RE NUDO - Anno VII - n. 49-50 - gennaio-febbrario 1977

se svengo, mi risveglio sul tardi in– tirizzito dal freddo, chiedo qualco– sa per corpirmi, mi viene risposto che non c'è l'autorizzazione. Intanto ho scolpito nella mia mente alcuni nomi, tre sottufficiali e un agente: Pastarella, Zaccaria, Jodi– ce e Molinario. ·Nelle notti seguenti sono preso da incubi, mi sveglio di soprassalto, mi sembra che ad ogni istante arrivino i miei carnefici. Ho finalmente modo di vedere gli al– tri miei compagni, in condizioni pie– tose, Zambon Adriano, e Milone Al– fio, quest'ultimo, forse il più mal– concio (più giovane ed inesperto), è caduto a terra, dove numerosi calci lo hanno raggiunto in pieno. Gli altri due, Manfrinato Vani Alberto e Mar– cianò Consolato non sono stati molto malmenati per la loro avanza– ta età. Sei giorni dopo dal sotterraneo sia– mo trasferiti in un'altra sezione, sempre punitiva ed in isolamento, dove poi ci resteremo quasi cento giorni. La sera del 25 settembre vengo convocato sul tardi dal Sostituto Procuratore della Repubblica, Ge– nerale di Firenze, il quale con mia grande meraviglia sa ogni cosa, evidentemente un compagno è riu– scito ad informare la magistratura. Zambon Adriano ed io (Martino Zi– chittella) veniamo interrogati e sot– toposti ad una visita medica all'istante dal medico del carcere Dott. Lupeto, per ordine del Giudice stesso. Il medico riscontra ecchi– mosi ed abrasioni sui nostri corpi Portare l'attacco al cazzo dello stato L'altro elemento del '68 scompo– sto (forse il più vitale) cioé i movi– menti di liberazione, hanno per– corso altre strade. Il sogno s'è fat– to più vicino alla carne, al corpo, anche se pure qui non sono man– cati per nessuno gli incubi, ma per lo meno con maggiore coscienza d'esser tali, e vissuti per tali. Il movimento di liberazione ha detto che il cuore dello Stato non c'è, casomai c'è «il cazzo dello Stato». C'è una struttura intima dello Sta- per cui procede all'apertura di un'inchiesta controfirmata da noi, e dal medico stesso. Dopo qualche giorno veniamo convocati dal co– mandante del carcere Busti, il quale ci contesta di aver opposto resi– stenza e di aver oltraggiato le guar– die che ci scortarono nei sotterra– nei (cosa assolutamente falsa, per giustificare le lesioni riscontrate sui nostri corpi). Ci contesta altresi di aver introdot– to una rivoltdla del tipo Flobert cal. 6 nello stabilimento, che a suo dire sarebbe stata trovata nell'ufficio dei conto correnti, ove noi cinque svolgevamo il nostro lavoro di im– piegati. Naturalmente, non avendo mai posseduto quell'oggetto, re– spingiamo ogni addebito all'interro– gatorio del Pretore di Volterra. Nonostante ciò, siamo deferiti alla magistratura, pur avendo subito tutti quegli abusi e violenze; non solo vengo persino citato come te– ste per un'altra separata denuncia rivolta nei confronti di Manfrinato Vani Alberto, al quale lo stesso pre– tore in udienza, infligge 9 mesi per oltraggio, per aver offeso un agente carcerario, malgrado essendo sta– to io stesso presente al fatto, abbia confermato dinanzi ai giudici la to– tale innocenza del compagno Vani. Questi avvenimenti sono spesso di ordinaria amministrazione in parec– chi reclusori italiani, particolar– mente in questo di Volterra. Le guardie carcerarie sono i più bei campioni di sadismo umano, ogni volta è un piacere per loro far parte to costruita sull'ideologia del Po– tere, del Maschio, dell'ordine e della repressione, ed è il consen– so a questo Stato che ce lo fa es– sere tanto «esterno» quanto «in– terno». Anche se molti si sono chiusi nell'autoflagellazione del proprio potere interiore, ciò non toglie che anche fuori «il potere esiste». Con questo potere biso– gna fare i conti in modo nuovo. La nostra rivoluzione deve essere nuova e non la caricatura dell'an– tica. Violenta certo, ma non ne– cessariamente la violenza dev'es– sere rappresentata nel suo feti c– ci o di mitra. Anzi è proprio il «feti– cismo del mitra» come anche l'ideologia del martirio che può al– lontanarci dalla rivoluzione. Biso– gna inventare una nuova rivolu– zione. Che non è poi così distante da quella che era stata la sintesi, RE NUD0/9 della squadra del pestaggio, anzi taluni fanno a gara per entrarci, è una cosa bella per loro colpire in venti o trenta contro uno, linciare nel vero senso della parola un pove– retto che nella maggior parte delle volte non ha commesso nulla di male, tuttalpiù per aver detto qual– che parola in soprappiù. Le carceri della nostra bella Italia sono il simbolo di un'inciviltà e di una barbarie degna di quella del Mamertino nell'antica Roma, o delle prigioni del Pellico. La situazione è insostenibile, il detenuto è trattato alla stessa maniera di un animale; l'opinione pubblica non può certo giungere a pensare come realmente stanno le cose in questi luoghi. Quanti ho sentito esclamare: «Cre– devo che fosse dura in carcere, ma cosi... Se sono scoppiate delle ri– volte, se ne scoppieranno altre, la causa sarà da cercarsi nell'insoste– nibile ed inumano trattamento in uso. È chiaro che un animale vissu– to in cattività, o un cane continua– mente alla catena, diventino delle bestie pericolose. Anche nelle ga– lere del periodo dello schiavismo vi furono ribellioni ed ammutinamenti, oggi è come allora, se non peggio, se prima c'era il negriero con tanto di frusta, oggi siamo in balia di gen– te senza scrupoli che può fare di noi ciò che meglio crede, vi dà confer– ma l'avvenimento che ho narrato, nel quale, abbiamo purtroppo inter– pretato, a nostre spese, la parte dei protagonisti. Gennaio 1971 Martino Zichittella in fondo, del '68: la lunga marcia attraverso (il che vuol dire non tanto «dentro» quanto «al di là») le istituzioni. Come molti di noi hanno compiuto e compiono una marcia «in sé» una marcia di de-strutturazione del vecchio io, così bisogna ri– prendere il cammino dì de-strut– turazione quell'io che sono le isti– tuzioni. E le nuove istituzioni, che vanno a reggersi su un consenso operaio imposto, ma sempre con– senso, sono ancora più vicine al nostro io. Ed è ancora più difficile «destrutturarle». Tuttavia è solo questa «destruttu– razione» che può essere una ri– sposta alla «ristrutturazione», è questa «destrutturazione» che mantiene aperta e dolorosa la pia– ga della contraddizione nel cuore (che non c'è) dello Stato (che c'è).

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