La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

la sua. Ha portato in piazza la sua passione, ha deciso di fare un film con quei ragazzi. La circoscrizione VIII lo ha finanziato e nella pri- ~ mavera del '95 sono iniziate le riprese. Il titolo nasce da un graffito enigmatico su un muro del quartiere, "Piazza Saluzzo siamo" che iragazzi hanno voluto completare aggiungendo il "noi", forse tralasciato nell'originale perché la bomboletta era finita o forse perché pronunciato "alla siciliana". Nel film c'è davvero tanto del quotidiano dei ragazzi, il gusto provocatorio di un linguaggio volgare, l'aggressività più o meno palese, le prepotenze dei grandi sui piccoli, ma anche la difficoltà di capire dove si stia andando, il senso di solidarietà diffuso, la necessità e la paura, come dice Sandro, uno dei protagonisti del film, "di arrivare a sera e tirare una bella riga sul libro, e fare il conto di ciò che è andato bene e ciò che è andato male". Non è però un film-simbolo, i ragazzi recitano solamente loro stessi, "quelli di piazza Saluzzo" assolutamente diversi dai loro coetanei di Roma, Milano o New York: San Salvario non è una brutta periferia urbana, non è nemmeno un quartiere particolarmente degradato. Il suo problema non è l'incomunicabilità o l'indifferenza. Le vie strette, le case di ballatoio, le innumerevoli botteghe, quasi obbligano gli abitanti al contatto all'incontro, talvolta allo scontro. Poco tempo fa il film è stato fuori concorso ad "Anteprima Cinema Giovani" una rassegna che seleziona cor.tometraggi per il "festival" di novembre. Continua Kutaiba: "La prima cosa che ha fatto l'assessore è stato il controllo di tutti i locali e i circoli e l'istituzione di un numero verde per se~nalare casi di illeciti e situazioni di illegalità. Si chiede alla gente, una volta a casa dal lavoro, anziché di rilassarsi, con una birra, un libro o guardando la tv, di spiare, osservare, telefonare, segnalare e per di più anonimamente ... Pensiamo a questi ragazzi, ora sono stati aiutati a fare il film, si è detto loro: siete bravi, sapete fare delle cose, ma se non sono sostenuti, se non si finanziano progetti con loro e con altri tutto questo rimarrà un bell'episodio". È però vero che le persone che vivono qui non sono tranquille. Spaccio, microcriminalità, prostituzione, sono gli aspetti che più fanno paura e l'equazione criminalità-stranieri è una scorciatoia interpretativa troppo facile perché in molti non la percorrano. Gli stranieri a San Salvario trovano facilmente una casa, ma nessuna o quasi forma di assistenza e pochissimi servizi specifici. Nell'85 erano in tutto novemila gli stranieri in regola con il permesso di soggiorno a Torino e nella provincia. Oggi sono trentaduemila, di cui ventisettemila extracomunitari, nella maggior parte dei casi concentrati nei quartieri cosiddetti "a rischio" della città, San Salvario e Borgo Dora. Con i clandestini, che si pensa siano settemilaottocento, in totale quarantamila. Numero più numero meno, dal Marocco sono arrivati circa in settemila, dalla Cina milleciquecento, dalla ex-Jugoslavia millesettecento, dalla Tunisia mille, dal Senegal ottocento, dalla Somalia settecento. Dall'inizio dell'anno a oggi la polizia ha arrestato in San Salvario centottantuno persone, al 90% stranieri: in testa alla classifica la detenzione e lo spaccio di stupefacenti (89 arresti), seguono il furto (25), la rissa (23), l'oltraggio (13), l'estorsione (11). Ma da qualche mese la situazione sembra essere peggiorata. Il tam tam dei media ha così incrementato, se per caso ce BUONIE CAITIVI ( n ne fosse stato bisogno, la situazione di•allarme sociale, incentivando la paura e il disorientamento: sempre a Torino, a Borgo Dora, altra zona molto connotata etnicamente, la polizia ha fermato cinquantotto persone che armate di mazze e di altn oggetti s1 apprestavano a farsi giustizia da sé contro "neri e marocchini", e il quartiere Parella, sede del parco della Pellerina è sceso in piazza contro "prostitute e omosessuali che popolano la notte del quartiere". Allarme sociale è un termine che ne chiama in causa molti altri: paura, disoccupazione, disagio ... Spesso l'allarme e la paura sono fondati su dati reali e su problemi veri di criminalità. In realtà si parla di "microcriminalità", un termine che però non vuol dire nulla: se li analizziamo dal punto di vista della vittima il piccolo e il grande reato hanno valenze e significati diversi. Più spesso per microcriminalità si intendono tante piccole condotte criminose che pervadono un territorio provocando un forte senso di insicurezza. È il rischio di essere vittime di un reato che crea allarme al di là della reale diffusione di quel reato sul territorio. È proprio quello che si respira in San Salvario: un senso di vulnerabilità rispetto al fenomeno criminale, in particolare ad alcuni suoi aspetti; il borseggio, lo scippo, reati "predatori", hanno questa caratteristica: lo slogan può essere "ovunque per chiunque". Sono proprio i racconti e le narrazioni, sia quelli dei g10rnali che quelli che passano di bocca in bocca, che alimentano e fanno crescere il fenomeno. La vittima crea paura anche senza volerlo perché il racconto di ciò che ha subito, fa paura, diffonde nella gente che lo raccoglie meccanismi identificatori: "quando a me?". Bisogna anche che tutti, e i media in particolare, escano dalle tentazioni di vedere il problema del conflitto in un contesto di contrapposizione tra etnie. È un problema di convivenza urbana e come tale va trattato, la questione va ampliata, va presentata la complessità del problema, va ridefinito il significato di cittadinanza come modello di vita. È chiaro che il conflitto che si sta vivendo in questo quartiere, come in altre città non solo italiane, ma di vari paesi europei, deve essere affrontato a partire dalle relazioni sociali in quel territorio, dai vissuti di chi ci abita, per intraprendere iniziative di mediazione, aprire centri, servizi, punti di riferimento, dove la gente si senta accolta nel momento del vissuto conflittuale, dbve possa portare la sua sofferenza e dove possa essere aiutata a gestire queste situazioni traumatiche. Occorre anche ripensare le grandi questioni come quella della solidarietà. Non si può continuare nel gioco assurdo nel quale in una pagina si racc~ntano crimini, morti, risultato del conflitto e nell'altra i grandi "Soloni" del sociale parlano di solidarietà e di valori. Si dovrebbe oggi parlare molto di più di solidarietà bassa, della mutualità quotidiana con il vicino di casa, il compagno di scuola, di lavoro: "ti aiuto perché domani potrò avere bisogno di te". Aspettiamo tempi migliori per rivitalizzare una cultura profonda della solidarietà. ♦

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