Mario Alberti - il tornaconto della nostra guerra

N. 19 . 1 maggio 1915 PUBBLICAZIOSNEETTIMANALE ContoCorrenteconla H,ta

B1bl1olecaGino Bianco

M~- h -..\-t. ~-\~ PROBLEMI ITflLiriNI · XIX. Mf'iRIO f'iLBERTI DEL MUSEO COMMERCIALE DI TRIESTE ILTORNACONTI DELLA ~0 NOSTRAouiRA .f ~ l2 MILflNO ' RliVli & C. - EDITORI 1815 13 blroteca Gino Bianco

PROPRIETÀ RISERVATA TIPO•LIT. l!IPALTA • MILANO Bibliote a l O B1dnco

)( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( )( I dannieconomicidellaneutralità. La nputralità indefinita, assoluta, ad oltranza andrebbe congiunta, per l'Italia, a non lievi danni economici, oltre che a perniciosissime conseguenze politiche. Del resto v'è una connessione abbastanza stretta fra il fattore politico ed il fattore economico : esistp, fra i due elementi, un rapporto di mutue, vicendevoli interinfluenze, per cui ali 'espansione politica tien dietro l'espansione economica, alla penetrazione economica segue la penetrazione politica. Le due influenze, i due prestigi sono inscindibili. Se dalla guerra europea, per la sua inerte neutralità, l'Italia dovesse uscire politicamente indebolita, anche l'economia nazionale ne risulterebbe menomata, fiaccata. Le produzioni nazionali, che dall'attuale conflitto dovrebbero aver assicurati nuovi sbocchi lucrosi, avrebbero, dalla passività neutrale dell'Italia, striminzito il loro campo di azione, mentre altre nazioni si impossesserebbero di sempre più larghi mercati, èStenderebbern sempre più v:aste sfere di attrazione economica. E, anche non volendo toccare i bisogni coloniali del nostro Paese, convien tuttavia ricordare che la stessa potenza della marina mercantile di una nazione dipende, sino ad un certo punto, dalla forza della flotta navale, dal prestigio politico dello Stato. E, a sua volta, la posizione di un paese nella negoziazione dei trattati di commercio, nella regolaz"ione dei rapporti economici esti::ri con gli altri Biblioteca Gino 81dnco

-4Stati è tanto più capace di soddisfare ai bisogni, di tutelare gli interessi nazionali, quanto maggiore è il prestigio politico. del!o Stato. Non soltanto svalutamenti e decadenza della politica e della forza pconomica nei riguardi dell'estero la neutralità assoluta apporterebbe all'Italia, ma anche la perpetuazione di un intenso malessere economico interno. Quando taluni neutralisti ad oltranza sostengono la loro tesi austro-tedesca, presuppongono che chi lì ascolta viva fra lp nuvole e non si accorga dell'aspro disagio in cui la guerra degli altri ha lanciato l 'I tali a. Il profondo malessere attuale del nostro Paese è per nulla inferiore a quello che l'analizzatore sereno ed oggettivo delle viépnde economiche riscontra negli stessi pas)si belligeranti. Mentre, ad esempio, l'Inghilterra P la Germania hanno visto eliminata dalla guerra la disoccupazione, in Italia e negli altri paesi neutrali v'è tutta una dolorosa schiera di senzalavoro, per i quali la partecipazione dell 'I tali a alla guerra sarebbe un vero solli.avo, come dimostreremo più giù. Del resto, i neutralisti ad oltranza per ragioni economiche dimenticano una realtà positiva : che la classe lavoratrice e gli industriali si dibatterebbero sin dallo scoppio del conflitto europeo in una crisi terribile di disoccupazione, se la nostra neutralità non fosse stata preparatrice di guerra e lo Stato non avesse speso miliardi e miliardi di lire in armamenti e preparativi bellici d'ogni genere. Qu.asto i neutralisti ad oltranza, assolùti non dovrebbero dimenticare. Se il Governo nostro, sin dallo scoppio del conflitto si fosse fermamente proposto di rimaner assente dalle lotte che si combattono in Europa, l'Italia sarebbe travagliata da un « crac » interno, quale non si può neppure immaginare, mentre le molte centinaia di migliaia di richiamati che ora sono sotto le armi accrescerebbero la disoccupazione interna e la depressione dei salari. Ciò nullameno, nonostante le enormi spese dpllo Stato per la preparazione militare alla guerra (preparazione che dà lavoro e guadagno a centinaia d'industrie e a centinaia di migliaia d'operai e impipgati), l'economia nazionale si dibatte in condizioni veramente tristi. Egli è che l'economia nazionale moderna non vive esclusivamente B.blioteca Gino Bianco

a sè, staccata dal resto del mondo, racchiusa entro un cerchio di muraglie cinesi. Fa parte, almeno in tempo di pace, della grande economia mondiale, di cui subisce le influenze buone e cattive e su cui influisce favore- .volmente o dannosamente, per costanti relazioni di interdipendenza. Il conflitto europeo ha colpito ugualmente le economie dei paesi belligeranti, come quelle dei paesi neutrali. Anzi il malessere è più sentito in quelli neutrali, poichè il numero degli adibiti al servizio delle armi è minore, mentre è maggiore quello dei disoccupati, le famiglie dei quali non ricevono, come quelle dei richiamati, i sussidi dello Stato. Inoltre, l'amministrazione militare del paese belligerante affida alle produzioni industriali interne forniture in misura senza confronto più larga che il paese neutrale sia pur accingentesi ad entrare in campo. Ciò spiega come in Germania ed in Inghilterra la disoccupazione più quasi non esista, mentre ferve febbrile il lavoro nelle industrie adattatesi alle nuove esigenze delle ordinazioni militari, mentre si moltiplicano le fondazioni di nuove imprese per le forniture ali' esercì to ed alla marina. Le ragioni del malessere economico nell'ltal1a neutrale. L'aspro disagio attuale, che si riscontra sopra tutto fra le classi meno abbienti è, in Italia, la conseguenza diretta del conflitto europeo e si acuirà col prolungarsi di esso. Scindiamo in alcuni gruppi principali le cause del presente malessere economico (e quindi politicosociale) in Italia. Esse sono : • I. Peggioramento del mercato del lavoro in confronto alla fase prebellica, incremento del numero dei disoccupati, rimpatrio d'emigranti, affievolimento o cessazione delle rimesse degli emigranti; 8 blfoteca Gino Bianco

-62. Mancato concorso dei forestieri, contrazione dei consumi, scomparsa della domanda d'oggetti di lusso, difficoltà di esportazione, ostacoli all'importazione, restringimento del credito, rincaro della moneta, rincaro del costo di produzione; 3. Elevamento del costo della vita. Cominciamo da quest'ultimo che affligge la collettività dei cittadini. Esso assume particolare rilievo poichè pesa essenzialmente sull' agglomerato urbano, il più sensibile, il più rumoroso, il più influente sul fattore politico, il più atto ad esercitare una forte pressione sul Governo. Il rincaro in Italia è essenzialmente frumentario. Limitiamoci per tanto a considerarlo soltanto in questo suo aspetto, sebbene, per esempio, l'alimentazione delle classi meno abbienti delle cost~ abbia danno non minore dalle difficoltà della pesca nell'Adriatico causa le mine. Anche il prodotto della pesca, come quello del grano, giungerà più abbondantemente sul mercato, solo quando la guerra ~uropea sarà terminata. Ma ritorniamo al rincaro del grano. Esso è dovuto sopra tutto ai seguenti fatt.ori : minor raccolto mondiale (- 8.8 per cento in confronto alla campagna precedente), chiusura dei mercati di esportazione russo e rom~mo causa la gu~rra (in tempi normali la Russia esporta fra i 600 e gli 800 milioni di pudi - un pud = 16.4 chilogrammi - di cereali e la Romania circa cinquecento milioni di franchi di grano), eccezionale elevamento dei noli (in trç mesi, a partire dalla fine di ottobre, essi si sono triplicati di prezzo), più alta razione di pane ai soldati di tutti i belligeranti in confronto al consumo privato per testa di abitante, contagio rialzista della guerra sui prodotti di prima necessità. Come tutti vedono, a parte il fatto irrimediabile del minor raccolto frumentario mondiale, i fattori del presente rincaro sono connessi strettamente allo stato attuale di guerra, alla guerra « çuropea », onde non è lecito attendere un miglioramento della situazione finchè non abbia a cessare il conflitto, poichè per l'economia nazionale la vendita sotto pr~zzo di frumento da parte dello Stato non costituirebbe certo un miglioramento dçlla situazione, dovendo poi negli anni successivi i cittadipi sopportarne il peso e gli interessi in forma di maggiori imposte. I --

-7I mercati di esportazione russo P romeno, nostri fornitori, non si apriranno fintanto che la guerra europea non sarà finita o per Io meno sin tanto, che per la vittoria dell'Intesa, i Dardanelli si riapriranno al transito delle marinp mercantili. L'aumento dei noli sparirà e darà luogo, invece, a un fortissimo deprezzampnto dei trasporti marittimi il giorno in cui, conclusa la pace, le navi dei belligeranti ora nascost~ nei porti nazionali e neutrali potranno riprendere la navigazione, non ci saranno più mine a render pericolosi p quindi più costosi i trasporti (più alti premi di assicurazione, maggiori salari, ecc.) e tutti gli altri ostacoli che in tempo di guerra inceppano la navigazione saranno scomparsi. Il maggior consumo di grano dei soldati cadrà il giorno in cui i richiamati torneranno alle loro case. Il facile giuoco della speculazione rialzista pprderà le sue basi, quando l'urgenza dei rifornimenti granari spinta all'estrema dalle necessità della guprra, avrà subìto un rilassamento. Non uno, insomma, dei fattori del rincaro del grano si attenuerà prima che la guerra puropea sia divenuta un fatto storico e cessi d'essere una realtà presente. Passiamo, adesso, dopo esaminati gli elementi del rincaro della vita, all'analisi del gruppo di -cause di maless~re per le classi meno abbienti, cause relative alle entrate degli operai. Il mercato del lavoro, in confronto alla fase prebellica, è peggiorato a motivo dello striminzimento dei consumi interni e delle diminuite possibilità di esportazione che, ppr effetto della guerra europea hanno colpito le produzioni di tutti i paesi, compresi i neutrali, come l'Italia. Il rimpatrio di gran numero di disoccupati, i quali non trovavano più di che vivere causa la guerra europea, nei paesi belligeranti o negli altri paesi n~utrali, ha ulteriormente peggiorate le condizioni del mercato del lavoro. L'affievolimento delle rimesse degli emigranti, dovuto ai minori guadagni loro, conseguenti al ristagno economico prodotto dalla guerra europea anche nei paesi transocpanici, ridusse pure assai gravemente le entrate di molte famiglie ope-raie. Nessuno di questi fattori di malessere per la classe op~raia sarà eliminabile avanti la fine della guerra europea; essi dilegueranno soltanto con la conclusioni;1 della pace, 81blloteca Gino Bianco

-8quando, ripresi 1 traffici, riaperte le indùstriç, ci sarà un enorme lavoro di ricostituzione dei beni distrutti da · eseguire. Infine c'è il gruppo delle contingenze che alterano l'equilibrio fra entrate e spese delle professioni economiche indipendenti, le quali vanno dalle grandi industrie per azioni alle piccole esistenze autonome del commercio al dettaglio e dell 'àrtigianato, esistenze questç ultime. che soffrono ancor più del proletariato operaio a motivo della guerra europea. " La mancanza di concorso da parte dei forestieri, non modificabile finchè duri il conflitto europeo, danneggia in Italia una quantità di categorie economiche: dagli albergatori e affittacamere alle osterie, dai venditori di ogget_ti d'arte e di pseudo-antichità al sarto, alla stiratrice, al barbiere, dall 'imprpnditore teatrale alla venditrice di fiori. Il restringimento ed il rincaro del credito, imposto dall'enorme consumo di capitali disponibili fatto dalla guerra europea e dalle sue ripercussioni sui paesi neutrali (mobilitazione), mette in Sçrii imbarazzi una quantità di industrie, le costringe a ridurre 1'attività,· impedisce loro - quando anche ne avessero la convenienza - di estendere il lavoro, ne intacca fortemçnte gli utili. Le difficoltà dell'esportazione sia nei paesi belligeranti sia nei neutrali, a motivo della -guerra europea (per esempio, il Brasile può comprare meno in Italia, perchè, causa la guerra europea e la conseguente contrazione dei consumi, può esportare meno caffè in Europa) cagiona perdite a molte industrie, distrugge parecchi rami di commercio. La guerra, mentrç mantiene quasi invariati i consumi di generi alimentari, decima quelh dei prodotti mçno indispensabili, infliggendo perdite sensibilissime a rami importanti della produzione economica. Appena quando la guerra çuropea non sarà più, le condizioni delle attività produttrici e trafficatrici volgeranno al meglio. A questo punto è opportuno aprire una parentesi per rilevare come la neutralità non valga a proteggere l'Italia neutrale da alcuna di quçlle conseguenze spiacevoli che la guerra ha ed è logico che abbia per i belligeranti. Il • blocco dell'Inghilterra dichiarato per il 18 febbraio dalla B•blroteca G ro Biarico

-9Germania con i suoi effetti per i neutrali (affondamento anche delle navi neutre da parte dei, sottomarini tedeschi, senza alcuna visita preventiva) sarebbe stato atto - se effettivamente fosse riuscito ntlla sua brutale integrità - a mettere in condizioni di completa atonia la vita economica italiana, colpendoci nei nostri rifornimenti carbonieri. Poichè la maggior parte, anzi la quasi totalità del carbone importato in Italia (che ha un valort complessivo di• quasi quattrocento milioni di lire all'anno) proviene dall'Inghilterra, se la Germania avesse davvero potuto e voluto alfondart anche le navi neutrali naviganti nelle acque britanniche, l'economia italiana si sarebbe trovata priva del combustibile per azionare le macchine ed i motori delle sue fabbriche, per far circolare le sue ferrovie per produrre il nectssario gas illuminante. Ogni' attività sarebbe stata interrotta : mancando i trasporti, le città avrebbero visto enormemente rincarati tutti i viveri, mentre nelle campagne i prodotti dei campi sarebbero marciti. La navigazione non avrebbe più potuto effettuare i suoi viaggi. Fortunatamente l'energico intervento del governo americano ed italiano, come pure le ampie misure difensive prese dall'Inghilterra, insieme con la piccola efficenza della flotta dei sottomarini tedeschi, valsero almeno parzialmente ad impedire il pazzesco sogno germanico di distruzione. Tuttavil¼, l'esistenza stessa del progetto tedesco e le sue conseguenze per alcun~ delle Nazioni neutrali minori dimostrano come le economie neutrali siano altrettanto colpite dalla guerra quanto le economia belligeranti. Per quel che concerne il carbone, l'economia italiana soffre effettivamente pregiudizio assai grave, poichè essendo il combustibile rincarato enormemente ca4sa la elevazione dei noli (dovuta a cause guerrescht), tutte le produzioni hanno avuto aumentato di molto il costo di produzione, con danno proprio e per i consumatori. Neppure a questo proposito potrà sopravvenire un miglioramento, sinchè la guerra europea non abbia fine. Proseguendo la guerra, le cause del disagio potranno accentuarsi. I pochi mercati granari disponibili çer l'esportazione, sotto la pressione delle insistenti richieste delle amministrazioni militari e dei loro agenti, avranno ringalluzzite le speculazioni rialziste; i noli, ptr quel po' B t lloteca G no bianco

- 10 - di commercio che va nuovamente incominciando, rimiìrranno sostenuti, mentre i « raids » dei sottomarini germanici si dettero la pena di spingere più in su i premi del- ! 'assicurazione contro il rischio di guerra. La spossatezza ~conomica inerente al conflitto si accentuerà nei suoi effetti, col perdurare della fase bellica, che, consumando i capitali disponibili, rincara il credito e uccide,. con gli alti tas·si d'interesse, le iniziative economiche, impedendo il funzionam~nto anche delle aziende vecchie meno ricche di capitali. L'alto prezzo del carbone, funzione del tasso dei noli marittimi, taglieggia e taglieggerà forse sempre più i 'utile dei produttori e la borsa dei consumatori, mtntre varie possibilità di produzione e di smercio ne saranno eliminate, distrutte. L'aggio, che le sfavorevoli condizioni finanziarie di parecchi Stati e di molte banche di emissione vengono fatalmente ingros sando, minaccia di levare intorno alle varie economie nazionali insuperabili barriere monetario-doganali, che ostacoleranno maggiormente le esportazioni industriali. E tutti sanno che gli imbarazzi delle industrie sono gli imbarazzi del lavoro. \ Fu dimostrato: consumi, lavoro, industrie, comm~rci non possono sperar miglioram~nto che dalla fine d~lla guerra europea. Quanto più, invece, essa durerà, tanto maggior asprezza acquisteranno tutti i fattori di disagio, di malessere, tanto più lunga sarà la scia di depressione che il conflitto europeo lascierà dietro a sè, dopo la breve fase di febbrile attività di ricostituzione all'indomani della pace. Agire presto per la fine del conflitto, significa, non soltanto fare gli interessi dell'economia mondialç, ma sopratutto fare gli interessi economici d 'Italia. Le conseguenze dell'intervento dell'Italia non sono dubbie. Darebbe il tracollo alla bilancia, accelererebbe la fine del conflitto. Se ragioni supreme di politica estera ( 1) spingono l 'I talia ad entrare in campo, non trascurabili appaiono i fattori di politica interna (economica e sociale) che pure inducono all'intervento. Le du~ opportunità mirabilmente si completano e si integrano a vicenda. il) Cfr il nostro scritto su « Adriarico e Mediterraneo» in questa collezione. Bibliotei ;o

- 11 - Laposizioneeconomicad'I• talia in caso di partecipazioneal conflitto. Dalla guerra della sestuplice contro la dup!ice - o meglio, anzi, della duplice contro la sestuplice - l'economia italiana ha già avuto i massimi danni : l'indice sintetico che il Mortara accuratamente calcola per il Giornale degli economisti, lo accusa visibilmente. Nella sua essenza, il malessere economico che oggi sentiamo in Italia, nonostante la neutralità, è dovuto al fatto: che l'economia del paese, da internàzionale. qual'è in tempi normaìi, fu costretta a trasformarsi in preponderantemente nazionale, cioè in un'economia molto più ristretta. E diverrebbe totalmente nazional~, nel giorno in cui l'Italia fosse da ogni parte bloccata, come lo so1-10,quasi del tutto la Germania e l'Austria-Ungheria. La persistente neutralità non potrebbe mutare per nulla in meglio (ed anzi per varie ragioni, come fu dimostrato, modificherebbe in peggio) la situazione economica presente d'Italia, per il fatto semplicissimo che il ristagno ed il regresso sono strettamente dipendenti dalle condizioni dell'economia mondiale, la quale, per effetto della guerra, si è scissa in tante economie particolari più o meno chiuse e che non subirà radicale mutamento se non dopo liquidato l'immane conflitto. Se, invece, l'Italia partecipasse alla guerra, due sarebbero - e ben distinte - le eventualità economiche e politiche insieme : o con la Triplice austro-turco-germanica o con la sestuplice. Il partecipare al conflitto dalla parte degl 'imperi centrali equivarrebbe - a parte l'antitesi degl'interessi politici e delle aspirazioni nazionali - a mettersi nelle condizioni economiche dell'AustriaUngheria e della Germania, ossia di due Stati quasi totalmente isolati, bloccati. Il mettersi accarato alla sestuplice significherebbe, su per giù, mantenere invariate, durante B blioteca Gino Bianco

- 12 - il conflitto, le condizioni presenti, col solo peggioramento della definitiva rottura di quel traffico parziale che ancora intratteniamo con i due Imperi Centrali. A meno che non si combattesse proprio su territorio nostro - ciò che non dovrebbe essere probabile, o almeno soltanto assai limitatamente - il danno economico derivante dalla nostra partecipazione al conflitto a fianco della sestuplice, consisterebbe, a prima vista per la economia (non per la finanza) sopratutto nel richiamo di molte classi sotto le armi, che sottrarrebbe centinaia di migliaia di persone_ al lavoro produttivo. In realtà, inv~ce, il ct.a.nnoeconomico si trasformerebbe in un miglioramento del mercato del lavoro. In questo mom~nto la schiera dei disoccupati in Italia è formidabile e tale da destare preoccupazioni per le sue ripercussioni economiche e sociali. Orbene, la guerra, chiamando sotto le armi un contingente notevolissimo d'uomini, contribuirebbe a restringere fortemente la disoccupazione e ad eliminarne i pericoli, mentre le famiglie dei richiamati riceverebbero ii_ sussidio dello Stato. Una parte dei disoccupati andrebbe a prestare il servizio militare, un'altra potrebbe riempire i vuoti lasciati dai richiamati che avevano un lavoro. E' vero che i bandi militari non scelgono i disoccupati e che quindi possono distrarre da numerose aziende gli elementi direttivi, imponendone la chiusura. Ma 1'esperienza insegna che generalmente quegli elementi direttivi non si reclutano fra i giovanissimi mentre i bandi militari risparmiano invece i più maturi. Tutto ciò è cosi vero, che in Germania, nonostante la formidabile ampiezza dei richiami (che vanno sino ad età parecchio avanzate) e nonostante 1'assenza di qualsiasi contatto economico coll'estero (per cui a moltissime fabbriche manca la materia prima e le ditte per il commercio estero sono senza lavoro), la disoccupazione è, assai moderata, anzi quasi nulla, specie se si prende a confronto la gravità di essa nella neutrale Italia. B•blioteca Gino Bianco

- 13 La convenienzafinanziarla dell'intervento italiano. Il probltma finanziario della guerra è certamente così importante, che meriterebbe che di esso ci si occupasse a lungo. Per ragioni di spazio qui ci si limiterà a tratteggiarlo nelle sue due linee fondamentali. Anzitutto conviene rih1vare che la neutralità impont anch'essa spese militari eccezionali,, e non piccole; che le misure rafforzatrici della nostra efficienza lfellica son costate e costeranno alcuni miliardi di lire; che quanto maggiormentt si protrarrà il presente conflitto mondiale, tanto più ingenti saranno le somme alle quali si eleverà il plus di spesa per l 'ysercito e tanto più grave sarà il minus di entratt, funzione del ristagno economico causato dalla guerra. L'onere finanziario che dalla partecipazione diretta al conflitto sarebbe imposto ali 'Italia non può valutarsi a priori, perchè dipendentt dalla durata del conflitto dopo la nostra entrata in azione. Se la partecipazione dell'Italia alla guerra, col seguito di adesioni e di reazioni che ne potrebbero derivare, fosse atta a produrrt una sollecita definizione del conflitto mondiale (com'è opinione unanime dei critici militari), probabilmente la finanza italiana - a parte i vantaggi territoriali e politici assicurati in tal modo allo Stato - nonchè danno, ne avrebbe vantaggio. Può darsi, infatti, che lo sforzo finanziario inttnsificato per sostenere una guerra si risolva in realtà, per la finanza pubblica, in un minore aggravio di fronte a un onere unitariamente minore ma complessivamente maggiore da sopportarsi per la neutralità armata durante un conflitto che durasse parecchio più a lungo. Perciò, la partecipazione dtll 'I talia al conflitto, allato delle forze preponderanti (ma non tali ancora da poter imporre la immediata cessazione del conflitto) potrà essere, oltre che un atto di saggia politica nazionale, un buon affare finanziario td economico. Finanziario, per le ragioni già esposte; economico, perchè all'economia naB blioteca G no Bianco

- 14 - zionale e alle economie private che la compongono, ;uò imporre un radicale miglioramento soltanto la cessaz10ne delle ostilit~ e la reint9grazione del traffico internazionale. Appena quanto la guerra mondiale cesserà, l'economia italiana potrà respirar meglio ; non prima. E poichè, per molti aspetti, la finanza di un paese è funzione delle sue condizioni economichi;:, l'utilità economica dell 'intervento nostro contribuirà ad alleviare le conseguenze del · conflitto europeo anche per la finanza neutrale, la quale molto avrebbe a soffrire da un'eventuale lunga durata della guerra europea, non affrettata nella sua conclusione dalla scesa in aampo dell'Italia e dei paesi balcanici. Infine i vantaggi economici e territoriali che ci assicur~rà l'intervento dovrebbero anche influire favorevolmente sul ristabilimento finanziario. Il gesto energico, al momento opportuno, adunque, non solo riuscirà provvido politicamente, ma sarà anche un buon affar9 economico-finanziario. Così la legge ferrea del tornaconto avrà la sua più diritta applicazione, con alto beneficio del presen~ e dell'avvenire d'Italia. La nostra agricoltura e la guerra nazionale. Molti sono assillati dal dubbio atroce diffuso dai fautori austro-tedeschi della neutralità italiana: « L'organismo dell '.::conomia italiana è giovane e quindi troppo poco resistente per poter sostenere l'urto di una grande guerra. Si sfascierebbe in breve ora ». Elementari considerazioni dimostrano l'erroneità fondam~ntale, assoluta di siffatto asserto. Che cos'è, infatti, un'economia giovane? E' quella del paese essenzialmente agricolo, con industnie non molto sviluppate, commerci non eccessivamente .::stesi, modesta e poco specializzata superstruttura creditizia. Ebbene, questo è proprio il tipo di economia che meno gravem.ente risente le conseguenze economiche della B1blloteca Gino Bianco

- 15 - g4erra. Quanto più agricolo è uno Stato; tanto maggiore è la sua indifferenza economica di fronte all'urto bellico. ta ragione ne è evidente. Quando· il contadino va sotto !e armi i lavori campestri vengono continuati dalle donne, dai vecchi, dai giovani. Fuorchè nelle zone dove si combatte, la vita economica procede quasi normalmente. I campi pròducono, l'allevamento del bestiame non si interrompe, si mangia il prodotto della propria terra, se ne vende l'eccedenza all'amministrazion_e militare o all'estero. Intanto gli uomini sono alla battaglia. L'economia agricola è in grado di sostenere un enorme sforzo bellico per anni ed anni. Ciò spiega la lunga durata d_elle guerre antiche, quando l'economia era meno sviluppata. Ciò spi_ega, pure, il giovanile ardore con cui i paesi balcanici, dopo aver sostenuto il peso di due sanguinosissime ed estenuanti campagne, poterono accingersi alla terza. Fummo in Serbia, Bulgaria e Romenia un anno fa, all'indomani dell_e guerre balcaniche. L'agricoltura di quei paesi - dei quali essa è l'unica risorsa - non dimostrava alcun indizio di disagio profondo, di evidente stanchezza, di esaurimento. Al contrario. La popolazione agricola aveva, anzi, nel frattempo accumulato dei risparmi : i richiamati, vivendo a spese del Governo e ricevendo per di più il soldo, inviavano di tanto in tanto quattrini alle famiglie. E queste che dal lavoro dei campi traevano da sole l'alimentazione per sè, potevano metter insieme dei risparmi. La sostituzione dei membri rimasti dell_e famiglie ai partenti nelle occupazioni economiche è massima nell'agricoltura; è minima o impossibile affatto nell'industria e nei commerci. Qui ci vuole la competenza speciale, ci vuole la pratica, il t_ecnicismo. Perciò nei paesi industriali la guerra produce uno sconvolgimento nell'or~anizzazione delle produzioni, che non si riscontra nei ;nesi agricoli. Però, anche i paesi industriali, dopo superati i primi giorni di convulsione, si rimettono, pur soffrendo notevolmente di più eh.e le regioni agricole, le quaii, come si disse, non risentono quasi affatto gli effetti dt!\I :1 guerra. Egli è che la chiamata alle armi sottrae agli c.sercizi sopratutto, anzi quasi esclusivamente, i più gio·,ani, gli operai, gli, impiegati minori (è appena dopo Ulla Biblioteca Gino Bianco

- 16 - certa età che generalmente si arriva .ai posti diretti"ll\ cosi che il ripiego non offre difficoltà insuperabili. -~a scorta dei disoccupati dà il mezzo di rimpiazzare i vuoti e la mano d'opera senza lavoro ne ha così vantaggio: D'altra parte lo Stato, con i sussidi alle famiglie dei richiamati, provvede al mantenimento dei parenti dèl soldato industriale, che non hanno, come gli agricoli, la capacità di nutrirsi da sè, continuando i lavori campestri. Le ordinazioni colossali per l'esercito ravvivano, infine, l'attività delle fabbriche, le quali alle produzioni di pace, ristrettesi per i diminuiti consumi, sostituiscono le produzioni di guerra. Una serie di opere pubbliche dà occupazione a quei disoccupati, i quali, nonostante la rarefazione della mano d'opera causata dai richiami, non riuscirono a trovare lavoro. Il contraccolpo economico della guerra sulle industrie è sensibile, per la disorganizzazione che transitoriamente provoca e per i maggiori doveri che addossa allo Stato. La popolazione agricola ha, invece, poco danno dalla guerra, che, se mai, facendo salire i prezzi dei generi alimentari, ne ingrossa i proventi. Quindì il paese economicamente giovane, il paese agricolo, può affrontare più a cuor leggero una guerra che il paese vecchio, prevalentemente industriale. I neutralisti non avrebbero potuto escogitare stramberia più sciocca di quella della scarsa resistenza bellica di una economia relativamente giovane (in confronto all'inglese ed alla tedesca) come l'italiana. 11 nostro tipo economicoe la guerra. Giova, a questo punto osservare, che il tipo agricolo assolutamente puro, quantunque di gran lunga superiore a quello esclusivamente industriale, in quanto ad indifferenza economica di fronte all'urto bellico, non rappresenta tuttavia, dati i bisogni della guerra moderna, il Biblìoteca G no Bia'1co

- 17 - maximum maximorum d1 potenzialità di resistenza. E' un tipo intermedio con largo fondamento agricolo ed alquanto sviluppo industrial9, quello che offre i vantaggi più notevoli di resistenza economica alla guerra. Ecco perchè. Nella guerra moderna, non combattendosi più, come nell'antica, soltanto con qualche arme prodotta alla meglio dall'industria domestica, ma essendo necessari e cannoni e mitragliatrici e munizioni -~ completo equipaggiamento delle truppe, l'economia prettamente agricola, pur possedendo la più alta forza d'indifferenza economica alla guerra, presenta gravi deficienze in linèa di rifornimenti militari. Perciò, l'economia che, accanto ad una robusta base agricola, si costruisce il suo bravo organismo di industrie militari, è la più forte, ha la massima efficienzà di resistenza economica in fase bellica. L'Italia si trova, press'a poco, in queste condizioni. Ha un fondamento essenzialmente agricolo; ha industrie milit!l,ri; ha l'esercito ormai ben provvisto. Può affrontare, quindi, la guerra con tutta tranquillità. L'Italia non dispone di quell'ampio espansionismo economico internazionale che, intèrrotto per la partecipazione al conflitto, metterebbe in subbuglio tutta l'economia del paese. La partecipazione nostra al conflitto non sopprimerebbe che i commerci con gli imperi centrali. Commerci questi, chè son già notevolmente diminuiti causa i divieti di esportazione e per effetto delle misure restrittive imposteci dall'Inghilterra che ha il dominio sui mari. Domani, marciando contro l'Austria, l'Italia non avrebbe più bisogno d'addossarsi le interdizioni economiche res~ necessarie ora dai doveri della neutralità e le flotte francoinglesi non ostacolerebbero più alcun genere di importazioni di materie prime, .adesso subordinate alle esigenze del blocco contro la Germania e l'Austria. Le nostre fabbriche potrebbero fornire merci e prodotti, in quanto non requisiti per il nostro esèrcito, alle amministrazioni militari degli Stati dell'Intesa. L'industria italiana, allora, se validamente sorretta degli istituti bancari, potrebbe divenire per molti rami il centro di rifornimento della Francia (la quale ha avuto distrutte dall 'invasionç moltissime fabbriche e quindi deve rivolgersi all'estero per numeB blioteca Gino Bianco

- 18 - rosi prodotti), degli Stati balcanici e della Russia. Con-, siderevolissime sono le ordinazioni militari che le economiè esclusivamente agricole di questi paesi belligeranti orientali dell'Intesa devono affidare alle industrie occidentali e le fabbriche italiane, se sapranno fare, dovranno averne la loro parte non piccola. La navigazione mercantile già adesso non si svolgè più nell'Adriatico. Sono i porti del Mediterraneo che lavorano. Perciò l'intervento non altererebbe in peggio la situazione della nostra marina commercial 9 . Anzi, se mai, spazzat;l o bloccata la flotta austriaca, occupate le coste orientali dell'Adriatico, nettato il mare dalle mine, la navigazione potrebbe esser ripresa anche nel mare nostrum, ora d~serto. Ne avrebbero beneficio non insensibile anch'e i pescatori, oggi costretti all'inattività dal pericolo delle mine austriache. La costituzione bancaria italiana non è per nulkl più debole di quella di molti fra gli Stati belligeranti. Inoltre, poichè l'economia nazionale non avrà a subire, causa I 'interv9nto, alterazione sensibile, le condizioni bancarie, che né rispecchiano le influenze, non peggioreranno. La disoccupazione, dopo il breve turbamento della mobilitazione, si attenuerà, mentre le famiglie m~no abbienti avranno vantaggio dai sussidi dello Stato ai richiamati. Non c'è, dunque, motivo alcuno per temere economicamente la partecipazione del! 'Italia ai conflitto. A parte il fatto eh~ le risorse del risparmio nazionale sono notevoli, a parte la probabilità che la partecipazione nostra al conflitto ci apra a Parigi e a Londra crediti a condizioni favorevoli per la solidificazione in prestito dei bisogni finanziari per la guerra, a parte l'accelerazione della fine d~l conflitto e dei suoi danni economici che deriverebbero dal nostro intervento, a parte tutto questo, sta il fatto positivo ed innegabile che l'economia italiana - prodotto di un equilibrio armonico di fondamentali attività agricole con notevoli produzioni industriali - ha la struttura adatta per sosten~re anche una guerra lunga, non solo di mesi, ma pure di anni. Biblioteca Gino B1,rnco

- 19 - La provasuperata. Del resto, l'esperienza di sette mesi di guerra, ha dimostrato la meravigliosa forza di adattabilità ins-ita in tutte le economie, nonchè il parallelismo e la rèlativa invariabile intensità del contraccolpo economico della guerra tanto nei paesi belligeranti, quanto in quelli neutrali. In Germania come in Italia, in Austria come nègli Stati Uniti, in Inghilterra come in Australia, in• Francia come in Egitto, in Serbia come in Svizzera ed in Olanda, in Russia come nei Paesi scandinavi, dovunque si constatano i medesimi fenomeni di sovvertimento economico all'inizio, di gradualç riassestamento poi, di equilibrio infine. Attraverso scosse e perturbazioni, dall'equilibrio economico di pace si passa a quello di guerra. Non sono identici, ma sono tutti e due tollerabili. Insopportabile, a lungo andare, sarebbe la fase di transizione, ma, appunto perchè talç, è di breve durata. Nei primi giorni del conflitto il mondo sembrava dovesse crollare, le economie parevano in procinto di sfasciarsi. Non si commerciava più, non si produceva. S'arrestò ogni attività economica. Poi, gradualmente, tornò a farsi strada il ritmo dell'economia, ricominciante a funzionare. Nèi primi momenti della guerra europea, gli Stati erano rimasti, per un istante, completamente isolati l'uno dall'altro, mentre ali 'interno la mobilitazione inceppava ogni lavoro. La divisione netta fra paese e paese sconvolgeva i corsi dei cambi 'èSteri; le impossibili,tà dei trasporti d'oro e, quindi, la scomparsa dei punti d'oro esponeva anche le valute auree a deprezzamenti mai visti. Il libero scorazzamento degli incrociatori germanici pèr gli oceani inceppava e deprimeva il commercio marittimo. Più tardi, riuscita la flotta britannica ad afferrare il dominio assoluto sui mari, alla anarchia subentrava l'autocrazia marittima britannica ed il commercio e la navigazione di tutto il mondo se ne allietavano, poichè l'attività economica desidera sopra 1 Biblioteca Gino B1,mco

- 20tutto l'ordine. Riprendevano gli scambi commerciali, mentre h~ industrie, facendo di necessità virtù, si adattavano alle nuove contingenze. Sopra ogni altro è m~raviglioso lo sforzo di adattamento delle· industrie germaniche. Pensate. La Germania, che s'era costruita un'industria di esportazione colossale, ch 9 aveva sviluppato al più alto grado le lavorazioni di merci estere, vide d'un tratto bloccato il suo territorio, si trovò nella impossibilità di ritirar la materia prima che le occorre dai paesi transoceanici, nell'impossibilità di mandare ai mercati di assorbimento J9 produzioni delle sue industrie esportatrici. Lo scompiglio fu enorme, da principio. Ma l 'elasticità che il tornaconto imprime ad ogni organismo economico è tale che una parte notevolissima dell'industria tedesca, nel giro di poche settimane, di qualche mese soltanto, si trasforma, si adatta a nuove forme di produzione. Ogni sforzo industriale si rivolge a preparar materiali per la guerra. E' la « Kriegskonjunktur ». Le imprese di elettricità producono calotte per shrappnells; fabbriche di velocipedi si trasformano in fabbriche di letti da campo; soci9tà di apparecchi fotografici si sviluppano in aziende produttrici di oggetti metallici per l'esercito, e così via. Ognuno trova la sua via; la lotta per la vita, i bisogni dell'esistenza infondono negli industriali l'abilità di rapidi adattamenti, ai quali arride il successo. Dunque, anche nelle condizioni più difficili, quali sono inn9gabilmente quelle della Germania, l'economia sa trovare l'elasticità necessaria per funzionare nel miglior modo possibile. Adesso tutti i paesi neutrali e belligeranti si trovano in una fase d'equilibrio 9 conomico di guerra. E' fase, come si disse, toll9rabile, sebbene non altrettanto piacevole come i periodi d'ascesa economica. Il punto della massima violenza sconvolgitrice della guerra è superato per tutte le economie. Esse hanno dimostrato di poter viver9 e funzionare anche in tempo di guerra divampante su tutto un continente. Povera « grande illusione » di Normann Angeli! Come s'è sfasciata la utopia del sognatore al contatto freddo e rude della realtà... L'economia italiana (come del r9Sto quella degli altri Biblioteca Gino Bi,:mco

-21paesi) ha dimostrato la sua vitalità e la sua forza di resistenza,. sostenendo l'urto dello scoppio del conflitto europeo. Di fronte allo sconvolgimento della nostra economia prodotto dalla fiammata guerresca accesasi su tutta Europa, il momentanèo turbamento di attività economiche connesso al nostro intervento nel conflitto sarà insignificante. Qualche settimana di mobilitazione e di conseguente arresto dei trasporti ferroviari, d'incaglio di commerci e di disorganizzazione dell9 prestazioni ; poi graduale, rapidissimo ritorno alle condizioni esistenti prima. Ecco tutta la gran prova cui verrà sottoposta la economia italiana! Tre o quattro settimane d'inceppamento ferroviario: null'altro. Come se ci fosse uno sciopero ferroviario. Quanto alla difèsa delle Banche contro ingiustificati runs basterà qualche ben congegnata misura legislativa per risolvere soddisfacentemente il non difficile problema. Indi la vita economica ripiglierà a funzionare più o meno normalmentè, come adesso che l 'Italia non partecipa al conflitto. · Concludendo. L'economia italiana ha una costituzione strutturale per nulla più debole di quelle degli altri paesi ed offrirà altrettanta resistenza bellica quanto le economiè meglio reputate degli attuali belligeranti. L'economia italiana, come le altre, ha superato la prova del fuoco allo scoppio del conflitto europeo, mentre l 'intervento del Regno alla lotta non la assoggetterà che ad un momentaneo arresto di trasporti ed a oualchè provvedimento tenitorio delle scadenze dei pagamenti in nesso con il richiamo sotto le armi di centinaia di migliaia di persone. L'elasticità propria di tutti gli organismi economici farà superarè facilmente questo passeggero turbamento. come pure quello conseguente alla mobilitazione, di parte della mano d'opera ai lavori abituali. Dato, infine, il carattere internazionale di due fonti importantissime del reddito nazionalè (forestieri e rimesse degli emigranti) l'intervento nostro, acceleratore di decisioni, riuscirà sostanzialmente benefico alla economia dèl Paese. Biblioteca Gino Bidnco

- 22La potenzialità finanziaria dell'Italia. Se le preoccupazioni autodenigratrici dei neutralisti ialiani in merito alla potenzialità di resistenza dell'economia nazionale di fronte ali 'urto bellico sono assolutamente prive di fondamento, altrettanto sballati ~ vuoli di senso comune sono i timori circa la possibilità che la forza finanziaria d'Italia sappia sostener~ il peso di una campagna bellica. La finanza italiana sarebbe certamente ali 'altezza del compito impostole dalla guerra. Non solo. Ma già adesso, in tempo di pace, l'amministrazione del Tesoro si trova i!!.,nanzia problemi finanziari quasi guerreschi, sia per la preparazione bellica, sia per la mobilitazione parziale già da lungo tempo in essere, sia per I~ diminuite entrate fiscali a causa del ristagno economico determinato- fra noi dal conflitto europeo. C'è ancora di più. La tecnica moderna della finanza di guerra ha dimostrato come (p risorse che si aprono agli Stati in fase bellica siano notevolmente maggiori di quanto generalmente si era creduto. Tutto il congegno degli organismi produttori di credito funziona in tempo di guerra in misura notevole a prò dei bisogni finanziari dello Stato belligerantp. In periodo bellico, le Casse di prestiti favoriscono il collocamento di nuovi titoli di Stato, mentre gl 'istituti d'emissione possono procedere ad un incremento delle emissioni cartacee senza provocare un disagio penoso per duplice motivo: perchè una parte del denaro viene tesaurizzato e deve esser sostituito nella circolazione interna da nuovi mezzi di pagamento, perchè i limitati scambi con l'estero esigono minor copia di mezzi di pagamento stranipri e perchè l'uso quasi generale di carta moneta a corso forzoso attenua reciprocamente gli effetti di esso sui corsi dei cambi. Comunque, nel caso specifico dell'Italia, si può affermare cht il nostro Paese, determinerà col suo intervento, Biblioteca G ro Bia 1co

- 23 - secondo il concorde avviso dei critici militari più auto- ·rèvoli, l'accelerata fine del conflitto europeo e quindi avrà da sostenere uno sforzo di finanza bellica per un periodo non lungo. Durante questo periodo lo Stato potrà, Sè lo riterrà opportuno, ricorrere - come han fatto quasi tutti i Paesi ora belligeranti - all'incremento delle emissioni di carta moneta, potrà porre mano al capitale disponibile libero esistente ancora in paese (in occasione dell 'emissionè d0olprestito interno di un miliardo c'erano pronti a disposizione, in più, circa seicento milioni di lire) per il col!ocamento di Buoni del Ttsoro o di Rendita; potrà servirsi, agli stessi scopi di emissione di Buoni del Tesoro o di Rendita, delle Casse di prestiti che sono una specie di mobilitazione anticipata di risparmi futuri; potrà infine, contrarre un prestito presso i banchieri dei Paesi alleati, al fine di pagare. col suo ricavato, le evèntuali importazioni di guerra dall'estero, evitando in tal modo un esodo immediato di denaro italiano verso i paesi esportatori. La quale possibilità di contrarre un prestito presso gli alleati di domani non va sottovalutata pèr doppio motivo. Anzitutto, facendosi, evidentemente, l'emissione di un nostro prestito estero quasi certamente a Londra (ci sembra inutile discutere neppure la èVentualità di una scesa in campo accanto agi 'imperi centrali), I 'I tali a irrobustirebbe assai la sua bilancia dei pagamenti esteri e migliorerebbe in generè i corsi dei suoi cambi, poichè la sterlina può considerarsi lo << stantard >> monetario internazionale. I nostri rifornimenti essendo essenzialmente angloamericani (sopratutto : carbone, metalli e cèreali), il prodotto monetario di un nostro prestito a Londra assicurerebbe al nostro Paese la copertura a condizioni vantaggiose del nostro fabbisogno di importazioni. In secondo luogo, l'emissione di un prestito italiano a Londra lascierebbe liberi i capitali disponibili italiani di investirsi nelle produzioni e nei commerci all'interno, vantaggio questo non trascurabile. Per assicurarsi siffatti benefici di un prestito italiano a Londra, il Governo nostro non dovrebbe dimenticare, al momento dellt trattative diplomatiche con l'Intesa per la nostra entrata in campo, d'includere, fra Biblioteca Gino 81arco

- 24 - gli altri diritti che dovrebbero spettare all 'I talia per il suo intervento, anche quello del collocamento di un prestito italiano in Inghilterra ed eventualmente in Francia. La qual cosa dovrebbe riuscire tutt'altro che difficile, visto che anche nel convegno dçl febbraio scorso fra i ministri delle finanze di Francia, Inghilterra e Russia fu stabilito il principio della solidarietà finanziaria fra gli Stati dell'Intesa. La possibilità di emissione di un nostro prestito ali 'estero, sul grande mercato finanziario anglo-francese, deve esser presa in considerazione anche dal neutralista, il quale sa o almeno dovrebbe sapere che, anch~ permanendo l'Italia nella sua neutralità, a conflitto terminato, avrà tuttavia da attendere ad una grossa liquidazione finanziaria. Orbçne, tale grossa liquidazione finanziaria delle spese per la preparazione militare e per l'esercito mobilitato, in caso di nostra astensione dal conflitto non potrebbe seguire che ricorrendo esclusivamente ai capitali disponibili dell'interno (non a quelli dei mercati finanziari degli imperi centrali, spremuti dai loro bisogni e chiusi ai nostri anche per il non intervento a favorè della Triplice austro-turco-germanica; non a quelli dei mercati finanziari dell'Intesa, che anche recentemente, furono dichiarati aperti soltanto ai bisogni dçlle Potenze amiche). E ricorrere soltanto al mercato monetario interno equivarrebbe ad assorbjrne tutte le disponibilità, togliendole all'iniziativa privata, a favore della quale invece fluirebbero nel caso di conclusione di un prestito ali 'estero, che migliorerebbe altresì i nostri cambi. Dunque, anche per ragioni finanziarie di Stato, si raccomanda il nostro intervento allato dell'Intesa. vantaggi economiciche, mediante la guerra, si dovrebberorealizzare, Non occorre avvertire che nelle righe seguenti si vogliono analizzare soltanto gli aspetti economici dei B;blioteca Gino Bianco

- 25 - vantaggi del nostro intervento. Il quale ne ha altri e di rilievo ancora di gran lunga maggiore, come per esempio : la posizione internazionale d'Italia nel giuoco delle al- .Jeanze e degli ,11ccordi,la ragione suprema di sicuri confini naturali, l'integrità della patria, il rinvigorimento e l'elevazione del sentimento nazionale all'interno e del prestigio dell 'I talia all'estero ecc., ecc. In ordint alla giace~a geografica dei varii nostri interessi, i benefici che dalla guerra nazionale si dovrebbero poter ricavare si suddividono in quattro gruppi : adriatici, balcanici, mediterranei, coloniali. Il lato economico-utilitario del conseguimento dell'unità nazionale mediante l'annessione del Trentino,· della Venezia Giulia, di Fiume e della Dalmazia è tutt'altro che esiguo, dappoichè, a parte l'utile inestimabile delle sicure frontitre, ci sarebbero il notevole incremento della ricchezza nazionale privata, l 'apertura di nuovi sbocchi importanti alle produzioni italiane nelle regioni annesse, l'acquisizione dello strumento delle esportazioni levantine del blocco economico austro-germanico (Trieste) per adibirlo ai bisogni dell'espansione economica italiana nel bacino orientale del Mediterraneo, il rinvigorimento della marina mercantile nazionale grazie alla fusione con le flotte commerciali di Trieste e di Fiume, il conseguimento della piena libertà di commercio e di navigazione nell'Adriatico, ora in balì a dei possessori stranieri della costa orientale ( 1). Questi vantaggi economici della reintegrazione della Patria nei suoi naturali (I) Nell'Adriatico non si può navigare senza il possesso della costa dalmata, lungo la quale devono tenersi i battelli che salgono e che scendono, perchè soltanto la costa orientale offre possibliità di rifugio in caso di maltempo (mentre la costa occidentale, sabbiosa e senza. insenature, condanna le navi che le si avvicinano al naufragio o all'arrenamento), perchè essa ha un cielo più chiaro, correnti marine e venti più favorevoli. Non c'è libertà di commercio e quindi vita indipendente per chi non possiede la costa dalmata. Sopra tutto nei tempi gravi, il possesso italiano della costa dalmata è imprescindibilmente indispensabile, se non si vuole che tutta la costa occidentale dell'Adriatico pesi come un corpo morto sulla parte mediterranea, congestionandone i punti di transito (come è avvenuto durante la presente guerra) e determinando un profondo malessere in tutte le città marinare, da Venezia a Bari. E' la libertà della navigazione e dei commerci marittimi dell'Italia occidentale che conviene una buona volta raggiungere e definitivamente instaurare ed assicurare. B,bhoteca Gino Bianco

- 26 - confini si accennano qui solo di sfuggita; poichè furono più diffusamente trattati nell'opuscolo « Adriatico e Mediterraneo » dèlla stessa c<:>llezione. E veniamÒ al secondo gruppo 'dei benefici economici che conv9rrà ritrarre della nostra partecipazione al conflitto. Il nostro intervento dovrebbe seguire non soltanto in modo da assicurarci ciò che ci spetta di diritto, perchè facente parte dell'Italia, ma anchle in maniera da far valere il nostro punto di vista circa la futura configurazione dei Balcani, punto di vista, il nostro, il quale, si può dirç che combacia con quello, rettamente ed onestamente interpretato, delle aspirazioni effettivamente nazionali dei varii popoli balcanici. La formazione di un assetto balcanico -secondo i nostri desideri, che - ripetiamo - non si discostano da quelli dei popoli balcanici considerati nella loro armonica coordinazione, riuscirebbe propizio agli interessi italiani sia politici sia economici. Qui si considereranno soltanto questi ultimi. Finora i traffici italiani si sono massimamente diretti verso le grandi nazioni dell'Europa centrale ed occidèntale, mentre hanno trascurato assai i paesi balcanici. Francia, Germania, Svizzera, Austria-Ungheria, Inghilterra, Stati Uniti : questi, gli Stati verso i quali, quasi soltanto, si dirige adesso la corrente dei nostri commerci est 9 ri. Ossia, il commercio estero d'Italia è essènzialmente subordinato alla politica doganale delle Nazioni maggiori, sulle quali i negoziatori nostri dei trattati di commercio difficilmente possono esercitar pressioni in vantaggio delle produzioni italiane (e le pressioni sono sopratutto difficili per gli articoli industriali, nella fabbricazione dei quali i grandi paesi occidentali hanno inoltre spesso una superiorità economico-naturale su di noi), mentre fovèce i contraenti stranieri, per la loro maggior importanza economica e politica, hanno il mezzo ed il mi»do di farci accettare, sia pure parzialmente, il loro punto di vista, cioè il punto di vista delle concorritrici loro produzioni. In altre parole, mancano ancora alla èConomia nazionale italiana quelle direttive di penetrazione economica nei paçsi in corso di sviluppo, che costituiscono i germi delle risorse in avvenire. E' ovvio che, per l'entità stessa dei bisogni çconomici Brblioteca G ro Bia'"lco

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