Lo Stato Moderno - anno III - n.22 - 20 novembre 1946

Abbo114mento )>eT u,; """° L. ,00 Soc. Ea. Lo Stato Mollerno • Am– mhitltrazton.e e D1rnfone: M:Iano, Via .Senato 31, te1ef. 7M40, 7J.tll Esce il 5 e il 2'0 di ogni mese LOSTATO MODER CR11'1CA POLlTlCA ECONOJJ!lJCA E SOUlALE Anno m - N. 2~ 20 NOVEMBRE 1946 Una copia L 25 SOMMARIO MARIO PAGGI: Dittatura tecnica o ditta- ANTONIO BASSO: Impero brita!J,nicò e Unio- tura politica pag. 505 ne /1ance&e . . . . . . . , . . . pag. 515 VITTORIO ORILIA: Elezioni legislative in UMBERTO SEGRE~ La scuola alla Costituente " 517 F,ancia » 507 MIBROGlO GADOLA: Il l,locco degli. affitti e ARTURO BARONE: Considerazioni sulle ele- il problema del~a casa . " 519 ::ioni del 10 novembre " 508 COSTANTINO MORTATI: Ombre sulla Co- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA ; " 522 stituente " 510 RASSEGNA DELLA STAMPA ESTERA " 523 ENRICO BONOMI: Il problema altoatesino RASSEGNA DELLA STAMPA ITALIANA " 525 . (11) • " 513 NOTE QUINDICINALI " 527 N.B. - Leggere attentamente l'avvertenza a pag. 522. Dittatura tecnica o dittatura politica La crisi politica è scoppiata rapida, :violenta e, in qualche modo, improvvJ.Sa. Si pensava che il go– verno tripartito - col malevolo appoggio dei repub– blicani - avrebbe trascinato la propria esistenza, senza troppa energia e conv,nzione, ma anche senza irreparabili manchevolezze o contrasti troppo dram– matici, sino a qualche mese prima delle elezioni per la Legislativa. Si pensava possibile che allora qual– che vecchio uomo politico, favorito dall'evidente desiderio di tutti i partiti di essere, se non all'opposi– zione, almeno fuori del bersaglio centrale della dire– zione del governo, avrebbe riassunto ancora una volta nelle sue mani la fiacca eredità del potere. Era evidente, già da parecchie settimane, che i maggiori partiti tentavano una vera e propria fuga dal governo. I socialisti - specie quelli di « Inizia– tiva" - ponevano ad ogni Consiglio Nazionale il problema dei limiti e delle forme della loro parteci– pazione. ministeriale; i comunisti, oltre ad accen– tuare un sempre più forte distacco attraverso i loro organi di stampa, avevano già iniziato una specie di inchiesta in seno al partito circa una eventuale se– cessione dal ioverno; gli stessi democristiani, in certi scatti di cattivo umore, facevano comprendere di pre– ferire un governo social-comunista alla continuata pressione di cui erano og~etto. Per non parlare dei repubblicani che si stanno ancora mangiando le unghie per la mancata occasione della crisi Corbino, essi che - oltre tutto - erano e sono i soli legitti– mati ad abbandonare il potere senza essere tacciati di diserzione, data la tenuità gella loro efficienza numerica al Parlamento. Tutto ciò era già grave perchè dimostrava che i partiti politici italiani preferiscono edificare le pro- prie fortune piuttosto sfruttando le disavventure altrui che non misurando la propria forza e la propria efficienza al vaglio della responsabilità nella direzione del governo. t:ppure tutio ·ciò sembrava pnittosto un vago e sordo brontolio di tuono di una tempesta che passa lontano, che non l'allarme di un ciclone sopravveniente. Era quasi il segno stilistico di una 'Combinazione mal riuscita, ma che pure sapeva di essere fata1mente destmata a durare. Poi, con l'avvicinarsi delle elezioni amministra– tive, la polemica serrò i tempi e si alzò di tono (di tono puramente gutturale, nop di virtù dialettica). Infine venne l'offensiva Togliatti. Essa dapprima mostrò procedere sulla strada obiettiva del colpo politico sensazionale: l'accordo con Tito. Era una strada irta di pericoli, capace di minare (e che forse ha minato) molte nostre possibilità di politica estera, che poneva il gabinetto m una situazione particolar– mente delicata, che toglieva brutalmente di mano al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri l'iniziativa politica; ma - al punto in cui ormai è giunto lo sfasamento della vita democratica italiana - tutto pareva ancora rimediabile senza giungere all'as– surdo (o presunto tale) di una crisi senza soluzione. Ormai nessuno si domanda più in Italia perché i democristiani accettino la responsabilità di una poli– tica finanziaria ed economica che respingono, o i comunisti quella di.una politica estera che poi ele– gantemente definiscono dei « calci nel sedere » (e noi non ci stancheremo di ripetere con malinconica inutilità che democrazia è anche correttezza formale di linguaggio e di gesti),, o i socialisti addirittura quella di una politica generale - interna economica ed estera - contro la quale eleyano ad ogni piè

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