile da esplicitare in positivo, di sincrgici,,arc percorsi fra loro assai diversi, convinzioni contrastanti, ricerche dal!' esito oscuro o contradditorio. Ci unisce, e non ci sembra poco, una comune sensibilità cd apertura a quanto ci circonda ed il rifiuto di qualsiasi dogma o ccrtcua. dichiarati o soucsi che siano. Ecco, in questo rifiuto dei dogmi e delle ccrtene il "pensiero debole" può essere inteso come "filosofia" di "U A CITI A"'; ma, se lo è. lo è solo come risultato dell'apertura di cui sopra. non come orientamento collc1tivo aprioristicamcn- nco te scelto. Quanto poi all'aprire le pagine del giornale anche a chi non è tentato da Dio (come è il caso del 01toscri110,che vive assai serenamente la sua convinzione/condizione di agnostico) va souolineato che - e basta scorrere i numeri usciti per verificarlo - il giornale è sempre stato aperto ai laici come a tuni. Dello tutto questo, e sonolineando che quanto dirò da qui in poi coinvolge oltanto me, vorrei a questo punto fare qualche nota ad alcuni passaggi della lcncra di Turciche trovo un po' oscuri. Cosa vuol dire, infatti. che il "pensiero debole" <si presta ad una lcllura deformante degli attuali rapporti di forza fra il mondo del capitale e quello del lavoro dipendente>? Vuol forse dire che esso di truggc la suppo ta razionalità che starebbe alla base della teoria marxiana della "lolla di classe" o che pone in luce gli esiti totalitari che stanno a fondamento delle virtù taumaturgiche allribuite alla "rivoluzione", intendendo con questo termine la volontà di giungere ad un "punto zero" da cui dovrebbe originarsi un "nuovo l l l ''? lnlZIO . Se è questo che, grosso modo, intende Turci con la sua fra e dico subito che io (che pure non sono un filosofo. ma che cerco di fare tesoro delle mie esperieme e delle mie cmpre troppo scarse letture) concordo col "pensiero debole". Mi pare, an,i, che solo una mentalità profondamente religiosa in senso millenaristico possa oggi, dopo quanto accaduto negli ultimi cento anni e con le esperienze ed i dibattiti che anche noi ex "scssan1011ini"abbiamo alle spalle. ritenere in qualche modo valide tali formulalioni. Dire questo certo non può significare che si possano, o debbano, chiudere gli occhi sui problemi e sulle ingiustizie delle società occidentali e del ter1ocquarto mondo: significa "solo" che i "rimedi" a tali questioni non possono essere vi,ti in chiave "finalistica". mentre devono essere ricercati nell'ambito di tentativi sempre modificabili. reversibili. aperti. Uno di questi. ad es. potrebbe essere un ripensamento degli ambiti, dei modi e del "scnso" della "politica" e del modo di intenderla e praticarla. Quanto poi ali' apertura alla fede che sarebbe intrinseca al "pensiero debole" posso solo dire che tale apertura non mi pare lo sbocco necessario del "pensiero debole·•. ma solo uno dei possibili percorsi che. accettandone i contenuti, si rendono po sibili. Anzi. è proprio nel rendere possibili percorsi fra loro assai differe11liati, o "altri". con la co cicnza della" ingolarità" di ognuno di essi che. a mio parere. sta la "for,a·· del "pensiero debole". Inoltre, prc cindendo da quelle che possono essere le convim ioni o le contraddi,ioni di Antiseri, mi pare che una ricerca religiosa che sia 1es1i111011ia11"::.a di fede, ma non pretenda di dimostrare la 11ecessi1à e la 11orma1ivi1à di alcuna fede (come può essere un pensiero religioso che assuma sino in fondo i portati del "pensiero debole") non mi pare in contraddizione col riconoscere che< non possiamo pretendere di avere nelle mani assoluti terre tri>. Insomma, come dice Antiseri. mi pare che solo rinunciando a di111os1rare la verità di Dio, e si crede, o la falsità di dio, e non si crede, ognuno possa 1es1i111011iare pienamente la sua verità. E proprio testimonian7e vissute in questo modo sono, per mc. la premessa necessaria ad un dialogo fra alterità di percorsi e di scelte che. non ponendosi il problema di rimanere tali, possono stimolarsi a vicenda e, for e. anche percorrere strade parallele. Accolgo pertanto l'invito di Turci a tornare alla "foresta pluviale della filosofia", e lo faccio con la convi111ioncche in esso di "forte" , i possano essere solo le domande. Le risposte, se non vogliamo coscientemente diventare dei totalitari, possono essere solo parliali, mutevoli, relative. Ma forse proprio nel lamu1cvolc,- 1a, nella parlialità, nella finitc71a terrena di ogni possibile ri. posta sta il bello della filosofia poichè. in questo, essa coincide con la lìnitc11a. la 1nu1cvoleua, la par1ialità, e quindi con lasi11golari1<ì, di ogni esistc111aumana vissuta coscientemente. F. M. olo per le poche righe che gli insufficienti libri scolastici dedicano loro e la maggior parte non ha mai partecipato a movimenti o iniziative contro gli eserciti, le armi e le guerre. Io sono un obiellore di coscienza, ma ritengo limitante tale definizione e rapportata a quanti optano per una celta di comodo piuttosto che ad una filosofia di vita. Ritengo. infani, che tale scelta implichi qualcosa in più del empi ice "evitare il servizio militare·· o "evitare le marce ed altri lavori pesanti'' ed altre sciocchezze simili. Personalmente avevo deciso di svolgere il servizio civile quando questo era ancora di venti me i (quasi il doppio del servizio militare) ed ero disposto a svolgerlo anche lontano da casa e questo per pura coerenza ideologica. Certo non mi dispiace volgere il mio servizio a Forlì, nè il fatto che ia tato portato a dodici mesi, perchè ciò mi ha dato la pos ibilità di avere più tempo a disposizione per impegnarmi in ciò che faccio e oprattutto perchè, finalmente, si è po 10 fine alla penalizzazione che dovevano pagare coloro i quali sceglievano il servizio civile, ma tutto ciò non era decisivo ai fini della celta. E' triste constatare come i soliti buchi della legislazione italiana diano modo ai furbi di giocare con le scelte ideologiche. I nipoti del '68 sono abituati ormai a tale comportamento dettato dai "media'· e dalle varie i tituzioni; la filosofia del disimpegno e del "fame il meno possibile·· è quella che regna fra i giovani e lo dimo tra la fine che hanno fatto i movimenti degli studenti òell'86o dellaPantera, movimenti pur nati con le migliori intenzioni. ma che non hanno avuto la forza di condun-e una lotta da "soli". Il quadro non è certo incoraggiante e pen iamo che tali giovani saranno il ricambio dell'attuale clas e politica, quella che ci ha abituati alle stragi, alla mafia, alla corruzione e agli scandali. Marcello Colonna X~~ UNIVERSITA' DEGLI ADULTI AREASTORICO-ARTISTICA. Storia dell'arte.Storiadi Forlì.Storia delle religioni.Storia delle civiltà:gli Etruschi AREA DELLERELAZIONI SOCIALI E SALUTE. Noi e gli altri. L'apprendimento etticace. L'arte della negoziazione. Movimento e salute. AREA ENOGASTRONOMICA. Le cucine tradizionali: il Friuli Venezia Giulia. La Romagna: la cucina di primavera. Guida ai vini d'Italia:il FriuliVenezia Giulia. AREA DELLA MANU ALITA'. La decorazione su stoffa; Giardinaggio. AREA DELLE LINGUE STRANIERE. Inglese: 6 livelli.Civiltà inglese.Inglese commerciale. Tedesco: 3 livelli.Spagnolo: 2 livelli. PER INFORMAZIONI ED ISCRIZIONI: COOPERATIVA CULTURA E PROGETTO via Piero Maroncelli, 24 Forlì. Tel. (0543) 35256

, di Rocco Ronclti Da un lato, la società civile buona, industriosa, naturalmente solidale, dall'altro un ceto politico corroHo, parassitario, taglieggiatore ... Di che cosa è si111omo quel1' imperante sentimento di avversione nei confronti della "pa11itocrazia" che accomuna uomini, gruppi, movimenti così dissimili fra loro per storia e interessi? Un'ostilità senza sfumature al "sistema dei partiti", questa sembra essere la povera ideologia italiana degli anni '90. Alla dicotomia tutta politica destra-sinistra, democrazia borghese-socialismo, è andata sostituendosi questa nuova e, per l'Italia, inedita polarità. Da un lato, la società civile buona, industriosa, naturalmente solidale, dall'altro un ceto politico corrotto, parassitario, taglieggiatore. Si tratta, evidentemente, di una polarità non politica, ma morale. Quale ia la causaprossima dell'affermarsi di questa semplificazione ideologica tenacemente coltivata tanto dagli arroganti fautori di una seconda repubblica quanto dai loro più decisi avversari (era questo il tono di tulle le dichiarazioni a commento della vittoria del sì al referendum di giugno) non è apparentemente difficile a dirsi. La corruzione politica dilagante è sotto gli occhi di tutti e non ha bisogno di ulteriori denunce. Ma qui l'ideologia italiana ci interessa come sintomo, come indicatore di una metamorfosi i cui esiti re tano ancora ignoti. Ci sia perciò permes o ospettare di questo unanimismo. "Essere in disarmonia/ con l'epoca (andare/ contro i tempi a favore / del tempo) è una nostra mania" (G.Caproni). Perchè questo generale unanimismo nello sdegnoenel rifiuto, come tutto ciò che ha dalla suaparte il fiatodellaMassa,haunodore poco salubre. Chiunque frequenti sale d'aspetto e vagoni ferroviari sa bene che questo luogo comune ha surclassato ogni altro argomento di discussione occasionale. TI disprezzo per il sistema dei partiti - un disprezzo assoluto, ripeto, senza sfumature e distinguo- è diventato nel giro di pochi anni il minimo comune denominatore ideologico fra adulti desiderosi di conversare pacificamente senzatimore di urtare la su cettibilità dell'occasionale interlocutore. Sulla critica della politica non ci si divide. come dovrebbe accadere in ogni di cussione. maci si unisce in coro, senza stonature. Lo stessoaccadepuntualmente sugli schermi televisivi e nelle stessedichiarazioni di chi, paradossalmente, sta cercando proprio i I consenso politico. C'è qualcosa di profondamentemistificatorio in tutto questo. La critica alla partitocrazia tende insensibilmente a trasformarsi in unmantello che copre le contraddizioni reali, cheannacqualedifferenze, che rende omogeneo ciò che per suanatura è connittuale e che, soprattutto, funge da avanguardia ideologica per l'affermarsi di interessi settoriali (scuola privata, sanità privata ecc.). Fa un certo effetto, un effetto senz'altro comico, sentire per one, che di fatto difendono interessi diver i e inconciliabili, parlare la stes a lingua, utilizzare gli stessi schemi retorici, denunciare comuni nemici. L'impressione che se ne ricava è che comunquesia laparte più forte a trarre giovamento da questo unanimismo, come se la critica della partitocrazia fosse un terreno di confronto impo to da chi vuole consolidare l'ordine esistente e supinamente accettato, per pauradell'i olamento, da quelle forze che, OTTIC¾-rsION CENTRO APPLICAZIONE LENTI A CONTATTO ESCLUSIVISTA LENTI A CONTATTO ACUVUE - USA E GETTA 47100 Forlì - C.so Mazzini, 144 - Tel. 0543/20033 almeno teoricamente, dovrebbero avere interesse a cambiarlo. Se è però facile vedere quali sono le di funzioni reali che sono all'origine di questo atteggiamento, più difficile è indovinarne le conseguenze a medio e lungo termine. Dove porta infatti l'ideologia italiana?Atrarneil mas imoprofitto non credo saranno le tanto conclamate "forze sane" del paese,quelle cioè che la "po1 itica sporca·• (è triste vedere utilizzata una espressionecosì volgare sui manifesti della sinistra ...)costringerebbe aduno stato cli cronica clandestinità. Ciò che minacciosamente si delinea all'orizzonte - e che non può non inquietare chi ha a cuore la libertà clell'inclivicluo - è piuttosto una inedita e probabi I mente meno cruenta forma cliquella barbarie cheha caratterizzato con singolare continuità il nostro secolo, il secolo "delle masse". Una barbarie plebiscitaria e, a suo modo, profondamente "democratica", che sa far leva sugli istinti gregari delle masse,mai come oggi così legittimati e corteggiati dai media in cerca di audience. Una barbarie insofferente non della mediazione politica "cattiva", ma della mediazione come tale. Una barbarie che asseconda e lusinga la volontà cli protagonismo, l'insofferenza per le forme e per le gerarchie spiritual i tipica dell'uomo medio. Eliminare il momento della mediazione è, naturalmente, qualcosa che può aver luogo solo nell'immaginario, di fatto la mediazione resterebbe, ma mascherata, spacciata per l'immediata espressionedella sovranavolontà popolare. Con una espressione profetica coniata negli anni '20 dal filosofo tedesco Martin Heidegger potremmo chiamare questa inedita forma di totalitarismo: ''dittatura dell'opinione pubblica" e del suo impersonale, apolitico e morale "Si" (è sufficiente accendereil televisore per sentire risuonare in modo imperativo la voce senza innessioni di questa "terza persona''). Assecondare questo enso comune "antipolitico·', con l'illusione di volgerlo magari ai fini di un rinnovamento reale della società, è suicida. Non è certo un caso, anche se ncs uno vi ha seriamente rinettuto, se proprio il partito storicamente meno compromesso con una gestione malavitosa del potere sia statoquello più penalizzato da questa ondata moralizzatrice che hascossoe scuote i I paese. Era inevitabile cd in un certo senso premeditato che la prima vittima della crisi di rappresentanza dei partiti fosse proprio il "partito" per eccellenza e questo indipendentementedalla pulizia morale dei suoi esponenti. Era altrettanto inevitabile e premeditato che r ondata mora I izzatrice e antipol itica premias e elettoralmente quei partiti che, a dispetto della ben nota compromissione dei loro leader. sono di fattocsprcssioncdircttadegli interessi settoriali ed egoistici di quella" ocietà civile" chesi vuole anaeproduttiva. li noneletto di ogni critica morale della politica è infatti sempre I' autolegittimazione della società civile e del suo ordine "naturale". Ciò che resta,dopo la fine della politica, è un mondo da amministrare, i1n ordine mondialedaconsolidare con "operazioni di polizia". li momento politico, in quanto luogo della possibile trasformatione, della crisi e della Lorenzo Gazzoni & C. s.n.c. 47100 Forlì - Via Mariani, 6 Tel. e Fax 0543/53661 * Digitalizzazione reti, mappe e carte geografiche * Topografia * Fotogrammetria aerea e terrestre 1no 1anco ridiscussione delle regole (o del conflitto), deve essere esorcizzato. Nella sua inoffensiva ritualità (ogni turno elettorale è lì a confermarlo ...), lacritica della partitocrazia ha il senso di un sacrificio simbolico grazie al quale una società civile violenta può autocomprendersi come pura, innocente e naturalmente pacifica. Il male è altrove, non la riguarda. Invece di contribuire a costruire questo specchio ideologico nel quale questa società può ammirarsi soddisfatta, il pensiero critico non dovrebbe forse almeno farsi memoria di questo male, togliere il velo, andare infine "alla radice"? La critica della partitocrazia ha il senso di un sacrificio simbolico grazie al quale una società civile violenta può autocomprender- • • s1 come pura, innocente e naturalmente pacifica. intervento-------------- SOLO LE PIETRE SONO INNOCENTI L'autore di "Ti uccido come un cane", Roberto Guiducci, si chiede: pcrchè l'uomo è l'unico animale che infrange quella legge biologica, ineludibile per tutti gli altri animali, che vieta loro di uccidere individui della propria specie?E l'uomo non solo commette omicidi "accidentali", come quelli che possono avvenire in un combattimento per la supremazia sul branco, ma è capacedi uccidere sistematicamenle . Auchwitz ne è una prova. Al dibattito su Israele e Sinistra, promosso dalla coop. "Una città'', qualcuno ha detto che l'antisemitismo non è solo un ·'generecessivo"cheogni tanto tornaamanifestarei suoi effetti in Europa, ma è una delle colonne portanti della cultura europea. Purtroppo la storia non smentisce que ta affermazione. Ma come ha scritto Stefano Jesurum su Linus di maggio, "le coseebraiche... la nostra storia, questa cultura, queste nostre mille sfaccettature che spe so divengono vere e proprie identità lacerate, rappresentano a tutt'oggi qualcosadi universale, e soprattutto cli simbolico. "Universale. Simbolico. Due parole chiave. Ma torniamo alla domanda di prima: co a permette all'uomo di superare l'inibizione all'omicidio? I perchè pos ono esserediversi. ma tra questi alcuni meccanismi p icologici sono ricorrenti ed hanno la forza di rendere l'uomo capace di sterminare i propri simili (ogni uomo, in qualunque tempo e luogo, a dispetto di chi afferma che non esistono caratteristiche umane universali). Uno di questi è connesso alla diver ità: chi parla un'altra lingua. chi mangia altri cibi. chi ha differenti sensibilità e religione. non è un uomo. Uomo è chi fa parte della mia tribù. "Il popolo degli uomini'', così chiamano sè ste si gli Irochesi. Chi è fuori dalla mia tribù è diverso. non lo ricono co come uomo. non appartienealla mia pecie.Co ì po o ucciderlo. "come un cane'', posso rincorrerlo per ''fargli la pelle". Guerra è caccia. E le tribù, si sa.sonodi tanti tipi: la nazione, la clas,e, il partito, la religione. la razza. Ma ancheun altrn meccani mo perver o i affianca aquesto.ed è quello che ci fa invocare un colpevole per i nostri lutti, le nostreinsoddisfazioni. le nostre sofferenze. Anche se non c'è nessuncolpevole. E così Cri to i fa uccidere, vittima consapevole. assumendo i ulle palle tutti i peccati degli uomini, caproespiatorioper celta in un meccanismo nece ario. Così Vcrscagin viene dato in pasto al la folla di Mosca alla vigilia dell'ingresso di apoleone. Al mondo solo le pietre ono innocenti, chiunque agisceè colpevole, ricorda Camus. Il carnefice carica la colpevolezzasulla vittima." ... Pensodi capire ... E' come se vivere equivalesse a vincere e morire a perdere". "Sì, la vita i schiera sempre con la vita, e in fondo le vittime ono colpevolizzate". Così nel fumetto Mau di Art Spiegelman, lo p icanalista ebreo sopravvis uto ad Auschwitz piega al figlio di un altro ebreo "colpevole·· di e - sereanch'egli un sopravvissuto. Finchè c'è un nemico esterno (il Chejenne, il Sioux, il russo. il mussulmano) il "disordine''. l'entropia sociale viene scaricata all'esterno del gruppo. E' 1·a urda, perpetua guerra. come Orwell la descrive in '"1984''. Guerre fra popoi i, fra stati. fra clas i. fra re1 igion i. E quando per ricompattar i i popoli dell'Occidente hanno bisogno di un colpevole, ne hanno uno empre pronto, comodo, recidivo, un diver o che vive nelle loro città: l'ebreo. l'assas inodi Gesù. Ma in fondo l'ebreo non esiste solo in e per l'Occidente. Egli è Universale. Simbolico. Infatti se non siamo capaci di trovare una soluzione per queste ditruttive pulsioni umane, allora "siamo tutti ebrei, tutti noi, inclusi George Bush, Jean-Marie Le Pen, Yasser Arafat, George Habbash, Stefano Jesurum, e perfino Ytzhak Shamir". Tutti ebrei. vittime-colpevoli, colonne portanti delle culture umane. Tutti con il nostro peccato originale: la consapevolezza della sofferenza e della morte. Cra::,iano Fabro UNA c,rrA' alla FESFA Le nove serate della FESTA DELLA SOLIDARIETA' si svolgeranno in Via Dragoni n.57, nell'area interamente coperta dietro l'unità di base "Gramsci" dal 14 al 22 settembre. Vorremmo fossero l'occasione per un Incontro con le persone che vivono, lavorano, respirano la solidarietà. Funzioneranno: LIBRERIA, BOOK SHOP: la solidarietà nei libri. RISTORANTE: menù internazionali, cous-cous ecc •. CINEMA: taglio specifico sulla solidarietà. DIBAfflTI: la solidarietà vista dalle donne, nell'economia mondiale (con la prevista partecipazione del ministro ombra del P.D.S.), indiani d'America, razzismo, ecc .• MUSICA: nuovi orizzonti fra musica e cultura "SUD SOUND SISTEM", "UNITED POSSE", KTRONICS and FAMILY", RONCK N'ROLL" special guest MAffEO BELLI, "LA NOffE del GHIBLI" (musica e parole dall'Islam). GRANDE APERTURA: 1 4 seffembre ZULU PARTY con "SUD SOUND SISTEM" UNA ClffA'

Chian (Cina). Un baanbino di nove anni: Abbiamo laHo volare gli aquiloni che la signorina Suan ci ha laHo costruire e lanciare nel cielo perchè oggi c'è il vento. Gli aquiloni sono di tuffi i colori e volano alti anche quelli del ba,nbino senza ,nani che è arrivato ieri. Lui tiene il filo del suo aquilone in bocca e sorride. Noi abbiamo legato sette gomitoli di filo di canapa al suo aquilone perchè vogliamo che vada più • ,n alto di tutti. Andrea Canevaro Può essere utile leggere la lettera di Chian come un buon suggerimento. E' per cercare di capire meglio come può funzionare I' integrazione e che vantaggi pratici può dare. Ma prima di procedere esaminando il suggerimento, la proposta, che nasce dalla lettera di Chian, verrebbe da chiedersi: come mai eia cuno preferisce restare, non diciamo un gomitolo, ma spessoun pezzo di filo per suo conto, piutto to che allacciarsi ad altri pezzi e costruire insieme una lunga cordata? C'è forse una percezione sbagliata delle proprie funzioni, e l'idea che sia importante mantenere liberi i due capi che costituiscono i termini nel nostro pezzetto di spago... E in questo modo rimaniamo pezzetti troppo corti perfarealzareunaquilone. Una persona molto ordinata, forse un po' troppo, aveva unascatola su cui aveva critto: spaghi troppo corti peressereutili. Può essereche quel signore intendesseutilizzare gli spaghi inutili legandoli tra loro. Ma, solitamente, gli avanzi degli spaghi vengono bullati via. Da anni, in diverse realtà locali -e tra queste Forlì - ho l'impressione vi sia una grande difficoltà a collegare i fili, a legare fra loro pezzi che, indiDa 11 LeHere dal domani 11 R. BaHaglia 1 ed. S.E.I. 1 973 vidualmente, sono inutili e non lo si vuole ammettere. Riunioni interistituzionali, buone volontà dei singoli, non sono bastate. E' un'impressione soggeui va, sia pure pas ata auraverso alcune esperienzedirette. Sare i contento di essere smentito. UNA QUESTIONE DI DIGNITA' QUATTRO PER SCRIVERE UN LIBRO Queste mie brevi riflessioni potranno suonare leggermente stonate rispetto al modo tradizionale di trattare le tematiche del l'handicap e forseanchenon conformi allo stile di questa giovane rivista. Ma vorrei esporre il mio modo di vivere e di sentire il deficit. Sesi considera l'handicap come una barriera sociale che impedì ce a determinati individui (siano essidisabili, tossicodipendenti, omosessuali, ecc.) di vivere e di e primere la globalità della propria identità, allora può cambiare completamente i I concetto di diversità. La mia è una posizione radicale e cercherò di chiarirla iniziando col raccontare rapidamente la mia esperienzaed il modo in cui ho affrontato l'handicap. e basta: la diversità coincide con la sua identità. Tutto questo fa comodo: aiutare un deficitario mette in crisi. La conoscenzaapprofondita dell'altro, del suo modo di vedere e di affrontare la vita pone in discussione le proprie abitudini ed i propri pregiudizi. E' più comodo quindi affidarsi a sicuri stereotipi accompagnati, magari, da un atteggiamento pietistico.Nella ~ocietà che io sogno, invece, tutti i vari soggetti (quelli che oggi sono divisi in "normali" e '•diversi") sono sullo stesso piano: ciascun individuo viene considerato in ogni aspetto della sua personalità; vi è pertanto un dialogo aperto in cui la comunicazione percorre tutte le direzioni possibili. E' una questionedi dignità. E' necessario innanzitutto che il soggetto stessosia consapevole di essere portatore di valori importanti da integrare nella società, e che quest'ultima si rendadiMi è capitato di citare diverse volte la vicenda di Joey Deacon. La storia di Joey è raccontata da lui stesso in un altro libro interessante(Lingua legata, Firenze, La Nuova Italia, l978; ed. originale 1974); e almeno altrettanto interessante è il modo con cui il libro è stato scritto. Ma andiamo con ordine. Joey è nato nel 1920, in Inghilte1Ta,ed è uno spastico colpito alle gambe e alle braccia e incapace di parlare. Nel suo libro si legge: "Quando avevo circa quattro anni cominciò la mia vita in ospedale. li primo ospedale dove sono andato erailSt.Childesemi fecero un'operazione dietro alle gambe. L'operazione non riuscì. Sono andato all'ospedale nel I 924. Passòun anno. Cominciarono i giorni di scuola, ma non ci durai molto. Andavo a scuola a Otting Street. Mi mandarono a casa per via dei nervi. Non potevo parlare. Rimasi a scuola tre mesi. A quel tempo ho avuto una sorellina, Gladys. Quando smisi la scuola rimasi a casa e tutte le matline la mamma mi metteva davanti alla porta di casa. Mi chiedeva quantemacchine eranopassate e io rispondevo strizzando gli occhi. Strizzavo gli occhi una volta per ogni macchina che era passata. La mia mamma capiva". Joey mise insieme un modo di esprimersi attraverso segnali non verbali, riuscendo a comunicare bene soprattutto consuamadre,che, evidentemente, dimostrò di avere molte risorse per poter sviluppare questo codice non verbale. Furono più utili le automobili,chepassavano davanti a casa, dei giorni passati in unascuola, dove Joey non veniva capito e neancheosservato. La madre morì nel 1926 e due anni dopo Joey fu collocato in un centro ospedaliero permanente.Dal '28 al '44 nessuno capì che poteva ricevere e trasmettere messaggi, comunicare anche in maniera complessa ed elaborata. Le uniche comunicazioni chegli venivano attribuite erano immediate, relative a ciò che lo circondava e che costituivano i bisogni più elementari. Solo nel '44 un altro spastico ricoverato, capace di parlare, comprese che Joey aveva un codice dicomunicazione elaborato. Tra Joey ed Ernie si stabilì un'intesa basatasulla collaborazione: Ernie metteva la voce per dire quello che Joey comunicava. In seguito arrivò Michael, che ci mise la scrittura. Nascevaun libro -quello a cui mi riferisco in questa introduzione- e bisognava battere a macchina il testo. Ci pensòun quarto amico handicappato, Tom, che non sapeva leggere e scrivere, ma si dimostrò capacedi copiare attentamente e considerò l'utilità del suoapporto per il lavoro del libro. Nacque un libro che aveva un autore ma quattro costruttori: Joey, l'autore, che comunicava a Ernie. Ernie che diceva e dettavaa M ichael; M ichael che passava lo scritto a Tom; il quale a sua volta lo batteva a macchina. Si integravano: una storia e un codice non verbale, una ricezione visiva e una voce, delle orecchie per ascoltare e delle mani per scrivere con la penna, degli occhi per leggere e delle mani per dattiloscrivere. Ciascuno metteva insieme agli altri alcuni strumenti che, senza quelli degli altri, non avrebbero potuto dare il risultato complessivo che ottennero. E nell'integrazione degli strumenti in rapporto aun obiettivo complesso come è un libro, anche l'azione in sè poco sensatao scarsamentemotivante (come il lavoro di meccanicacopiatura amacchina di Tom) prendeva un senso pieno e veniva fornito di una robusta motivazione. Questacomposizione amosaico è di grande interesse;è anzi affascinante, al punto da rischiare di far passarein secondo piano alcuni aspetti specifici che invece sono altrettanto importanti. La mancanzadi risposta apparente da parte di Joey faceva credere che non capissee; il fattochein seguito abbia dimostrato in maniera così evidente le suecapacità di comprensione può fare riflettere e far nascere diverse domande. Se una persona handicappata non ha la possibilità di emettere segnali mimici di ricezione dei messaggiverbali enon verbali, viene ritenuta incapacedi capire? Fino a che punto si tratta di incapacità di corrisponderenella comunicazione da parte di una persona handicappata, o di incapacità dicogliere i segnali originali da partedei suoi interlocutori? La costruzione di codici non verbali può risultare decisiva per la possibilità di vita di persone handicappate?Fino ache punto vengono incoraggiate e valorizzate le risorse delle persone che vivono nell'ambiente delle personehandicappate?E fino a che punto si incoraggianoe valorizzano le risorse parziali dei singoli handicappati, perchèrientrino in un progetto complesso? O ancora: le risorse parziali vengono accolte come egnali di una persona parziale, di un individuo che non è cresciuto come gli altri, e per il quale l'età anagrafica va dimenticata, considerandolo un poco sempre un bambino? Certamente, una persona handicappata rischia di avere bisogni e desideri ridotti agli aspetti di sopravvivenza e di sussistenza, amputando dalla sua vita le dimensioni culturali, che si proiettano al di là di una quotidianità fatta di elementi primari semplici. canza di sviluppo dell'intelligenza. La ricerca di altre strade per la comunicazione è trascuratao poco avvertita. Nello stessotempo, i casi che possiamo conoscere di per one che hanno sviluppato modalità anchedel tutto originali di comunicazione hanno ribaltato, totalmente o parzialmente, i giudizi e le valutazioni circa la loro intelligenza. scopo di ammirare un paesaggio o ascoltare una buona musica. Gli apprendimenti scolastici, così come spessoli concepiamo, incoraggiano a mantenere quest'atteggiamento riduttivo e di rinuncia: se mancano i minimi comuni denominatori didattici, sembra che molto o anche tutto nella scuola sia precluso. Credo che ia un rischio, vissuto sulla pelle da tante personehandicappate,connessoalle caratteristiche che collegano, inmanieraapparentementenon molto pensata,la parola all'intelligenza. Certo lo sviluppo dell'intelligenza in un'identità atipica rispetto ad un ambiente può sembrareeanche risultare fortementecompromesso.Ma non pochi casi segnalano la necessità di non condizionare, in maniera forse involontariamente violenta, tale sviluppo auraver o la negazione di originalità. Nella vicenda di Joey e dei suoi amici -così come in alcune vicende presenti in que to libro- i minimi comuni denominatori didattici sono raggiunti grazie alla collaborazione di altri che fungono nello stessotempo da strumenti e da intermediari. E le risorse di ciascuno non sonocollocate in una prospettiva lineare e rigida, percui non sapendofareuna certa co a si rimane sempre nella "casella" -penso a un gioco dell'oca- precedente. Invece è possibile saltare, raggiungere posizioni più adulte e tali da dare risultati elaborati e complessi. Sembra che l'assenzao Iadi fficoltà di parola sia da connettersi all'idea che questi impedimenti siano senz'altro manRitenendo che una persona adulta abbia bisogni e desideri di un bambino che non crescerà si finisce quasi inevitabilmente, e al di là delle intenzioni, peraccudirne i bisogni quotidiani come una "manutenzione", senza attendersi nè sperimentare mai momenti di comunicazione che abbiano lo UNITA' NELL'INTEGRAZIONE O NELL'INTEGRISMO? Il bisogno di unità è, a volte, tanto urgente in qualcuno, da fare invocare come una virtù la perdita di identità singolare; o da fare passare come insensata o anche dannosa, proprio la ricerca originale di senso, specialmente se passa attraverso il dubbio. Un'unità che si paghi rinunciando alla ricerca, agli interrogativi, ai confronti aperti e a rischio, si presenta come uno strumento difensivo, all'insegna della paura e al bisogno di un'autorità che decida per tutti, impedendo e annullando le differenze. E' l'unità dell'integrismo. Cisonomoltitipidi integrismi:quellifondati su una religione, quelli che si riferiscono ad un'ideologia, e ancora quelli che si affidano ad una scienza. Integrismo vuol dire aver stabilito a priori una verità e un ordine gerarchico di verità e di valori ai quali tutti devono sottomettersi. Enzo Pace ha scritto un libro che, oltre ad essere di grande interesse, ha un titolo emblematicamente chiaro: il regime della verità (il Mulino, Bologna, 1990). Si tratta di uno studio sul fondamentalismo religioso contemporaneo. Il titolo riprende una espressione di Miche/ Foucault: il fondamentalismo pretende di essere un regime della verità. E come lo pretende? Ritenendo che la verità sia una esperienza diretta del sacro, stabilendo cosa sia il sacro, e facendo derivare, da questi indiscutibili presupposti, che l'esperienza diretta è fondante. Inoltre il fondamentalismo si fonda sulla convinzione che l'esperienza di verità o neo meglio: l'esperienza diretta dal sacro che è fondante nella verità, sia al centro di congiure, di incroci e di pericoli collettivi. La paura è direttamente proporzionale al bisogno di riporre ogni salvezza in una preziosa formulazione di poche regole, nei luoghi in cui questa formulazione è praticata, in un gruppo iniziato alle stesse pratiche. Esperienza diretta fondante la verità e sindrome da accerchiamento: ecco i tratti più caratteristici del fondamentalismo. E fondamentalismo ed integrismo sembrano due nomi per la stessa realtà. L'integrazione ha una dinamica molto diversa. Non presume una verità già posseduta ed espressa nella propria diretta esperienza. Ciascuno può portare un po' di verità, che assume maggior valore e si completa unicamente ne/l'incontro e nella scoperta del poco di verità che ciascun altro a sua volta porta. E l'unità è un processo possibile solo grazie al riconoscimento, o all'impegno in questa direzione, delle ragioni dell'altro, delle sue diversità come valore. Integrare significa accettare di confrontarsi senza la presunzione di sapere in anticipo che le nostre o le mie ragioni sono in perfetta regola e che all'altro uso non rimane che aderire, ammettendo implicitamente o meglio esplicitamente di aver sbagliato; integrare significa comporre pazientemente un mosaico reso possibile dalla possibilità di trovare tante tessere diverse. La mia riabilitazione ha sempre occupato una parte circoscritta del mio tempo. Il totale "recupero" non ha mai costituito per me un obieuivo, ed anzi per molti anni mi sono rifiutata di fare ginnastica rieducativa. Molta importanza ha avuto invece la scuola, che ho empre frequentato regolarmente: fin dabambina lacultura ha e ercitato su di me un grande fascino, ed è stato proprio in quest'ambito che ho concentrato il mio impegno. Ancor prima di venire a conocenza del mio deficit. mi ero costruita una vita identica a quella di qualsiasi altra per ona. A questa costruzione (che non ha richiesto nessun forzo) hacontribuito in modo prezioso la mia famiglia, che mi ha sempre portato, per esempio, a visitare città e monumenti e mi ha fatto gu tare le gioie dell'amicizia. Gli amici hanno sempreavuto per me un ruolo molto importante: la loro naturalezza nei miei confronti ed il piacere che provavo in loro compagnia mi hanno fatto amare la mia vita co ì com' era.E allora? Cosa avrei dovuto fare quando ho preso coscienzadel mio deficit? Abbandonare tutto per piombare in una crisi esistenziale o per immergermi in un disperato tentativo di "recupero", per rendere "normali" il mio linguaggio e la mia deambulazione imperfetti? Per che cosa? Per ritrovarmi un giorno isolatae incolta? Ho preferito accogliere la realtà ed "accantonarla" momentaneamente, continuando per la mia strada. Poi con gli anni il deficit si è integrato nella mia vita. Per integrazione intendo l'uso di strumenti diversi rispetto a quelli di chi è "normale" (per esempio il computer può essereun mezzo di comunicazione per chi. come me, ha difficoltà di linguaggio). Ma lo spirito. la volontà e, perchèno, i risultati, non mutano.Generalmente si ha una relazione asimmetrica con la diversità: un rapporto basato sull'aiuto e sulla commiserazione. Non amo la parola "solidarietà" perchè prevede una comunicazione unidirezionale. Il diverso è diver o. ponibile ad accettarli. Bisogna quindi, per riprendere i concetti iniziali. eliminare gli o tacoli che impedì cono di vivere e di esprimere in modo completo la propria identità.A volte si accusala tecnologia di isolare il disabile: il lavoro svolto da un robot non permette all'handicappato di avere rapporti umani. Questa opinione non mi trova d'accordo: se l'aiuto materialedev·essere l'unica occasione d'incontro per chi ha un deficit, allora si ricade in una relazione asimmetrica con la diversità. lo vedo. piuttosto, l'ausilio tecnologico come uno dei po sibili mezzi per abbattere l'handicap e per fornire al disabile l'opportunità di organizzare la propria vita e di esprimere le sueidee.Vorrei conci uderecon unadistinzione. Vi sono, amio avviso. due forme di diversità: una sostanziale ed una formale. La prima riguarda nuovi punti di vista; la seconda la possibilità di espressione e di autonomia. Un nomade in Italia è portatore di tradizioni e di modi di pensare diversi che vanno conosciuti ed integrati per la reciproca crescita. Invece il quadro di riferimento culturale di un handicappato è sostanzialmente quello della cultura dominante: egli hasolo bisogno di ausili i adeguati per comunicare e superare gli ostacoli che incontra nella vita quotidiana. A volte nella stessa persona possono coesistere entrambe le forme di diversità. Questa riflessione è derivata dal mio non sentirmi molto diversa nel modo di esseree di pensare: la mia vita è impostata come quella delle per one "normali": ho solo bisogno di altri mezzi per comunicare e per essere più possibile autonoma. Questo è empre stato l'obiettivo della mia famiglia ed il mio: questo vorrei che fosse l'obiettivo della società del domani. Stefania Navacchia

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