La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

te all'arroganza di Mladic, queste voci tradiscono almeno qualche imbarazzo. Ma quando il vuoto di intervento viene colmato dall'offensiva croata, quando si dimostra che l'invincibile armata di Karadzic subisce colpi duris- · simi se viene attaccata ad armi pari, quando i croati - farabutti la loro ]?arte, e basterebbe solo la vicenda della distruzione del ponte di Mostar a dimostrarlo - commettono le loro nefandezze, il coro dei non interventisti si risolleva e torna a tuonare, sorvolando sul fatto che lo spazio all'intervento croato è stato aperto proprio dal vuoto lasciato dalla comunità internazionale, un vuoto di presenza, militare e politica, sul campo. Se vi è mai stato un oggetto sul quale si è davvero applicato il cosiddetto "buonismo", esso è stato il problema ex-jugoslavo, e in particolare di Sarajevo e della Bosnia. Spero che non ci sia nessuno così ingenuo da credere davvero che vi siano logiche "buoniste" nella politica italiana. Ognuno fa, spregiudicatamente, i propri conti e la lotta è durissima e senza esclusione di colpi: nessuno è .buono o mite, come la cronaca di ogni giorno ci rammenta. È invece sulla vicenda della guerra in Bosnia che abbiamo assistito al maggior dispiegarsi della logica buonista. Tutti o quasi tutti buoni, tutti o quasi tutti nonviolenti fino all'estremo limite - lasciar crepare gli inermi aggrediti - più gandhiani di Gandhi, più buoni del Papa o dell' Abbè Pierre, più veramente pacifisti, nonviolenti e ressitori di dialogo di Alex Langer, tutti più saggi e esperti di guerra e di scelte politicamente corrette dei sinaaci di Tuzia, Goradze e Sa- . . . . raievo messi msieme. Se hanno ragione questi ultimi, la liberazione di Sarajevo e ogni villaggio è finalmente cominciata, e ora si riapre la difficilissima fase della ricostruzione e della intricatissima ritessitura politica. Questioni impervie, davvero, ma finalmente affrontabili senza il ricatto della fame e della sete, del freddo, delle granate e dei cecchini. Sarà ugualmente dura, ma sarà un'altra cosa. E avremmo, semplicemente, perso tre o quattro anni, senza fare quello che si sta facendo adesso (primi di settembre), lasciando massacrare decine di migliaia di persone. Se invece hanno ragione i "buonisti" di ogni colore, è incominciata la terza guerra mondiale, e la colpa è del sindaco di Tuzia, Selim Beslagic, che ha ripetutamente chiesto l'intervento della Nato a difesa della sua e delle altre città aggredite con parole "irresponsabili", che "aggiungono violenza a violenza". Come queste: "Voi state a guardare e PACE E GUERRA non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardano: se non intervenite per fermarli, voi che potete, siete complici, è impossibile che non ve ne rendiate conto". ♦ Da Sarajevo a Mururoa. Intervenire e come PiergiorgioGiacchè Sarajevo. Mururoa. Due nomi a confronto. Certo ci sono infiniti distinguo da fare, ma ci sono per davvero enormi differenze? Dipende dal punto di vista e, per una volta, non dalla sua angolazione ma dalla sua distanza. Per prima, la distanza cosiddetta oggettiva, che fa di Sarajevo l'epicentro di una guer.ra non soltanto minacciosamente vicina ma, in quanto europei, una guerra civile che ci comprende come parte in causa: nella peggiore delle ipotesi e delle (in)coscienze, spettatori da stadio e non da tivvù come ai tempi della guerra del Golfo. Questa fastidiosa appartenenza al "teatro della guerra" è stata fin qui adoperata male, anche da chi coscienziosamente e continuamente l'ha rivelata e rivendicata. È servita più a separare che a convincere le persone, più a distinguere che ad accomunare gli altri - più lontani - eventi di guerra. Figuriamoci quegli avvenimenti esplosivi che sono programmati a partire dal primo settembre in un atollo disabitato dell'Oceano Pacifico: la loro distanza diventa abissale se si considera non solo il non trascurabile dettaglio che non colpiscono nessun essere umano, ma anche la loro evidente funzione di pace - per coloro che credono ancora nell'adagio classico "si vis pacem, para bellum", fingendo di non sapere la differenza ~he passa tra affilare le daghe e perfezionare le bombe atomiche. Ma la distanza vera, quella che comincia a contare di più nel dibattito e nelle divisioni di intenti e di opinioni, è ~uella soggettiva, nel senso di individualmente esperita da quanti si avvicinano o entrano concretamente nella "scena" della guerra: la distanza minima di coloro che galleggiano pericolosamente nei pressi dell'atollo di Mururoa, oppure la distanza addirittura nulla di quegli altri più numerosi, che, come volontari della pace ma anche come giornalisti o politici, si sono recati personalmente a Sara/·evo o in altre zone critiche de la Bosnia. È stato paradossalmente proprio questo ravvicinato punto di vista a provocare le mcomprensioni o le deviazioni maggiori, pur nel quadro di una facile e generale condanna sia delle guerre in atto che degli atti di guerra. Un contenzioso, ancora non nitido né del tutto palese, fra lungimiranti e realisti, fra "integralisti" e "revisionisti" del pacifismo, attraversa tanto l'area di quanti si contendono il nome e i resti della sinistra ufficiale, quanto le frazioni minoritarie di quella che si definiva come sinistra alternativa. Così, Sarajevo e Mururoa, mentre continuano a indicare i due estremi oggettivi della questione della pace nel mondo, cominciano gradualmente a rappresentare i limiti opposti ai quali può approda-

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