Salvatore Barzilai - Contro la Triplice alleanza

N. 22 • S lugllo 1915 PUBBLICAZIOSNEETTIMANALE ContoCorrentecon la ~osta :l @~~ ~~ l fi cc 1 ~ PROBLEMI IT l\Lll\NI x------ )O :i S. BJ\RZILJ\I l Ì 1 • ~ CONTRO ~ ,t . LA ~ l - ~/ ~ . . ~ ~:·~:Ò(J ~

PROBLEMI ITlìLilìNI XXII. Sf\LVl\TORE Bl\RZILì\l CONTRl ~ LA TRIPLICAE EANZA MILlìNO ' Rl1Vfl & C. - EDITORI 1815 B bJ1otecaGino Bidnco

PROPRIETÀ l\,ISERVATA TIP,LIT.RIPALTA•MLIANO Biblioteca Gino Bianco

Salvatore Barzilai, triestino, è stato per molti anni il solo deputato che in Parlamento abbia osato parlare della Triplice alleanza con libertà di giudizio. Egli ogni volta misurava i danni e i vantaggi di quell'alleanza sui fatti, senza retorica, serenamente. La guerra d'oggi è il trionfo suo e d'altri pochi. Per questo, pubblicare adesso i passi salienti dei suoi discorsi e dei suoi scritti significa anche redimere, un poco, il Parlamento nostro dalla fama di unanime rassegnata indifferenza alla servile politica estera durata per tanto tempo, e ora interrotta, prima di tutto, per volontà del popolo. L'EDITORE. B•bl1otecaGinoBianco

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O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦O♦ La politica estera, Il Paese e i Ministri. (Dal discorso parlamentare del 17 maggio 1904): Il paese spesso non ha creduto che la politica estera sia un genere di prima necessità. L'ha sempre catalogata fra gli oggetti di lusso, ed ha ritenuto e ritiene che uno stato come il nostro ppssa regolarmente dispensarsene, senza riflettere che, se non facciamo noi la politica estera, la fanno gli altri, e di serio proposito, e ce ne arrivano sulle spalle le conseguenze, quando meno si aspettano; onde ci è forza correre di tanto in tanto, assai spesso troppo tardi, al riparo. E quando poi tale stato di opinione si abbatte in un Gabinetto presieduto dall'onorevole Giolitti, il fenomeno s'intensifica di molto per questo : perchè io penso che l'onorevole Giolitti in materia di politica estera segua fedelmente la scuola di Agostino Depretis; il quale considerava la politica internazionale semplicemente come un male necessario. Quando una questione internazionale appare sull'orizzonte, diceva il vecchio di Stradella, io apro · l'ombrello ed al riparo aspetto che passi. (Dal discorso parlamentare dell'B marzo 1914). L'onorevole Giolitti appartiene al tipo classico di quella nostra falange (egli non ne fu il capostipite) di uomini di stato italiani, i quali delle competizioni internazionali ebbero sempre un concetto molto particolare. Questi uomini, nati nel Parlamento o traenti la loro origine da alte funzioni burocratiche dello stato, innamorati del loro paese e desiderosi della sua prosperità, non pensavano come taluni dei nostri maggiori, che la vita interna è io strumento e la vita esteriore il fine dei popoli, che la sicurezza della casa non sta solo nel cateB1bl1otecaGino Bianco

-6naccio posto alla porta, ma nell'impedimento delle servitù di passaggio e di prospetto; che la fortuna economica della famiglia non sta nel ritrarsi sempre e soltanto entro le ben munite porte, ma nella sicurezza della strada, nell'intrecciarsi dei rapporti e degli interessi. (Dal discorso parlamentare del 18 marzo 1906). Vi sono due categorie di irresponsabili nella politica est:era : gli irresponsabili per destinazione di legge, i quali qualche volta compiono opera perturbatrice, servendosi all'uopo di brindisi, di proclami, di visite, fatte e negate, di manovre ordinate, di un complesso dr elementi, dei quali la situazione estera porta talora a lungo le tracce. E vi sono gli irresponsabili per ragione necessaria, perchè tenuti sempre all'oscuro di tut(o, ignari dei patti, dei fini, dei giochi di scena e di retroscena, e questi costituiscono il popolo. Tra queste due categorie di irresponsabili vi è quella dei ministri responsabili costituzionalmente ; a riguardo dei quali è lecito dire che mentre principi e popoli, o prima o dopo, pagano il fio dei loro errori, essi, generalmente, non rispondono mai di nulla ! L'ideale della Patria e I governi, (Dal discorso parlamentare del 12 giugno 190 I). Vi era e vi è in Italia un partito, il partito repubblicano, che, malato d'idealismo, tutte le volte che si è trattato dell'unità della patria, non ha guardato alla bandiera per la quale combatteva; questo partito scaldava l'ideale patrio delle rivendicazioni nazionali. Io consento perfettamente che i poteri pubblici avessero facoltà di limitare e correggere l'espansione di questo movimento: i poteri pubblici, imperi q,uesto o quel sistema di alleanze, hanno la responsabilità dei rapporti internazionali. E ben si sarebbe potuto da essi temperare, e così raggiungere la situazione della Francia, ove l'ideale è fortemente coltiv&to senza essere propagato rumorosamente. Ma in Italia dai poteri pubblici si è usato un altro siB1blloteca G•no Bianco

-7sterna, si è cercato, consentitemi la parola, di falsificare. di calunniare il sentimento. espresso da quella parola, I'« irredentismo »; si è cercato di rappresentare i fautori dell'ideale patrio quali facinorosi, ossia come uomini cui ·non movesse lo scopo vero che confessavano, ma che invece mirassero al sovvertimento degli ordini costituiti sotto il pretesto d'una agitazione patriottica. E siamo venuti a questo risultato del quale si possono ben rallegrare le cancellerie degli Imperi alleati! Ouesta agitazione non solo è finita, ma è assai se si trovi di tratto in tratto chi ricordi e chi inciti a ricordare. Perchè la campagna ha fatto il suo effetto, e mentre in Francia, il sentimento contenuto ha creato la forza di quella nazione, la quale divenuta elemento di pace in Europa, ha pur sempre tenuta viva questa fiamma, e da questa ha tratto il vigore delle sue lotte, ed ha visto lontano la mèta ultima, forse lontana, ma sicura, verso la quale e per la quale sacrifici anche gravi di danaro e di forza erano compatibili e sopportabili; in Italia, spenta questa fiaccola o quasi spenta, perchè così sbattuta, che cosa è rimasto di contenuto içleale alla vita del paese? (Dal« Trentino e Venezia Giulia »: pubblicazione dell'ottobre 1890). Il programma irredentista - si è affermato a Firenze da Francesco Crispi nel 1890 - abbraccerebbe Trieste ·e Trento, Nizza e Savoia, Corsica e Malta e il Ticino. Di queste provincie esso domanderebbe la immediata simultanea rivendicazione, la chiederebbe colle armi in pugno, in nome del principio di nazionalità. Poste queste premesse, facilmente e necessariamente si arriva a conclusioni straordinarie e paurose. Si arriva alla guerra, senza armi sufficienti e senza alleati, contro tutte le nazioni minacciate direttamente, ·e contro quelle che alla costoro integrità hanno indiretto interesse; si arriva al sovvertimento degli ordini costituiti, alla restaurazione del temporale, alla distruzione dell'unità! Vogliono tutto questo gli irredentisti? E così spento in loro il senso della realtà e la pietà del loco natio, da preparare cosiffatti disastri, da scordare tutta una storia di dolori e di sacrifici per giocare ai dadi la patria? 8,blìoteca Gino Bianco

-80 ci troviamo per avventura di fronte ad una triste imitazione dei vecchi sistemi, che la polizia straniera se- ~uiva a Venezia e a Milano, introducendo programmi incendiari nelle case e coccarde sediziose nelle tasche dei patriotti, per trascinarli poi, come colpevoli di tradimento, innanzi ai tribunali statari? La coscienza d9gli .italiani non ammette abdicazioni e rinunce perpetue a questa o quella parte di territorio. Ma esia intende benissimo che la comunità della lingua e la stessa continuità geografica non creano una ragione sufficiente a fondare le rivendicazioni territoriali. Tutti gli elementi che costituiscono la nazionalità : storia, etnografia, etiologia, geografia, aspettano vita da uno, che è di tutti la essenza : dalla coscien~a di nazione, dal sentimento per cui coloro che parlano la stessa lingua, ed hanno tradizioni comuni, e comunità di costumi, e comune il cielo ~d il genio, per gravitazione naturale si sentono attratti a formare una sola agglomerazione politica; tutti aspettano sanzione dinanzi al mondo dalle ragioni supreme, alle quali è legata l'esistenza d'uno stato. (Dal discorso parlamentare del I maggio 1899). Prima del Congresso di Berlino noi pensavamo al mare Adriatico; e non era soltanto a pensarci il popolo minuto degli irredentisti reprobi. La delusione fu rapida. Ed allora noi torcemmo lo sguardo dal primo mare nostro e lo volgemmo al Mediterraneo. Ma quando? non certo al Congresso di Berlino, dove, avendo Bismarck, l'onesto sensale, offerto al conte Corti di andare a Tunisi, ebbe risposta che il Governo italiano non si sentiva in animo di accendere una guerra con la Francia. Però, quando i fatti posteriori al Congresso di Berlino ci illuminarono, il Mediterraneo divenne massima preoccupazione; allora fu stretta la triplice alleanza ,imperiale, commentata dai suoi più autor9voli fautori ed iniziatori come quella la quale ci doveva garantire che al fatto di Tunisi qualche altro simile non dovesse seguire. Dunque il Mediterraneo fu per qualche tempo il secondo obbiettivo della nostra politica. Ma ad un certo punto un altro mare ebbe per noi il miraggio di una Biblioteca Gino Bianco

-9attrattiva suprema. E dal suo banco un giorno il ministro Mancini diceva : (( Quale è il mare più vicino al Mediterraneo? il mar Rosso : andiamo al mar Rosso, e del Mediterran_eo nel fondo vi troverèmo le chiavi!» E l'avventura d'Africa fu. E dopo le disillusioni e i disastri dell'Africa, ecco che noi nuovamente dal mar Rosso siamo tratti anche più lontano, al Pacifico; ecco che improvvisamente si dice essere gli interessi veri dell'Italia nell'Oceano Pacifico; e questo ripetono a memoria nelle farmacie tutti i perocchetti ammaestrati dai ministri e dai loro amici. Si è quindi costretti ad affermare che non la fortuna, non la meditazione dei nostri veri obbiettivi, ma il caso, unicamente il caso cieco, la fatalità e la sconfitta, furono a condurci via via attraverso questo calvario, doloroso per il nostro credito e per le nostre finanze. Tunisi e la formazionedella Triplice, (Dal discorso parlamentare del 3 marzo 1914). La Destra e la Sinistra hanno la stessa responsabilità solidale nel fatto di Tunisi. Il marchese Pepoli in Senato, il barone Blanc in Sen&to raccontano che nel '64 e nel '67 Napoleone III al Gabinetto Minghetti domandava : Perchè non andate a Tunisi? Risposta del marchese Visconti-Venosta : Noi vogliamo lo statu quo in Tunisia. Nel 1876 vi è il viaggio dei principi reali a Vienna; il conte Andrassy ha un colloquio col conte di Robilant e dice : Ma perchè non andate a Tunisi? E il conte di Robilant : Non vogliamo conquiste africane; a noi basta che altri stati non vadano a Tunisi. Nel 1877 è a Vienna il generale lgnatieff, il quale alla vigilia della guerra turco-russa cerca solidarietà con gli stati europei, e allo stesso conte di Robilant dice : Ma perchè non pensate voi a Tunisi? E il conte di Robilant questa volta risponde celiando : Timeo Danaos et dona ferentes. B blioteca Gino Bianco

- 10 ..- E siamo al congresso di Berlino. Il secondo delegato tedesco, conte von Btilow, dice al conte Corti : Ma non vi parrebbe giunta l'ora di andare a Tunisi? E il conle Corti ha una risposta che è più precisa delle altre : Ma ci volete mettere in cattivi rapporti con la Francia? (Dal discorso parlamentare del I 2 giugno I 90 I). Tunisi fu un fatto grave; e fu tanto più grave in quanto che (anche qui la storia ne dà la genealogia molto chiara e molto istruttiva) fu di creazione francese ma di ispirazione tedesca. Con la occupazione di Tunisi la Germania cercò di gettare le basi della futura vagf-\eggiata alleanza ; fu il cancelliere t~desco il quale incitò la diplomazia francese a maturare ciò che era nelle sue intime aspirazioni. Dunque il fatto fu tale da costituire non senza ragione, a quei giorni, uno dei coefficienti principali della politica della triplice alleanza che noi coscientemente combattiamo. La situazione di allora tra anche più grave e complessa. L'Austria minacciava palesemente il nostro territorio, perchè la politica interna dell 'I talia non si era abbastanza sommessa alla politica estera. E noi fummo condotti a Vienna per una dolorosa necessità. Voi sapete in quali condizioni siamo andati a Vienna; non solo fu imposto quell'itinerario per arrivare a Berlino, non solo fu imposta la divisa, non solo appena l'ospite regale aveva lasciato la capitale dell'Impero, nelle Delegazioni austriache il barone Kallay usava parole di disprezzo, che si dovettero poi far rettificare nei comunicati ufficiali dell'Agenzia Stefani; ma fino allora si meditava di negare ciò che nei rapporti civili dei comuni cittadini si usa dr compiere : la restituziont della visita fatta dal Re d'Italia. In questa situazione andammo a Vienna; ma fu punizione meritata (oso dirlo) della nostra politica precedente. Un popolo che in tali condizioni stringeva l'alleanza, un solo pensiero avrebbe dovuto coltivare : far giungere il giorno nel quale da questa umiliazione potesse riscattarsi, fare una politica la quale avviasse almeno a rivendicare la sua libertà d'azione, trovarsi un giorno faccia a faccia degli alleati non in veste di nemici, ma come uomini che delle loro minacce e della loro tutela non Biblioteca Gino Bianco

- 11 - avevano paura e bisogno, e dire : abbiamo espiato i nostri errori, li abbiamo amaramente pagati, adesso faremo una politica italiana, meditata, spontanea, cosciente. Che cosa s: è fatto ir..vece? La triplice alleanza è un po' per voita entrata nelle abitudini svogliate della diplomazia italiana e del paese. Era cosa tanto semplice, dava cosi poche noie, era un trattato che il ministro degli esteri trovava nel suo scrigno alla Consulta bello e fatto. Era la giustificazione dell'assenza di una quelsiasi politica estera dfettiva; e noi restammo nella triplice alleanza, come un gentiluomo che si appaghi di mostrare la sua tessera di appartenenza ad un club aristocratico, e sia visto là dentro più o meno bene, salutato, sì e no, ·nei modi dovuti. E così abbiamo trascorso la nostra vita politica internazionale per il lungo periodo che corre dal 1882 in poi. È lecito allora, in brevissimi tratti, fare un leale bilancio della politica delle alleanze. Un leale bilancio, perchè io mi studio di non combatterle da un punto di vista esclusivo, ma di mettere a raffronto lo sforzo confessato e dichiarato con i resultati ottenuti. Noi, dunque, ci eravamo legati alle potenze centrali perchè l'equilibrio del Mediterraneo non fosse ulteriormente turbato. Ma, le fortificazioni di Biserta, cioè il fatto per cui la conquista fra-ncese di Tunisi divenne veramente pericolosa ed offensiva per l'Italia, si svolse sotto gli auspici della triplice alleanza ; e sotto gli auspici della triplice alleanza si è firmato il protocollo fra l'Inghilterra e la Francia per la delimitazione dell'entroterra tripolino. Ed io credo che la Francia non prenderà la strada di Ghedames, lo credo fermamente; ma nessuno di voi crederà che non lo faccia perchè noi siamo gli alleati degli imperi centrali ; forse non lo farà per una ragione diametralmente opposta : potrà sembrare a lei che noi siamo di quelli, ora, meno intimamente alleati di 1rna volta. Biblioteca Gino Bianco

- 12 - IntenU germanici e interessi austriaci nella formazione della Triplice. (Dal discorso parlamentare del 23 maggio 1902). Il principe di Bismarck cominciava col definire gli scopi di politica interna che egli voleva raggiungere con la Triplice, e diceva : << Noialtri tedeschi abbiamo la missione di mantenere un elemento d'ordine monarchico a Vienna ed a Pietroburgo, e di stabilirlo anche a Roma, dando ali 'I tali a l'appoggio di queste potenze». Uno dei concetti dominanti della politica bismarckiana era dunque questa idea di una specie di mutua assicurazione delle coronp. Ma non era questo soltanto il suo scopo; e diagnosticando per diversa via la ragion d'essere (quale appariva anche a molti dei nostri uomini di stato allorchè la strinsero la prima volta) della triplice alleanza, diceva questo : <e Siamo partiti dal concetto che l'adesione dell'Italia alla triplice dovesse principalmente riuscire ad impedire i tentativi dei francesi per far rientrare l'Italia negli antichi rapporti con essi». E soggiungeva subito, cosa che viene a dimostrare come fino dalla sua origine imperfettamente rispondesse la triplice alleanza anche a questa finalità : << la garanzia che in caso di guerra potrà la triplice alleanza offrire all'Italia non è però sufficiente; l'Italia, a cagion 9 della sua posizione e della estensione delle sue coste, può sempre essere minacciata dalla Francia, e non ha contro quest'ultima da affidarsi che alla difesa dell'Inghilterra». Quindi, la lotta contro la Fraocia, ragione per l'Italia del presidio internazionale che la Triplice le poteva offrire; presidio dichiarato però subito insufficientè. Ed il principe di Bismarck aveva del resto del casus foederis un concetto molto curioso. Diceva infatti in un 'altra parte delle sue memorie: <e Non è la missione del- ! 'impero tedesco di portare i suoi sudditi agli altri, di contribuire col sacrifizio del loro sangue e dei loro beni a r~alizzare i voti dei vicini ». Dato anche, dunque, che questo famoso caso di alleanza si fosse verificato, il· prin81bhotecaGino B1dnco

- 13 - cipe di Bismarck si preparava così a ·una di quelle sc'ttili interpretazioni che i diplomatici sanno fare a certi momenti, e delle quali anche noi nel 1866 abbiamo avuto forse qualche principio di esempio; si preparava sopratutto a tutelare il sangue dei suoi granatieri di Pomerania! Ad ogni modo, ripeto, I.a difesa contro la Francia, era dichiarata Io scopo principal'e dell'entrata dell'Italia nella triplice alleanza; e aggiungeva il cancelliere tedesco: «Ciò che unisce l'Italia alla Germania è che si sentiranno ambedue minacciate il giorno in cui la f;ancia sarà in grado di intraprendere una guerra offensiva e contro l'Italia "9 la Germania, e alleato della Francia sarà il Vaticano». E concludeva: «Questa considerazione ha avuto nella formazione della Triplice tanta influenza su tutte le parti contraenti, che l'Italia ha consentito in vista di ciò il sacrificio di altri suoi gravi interessi)). (Dal discorso parlamentare del I dicembre 1908). Quando, 1 nel 1882, fu per la prima volta stretto il trattato della triplice alleanza, l'Austria aveva il supremo interesse a che questa alleanza si facesse; perchè, costituitasi essa rivale della Russia nel Congresso di Berlino, sentiva il bisogno di tenere sguarnite le sue frontiere di occidente per opporsi ad una invasione che dall'avversario dell'est potesse tentarsi. Orbene, risalgono a quell'epoca documenti che d0vrebbero aver lasciato traccia negli archivi della Consulta,_ risalgono a quell'~poca lettere scritte dal conte di Wimpfen al conte Maffei segretario della Consulta. Si era scelta questa forma attenuata per non dare alla r'lanifestazione di queste idee la forma ufficiale di un carteggio tra ministri ; ed in una di queste lett~re, destinata ad allettare l'Italia ad entrare nella IE'ga con l'Austria, si diceva (l 'Itaìia era uscita allora s:ottata e addolorata dal Congresso di Berlino in rnodo particolare per l'annessione della Bosnia ed Erzegovina) sostanzialmente questo: « Noi saremo amici ed alleati. Giungerà, avrà a giungere il giorno in cui l'occup1zion~ dovrt, essere regolata. Potremo parlare di C;>lì'pcnsi in premio della vostra neutralità. Potremo parlare anch ~ dcli a restituzione del Trentino ... ». B hliòteca Gino Bianco

- 14 - Passività della Trlpllce per I' Italia. ( Dal discorso parlamentare del I 8 dicembre J 912 ). Ma qual 'è il contenuto della triplice alleanza attraverso le sue varie rinnovazioni? Io lascio la preistoria, documentata dai recenti volumi di Francesco Crispi, il quale affermava che le minacciate insurrezioni del legittimismo francese verso la sovranità italiana su Roma erano state il pensiero animat-ore di questa lega. Io abbandono questo argomento, perchè possono i vecchi imperatori sdegnare di porre il loro piede nella città sconsacrata, e possono i loro validi successori imitarne l'esempio; non per questo vacilla nell'animo nostro la fede nella irrevocabilità dei fatti compiuti. Un argomento sostanziale determinava la stipulazione dell.a triplice allenza : il Congresso di B,erlino. Il Congresso di Berlino, a cui noi andammo in perfetto stato di isolamento, forse nella compagnia delle nostre illusioni e delle nostre idealità, a questa conseguenza ha portato : che la Russia, la quale aveva dato il sangue di ventimila cittadini per la risurrezione delle stirpi balcaniche, era, come diceva un giorno il capo· dei panslavisti Acsakoff, così ridotta, che la corona della vittoria le era strappata dal capo, e vi era sostituito il -berretto a sonagli del buffone da circo. Le sole potenze che gu;idagnarono qualche cosa al Congresso erano quelle che non avevano levata la spada dal fodero. Venne ç!al Congresso di Berlino la protezione della Bosnia, venne l'acquisto di Tunisi. Ed i parlamentari italiani, fra i primi l'onorevole Sonnino nei suoi discorsi e nelle sue Riviste, afformarono che l'isolamento nel Congresso di Berlino doveva essere una tremenda lezione per lo stato italiano, e che la politica di accordi e di alleanze permanenti doveva essere raccomandata. E attraverso gli avvenimenti, che io non andrò qui ricordando, attraverso il viaggio di Vienna, sul quale il conte di Robi!ant scrisse anche pagine non dimenticabili, la lega fu stretta. Ed essa aveva due clausole sostanziali (senza lettura di trattati segreti, sono di raB blioteca Gino Bianco

- 15 - gione comune) : l'alleanza con gli imperi centrali dove~a garantire anzitutto l'Italia da nuovi turbamenti nel mare Mediterraneo, -<lov~va garantirla da nuovi turbamenti nel mondo orientale. In parentesi, è lecito affermare che, sotto gli auspici della triplice .alleanza, non solo Biserta diventava porto fortificato, rendendo di gran lunga più pericolosa e minacciosa l'occupazione di Tunisi, ma la Bosnia e, la Erzegovina diventavano possedimenti sovrani dell'Austria-Ungheria. Ma nei riguardi del Mediterraneo si comprese subito questo : che la clausola contenuta nel trattato, che doveva essere di sua natura essenzialmente negativa; non era sufficiente; e allora, nel 1902 e nel 1904, furono stretti gli accordi mediterranei con la Francia e con l'Inghilterra, che dovevano rendere possibile l'acquisto di Tripoli. E oggi ufficialmente si afferma che questi accordi sono sempre in vigore, e facilmente si intende da tutti che il pacifico possesso di quella regione ci potrà essere ben j)iù facilmente garantito dall'afforzamento di quegli accordi, e non dalla minaccia delle armi che dall'altra parte potesse delinèarsi. Quindi, dal punto di vista dell'interesSè del Mediterraneo, la triplice alleanza, quando l'equilibrio mediterraneo è ristabilito con la nostra conquista, veniva ad essere sostanzialmente svalutata. Ma vi era anche l'equilibrio adriatico, l'interesse orientale. Si sono determinati, innanzi alle meraviglie del mondo, gli avvenimenti balcanici. Nell'Oriente vi è un cartello che dice : «tutto occupato». E diceva il principe Eugenio a Carlo VI : una occupazione vale più di dieci prammatiche sanzioni. Quindi, anche dal punto di vista dell'oriente europeo, lo scopo di tutela della triplice alleanza vien meno, o quanto meno viene in grande misura ridotto. Resta ciò che non è strettamente paese balcanico, che non fu riguardato nel trattato della triplice. alleanza, ma in un accordo distinto da quel trattato : la questione dell'Albania. Ebbene, esaminiamo con schiettezza tale questione : e vediamo quale sia l'interesse italiano e quale l'interesse austriaco nell'Albania. Noi abbiamo questo interesse sopra ogni cosa; che l'occupazione di Vallona da parte di un qualunque stato straniero, e in B blloteca G no Bianco

- 16 - particolar modo di una grande potenza, non venga a crearci nel basso Adriatico quelle identiche difficili condizioni che la nostra difesa ha nell'alto Adriatico, ove sono porti innumerevoli nelle mani del nostro alleato, ove noi non abbiamo basi d'operazione. Il problema adriatico dell'Albania è tutto in questo; non nella favoleggiata chiusura del mare Adriatico, ma nella impossibilità per noi di co.nsentir,e che a poca distanza da Otranto, dal Capo Linguetta, vi possa essere una base di operazione militare in altre mani che non sieno le nostre. Noi avremmo interesse di occuparla : in transazione volentieri vi rinunciamo, se altri la rispetta. Or bene, se questo è di nostro grande interesse, e S·e l'Austria invece ha un interesse di carattere secondario in confronto del nostro per la molteplicità dei suoi porti nell'Adriatico (da Pola, p9 r esempio, si può minacciare la costa italiana, sino a Senigallia) meravigliosi rifugi naturali o artificiali alle sue navi, il ragionamento che fu fatto dal Visconti-Venosta e dal Prinetti nel1'accordo col conte Goluchowsky fu questo: che aH'infuori e indipendentemente dall'alleanza, noi possiamo, sorpassando alla realtà, fare la equazione di questi interessi, t quindi stringere un accordo, che l'Austria avrà più di noi interesse di rispettare, perchè noi faremo in suo vantaggio una importante rinuncia. Ed allora io dico: il problema' dell'Albania, se è stato possibile l'accordo con la Francia e con l'Inghilterra nel Mediterraneo, è un problema indipendente dal patto di portare le forze, in caso di attacco, in soccorso dello stato vicino, è un problema che si fonda su una conmunità di interessi, che può essere, che è stata, all'infuori del trattato; che potrebbe ~ssere oggi, potrebbe essere domani, ugualmente salvaguardata senza di esso. E quando si rifletta che questo patto con l'AustriaUngheria fu convalidato e riassicurato dagli accordi di Racconigi con la Russia - a noi sinceramente amica - accordi che non rappresentano una novità rinfacciabile alla politica italia11a (perchè accordi con la Russia - ebbi altre volte a rammentarli - si fecero dall'Austria e dalla Germania in pendenza della tripJ.ice alleanza, con la triplice alleanza imperiale e furono a noi tenuti segreti Biblioteca Gino 81dnco

- 17 - nel giorno della stipulazione; perchè persino daUa Germania si è stretto il patto di neutralità benevola con la Russia mentre vigeva l'alleanza deH' Austria contro la Russia, patto chp fu rivelato dallo stesso Bismarck nel 1896); allora si può domandare a rigor di logica : se quelle che erano le due finalità principali del patto sono venute meno, perchè rinnovare l'alleanza? Forse perchè l'alleanza garantisce la pace europea? E aHora mi si consenta di fare un 'altra indagine. Negli ultimi anni, quattro volte fu minacciata la pace europea : con lo sbarco di Tangeri che portò alla Conferenza di Algesiras, con l'annessione della Bosnj,aErzegovina, col fatto di Agadir, come è minacciata con gli avvenimenti balcanici di oggi. Ora io domando : è dunque la triplice alleanza che si esercita in qupsto pericoloso sistema di creare pericoli alla pace per mostrare la sua forza nel salvaguar<larla? Non pare assai conveniente, ed è molto pericolosò. A buon conto, se questa tesi potesse sembrare assoluta, io ne prendo in prestito un'altra da uomini che furono antichi fautori dell'alleanza e l'hanno a viso aperto sostenuta sino a questi giorni, da uomini che forse ebbero parte nel Governo della cosa pubblica italiana, da uomini di non smentita triplicistica fede. E la tesi è questa : certo è che con la risoluzione del problema mediterraneo, e dopo gli avvenimenti balcanici, sono ridotte al minimo le guarentigie che noi dobbi,amo chiedere ai nostrt alleati, mentre col passaggio dell'Inghilterra . dalla adesione effettiva alla triplice alleanza, a quella verso la triplice int~sa, sono portat9 al massimo quelle che noi agli alleati dobbiamo dare. Il valore delle alleanze. ( Dal discorso parlamentare del I 2 giugno J 90 I). Il conte di Robilant, nel 1887, dopo il primo esperimento della Triplice, in una lettera ufficiale al conte De Launay scriveva queste parole (la lettera è vecchia, ma f.orse non è conosciuta da tutti, poichè i libri che pubblicano i documenti che già furono segreti, qualche volta restano più segreti di quello che non fossero i docuB•blioteca G no Bia'lCO

- 18 - menti) : « Decisamente io sono stanco di questa alleanza infeconda, e non mi sento il coraggio di portarla a rinnovazione, perchè sento troppo profondamente che essa sarà sempre improduttiva per noi. E possibile che Bismarck si sia ingannato a mio riguardo e si sia immaginato che io sentirei sempre il bisogno di essergli à sa suite; ma si ·è ingann.ato stranamente». << E dunque più che probabile che io non rinnoverò la alleanza, e mi riserberò di legarmi a chi mi parrà quando il momento sarà venuto. Desidero dunque che, per ciò che dipende da Voi, lasciate cadere ogni scambio d 'ideè circa la rinnovazione. Se io resterò, mio malgrado, agli affar-i, pontinuerò a seguire, finchè si tratterà della conservazione della pace, la linea di condotta seguita fin qui; il giorno in cui scoppiasse la guerra, se mi faranno condizioni convenienti le accetterò con piacere, altrimenti prenderò il partito che crederò più conveniènte ». (Dal discorso parlamentare del 18 dicembre 1912 ). L'Italia è stata lungamente assente dalla politica estera : l'onorevole Giolitti, il Governo, vollero chiamarvela dentro mostrando la linea di un grande interesse che doveva essere protetto; invano cercl}ereste più d'impedire I 'ingressò effettivo nella politica estera alla coscienza del paese; invano pretendereste che chi vi diede ieri le migliori forze per :la vostra battaglia, oggi ne stia lontano, indifferente ed insciente, quando la difesa d' interessi che negassero i nostri sia la vostra direttiva politica, Perchè in quel giorno in cui trentadue anni di alleanza ci dessero gli stessi ,esultati dell'isolamento di Berlino, nel giorno in cui dovessimo essere travolti in oscuri conflitti nei quali noi non avremmo speranza possibile di vittoria, ed avremmo perduto prima di com- . battere, in que"l giorno il paese ripeterebbe le parole di Ottone di Bismarck, l'autore dell'alleanza, ed il suo più autentico commentatore: « Non è la missione dell'impero tedesco di portare i suoi sudditi agli altri Stati, e contribuire, col sacrifiéio del loro sangue e dei loro figli, a realizzare i voti dei loro vicini: ultra posse, nemo obbligatur ». « Nessun popolo, sull'altare della fedeltà ad un trattato, potrà mai sacrificare le ragioni della propria esistenza ». Biblioteca Gino 81cmco

- 19 - L'equilibrio adriatico, l'Albania e gli Slavi. (Dal discorso parlamentare del 17 maggio 1904). Equilibrio adriatico : parola impropria, perchè in un mare com.e l'Adriatico mal si può parlare d 'equil.ibrio, di condominio fra due potenze; perchè Roma volle tutto il possesso derJl'Adriatico; perchè Io volle tutto, fino al canale di Otranto, la Repubblica di Venezia; perchè l'Austria ai suoi bei giorni... volle essere dominatrice senza limiti di quel mare, e possedette i porti della costa orientale per conto suo, e i porti di Ancona, di Bari e di Brindisi per la interposta persona dello stato pontificio e dello stato napoletano. E mai concepibile infatti una spartizione di influenza nel mare Adriatico,· come invece è possibile nel mare Mediterraneo. (Dal discorso parlamentare del 26 maggio 1914). Austria e Italia avevano un protocollo, una convenzione negativa, veramente provvidenziale, di disinteressamento nei riguardi dell'Albania. Parve a Vienna e parve a Roma che i nuovi avvenimenti balcanici rendessero insufficiente alla tutela reciproca, alla tutela di uno stato contro l'altro, questo protocollo che il marchese Visconti-Venosta firmava col cancelliere Goluchowscky ai suoi tempi. E di qua sorse il concetto, sorgeva il programma, d~II' Albania indipendente. E ,..uesto programma a due, tra l'Italia e l'Austria-Ungh,eria, si portava ad internazionalizzare alla conferenza di Londra. Si portava a Londra, perchè dall 'Europa avesse una formale consacrazione. E l'Europa, la quale in verità a questo problema non aveva dedicato molto interessamento e molta simpatia, s'interessò solo quando sorse la questione dei confini settentrionali e meridionali, perchè allora entravano in giuoeo interessi suoi di ben diversa portata. L'Europa fece quella meravigliosa opera alla quale noi abbiamo assistito; cercò un principe tedesco, cristiano, per un popolo che è per due terzi o per tre quarti mussulmano; trovò una gendarmeria olandese; B bl1oleca Gino Bianco

- 20imaginò una banca internazionale; ideò una commissione di controllo. E quando ebbe fatto tutto questo, dimenticò di mettervi sopra la protezione di una campana di vetro. Non considerò se questa meravigliosa fabbricazione da tavolino, se quest'opera uscita dai cervelli delle Cancellerie europee avesse un fondamento di possibile e sicura vita nelle condizioni di questo paese ... , e tutto avvtnturò all'esperimento del fatto. ( Dal discorso parlamentare del 18 dicembre 1912). Ma io accolgo il concetto dell'autonomia degli Albanesi, per quanto (mi consentano gli onorevoli ministri), io non sia addirittura in preda ad una esaltazione sentimentale, quando vedo levare questa bandiera di indipendenza ad oltranza della nazione albanese da coloro che il principio di nazionalità stanno applicando nel conosciuto modo coi ruteni, coi polacchi, e, se permettete, anche con gli italiani; quando qu~sto principio di indipendenza albanese è così raccomandato e portato entro un piroscafo del Lloyd da Kemal bey col passaporto ed il viatico delle autorità austriache. Se mi voleste far socializzare con questa novità improvvisa di sentimenti fondata sopra un principio del quale le conseguenze potrebbero essere assai disastrose per chi lo propugna, io resto scettico profondamente. Accetto invece - in attesa che la coscienza nazionale di quel popolo si· consolidi - la espressione diplomatica adriatica dell'autonomia. Ma quando guardo al metodo con cui può essere applicata, quando considero gli interessi contro i quali quest'autonomia può essere sollevata, e le proporzioni artifiziose con cui' può essere attuata, la identità d'interessi lascia luogo ad antinomie stridenti. Perchè, voi lo avete sentito, già si parla della costituzione di una stragrande Albania, che dovrebbe andare da Scutari fino a Giannina! Egli è che l'Austria ha delle antiche ragioni di risentimento con lo stato serbo, dal giorno che lo stato serbo si andò emancipando dai vincoli della sua egemonia, e noi queste ragioni non le abbiamo; egli è che i traffici austriaci hanno la loro direttiva dal nord al sud, mentre i nostri traffici l' hanno dall'est ali 'ovest. Biblioteca Gino Bianco

- 21 - Ora noi abbiamo il supremo interesse, l'Italia meri• dionale soprattutto, che sia spezzata la linea Roma-Vien• na.:costantinopoli, Roma-Vienna-Varsavia-Pietroburgo, e sia sosti:tuita da quella linea che da Brindisi, attraverso uno sbocco commerciale serbo, vada nel centro dei mercati orientali a rinnovare le nostre tradizioni e la nostra floridezza in levante. Questo è il nostro interesse, queste sono le nostre ragoni in confronto e in contraddizio• ne con le necessarie ragioni di intertsse politico-economico della nostra alleata! (Dal discorso parlamentare del 4 dicembre 1913). Noi non dobbiamo occuparci a fare degli Italiani in Albania per lasciarli poi disfare a Trieste. E qui la politica dei riguardi dell'elemento italiano dello stato si innesta alla politica estera generale. Nell'anno della guerra dei popoli balcanici, ai quali il discorso della Corona manda un saluto e un augurio, come è uscita 1'Italia nei suoi rapporti internazionali? L'onorevole di San Giuliano non voglia essere troppo ottimista e giudicare soltanto sulle carte riservate che tiene t1l suo dicastero, ma voglia mettere quelle carte in rapporto con un complesso di elementi che costituiscono la vita e l'opinione degli stati. Nei rapporti coll'estero l'Italia è usùita così : le nostre relazioni con la Russia notevolmente affievofite; compromessi, amareggiati, i rapporti con la Francia; e singolarmente raffreddati (e nessuna negativa varrebbe) quelli con uno stato col quale noi una volta si diceva dovevamo sempre avere buoni rapporti : con I 'Inghilterra. Non cerchiamo frasi attenuatrici: distrutta, o quasi, 1'amicizia e 1'intimità con le popolazioni balcaniche. Tutto questo è, si afferma, il risultato di un 'opera spesa per un 'alta finalità politica. Dunque, tutto questo sacrifizio di una situazione che fu presentata come politica dell'equilibrio, della onesta partita doppia, ·e che rappresentava forse un resultato non in tutto trascurabile della politica estera italiana, e per il quale si rendevano se non lieti, possibili, i rapporti con le potenze centrali, senza necessario ar.tagonismo con le altre potenze d'Europa; quest'opera fu compromessa per molta parte per cementare la intimità stretta con l'Austria-Ungheria alla costituzione dello stato albanese. B•bhotecaGino B1dnco

- 22Noi avevamo, a buon conto, per l'indipendenza della Albania, per la quesfione a•lbanese, un interesse supremo, questo : che l'Albania fosse effettivamente internazionalizzata; 1garanzia di tutte le potenze per I' indipendenza dell'Albania, perchè solo per questa via le sorprese dell'intimità, che volgono in diffidenze o in inimicizie, possono essere sventate. Ora, sia consentito dire al ministro degli esteri ed al presidente del Consiglio, che questa internazionalizzazione scritta su la carta, in fatto si è tradotta in aspro dualismo, che fa tornare alla mente la storia del condominio austro-tedesco nello Schleswig-Holst~in. Anche allora non erano il presidente dei ministri austriaco e quello tedesco che ingarbugliavano J.ecose : era il signor Manleuffer, governatore prussiano da una parte, a cui si rimproverava la sua attività soverchia; e il signor Glanzend, inviato austriaco, dall'altra, al quale si faceva eguale rimprovi;ro. Bismarck parlava del!'opera di costui, che scuoteva l'unità dell'amministrazione delle due potenze e comprometteva la pace d'Europa; e così reciprocamente dall'altra parte; gndi; si dovette venire a quella famosa convenzione di Gastein per la distribuzione dei raggi di influenza. Ma le gare, le gelosie, i confliUj non cessarono per questo. E, mentre si discuteva se o no un principe tedesco, un Wied, un Augustemberg, come si chiamava allora, dovesse avere effettivamente il potere in quel paese, k due alleate, un bel giorno, si trovarono di fronte a Sadowa! La storia non è mai stata maestra della vita, ed è per questo che si ripete sempre. Tuttavia non è inutile ricordare. Intanto. alle Delegazioni austriache un deputato socialista, Ellenborg, con molta indipendenza di spirito, e, diciamolo pure, con molta amicizia verso di noi, diceva : fate, fate l'indipendenza albanese per l'Italia e l'Austria; ma, passata la luna di miele, badate che il più piccolo successo economico dell'Italia, date le prevenzioni del militarismo austriaco, sarà considerato una sopraffazione e un tradimento. Ed egli dimostrava, per quanto non fosse uomo esperto delle cose segrete della diplomazia, BibliotecaGino B1dnco

- 23 - che questa combinazione, questa creazione che, non l 'affetto, ma il sospetto ha generato, poteva, a non essere molto cauti, a non avere al disopra una guarentigia che vada al di fuori dei rapporti singoli tra i due stati, poteva avere conseguenze diverse da quelle che si amano prevedere. Ma io, per l'argomento che ho già prospettato, vi domando : quale fu l'obbiettivo particolare di quest'opera che noi abbiamo dato ptrchè quella costa dell'Adriatico fosse neutralizzata? Questo : non si voleva la slavizzazione de!l 'Adriatico. Voi lottaste contro il porto serbo nell'Adriatico per il terrore della grande Russia, perchè, attraverso non so quali sbalzi e quali territori, non arrivasse all'Adriatico. Era la grande minaccia al nostro paese: e fu quindi, tra l'altro. la necessità di salvare l'equilibrio anche etnografico dell'Adriatico, che ci mandò in compagnia dell'Austria all'opera della indipendenza albanese. Ora che cosa è accaduto? Se noi avessimo potuto far forza di simpatia e di amicizia alle popolazioni balcaniche, avremmo assistito a questo spettacolo : che ventiquattro milioni di slavi dello stato austriaco, che al tempo di Venezia erano amici degli italiani, se avessero visto l'Italia amica delle loro rivendicazioni, anzichè rappresentata, anche artificiosamente dalla stampa austriaca, iniziatrice di ogni mossa a loro ostilç, avrebbero attenuata l'asprezza verso i nostri· fratelli. Oggi abbiamo ancora la ripercussione ostile della nostra ben diversa politica nel loro animo : lo slavismo veramente pericoloso nelle provincie italiane. (Dal discorso parlamentare del 18 dicembre 1912). Vi è un solo pericolo slavo che noi dobbiamo temere nell'Adriatico, ed è il regno della grande Croazia, chç per la sua salvezza l'Austria voglia creare, il regno di quegli slavi i quali, disorientati dal loro centro di attrazione naturale, vengono lanciati alla distruzione degli i~aliani. Non temiamo gli slavi che non siano strumenti dçlla politica viennese. La Repubblica di Venezia non ha mai temuto gli Schiavoni: la Repubblica di Venezia con la civiltà e i commerci se li è guadagnati. B 1:-lloteecGino Bianco

- 24 - Essi erano italiani, essi parlavano lo schiavone e l 'italiano : i nostri progenitori di quella Repubblica hanno, in mezzo a loro, levato il faro della civiltà italiana. ( Dal discorso pronunziato a Milano il 6 ottobre 1909). Trieste e Trento uniscono la loro voce a quella di mille interessi che all 'ltalia domandano una politica, nei rapporti tra gli stati, meno oscura e meno infeconda; indicano l 'esempio della Francia. Essa vide cadere le due gemme dal Sèrto, e nessuno dei suoi figli ha cancellato il nome di esse dall'animo, e nessuno, in nome di nessuna dottrina, oserebbe predicarne l'oblio. Essa si è presidiata di armi, di solidarietà non infide, e, chiusa in un grande silenzio, si è votata ad una grande opèra di ristorazione della sua vita morale civile. Assùma, divincolandosi da una stretta che cela una insidia, questa situazione l' Italia in Europa, e, come la Francia, postasi in regola con le proprie idealità colla propria sicurezza coi propri interessi, aspetti le fatalità della storia. Quando il conflitto divampi per volontà non sue, per prepotenze di altri, per fatalità di eventi, si troverà nella compagnia delle sue tradizioni, nella direttiva dei suoi ideali. ( Dal discorso parlamevtare del 18 dicembre 1906). Ma voi risponderete che mantenete la triplice alleanza, perchè volete conservare la pace, una pace che comandi sia pure di consumare per un tempo indefinito ciò che si vuol salvare da una distruzione improvvisa. Io vi dirò che anche noi vagheggiamo la pace, ma una pace diversa. In Europa vi sono oggi tre stati, l'Inghilterra, la Francia e la Russia, che, o per ,volontà delle forze democratiche del paese, o per necessità, sono rivolti ad una politica di pacç, e le ultime divergenze tra 1'Inghilterra e la Russia stanno per essere spianate. Noi crediamo che l'Italia, accanto a queste potenze, potrebbe e dovrebbe tutelare ed imporre una pace, libera dalle ansie e dalle prospettive di quella alla quale voi pr,estate le vostre garanzie. Biblioteca Gino Bianco

- 25 Nel conflitto europeo'- (Dal « Messaggero n di Roma, 2 ottobre 1914 ). Le aspirazioni nazionali sulle regioni italiane, che il trattato del 1866 inchiodava al dominio straniero, furono convenute per opera di Governo, ed anche per rassegnazione di popolo, innanzi alla prospettiva di rompere violentemente i patti della alleanza, di scatenare in Europa la grande conflagrazione. E questa indefessa prudenza nazionale fu opposta a tutta la politica austro-ungherese, che durante tanti anni di vita di un patto inaugurato con la non restituzione della visita reale di Vienna, parve cospirante a fecondare i ricordi del passato, a tener desti i dormismti, ad insegpare le fatalità del destino nazionale agli immemori. Ma oggi che l'immane conflitto è scoppiato per meditata volontà degli antichi alleati, oggi che l'alleanza si svuota, per fatto loro, di ogni contenuto effettivo, e diventa davvero un brandello di carta destinato a figurare nel museo delle delusioni italiane, invano si cercherebbe con tattiche ingenue cancellare la storia recente, precludere alla coscienza italiana la visione intiera del problema nazionale, che, se non fosse risolto durante questa guerra, resterebbe senza fallo insoluto per sempre. I nomi delle città sorelle messi in bando, ritornano e ricordano: che se un'Austria vinta ci farebbe assistere al pericolo inaudito di una successione· slava o tedesca in loro e nostro danno, un'Austria vittoriosa, dopo la sapiente tregua dissimulatrice del periodo di guerra, fatalmente ci darebbe lo spettacolo delle inasprite minacce, delle rinnovate persecuzioni, portate sino alla cancellazione della loro italianità. L'astensione passiva non potrà essere schermo sufficiente e proporzionato a tutto questo. Solo l'azione salverà l'Italia dall'irreparabile danno alle sue fortune, alle sorti dei fratelli disgiunti che lungamente fidarono in essa. (Dal discorso del 26 novembre 1914 a Milano). Ma badate, o cittadini, è formidabile il problema che gli avvenimenti hanno restituito alla ribalta della nostra vita nazionale. ff blloteca Gino Bianco

- 26 - Presso al miso_neismo della diplomazia mondiale, che ha giurato lungamente nel dogma di un'Austria necessaria, presso alle forze affievolite ma non distrutte di chi domina le terre italiane, sono quelle ancora poderose che alla duplice monarchia stanno di fianco e forse per il giorno della sventura tenteranno succederle. Le generose manifestazioni di fede e di entusiasmo, le grida evocatrici non bastano. Contro tutte le persuasioni faciliste occorre la coscienza piena dell'ostacolp da superare, e presso ad una salda preparazione dell'esercito nazionale e ad una rinnovata sapienza diplomatica, forte disciplinata salda concordia, severa soppressione degli egoismi di parte, grande spirito di sacrificio in tutto il paese. Si potrebbero parafrasare le parole che Giuseppe Garibaldi diceva nel 1849 ai suoi volontari : Vi offro le sofferenze, i disagi, la rinuncia agli interessi, agli affetti, forse alla vita. A questo patto è la conquista dell'ideale! Intenda il popolo d'Italia, se ne ha riacquistata la coscienza, tutti i doveri delle rivendicazioni supreme; sappia che senza gagliarda preparazione di forze, di coscienze; di animi, i nomi di Trieste e di Trento sarebbero un'altra volta pronunciati in falso e invano! (Dal discorso parlamentare del S dicembre 1914). Io non so se, distrutti i presupposti d'una politica estera trentennale, alla quale non mi rammarico di aver guardato sempre con diffidenza ; se, annullati i corrispettivi del nostro lungo, fervido, sincero amore di pace, se, disperse le aspettazioni della nostra fede, quasi idolatra, nello statu quo, per cui volse più lunga e più difficile la guerra di Libia, se, annunciato e presso ad essere attuato lo sconvolgimento dell' equilibrio del prossimo oriente, stia nella coscienza del Gabinetto che da tutte queste rovine risorge e si riaffaccia il diritto nostro - dormente e mortificato - verso quelle terre che errori e sventure tennero estranee alla compagine politica dello stato e la continuità degli sforzi e dei sacrifizi avvinsero indissolubilmente all'anima nazionale. Non sono qui, onorevoli colleghi, a vagheggiare e ad aspettare facili applausi e subiti entusiasmi, che possono Biblioteca Gino Bianco

-27 - talvolta esprimere la vaghezza di un nobile sentimento più che la fermezza di un maturo proposito. lo affermo che se tale diritto non fosse esercitato in una delle fasi di quest'immane conflitto europeo, andrebbe perento nei secoli. Ma nella mia modesta azione pubblica di venticinque anni un presidio soltanto ho avuto a sostenerla, e non posso abbandonare in quest'ora : il senso della realtà e della responsabilità. Orbene, io affermo che potrebbero preparare ore oscure al paese ed amare delusioni alle terre disgiunte coloro i quali non sentissero che pari all'entità dèll'impresa dovrebbe essere lo sforzo. Oh, breve sforzo sarebbe bastato nel '66, in quella guerra di tredici giorni ! Ciò che Bettino Ricasoli scriveva nella sua lettera del 12 luglio al marchese Visconti-Venosta al quartiere generale, delineando con indimenticabili parole il problema del predominio italiano nell'Adriatico condizionato ali 'acquisto di Trieste e dell'Istria, poteva agevolmente diventare un articolo del trattato di pace, se le navi di legno non avessero avuto ragione delle navi di ferro, malgrado l'eroismo-dei Faa Di Bruno e dei Cappellini (perchè anche allora il solo valore dei militi non bastava a conquistare la vittoria). Oggi ardua è l'impresa: occorre preparazione grande di risorse, di intese, di armi, di animi; occorre disposizione agli estremi sacrifici ; occorre la disciplina aspra della resistenza, che va oltre i giorni facili dello agitarsi delle bandiere e del clangore delle trombe; occorre serena, fiera costanza, capace di affrontare tutte le vicende, di seguire tutte le fortune che possono essere varie e dolorose, di un grande conflitto. A questo patto la grande, generosa impresa ! se no, no ! (Dal discorso parlamentare del 20 maggio I 91S). Parlo, non per esprimere il pensiero di alcuna frazione politica, mentre tutte stanno pi;:r ricomporsi nell'unità superiore del Paese, ma perchè le terre che furono nella visione di Dante, che gli eventi della politica intèrnazionale lungamente confinarono nella eresia, e oggi sono accolte dalla rèligione della Patria, portino alla concordia l'ardore della loro anima e della loro fede. Biblioteca G no Bia'1co

- 28Subirono per essa un castigo unico nella storia del martirologio italiano : la oppressione politica esercitata attraverso una implacabile opera rivolta alla distruzione nazionale. Non chiesero, nei lunghi anni dell'abbandono, che l'Italia cimentasse in un immenso conflitto le sue fortune e la pace di Europa; e quando il conflitto si scatenava, per fosche ire e cupidt brame, fuori di noi e contro di noi, pensose più d'altrui che di sè stesse, non urgevano con febbrili impazienze, ma invocavano per la grande impresa, anche con la mia umile voce, tenaci e sapienti prtparazioni. Solo quando l'Italia è pronta di armi, di accordi e di animi, e la causa del loro riscatto si confonde con quella del riscatto della sua libertà nel consorzio internazionale, fuori dalle maglie di un'alleanza che nell'ora del pericolo simula, con frode, prodigalità e condiscendenza, ma in altri giorni, non dimenticati, impose ogni forma di abdicazioni e rinunzie, con la minaccia perpetua della invasione dalle aperte frontiere; oggi, che nel loro nome l'Italia riprende tra i popoli liberi la fiaccola della vita che le era caduta di mano, l'intelletto della sua tradizione, il pensiero del suo avvenire e della sua missione in Europa, per tutti i diritti, per tutte l,e ingiustizie, contro tutte le iniquità, e salvandole, può salvare sè stessa; solo oggi, della lunga fede e del sacrifizio domandano il premio. E invocano che il ghiaccio di tutti gli egoismi si fonda, che di tutte le passioni torbide si getti la scoria, che le esitazioni e le impazienze di ieri si accolgano nella medesima disciplina; che monarchici e repubblicani, socialisti che trassen> il dissenso dalla dottrina, ma forse lo sentiranno vacillare nel contatto e nel contrasto con la realtà; cattolici, che dalla fede ebbero repugnanza al cimento, e oggi da pSSa avranno incitamento alla giusta battaglia; tutti, votati allo stesso sforzo, verso la stessa mèta, dicano che l'Italia non fu per le facili fortune dissuefatta dai sacrifici, che da essi aspetta integrazione territoriale e rigenerazione civile. Biblioteca Gino Bianco

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