Giuseppe Antonio Borgese - Guerra di redenzione

N, 18 • 91 mano 1915 PUBB~ICAZIONE 3ETTIMAN~LÉ Coni~Correnteconla posh E ;,.;i ,1110 Lll I 1L,U

PROBLEMI ITlìLilìNI XVIII. G. l\. BORGESE GUERRf\ DI REDENZIONE MILJ\NO ' RflVfl & C. - EDITORI 1915 9iblioteca G no Biarico

PROPRIETÀ RISERVATA TIP.LIT.RIPALTA•MILANO B blioteca Gino Bianco

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • I. L'ambiente è saturo di discussione, e poco v'è da aggiungere ai motivi dell'intervento. formulati in otto mesi di instancabile propaganda e di ansiosa collaborazione dagli uomini dì pensìèro e d'azione che hanno preparato I'I tali a ali 'affermazione della sua volontà d 'esistere. Alla vigilia di una decisione definitiva, un rapido riassunto delle ragioni dell'intervento serve non tanto a convertire gli ultimi neutralisti, nei quali I'italofobia e l'amore adulterino per la patria altrui sono passioni cosl veementi che non v'è ragionamento buono a temperarle, quanto a contornare e a precisare la persuasione di quelli chè già da qualche tempo pensano e sentono nella nostra direzione, contribuendo così a rendere questa loro persuasione più conscia e più attiva. Può valer la pena di dire che le ragioni dell'intervento furono da chi scrive schematizzate nèl modo che segue almeno sin dalla fine del 1914 : pure sono ancora vive ed attuali, dopo un'intera e così tragica stagione: il che mostra come sia stato pesante e deciso il comando che la necessità dava all!Italia, se quelli eh~ l'hanno inteso non cercano le motivazioni in ingegnose sottigliezze o in capricci logici o in originali vedute d'insieme, ma monotonamente e tranquillamente plagiandosi l'un l'altro ripetono 'le loro solide e solite argomèntazioni fondate su così robusti dati di fatto e su così permanenti rapporti di forze B blioteca Gino Bianco

-4 che la guerra, alteratrice di ogni cosa, non ha ancora potuto in lunghi mesi modificarli radicalmente. Devo poi dire perchè io creda che le ragioni dell 'intervento formulate da me acquistino in certo modo uno speciale rilievo. Non faccio davvero appello a una mia autorità personale e nemmeno alla mia germanofilia letteraria che dovrebbe dare risalto alla mia attuale germanofobia politica. Voglio invece dire che io non sono politicamente compromesso in alcun modo e che non sono mai stato iscritto a npssuna setta e a nessun partito, fino a che sullo scorcio del 1914 si sono costituiti qua e là i grupoi nazionali-liberali, i quali si distinguono dal cosiddetto grande partito liberale in quanto non riassumono ogni loro sentimento politico nel desiderio di vivere e di lasciar vivere e credono che, occorr pndo, la causa della nazione debba tenersi superiore alla causa delle istituzioni ; ma poi si distinguono dal nazionalismo ufficiale, sia perchè non sanno vedere che lo stato moderno si possa fondare su altro sistema che non sia il liberale e perchè reputano impossibile un'intesa col clericalismo, sia perchè il loro espan~ionismo vuol essere più concrpto e graduale, anche più sciolto dal pregiudizio materialistico che la potenza o la grandezza d'un impero si misuri solo a chilometri quadrati, e conscio della necessità di una missione ideale entro la volontà di potenza della nuova Italia : missione ideale che preferiscono cercare nell'Italia degli anni tra il Congresso di Vienna e il quarantotto anzichè in Francia o in Germania, nel moderno cristianesimo combattente di Mazzini, di Gioberti, di Garibaldi, anzichè ntl nudo eroismo di Nietzsche o nel ritardatario machiavellismo di Bismarck o nella libresca utopia legittimista di Maurras. Ciò è detto non per l'egoistica smania di distinguersi, che sarebbe in tanto più deplorevole in quanto noi nazionali-liberali riconosciamo volentieri l'utilità della vigorosa campagna nazionalista, ma perchè, individuata la nostra posizione, debbono spuntarsi certe insidiose armi polemiche del neutralismo. Il quale potè a lungo mentire, fingendo di credere che i rivoluzionarii volessero la guerra solo per la rivoluzione, i democratici per amor della Francia, i nazionalisti per estetico amore della guerBiblioteca Grno Bianco

-5ra. Queste calunnie non toccano i liberali interventisti, tanto più, se, come gl 'iscritti ai gruppi nazionali-liberali, si mantengono e0uidistanti da massoneria e da clericalismo, nè possono venir sospettati di francofilia. L'autorità delle cose chè dico viene dunque dalla novità dell'uomo e del partito, dalla loro poca o nessuna ambizione di conquiste pratiche, dalla loro libertà da ogni legame. Io non posso dire, per esempio, di essere stato recisamente antitriplicista o di essere stato sempre irredentista. Al contrario. Debbo confessare senza nessuna vergogna, anzi, spiegherò più tardi, in certo modo vantandomene, di essere stato come la gran maggioranza degli italiani triplicista con certe cautele e di essere stato anche anti-irredentista. (I) •E la cagione del! 'uno e dell'altro passato mio, che qui francamente -confesso, a me pare che sia evidente. Il grave peccato originale delia nostra unità e della nostra libertà nazionale è, come ognun sa, nel fatto che noi non abbiamo avuto forza sufficiente per costituirci da noi. L'aiuto francese, materialmente preponderante, è stato il nostro primo peccato, la nostra prima debolezza, è verso la Francia nqn potevamo poi contenerci che in uno o in un altro di questi due modi : o ricambiando il servigio, oppure pagando di sonante ingratitudine. Giacchè la nostra prima necessità consisteva nel sentirci del tutto indipendenti e sottratti a ogni protettorato. Non ci è riuscito (più per colpa della Francia che per colpa nostra - se in simili questioni valesse la pena di cercare le colpe) di ripagare il servigio: abbiamo dovuto diventare ingrati. Mancò alla Francia la genialità di riconoscerci suoi pari. Dovemmo dunque divenirle ostili : donde la necessità della nostra adesione ali 'alleanza austro-tedesca, alleanza che avrebbe potuto svolgersi fa. vorevolmente ai nostri interessi, contro la leggerèzza di quelli che parlano della Triplice come fosse un individuo, qualcheduno con quel naso e quegli occhi, mentre è invece un fatto storico che si è andato svolgendo e trasformando, acquistando facce e aspetti e significatl (I) Si vedano ad ogni modo i primi capitoli della terza parte nel mio libro Italia e Germania, Milano, Treves, 1915. B•blioteca Gino Bianco

-6 differentissimi dal momento della sua nascita fino al momento della sua morte. E nessuno fra noi era obbligato a prevedere che un giorno o l'altro la Triplice, invece che strumento di quieta conservazione delle cose esistenti e dell'ordine costituito, diventasse per complesse fatalità (senza eh 'io accusi come responsabile della guerra l'uno o l'altro dei belligeranti) una grande forza sommovitrice dell'ordine esistente in Europa. Nessuno in ogni modo era obbligato a subordinare a cosi lontane preoccupazioni l'azione politica di allora. E nemmeno era dato prevedere se la chiaroveggenza degli uomini politici tedeschi, o l'abilità dei nostri, o tutte e due insieme, non potessero riuscire a dare nel momento decisivo alla Triplice un avviamento che la rendesse egualmente favorevole ai nostri interessi ed a quelli degli altri contraenti. Vi sono stati tentativi molto int.eressanti della politica italiana in questo senso : basta ricordare l'opera crispina : e sarebbe stato arbitrario affermare alcuni anni fa che necessariamente la politica tedesca dovesse essere assoggettata al pangermanismo e al programma massimo della letteratura politica tedesca. Non avevamo ragione di supporre questo. Noi potevamo sperare, potevamo credere che la Germania avesse in sè uomini di tanto acume, di tanta nettezza cerebrale da comprendere quale sarebbe stato per il loro paese il valore dell'amichevole intervento italiano, o della neutralità italiana, o addirittµra della inimicizia italiana nel caso di una grande guerra. Nè potevamo, d'altro canto, essere accesamente irredentisti, quando riconoscevamo la necessità per il nostro paese della adesione alla pacifica alleanza con gli imperi centrali, e quando, soprattutto, l'irredentismo come immediato programma nazionale era proclamato proprio da coloro i quali pensavano di poter raggiungere gli scopi della nostra nazione sopprimendo l'esercito, negando i sacrifici necessarii per mantenerlo capace delle funzioni che poi se ne aspettavano, o illudendosi in un sogno da presepe che le questioni di cosidd,etta giustizia nella vecchia Europa si potessero risolvere in base a contrattazioni pacifiche. In un certo momento, quando è scoppiata la guerra, Biblioteca Gino Bidnco

-7così come l'ha voluta la necessità, come l'ha fatta la storia, e come nessun profeta avrebbe potuto prevederla, si è dovuta dichiarare la neutralità, appunto pèrchè questa era la guerra tedesca, non la nostra guerra. Anche quelli i quali avevano sperato che la politica tedesca si mantenesse sopra un binario di buon senso, di moderazionè, di equilibrio, di chiaroveggenza, o quelli che speravano che, se mai la guerra divenisse necessaria, dovèsse essere la guerra della Triplice e non la guerra di uno dei contratnti, si sono dovuti accorgere, se non volevano addirittura mantenersi sordi alle grandiose e commoventi voci che venivano dalla Germania, che qui si trattava proprio di que!la che i pangermanisti chiamavano « der deutsche Krieg », « la gutrra tedesca ». Evidentemente il nostro posto non poteva essere '1ella guerra tedesca. Dopo otto mesi di guerra è diventato evidente a tutti, credo anche ai germanizzanti, quale sarebbe stata la funzione del! 'I talia nel caso che essa avesSè creduto di dover marciare a fianco degli allestì. ~el primo mese di guerra questi avevano una così su)lilT.e fiducia nelle loro forze che interpretarono la neutralità italiana come una necessaria conseguenza della nostra debolezza. Disstro cioè che non avremmo potuto in nessun caso entrare in un grande conflitto dopo i sacrifici e le spese della guerra libica, e che non avremmo mai avuto l'audacia di andare incontro ai sicuri danni che la flotta anglo-francese avrebbe arrecati allt nostre coste. D'altro canto, annunciavano quei giornali tedeschi che indubbiamente erano animati da una volontà di cortesia verso di noi, questo nostro intervento a fianco degii alleati sarebbe stato piuttosto dannoso che favorevole a essi, poichè le inevitabili nostre sconfitte delle prime settimane avrebbero esercitato una influenza deprimentè sopra lo spirito degli alleati. Inoltre la nostra neutralità poteva a essi servire, per via dei rifornimenti, molto più di quello chp potesse servire un esercito - non lo dicevano, ma lo lasciavano intendere - di dubbia fama e di poco glorioso passato. La loro forza poi era tale che essi avrebbero indubbiamente vinto per conto loro, e l'avvenire dell'Italia, la sua libertà, la sua prosperità, Biblioteca Gtno Bianco

·- 8potevano bene restare affidati al valore e alla fortuna dalle armi austro-tedesche. Ora. dopo otto mesi, abbiamo visto che !è vittorie dell'uno e dell'altro dei combattenti si compensano, e che l'equilibrio europeo si mantiene armato e combattente, mentre prima della guerra era armato e pacifico. Cioè vediamo che le forze combattenti dall'una parte e dall'altra si equilibrano, P che i 'Italia, per quanto noi non siamo tratti alla retorica ambizione di esaltarne le forze oltre il loro valore reale, ad' ogni modo rappresenta un complesso di energia tale che certamente avrebbe fatto tracollare la bilancia. Si comprende anche una delle ragioni per cui sorse l'Italia a metà del secolo XIX : quasi con l'ufficio di divenire regolatrice del pendolo europeo, custode dell'equilibrio. · E allora, se noi in agosto avessimo marciato accanto alla Germl].nia e ali' Austria, indubbiamente avr·emmo dato alla Germania la forza di opprimere la Francia, e la battaglia della Marna non sarebbe mai avvenuta e le truppe di von Kluck sarebbero entrate a Parigi. La Germania avrebbe quasi certamente vinto tutta la grande guerra continentale, senza lontanamente curarsi di attribuire in parte il merito della vittoria al nostro intervento che, per ragioni militari e geografiche ben note, sarebbe anche stato poco brillante e appariscente. Non vi è mai stato nessuno storico tedesco il quale abbia riconosciuto che la battaglia di Sadowa fu vinta anche in grazia dell'esercito italiano sconfitto a Custoza. Tanto più non vi sarebbP stata ragione di riconoscer meriti a un esercito che sarebbe stato ausiliario nei campi della Mosa e della Marna e costretto a un 'azione tutt'altro che spettacolosa sulle Alpi e a una flotta, di cui si sarebbe potuto ben dire chp si batteva be·ne p'erchè le era accanto la iloriosa flotta di Tegethoff. Il nostro avvenire sarebbe stato quello di una grande Baviera; di diritto o di fatto saremmo appartenuti a un Deutscher Bund, alla grande confederazione tedesco-europea, con dignità ed autonomia proporzionalmente poco o nulla superiori a quelle che ha avute proporzionalmente la Baviera, vinta dalla Prussia nel 1866, alleata della Prussia nel '70 ma non certo con tale forza che la totalità della nazione 81blloteca Gino Bianco

-9 germanica dovesse riconoscere proprio all'aiuto della Baviera la forza determinante della vittoria. Ma vediamo, dall'altro canto, che cosa sarebbe avvenuto, se noi, come pretendevano quegli intervenzionisti i quali si vantano di essere stati sempre antitriplicisti e sempre irredentisti, avessimo fatto quello che essi volevano, cioè avessimo fin dal primo momento denunciato l'alleanza e ci fossimo, anche con scarse forze e senza sufficienti pattuizioni, battuti accanto alla Francia e alI'Inghilterra. Forse che Francia e Inghilterra avrebbero usato verso di noi la non necessaria, la stolta generosità che la Germania non poteva usare, di riconoscere che le vittorie eran dovute proprio al nostro ausilio? La conseguenza era la medesima. Per la valutazione delle nostre forze militari, del valore nostro, l 'intervento sarebbe stato egualmente dannoso dall'una parte e dall'altra. Il nostro passato militare, bisogna aver il coraggio di dirlo, è cosl poca cosa, che soltanto in seguito a prove ben precise, ben determinate, bene individuate nello spazio e nel tempo, possiamo pretendere di essere riconosciuti per quello che siamo. E se noi avessimo aiutato nei primi mesi l'Intesa a una vittoria che certamente in grazia nostra sarebbe stata molto più rapida e decisiva, non avremmo avuto di ciò un riconoscimento superiore a quello che la Germania ci avrebbe concesso nel caso inverso. E allora, a differenza di quelli che si vergognano di essere stati triplicisti e di non aver sempre fatto dell'irred.entismo di piazza, dico : quelli che hanno rappresentato effettivamente gli interessi della nazione, l'interesse voglio dire dell'Italia a affermare positivamente e realisticamente la sua indipendenza e il suo valore nel mondo, sono stati precisamente quelli che dal 1882 al 1914 hanno fatto politica triplicista e anti-irredentista, e che nell'agosto 1914 hanno approvato la neutralità, per preparare al momento opportuno la guerra contro gli exalleati. Solo in tale stato di momentaneo isolamento e di attesa è possibile un'esatta individuazione della nostra forza. E solo nell'agosto del 19 I 4 l'Italia è, in realtà, divenuta una grande potenza. B blioteca Gino 81,mco

- IO - j I I. Si dirà a questo punto che io finisco per dare perfettamente ragione al Governo, riconoscendo che la neutralità è stata molto utile ali 'Italia e affermando chè, se il Governo avesse accolto i consigli che lo spingev:rno a un precipitoso intervento, avrebbe gravemente errato. Ma non è còmpito di noi scrittori, pensatori, propagandisti di sostituirci al Governo. Abbiamo mostrato noi pochi e deboli, apparttnenti a una selezione intellettuale, come hanno mostrato anche partiti vecchi e ,olidi, quali sono i partiti democratici, che non v'era negli intervenzionisti nessuna intenzione di sostituirsi al Governo forzandogli la mano. Quando interroghiamo profondamente la nostra coscienza ci accorgiamo della radicalè diversità delle nostre funzioni da quelle del Governo. Nessun uomo di meditative disposizioni mentali avrebbe voluto essere in queso momento al timone dello Stato. A quel posto non devono stare i chiaroveggenti, i lungiveggenti, gli storici, i pensatori, ma precisamente i miopi; e se noi avessimo avuto alla testa del Governo piemontese, negli anni dal 50 in poi, un lungimirante come Giuseppe Mazzini, l'unità dell'Italia non si sarebbe mai fatta. Si è fatta appunto perchè vi era un miope di grande stile, come era Cavour che seppe vedere gli scopi da raggiungere proprio quando gli scopi erano quasi a portata della sua mano. Quindi non v'è nulla di più vano della solita polemica che tende a stabilire ·in quale anno e mese abbia pensato all'unità italiana Camillo Cavour: certamente molto più tardi dei poeti, dei pensatori, degli scrittori, senza i quali egli non avrebbe acquistato la coscienza del suo còmpito, ma che, al Governo, si sarebbero mostrati incapaci di scegliere il tempo e il modo. Vi sono cioè due funzioni molto diverse nella preparazione dell'avvenire di un paese : quella degli ideatori e quella degli esecutori. Questi ultimi devono avere occhio precisamente al passo che c'è da fare in quel determinato momento. Senza dubbio, se coloro che guarB blioteca Gino Bianco

- 11 - dano lontano e v~dono la funzione dell'Italia nel mondo fossero stati chiamati al potere, avrebbero potuto subire la tentazione di agire cosi precipitosamente da compromettere l'opera a loro affidata. Ma di ciò potrebbero esser~ rimproverati solo se avessero aspirato al potere. Il loro ufficio consistette invece nel preparare al Governo un paese pronto a battersi, e un paese pronto a battersi non si può preparare con le solite chiacchiere del « vedremo », e « il Governo sa », ecc., perchè a questo modo non si fa che rinviare a un futuro estremamente problematico un c6mpito la cui difficoltà, la cui gravezza, la cui amarezza è tale, che bisogna sentirlo come immediato e urgente. Bisogna sentire questa necessità come di domani, di oggi, di questa sera stessa, perchè sia possibile obbedirle fra due o tre o quattro mesi. Colui che diceva: « Ci penseremo in primavera », aveva pochissima vogiia di far la guerra, e in sostanza giocava a sottrarre al Governo il principale elemento di cui deve disporre, cioè la coscienza di avere nelle sue mani un paese pronto, degli uomini pronti a battersi e a morire. Del resto non bisogna dimenticare che la realtà della vita politica di un paese non è quella semplicissima cosa che questi improvvisatori suppongono. Secondo questi nostri neutralisti, dei quali molti pensano ai loro interessi individuali fingendo di pensar~ agli interessi della patria di cui non si sono mai occupati prima d·'ora, noi abbiamo un Governo che decide e un paese che eseguisce. Questa è una concezione mostruosa. E' stato ricordato tantissime volte che si è fatta l'occupazione di Roma, in seguito a una seduta del consiglio dei ministri dove cinque votarono di sì e tre di no, e chi conosce la storia della dichiarazione di guerra della Prussia alla Francia nel 1870 (qui si tratta di cosa tedesca, anzi prussiana, affinchè a s~ntire il primo episodio non si esclami : « Solite cose italiane » !) sa che nel momento in cui la Germania era già grande come ora, anzi più grande perchè aveva uomini come Bismarck, anche allora la sorte pencolò per giorni interi, per settimane, e non si può affatto negare che la spregiata opinione pubblica abbia avuto un 'influenza decisiva su quella dichiarazione di guerra, tanto che lo stesso Bismarck, B bhotecaGino 8Jdnco

- 12non sospetto di amare il gran pubblico, sentì il bisogno di eccitarlo con una notizia almeno parzialmente falsa, per avere quell'atmosfera che servisse a muovere l'esitante re di Prussia verso la guerra. E poi, ciò chè riguarda la storia dei mesi di estate e di autunno di quest'anno nessuno di noi certamente è in grado di raccontarlo; ma chi non si avvide di casi di esitazione, di pencolamento, di oscillazione, di terrore troppo palesi, perchè si possano ridurre ad apparenze ingannevoli di una decisionè ferma e incrollabile fin dai primi giorni! Vi sono stati fatti pubblici (accenno senza perdermi in minuzie) come le tardive dimissioni del ministro Grandi, e come certe manifestazioni eccessivamentè neutralistiche e troppo curanti degli interessi degli albergatori da parte del marchese Di San Giuliano, che dimostrano come una certa esitazione vi sia stata in alcuni momenti; e chi sa la natura del presidente del consiglio, (che senza dubbio è un uomo dèi più puri e più alti, forse il più adatto a reggere in questo momento l'Italia, ma, appunto perchè puro come un homo novus, relativamente inesperto delle tumultuos~ complicazioni de!l 'ambiente politico romano), può farneticare eh 'egli, sentendosi gravato da un còmpito enormemente più grave di quello chè egli abbia potuto sperare o temere nel momento in cui saliva al potere, abbia pensato di governare l'Italia ch'egli ama comè un gregge che in qualunquè momento si lasd guidare, in qualunque modo e in qualunque senso? è possibile che uomini di questa dirittura e di questo entusiasmo considerino come cosa senza nessunissima importanza lo stato d 'animo che si va creando nella nazione e il suo slancio o la sua nacchezza? e che questa nazione, nata da uno svolgimento di idee libere, sia qualche cosa di simile alla Persia dell'antichità o a uno qualsiasi degli stati despotici dell'Asia, dove c'era (e anche per l'Asia si esagera dicendo così) una sola testa pènsante, e tutte le altre si piegavano al giogo? Non è mai avvenuto nella storia europea che una grande decisione si sia formata in consiglio di ministri. Il consiglio dei ministri formula questa decisione, la quale deve essere prèparata da tutta quanta la storia e da tutto quanto lo svolgimento idèale della Biblioteca Gino Bianco

- 13nazione, e chi, senza interessi faziosi e senza vellèità rivoltose, prepara questo stato d'animo nella nazione prepara uno degli elementi più significativi di cui il Governo possa aver bisogno (I). Ora quando si pensi alla politica seguìta dall'Italia negli ultimi trentadue anni, a questa dubbiosa, talvolta quasi tragica adesione a una alleanza che per molti rispetti poteva parere e poteva diventare ed è divenuta anche, a un certo mcmènto e per qualche tempo, naturale; quando si pensi poi a una quantità di sentimenti e di aspirazioni concrete che rimanevano insoddisfatte in questa alleanza, anche nei suoi migliori momenti, e che anzi nella sua invincibile realtà trovavano troppo spesso una superficie di irritazione e di attrito, e poi si pensi alla rapidità della nostra formazione nazionale e alla èquivocità dei modi militari con cui questa formazione fu raggiunta; se si pensi a tutte queste cose, davvero non si può più dire che il nostro passato politico ci segnasse una via diretta, chiara, evidente, dove gli uomini conduttori non avessero altro che a continuare a camminarè. Questo avviene, in Europa, nei paesi che hanno una storia già secolare, e infatti non viene a nessuno in mente di domandare al russo quale sia il suo nemico nazionale, o di· domandarlo al tedesco o al francese. Invece è proprio l'Italia il paese dove si può èSsere nati nella stessa città, nello stesso ambiente, per anni essere vissuti insieme anche in comunione affettuosa, ed avere due animi diversi, ed essere germanofili o francofili! Dunque è l'Italia il paese nel quale la guerra o la pacè e l'adesione a questo o a quello dei gruppi combattenti non sia determinata istintivamente dalla continuità degli interessi e dei sentimenti nazionali, dove più che altrpve sia indispensabile la critica, l'analisi delle circostanze che ci dèvono indirizzare piuttosto verso una strada che verso l'altra, l'esplorazione insomma della nostra natura e del nostro destino. ( I) Se un popolo fo~se disposto a sparare indifferentemente a destra o a sinistra, contro i francesi o con.tro i tedeschi, secondo ordini ciecamente accolti, la guerra sarebbe davvero un assassinio in massa E' un eroismo solo in quanto la vuole una informata e libera coscienza nazionale. Bibli◊teca Gino Bianco

- 14 - III. A questo punto bisognerebbe rispondere alla domanda capitale, cioè perchè noi del gruppo nazionale liberale, perchè io individualmente, perchè tutta questa composita maggioranza della selezione italiana tenda alla guerra contro l'Austria. E veramente dovendo rispondere a questa domanda si dubita quanto ali 'utilità della risposta. Effettivamente ci si accorge che da noi non si tratta soltanto, ed è giusto che sia così, di una diffèrenza di opinioni, ma di una radicale differenza di passioni. Le ragioni, gli argomenti esposti dall'una parte hanno una scarsissima forza persuasiva per l'altra parte. Si tratta, oltre tutto, di due forme psicologiche e sentimentali quasi esattamente opposte e distinte. Questa impressione si ha soprattutto quando si riflette all'ardore, alla impazienza quasi iraconda che si suscita in noi intervenzionisti, ogni volta che dobbiamo esporre le ragioni dell'intervento o, lasciando stare l'intervento di cui non possiamo fissare la data e i modi, dçlla nostra attuale ostilità verso gli Imperi Centrali, della nostra compartecipazione alla volontà eh 'essi non vincano. La nostra ostilità è radicata e fondata sopra ragionamenti di una tale evidenza che ci pare indubitabile e grave la mala fede dell'avversario. Come possiamo noi desiderare la vittoria dell'Austria e della Germania? Noi abbiamo da un lato una coalizione, dall'altro lato una sola nazione (giacchè non si può considerare l'alleanza fra Germania, Austria e Turchia alla stessa stregua a cui si considera quella fra le varie nazionalità che stanno loro di fronte). Sono loro di fronte tre stati principali, senza contare gli altri, i quali tre hanno ciascuno una storia autonoma, individuata nettamente, così che non possono in nessun modo confondersi l'uno coll'altro : la Russia, la Francia e 8 blioteca G no Bianco

15 - l'Inghilterra per lo meno, qu~sti tre fortissimi individui storici, che formano una vera e propria alleanza, una vera e propria intesa, destinata a sciogliersi quando il comune scopo, la vittoria contro il comune nemico, sia stato raggiunto. Invece nell'altra alleanza vediamo l'Austria essere la longa manus della Germania, e queste due in tanto essere alleate, in quanto si tende a creare una situazion~ di cose per cui la forte e intelligente minoranza tedesca dell'Austria sostenuta dai magiari, continui ad avere il dominio politico sopra gli altri popoli della monarchia danubiana e nel vicino oriente. Nè certamente la Turchia è paese che oggi possa avere qualità autonome; è vassallo della Germania, e più direttamente ancora sar~bbe tale dopo la vittoria tedesca. Dunque da un lato abbiamo una coalizione, dall'altro lato abbiamo la Germania e i suoi vassalli, e ciò vuol dire che, vincendo questo secondo gruppo, vincerebbe un solo popolo, il quale potrebbe a bonissima ragione aver coscienza di aver~ vinto tutto il resto del mondo, e, anche se fosse animato dalle intenzioni di essere agnello, dovrebbe essere, per fatalità storiche che non perdonano, leone, cioè dovrebbe imporre il suo dominio, essendo esso più valoroso e più saggio degli altri. Contro di esso combatte una coalizione di almeno tre popoli, congiunti dal comune nemico soltanto, ma che, una volta vinto il comune nemico, riassumono ciascheduno la sua individualità, garantendo la possibilità dell'indipendenza delle altre nazioni, e fra queste principalrJJente della nostra. · Cioè, nel caso di una vittoria dell'Intesa noi possiamo trattare con gli uni contro gli altri, perchè vi saranno sempre in Europa almeno quattro grandi potenze (nessuno potendo pensare sul serio allo smembramento e alla distruzione della Germania, che è un popolo di 70 milioni di uomini, molto intelligenti e molto operosi, che non si lasciano così facilmente eliminare dal mondo). Sarebbero dunque quattro con i quali potremmo trattar.e, - mentre nell'altra ipotesi avremmo soltanto la Germania vittoriosa nell'Occidente, con tanta forza da ridurre a nulla la potenza militare della Francia e delBiblioteca Gino Bianco

- 16 - l'Italia, e non avremmo un amico capace di aiutarci, nemmeno la Russia lontana, da cui nulla potremmo attenderci quando fosse disfatta la Francia a occidente e la Germania possedesse i passi alpini, e, per la conservazione della pace, vietasse a noi e alla Francia, come sarebbe in suo potere e perciò in suo diritto, le fortificazioni minacciose e gli armamenti sospetti. Questo ragionamento per noi è di tale evidenza, che non concepiamo assolutamente come si possa non ammetterlo ( 1). Ma la vittoria dell'Intesa, si obbietterà, non ha essa pericoli? Sì, t gravissimi, enormi : i pericoli derivanti a noi dalla vittoria dell'Intesa sono minori di quelli derivanti dalla vittoria della Germania, ma certamente, l'Intesa vittoriosa pur non potendo toglierci la nostra indipendenza e la nostra possibilità di cercare l'equilibrio, lascerebbe però enormemente sminuita la nostra importanza relativa. Ma contro questo pericolo che cosa si può fare di meglio o di altro che diventare partecipi della vittoria? L'unico modo in cui possiamo evitare una nostra diminuzione umiliante di fronte a Francia, Inghilterra e Russia, è di diventarç loro alleati. Nessuno finora ha saputo consigliare qualche cosa di m9glio. Almeno allo stato attuale delle cose questa sola soluzione si presenta, senza esclud9re naturalmente la possibilità che in seguito si presentino altre soluzioni. Si discorre molto della possibilità che la Germania, sentendosi male e vicina a una sconfitta molto grave, possa, alle spese del1'Austria, intendersi con noi e con la Russia. Ma in qupsto caso dovremmo fare i conti non più colla realtà (I) Giulio Beloch, più curante del suo paese che della ragione (e fa bene il suo dovere di tedesco; e così gl'italiani imitassero anche in questo la scienza tedesca) scriveva sul Giornale d'Italia essere strano che gl'italiani si preoccupino dello spettro dell'egemonia te• desca, mentre vi sono egemonie reali. Ma egemonia non ha plu• rale; e, quando si mette al plurare, se ne annulla il sesso. Appunto perchè vi erano parecchie egemonie' noi eravamo liberi fino a ieri e potemmo occupare la Libia a dispetto di Francia e Germania, di Austria e Inghilterra, sebbene l'Italia fosse più debole di ognuna di queste. 8 blloteca Gino Bianco

- 17 - attuale, in cui abbiamo sempre una Germania candidata al dominio universale, sibbene con una soluzione completamente nuova, e che oggi non si può se non intellettualisticamente ,escogitare, dimenticando che questa fantasticheria non ha senso s~ non si suppone anche che l'Inghilterra sia frattanto stata battuta o che, per motivi ancora misteriosi, trovi il suo tornaconto in questo chassez-croisez. Non è lecito dimenticare la realtà d'oggi per inseguire queste problematiche speranze. Si dimentica che, per intendersi con l'Italia su queste basi, bisogna che la Germania riconosca assolutamente perduta una sua grande causa, una fra le massime poste dalla guerra, cioè la continuità territoriale fra il germanesimo e l'Islam, fra Berlino e Bagdad. In quel momento la Germania non potrebbe fare altro che mascherare la sua sconfitta dietro alcuni appariscenti compensi territoriali in Austria o altrove, e riamicarsi l'Italia dandole tutto ciò che essa vuole in Adriatico, e riconoscendosi sostanzialmente disfatta. La guerra si combatte proprio per rAustria, è scoppiata perchè la Germania reputava indispensabile alla sua sicurezza un'Austria forte. Sguainò la spada per dare al-I'Austria i Balcani e la via de li 'Egeo; ora le toglierebbe le Alpi Giulie e la via dell'alto Adriatico! Una simile intesa italo-tedesca sarebbe la spontanea confessione, da parte della Germania, della sua sconfitta, con la vana speranza di mascherarla, per motivi interni, con problematiche e pericolose annessioni nell'Austria tedesca, paese cattolico, storicamente individuato, con una sua propria psicologia e un suo grande centro, tale insomma che la sua entrata nell'impero tedesco, invece che causa di irrobustimento, potrebbe essere il principio di un rovinoso dualismo. Tutto questo senza dire che non è chiaro finora nè perchè questa soluzione dovrebbe trovare consenziente l'Intesa, evidentemente vittoriosa dal momento che la Germania avesse abbandonato la posta del giuoco, nè perchè 1 'Intesa, oltre a lasciare l'Adriatico, dovrebbe tener conto dei nostri int 9 ressi in Levante e nel Mediterraneo, o, finalmente, quali mezzi avremmo noi, insieme alla Germania già vinta, per battere la Russia e l'Inghilterra. Biblioteca Gino Bianco

I - 18 - / Può èSsere che nuove combinazioni si realizzino, ma nessuna di quelle finora escogitate è verisimile. Non è verisimile che gli interessi del! 'Italia vengano salvaguardati con l'abbandono dell'Austria da parte della Germani·a, con la cessione dei confini naturali P del dominio del!' Adriatico e con una nuova alleanza italo-germanica. E nemmeno è verisimile che la Germania si riconosca già a tali estremi da sacrificare stoicamente sè stessa e brutalmente l'Austria costringendo questa a darci Trieste e Pola. D'altro canto ci troviamo in una situazione interna, che sarà bene illuminare rapidamente. Perchè vi è questa fortuna nella vita delle nazioni come degli individui, che le decisioni gravissime, per una specie di pietà della provvidenza, non si pigliano mai in istato di completa e conscia libertà. Anche l'individuo isolato non troverebbe il coraggio necessario se nei gravi momenti della sua vita non vi fossero come delle inesorabili forze esterne che premono su di lui. Così anche delle nazioni. Noi dobbiamo pensare come pensiamo, ma è pur equo che ci mettiamo nelle condizioni d'animo dell'uomo di stato, il quale, invece di fare- la propaganda per la guerra, deve assumersi la enorm 9 responsabilità di deciderla. Non ci s'immagina un uomo di stato collocato amleticamente davanti al dilemma di pace o guerra, nella situazione praticamente indifferente dell'asino di Buridano fra i due cibi. Questa grandiosa rèSponsabilità pare agli ideatori ed ai pensatori possibile ad assumersi ; ma è giusto che non attragga un uomo di stato. E appunto è in questa situazione che si formano certe cause urgenti, fatali, dalle quali non è salvpzza, in modo che la decisione non paia più libera. sibbene determinata da urti superiori a ogni forza di difesa. In Italia vi sono appunto le condizioni che detenninano inevitabilmente la guerra. E' un fatto che, anche se supponiamo di trovarci di fronte ad una Italia inerte e fiacca, incapace di vedere quale debba essere il suo avvenire nel mondo, anche se ci figuriamo l'Italia ridotta alle minime proporzioni come sempre la vedono i nostri democratici, questa Italia non può fare a meno oggi di Trento e Trieste. B blloteca Gino Bianco

19 Questi due nomi, isolati, per noi nazionali-liberali significano relativamènte poco, abbiamo il coraggio di dirlo. Quelle due città io non posso pensarle sotto specie di due problemi sentimentali ed etnici, e posso perfino pensare che vi sono situazioni nelle quali una nazionè deve rinunziare a una sua parte, come un organismo può trovare la sua salvezza in un'amputazione. Divento irredentista invece quando penso alla nostra sicurezza militare è alla base di forza nell'Adriatico che quei due possessi rappresentano per il nostro avvenire nell 'Oriente. Sono, si sa, le porte di casa nostra verso il germanèsimo e lo slavismo : ci promettono cioè quella condizione di cose "ler cui noi, popolo piuttosto marinaro chè militare, possiamo aspirare a diventare una specie di Inghilterra continentale, meglio uomini da nave che da trincea. Rappresentano tante altre cose Trento e Trieste. Ma per la comunt mente popolare italiana vogliamo ammettere non si tratti se n~n della questione etnico-sentimentale. E' giusto: le masse popolari non possono interessarsi a problèmi di lunga portata, a scadenza lontana. Non si può fare intendere a una mente popolaresca che per l'Italia non vi è salvezza se non in una posizione di primo ordine nel .Mediterraneo, tendènte sempre più a prevalere. Senza di che saremo sempre, sotto aspetto di liberi, servi di colui che sarà il padrone del Mediterraneo. Una massa popolare non può sentire questo : ma solo la questione sentimentale dèlle due città irredente. Esse sono il simbolo del nostro prossimo avvenire. Del resto, anche gli altri fanno la guerra per ragioni molto più vaStè e molto più ramificate nel lontano avvenire, ma, ciò non pertanto, quello che interessa le grandi masse e le muove al combattimento. all'eroismo, è un nome, un simbolo : sarà Strasburgo per i francesi, è Trieste per noi italiani. Ebbene, la situaziont è diventata tale in Italia che oramai, senza che nessuno nove mesi or sono lo ritenesse possibile, la questione di Trento e Trieste. ridotta proprio nei suoi termini sentimentali td etnici, è diventata improrògabile e il paese può mostrare ogni pazienza fino a quando la guerra sarà finita; se la guerra europea duBtblioteca Gino Bianco

- 20rasse tre anni, potrebbe avere pazienza e restare neutrale anche tre anni, e sarebbe inumano che la maggioranza non fosse neutralista. Guardate, del resto, la nuova fase in cui da tre mesi è entrato il neutralismo. Non di,;e più : guardiamo verso Nizza anzi che verso Trento, verso Tunisi anzi che verso Trieste. Anche il neutralismo vuole Trento e Trieste (1), solo che s'illude o finge ùi illudersi di sperarle dalla fortuna e da.Ila scaltrezza. Ma, divisi quanto ai mezzi, gli Italiani sono ormai concordi quanto al fine. Quando la guerra sarà finita e i trattati saranno firmati, o noi avremo per lo meno Trento è Trieste, o avremo lo sfacelo interno. E la rivoluzione in Italia sarà certamente vittoriosa, se pensiamo che sarà organizzati dalla democrazia, dai socialisti riformisti fino al radicalismo, che sono partiti estremamente compatti e bene organizzati specialmente nei quadri della massoneria. Ora questo partito, che vorrà la rivoluzione con molta apparenza di ragione, perchè ha chiesto la guerra (anche se dopo molta propaganda antimilitarista), e l'avrebbe fatta, avrà alleati anche i socialisti ufficiali - i quali, se oggi non vogliono la guerra, vorranno domani la rivoluzione, perchè potranno dire che non volevano la guerra, ma non volevano nemmeno una spesa di un miliardo e duecento milioni per la preparazione militare che non doveva servire nemmeno al completamento dell'unità nazionale. Quindi noi avremmo certamente tutti i partiti -di estrema, dagli anarchici fino ai radicali, concordi per la rivoluzione - e chi lotterebbe contro di essi? Vi è almeno una metà del liberalismo che resterebbe colle mani in mano perchè vi è almeno una metà del liberalismo a pensare eh~ la monarchia è lo strumento della nazione e non viceversa. E poi ci dovrebbe essere l'esercito : l'esercito, cui non si è fatto fare la guerra, cui non si è fatto tirare contro il nemico, dovrebbe tirare per le piazze.Non è mai avvenuto, e nemmeno può avvenire da noi, dove, se forze tumultuose anche ignominiosamente vuote. di contenuto (1) Parlo, s'intende, dei neutralisti con un barlume d'intelligenza, non di quei dementi che pensano sul serio potersi contentare l'Italia del Trentino sotto Bolzano e dell'Isonzo. B;blioteca Gino Bianco

- 21 - serio, come quelle di giugno, spadroneggiarono, ciò si deve appunto alla mancanza di tradizioni del nostro esercito. Non può essere tutore dell'ordine un esercito senza tradizioni, a cui si è ostinatamente negata la gloria. P~r ciò noi avremmo senza dubbio la rivoluzione, e a questa rivoluzione, peggior male ancora, seguirebbe necessaria la guerra, purchè si pensi, con uno di quei piccoli sforzi fantastici che gli Italiani per prudenza non amano, alla situazione in cui verremmo a trovarci in Europa. Ci troveremmo tra Austria e Francia, tra due necessari nemici, fra due Stati dèi quali è difficile non ammettere che l'uno prima e l'altro dopo ci dovranno fare la guerra. Se la Francia sarà vittoriosa insieme alle potenze della coalizione, e se qutsta vittoria, come sembra probabile, non sarà da attribuirsi in massima parte alle armi francesi, cioè se la Francia, malgrado le innegabili grandi prove di sè stessa ha date, esce dalla guerra con una mezza coscienza della sua forza rifatta (mezza, perchè non si tratta già, comt ai suoi bei tempi, di un bel duello in cui la gloria era tutta della Francia vittoriosa) sentirà quasi bisogno fisiologico di riprovare le sue forze. Con chi?(!). E l'Austria? Di un'Austria vittoriosa è facile immaginare l'an~mo ostile verso di noi. Ma un'Austria vinta, e (1) I democratici, p. e. Pietro Silva nell'Unità, negano il pericolo francese. Basta ammettere per la Francia ogni presente e avvenire imperiale, dal Marocco alla s;ria, e negare all'Italia perfin la Libia, perchè il pericolo francese sparisca. Vorrei però che i democratici facessero anche l'esperimento inverso. Diano ·ai tedeschi il mondo e all'Italia... !"Isonzo, e vedranno che anche il pericolo tedesco si dilegua. Più giustamente altri, fra i quali l'Ojetti, credono possibile una duratura intesa fra Italia e Francia a patto che la Francia si renda conto degli inconvenienti che avrebbe per essa una rinnovata alleanza fra l'Italia e una Germania desiderosa di rivincita e perciò si decida a farci, anche con certi sacrifici, il posto che ci spetta nel Mediterraneo. Comunque le nostre relazioni con la Francia sono delicate e difficili; e un'Italia disorganizzata e umiliata, frammezzo a un'Austria bisognosa di rifarsi e ad una Francia irrobusti:a dalla revanche, non avrebbe ragione di guardare con fiducia nè a destra nè a sinistra, sopratavrebbe ragione di guardare con fiducia nè a destra nè a sinistra, sopratutto se si rifletta che, da quando la direzione del germanesimo e dell'idea dell'Impero è stata assunta dalla Prussia, sono enormemente diminuite le cause di contrasto permanente fra l'Austria e la Francia. Biblioteca Gino 81dnco

- 22 - salvata dalle amicizie che essa, tutto sommato, ha presso la Francia e presso l'Inghilterra; un'Austria amputata di qualche m9mbro, della Galizia, della Bosnia-Erzegovina, un'Austria con ancora quaranta milioni di uomini, con una tradizione militare da rifare, con una autorità interna da consolidare, contro chi farà la guerra? La risposta mi pare sia chiara. In qualunque dei casi sarà da dubitare chi dei due farà la guerra per primo. Eliminata l'attuale situazione, l'odio antitaliano dell 'Austria e la gelosia antitaliana della Francia potrèbbero perfino accordarsi in un comune desiderio della nostra umiliazione. Ma, qualunque essa sia, certamente avremo la guerra, tanto più che per l'Austria la guerra con l'Italia è la sola guerra popolare che qu91lo stato possa fare. Tutte le sue nazionalità sono concordi nel detestarci. Solo la piccolissima minoranza di italiani potrà considerare tale guerra come un disastro : ma slavi, tedeschi, magiari sarebbero perfettament9 d'accordo contro di noi. , Dunque molto probabilmente avrèmmo in Italia, nd caso che almeno Trento e Trieste non fossero diventate nostre, e chp non si fosse evitato il pericolo di un nostro disperato isolamento nell'Europa di domani, prima la rivoluzione, poi una guerra disastrosa. Ma è possibile risolvere, come alcuni sperano, la questione di Trento e Trieste per mezzo di trattative pacifichè? In questo caso, si potrebbe contare su una persistente neutralità italiana, usque ad finem? Bisogna distinguere : vi è una possibilità teorica di venire a una soluzione, molto ridotta del resto, della cauestione del Trentino per via di trattative pacifiche. Ciò si può anch9 ammettere. Che si possa così risolvere la questione di Trieste è quasi impossibile. Oltre a ciò, bisogna vedere s 9 ottenere i confini nordorientali tanto valga quanto ottenere un tale equilibrio di forze in Europa che i nostri nuovi possessi non siano alla mercè di nessun padrone. In altri termini non ci occorrono soltanto Trento e Trieste; ma prima di tutto la 1ib9rtà ; ci occorre che non ci sia una potenza egemonica in Europa. Infine dobbiamo dire che se, per ammettere tutto, fosse possibile avere senza spargimento di sangue e Trento e Trieste .e la libertà e ciò che vogliamo B bliotoca Gmo Bianco

- 23 - in Oriente, questi miracoli sarebbero sempre dovuti non a chi chiede pace, ma a chi, spingendo l'Italia alla guerra, contribuisce a farla considerar.è dalle potenze in lotta come un elemento con cui bisogna fare i conti. IV. Di fronte a queste necessità che a noi sembrano assolute ed evidenti. quali sono i motivi che adducono i neutralisti? I più colti cominciano col dire eh.è essi ammirano molto la Germania. Che vuol dire questo? Senza dubbio nessuno vorrebbe la guerra contro un paese fiacco. I fiacchi non sono pericolosi. Appunto perchè la Germania è un grandissimo popoìo, il più forte di tutti, tutti gli facciamo la guerra, appunto per questo gliela dobbiamo fare anche noi ! Ch 9 cosa significa questa dev@ta ammirazione della Germania, qu~sto servile trepidare davanti alla sua grandezza, senza alcun sentimento di vergogna e di emulazione? E' uno spettacolo da miseri, da gente fiacca e incapace di volere e di lottare, che considera le qualità degli uomini virtuosi come qualche cosa di irraggiungibile, di mitico, di lontano. Se osservate come sono divisi presso a poco i sentimenti nelle persone che conoscete davvicino troverete che spçsso sono in questo momento per una netta opposizione dell'Italia al prepotere tedesco gli uomini eh.e fanno il loro dovere, o che per lo meno desiderano di farlo, che potrebbero anche morire in guerra, o, senza arrivare alla guerra, tentano di compiere il loro dovere di cittadini e di padri di famiglia;· mentre sono per la Germania tanti indisciplinati, tanti che non possono far.è il loro dovere, che non riescono ad organizzarsi e a considerare la disciplina come qualche cosa di totalmente umano, di così tedesco dei buoni tedeschi come è italiano dei buoni italian~ ma invece come una qualità sovrumana appartenente soltanto a una razza a cui più che rispetto si debba inerte venerazione, quella veneraB bl1otecaGino B1i:1nco

- 24 - zione che l'uomo deve al semidio o lo schiavo al libero ( l ). E poi bisogna dire che la guerra si fa anche per questo, per questa necessità di riconoscere che lo spirito spira dov,e vuole, e che, se vi era gente la quale supponeva che soltanto i tedeschi potessero battersi ed essere disciplinati e unanimi, la guerra è venuta per dimostrare che questo è possibile perfino in Francia, e quando noi l,eggiamo, sia pure con grande commozione, col rispetto che un italiano ha per tutto quello che è umano, da nualsiasi parte esso venga, la narrazione della morte dei marinai tedeschi nella battaglia delle isole Falkand, non dobbiamo dimenticare che qualche anno fa abbiamo letto cose simili a proposito del naufragio del « Titanic », avvenuto in tempo di pace e dove l'eroismo è stato di gente parlante inglese e che nemmeno vestiva una divisa militare. E qualunque fatto della guerra oggi tende a dimostrare appunto che tutti si battono bene; le qualità eroiche nop sono privilegio di nessuna nazione, ma appart.engono in solido a tuttJI quanta l'umanità che le ha radicate nella sua universale coscienza etica, e soltanto odiatori, anche inconsci, nemici, anche se italiani, dell'Italia possono sostenere che in questa specie di convito ideale delle nazioni unicamente per noi non ci deve essere posto, e soltanto -gli italiani debbono considerarsi degradati e vili. Poi, le ragioni addotte dai neutralisti possono essere fini ragioni politiche, come per esempio la paura della Francia di domani, o della Russia di domani. Qui è da notare che essi stessi sanno benissimo che nessuno di questi stati, nemmeno la Russia, può essere ancora tanto pericoloso quanto è la Germania. E il fatto è dimostrato dalla n,ecessità di alleanza di tutti questi per battersi contro la Germania, dalle prove militari avute (1) Può essere che a!l'ltalia convenga dopo la guerra trovarsi accanto alla Germania ; certamente non le converrà che la Germania venga straziata quanto e come converrebbe p. e. alla Francia. Nel Congresso Europeo l'l!alitl potrebbe essere utile alla Germania. Ma nel Congresso avranno voce in capitolo quelli che si saranno battuti. Può essere dunque - tanto sono compltcate le cose di questo mondo - che unirsi ai nemici della Germania sia oggi per l'ltalis il modo più effettuale di essere utile alla Germania. B•blioteca Gino Bianco

- 25 - finora che nessuno di questi stati, tanto meno la Russia, è capace di battere da sola definitivamente metà delle forze tedesch~. E sarebbe certo sconfitta se la sola Germania potesse volgersi tutta intera contro di essa. Poi dicono che, giacchè l'Inghilterra è stata sempre padrona del mondo, tanto vale che lo sia domani la Germania, che anzi è meglio : solito ragionamento di servi è figli di servi, che non possono pensare ad altro che a un padrone vecchio e a quello nuovo, dal quale forse avranno un guinzaglio più lucido e un osso meno magro. E dimenticano naturalmente che il dominio inglese sul mondo (senza dire che gli inglesi, forse meno civili dei tedeschi in altre cose, certo meno grandi nello slancio trascendentale, Io sono molto di più nelle qualità amministrative, organizzatrici, sociali, per cui possono servirsi del potere in modo più sag·gio) è soltanto mezzo dominio, perchè soltanto navale. E' stato detto tante volte che, se domani la Germania dovesse essere egemone, avremmo il pangermanismo sui gioghi alpini, donde potrebbe stare ad osservare le sue navi nel Mediterraneo. Ma gli inglesi li abbiamo nei nostri mari, non anche sui nostri monti. Poi ci sono quelli che amano la Germania perchè è il paese dell'ordine, e credono che la vittoria della Germania significhi vittoria dell'ordine nel mondo e anche in Italia. Anche senza stare a discutere, ciò che ho fatto altrove, sulla vera natura dell 'ordine tedesco, questa degli uomini d'ordine è una ragione infantile e che dimostra come in Italia non si studi ancora con una certa serenità e indipendenza di mente la storia : altrimenti si saprebbe che i popoli capaci di mettere l'ordine nel mondo, sono popoli di natura organicamente espansiva come il romano. Questi, vinto un popolo, potevano assimilarlo, e farlo diventare romano, e perciò dargli le istituzioni e gli organismi di Roma. I tedeschi non possono assimilare. La prova del- !' Alsazia è evidente : non hanno potuto assimilare un paese completamente tedesco. Quindi i tedeschi non potrebbero, se fossero egemoni, tenersi sicuri della loro egemonia se non diffondendo il disordine nei paesi vinti, e questo è stato detto perfin da scrittori tedeschi. I tedeschi cioè sarebbero i protettori del nichilismo in RusB blioteca Gino Bianco

- 26 - sia, come sarebbero protettori dei Caillaux in Francia, come sarebbero protettori delle rivoluzioni romagnole in Italia ( 1). In quarto luogo bisogna dire, ed è la cosa p1u essenziale, che dell'ordine ce ne importa solo fino a un certo punto. Bisogna anche avere il coraggio di dire questo. L'importante non è che tutto vada per una strada liscia; l 'importantè è che ci sia creazione di energia autonoma. Noi italiani l'esperienza dell'ordine straniero l'abbiamo fatta per tre secoli. Certamente gli stranieri che ci hanno dominati èrano molto più ordinati e sapienti di noi (tanto è vero che hanno comandato in casa nostra). Il che non vuol dire che quando se ne sono andati ci fosse in Italia un ordine italiano. Ciò significa che il vero ordine nazionale si conquista per mezzo di esperienze autonomç da una nazione libera; che· lo straniero non ce lo può dare in nessunissimo modo; ci può darn la frusta e il poliziotto, non l'ordine e la coscienza. L'ordine se Io prepara ogni nazione colla sua triste esperiènza, non coli 'assoggettarsi a un padrone. E questo è dimostrato da qualsiasi çlementare nozione di storia. Cioè : quali sono questi grandi popoli che si dicono ordinati e organici? Si è tanto parlato in questi ultimi mesi della necessità dell'ordine, che oggi non si vede altro che sotto la specie dell'ordine tedesco, e si è dimenticato che Roma ha ordinato definitivamente il suo dominio mondiale circa nel tempo in cui più feroci erano le risse civili nellç strade stesse della città. Noi italiani siamo sempre stati tali. Ed anche nel Medio Evo abbiamo creato una delle più grandi civiltà del mondo con i tumulti quotidiani rielle strade dei nostri comuni. La Francia del 400 avrebbe benissimo potuto lasciarsi comandare dagli inglçsi se avesse dovuto giudicare della necessità di rinunciare alla sua indipendenza in base alla incapacità dei suoi re e feudatari di mantenere 1 'ordi!ìe in paese. La Francia era disordinatissima, e ha (l) S'è ricordato recentemente che Bismarck avrebbe, per sua confessione, aiutato un moto insurrezionale repubblicano in Italia, se Vittorio Emanuele avesse ceduto alla tentazione di soccorrere Napoleone Ili. B•bhotecaGino Bianco

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