Pietro Silva - Come si formò la Triplice

N, 18 • 18 mano 1915 PUBBLICAZIONE SEmMAffALE liontoCorrentceonlapostt - ~~~~~~ F-----,ct; \} PROBLEMI ITJ\Lll\NI ~J +------ ;o 1 c.{~ PIETRO SILVJ\ 1 1 lJ: J f COMESI FORMÒ f 2'~i ~~ t LATRIPLICE f 1t ~r ~------ \, J.c Rfl.VA & : EDITOR~- M!Lfl.NO lb, ~ *~-(•~~~ L ri ; r , ~~~ ..:, ~

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PROBLEMI ITfiLifiNI XVI. PIET~O SILVf\ ~ J COME SI FOfilt\ò . Lf\ TRIPr1E .J . -~ ~ MILflNO . ' Rl1Vl1 & C. - EDITORI 1915 R bl'0teca Gino Bianco

PROPRIETÀ RISERVATA TIP.LIT.RIPALTA·MILANO B li'Jteca Gino 81dnco

•••••••••••••••••••• Bismarcke l'Italia - L'Idea della Triplice I celebratori della Triplice Alleanza hanno sempre molto volentieri decantato l'amicizia del principe di Bismarck per il nostro paese e per i nostri uomini politici. In realtà, questa vantata amicizia e benevolenza del Bismarck per l'Italia e per gli italiani, è una leggenda che si sfata assai facilmente, dando uno sguardo anche rapido alla storia delle relazioni fra Italia e Prussia dopo il 1860. Quando, nell'inverno tra il 1864 e il 1865, i Principi reali prussiani fec~r0 un viaggio nell'alta Italia, essi non vollero indugiarsi a Milano per quante preghiere ufficiali e ufficiose fossero loro rivolte, andarono invece · a Verona, dove si fermarono a farsi festeggiare clamorosamente dalle autorità austriache. E proprio nell'anno 1864 il Bismarck dava una eloquente prova di benevolenza verso il giovine stato italiano, facendo cadere le trattative che il governo italiano aveva iniziate per la conclusione di un trattato di commercio. Venne il 1866 ~ il piano di guerra contro l'Austria. La necessità di avere la cooperazione dell'Italia nella guerra da lui vaP-he1!1!iatae preparata, spinse è vero il Bismarck a grandi espansioni verso di noi : egli disse enfaticamente al Nigra eh~ se l 'ltalia non fosse esistita si sarebbe dovuto inventarla, e volle riprendere e conB blioteca Gino Bianco

durre a conclusione quelle trattative ·per un trattato di commercio che egli stesso l'anno prima aveva fatto naufragare. Ma, in realtà, neppure l'alleanza tramutb il Bismarck in un amico nostro : fu per sua volontà che il trattato di alleanza venne stipulato in modo da legar l'Italia strettamente alla Prussia. mentre la Prussia rimaneva libera da ogni impegno _equivalente verso l'Italia, fu per sua volontà che nel trattato non venne compresa I'eventuale cessione del Trentino ali 'Italia. Ed è noto che nel mese_ di maggio, quando già da più di un mese era in vigore il tratt~to d'alleanza con noi, il_ Bismarck senza scrupoli intavolb trattative segrete con l'Austria, trattative che naufragarono, è vero, non perb per colpa del Bismarck, ma che riuscendo ci avrebbero !asciati soli di fronte ad un'aggressione austriaca. E mentre il ministro teneva questa condotta... leale, non da meno si dimostrava il suo re, il quale negava freddamente I'esistenza di qualsiasi trattato che lo legasse all'Italia! Nè, durante la guerra, questa condotta mutb : il La Marmora, capo prima del nostro governo e poi del nostro Stato Maggiore, fu dal Bismarck e dai suoi· agenti in Italia fatto segno della guerra più indegna e dei più atroci sospetti; durante le pratiche per l'armistizio con l'Austria il Bismarck tenne ali 'oscuro noi. suoi· alleati, di tutte _le sue manovre: anzi méntre egli avviava lè trattative per giungere ali 'accordo, faceva dire dai suoi agenti in· Italia che l'accordo era impossibile e che la guerra doveva continuare; finalmente l'armistizio fu concluso dal Bismarck senza la partecipazione dell 'Italia, ·e a chi gli faceva notare la stranezza di questo fatto, il ministro prussiano rispondeva con la caratteristica rivelatrice frase: « Je m 'en f... de l'ltatie ! » A noi la notizia prima del concluso armistizio giunse non da Bertino. ma da Parigi ! Il Moltke per sua parte, nel mettere in libertà gli ufficiati austriaci fatti prigionieri, chiedeva loro l'impegno d'onore che non avrebbero preso più le armi contro la Prussia. ma nessun impegno esigeva per quel che riiwardava l'Italia. Il giudizio conclusivo sulla condotta deII'alleata Prussia verso I'I tali a nel 1866 è dato in forma lapidaria da uno scrittore non sospetto, il Bonghi : « Condotta più indegna di quella che tenne la PrusB blloteca Gino Bianco

-5sia verso di noi dalla battaglia di Sadowa fino alla conclusione della pace, non si potrebbe pensare ». Nè, dopo la guerra, tale contegno mutò. Lasciamo stare l'atroce ingiusta campagna, a base d'insinuazioni e di calunnie, continuata dalla stampa prussiana. anche ufficiosa, contro il La Marmora e contro il governo italiano ; ma abbiamo anche il fatto che il 5 agosto il Bismarck attribuiva le grandi vittorie soltanto a Dio e ali 'esercito prussiano, non ricordando nemmeno per incidenza l'alleata, e che nella Relazione ufficiale prussiana della campagna del 1866, si insinuava che l'Italia non avesse adempiuto ai suoi obblighi verso la Prussia! Gli avvenimenti del 1870-71 non contribuirono certo a modificare i sentimenti del Bismarck verso l'Italia. Il fatto che esisteva in Italia una forte corrente la quale non poteva assistere senza fremere allo schiacciamento della Francia, e che Garibaldi coi suoi era corso a combattere contro gli eserciti tedeschi, non poteva non irritare sommamente il _grande ministro. Egli stesso ci narra candidamente di aver avuto rapporti con repubblicani e cospiratori italiani, e di aver pensato ali' eventualità di aiutarli in un'azione diretta ad abbattere il governo monarchico in Itàlia, se tale governo avesse preso l'iniziativa di un soccorso a Napoleone. E l'eco di quei risentimenti si sentiva ancora nel 1873, nell 'altezzoso discorso col quale il Bismarck disse chiaramente che il governo italiano avrebbe pòtuto impedire la spedizione garibaldina in Francia nel 1871. I viaggi di Vittorio Emanuele a Berlino e a Vienna nel 1873, e quelli di Francesco Giuseppe a Venezia e di Guglielmo I a Milano nel 1875, e il viaggio di Crispi nel 1877 a Berlino e a Vienna, se dettero occasioni a manifestazioni di apparente cordialità fra i due paesi, non mutarono però il carattere dei veri sentimenti di Bismarck verso l'Italia; sentimenti di diffidenza e di disprezzo, che potevano talvolta velarsi dietro una vera nice di cordialità, ma che davano inevitabilmente fuori nei momenti d'irritazione e di sincerità. E' del 1874 quel clamoroso e scandaloso sfogo. a base di ingiurie· e. di calunnie, fatto in pieno Reichstag dal Cancelliere contro il ministro italiano che aveva trattato e firmato Biblioteca Gino Bianco

-6l'alleanza italo-prussiana. Quando poi, nel 1879, il Bismarck andò a Vienna per stringere gli accordi che dovevan condurre al trattato della Duplice Alleanza, fece visita a tutti gli ambasciatori stranieri accreditati presso il governo austriaco, verso uno solo egli ostentatamente trascurò di compiere quell'atto di riguardo : verso I'ambasciàtore d 'Italia. E allorchè il cancelliere Andrassy, prospettando l'eventualità di una guerra contro l'Italia, con la quale allora i rapporti eran molto tesi in causa dell'agitazione irredentistica, gli chiese se la Germania si sarebbe opposta a che l'Austria riacquistasse tutte o in parte le provincie perdute nel 1859 e nel 1866, il Bismarck, dopo avere esitato un istante, rispose : « Non, nous n'y mettrons pas d'obstacles, l'Italie n'est pas de nos amis ». E quando, nello stesso anno 1879, l'ambasciatore francese a Berlino chiese al Bismarck se la Germania avesse garantito l'appoggio ~Il'Austria nel caso di una guerra contro l'Italia, il Cancellierie usci in questa sprezzante risposta : « Si I'Italie .était une puissance militaire redoutable, nous aqrions eu peut-etre à nous en préoccuper, mais j'aurais craint de blesser l'Autriche en lui offrant une protection contre une agression de son voisin subalpin ». ( 1) Pure questa Italia tanto sospettata e disprezzata, appariva necessaria al Cancelliere di ferro per le sue combinazioni politiche; egli la voli@con sè, legata al suo sistema di politica, e riuscì ad averla, vincendo tutte le resistenze e tutte le riluttanze, creando le situazioni politiche che dovevano forzar la mano al governo italiano, determinando i movimenti dell'opinione pubblica; tutto ciò con una serie di sforzi e di maneggi davvero ammirevoli, dai quali appare la incontestabile grandezza dell'uomo di stato prussiano, vero dominatore degli av- ( I) A queste manifestazioni, diremo così più o meno ufficiali di stima e benevolenza verso l'Italia, si potrebbero aggiungere molti e molti tratti di quel caratteristico brutale linguaggio, che Bismarck usava tanto spesso e che costituisce il più fedele specchio dei suoi veri sentimenti. Ecco ad esempio la lusinghiera definizione da lui data del• l'Italia in un colloquio con un generale francese: « L'Italie? C'est une p... qui fait le trottoir ! • E quest'altra intorno al carattere degli Italiani : « Gli Italiani sono come i cani : tornano al vomito! •· B blioteca Gino Bianco

-7venimenti e delle volontà degli uomini, infaticatQ e inesauribile nella gloriosa impresa di rendere più forte e più sicQra la sua patria. Come nascesse nella mente del Cancelliere d'idea di quella Triplice Alleanza che doveva coronare la sua titanica opera politica, assicurando alla Germania la conservazione delle conquiste fatte, lo apprendiamo dalie sue stesse Memorie. Dopo le clamorose vittorie del 1870-71, che ponevano la Germania al primo posto fra le nazioni continentali, un incubo inquietava e tormentava il Bismarck : l'incubo di una coalizione di nazioni gelose e rivali che si unissero allo scopo di abbattere la giovine e minacciosa forza della Germania. La storia del secolo XVIII, che egli conosceva cosi bene e dalla quale traeva tanti ammaestramenti, era là per dimostrargli come il suo timore fosse fondato: nel 1756. quando la Prussia ingrandita della Slesia e rafforzata dalle vittorie del grande Federico, era divenuta una grande potenza, si era vista piombare addosso la formidabile coalizione austro-franco-russa, e si era salvata a stento con una terribile guerra. Ciò che era riuscito al Kaunitz nel secolo XVIII, non poteva essere tentato con successo da qualche abile e audace ministro dopo il 1870? La Francia era fremente di rivincita, in Austria ,vivevano i rancori del 1866, la Russia era governata da un uomo ambizioso e rivale del Bismarck, il Gortschakoff ... Occorreva prevedere e correre ai ripari. Ma da che parte rivolgersi sul continente? L'Italia da sola era troppo debole e non offriva un contrappeso sufficiente. (1) L'unico mezzo quindi per prevenire i possibili tentativi di coalizione, era di rivolgersi all'Austria e alia Russia, per I) Questa della debolezza e impotenza italiana era una delle idee direttive di Bismarck. La vediamo espressa in forma sprezzante e brutale nel colloquio con l'ambasciatore francese nel 1879: ritorna nella lettera di Bismarck al re di Baviera il IO settembre 1879: « L'Italia fu trovata impotente». Ed è certamente questa idea che spinge il Bismarck a rispondere con un reciso rifiuto alle proposte del Crispi nel 1877, di una duplice italo-tedesca contro l'Austria e contro la Francia. Mai il Bismarck si sarebbe legato con la sola Italia. E dire che vi è chi ha sostenuto e creduto che, se il Crispl fosse rimasto al potere, nel 1878, avrebbe saputo lui concludere la duplice italo-tedesca! B blloteca Gino 81c1nco

-8- . formare un'alleanza di carattere monarchico-conservatore che costituisse la ·garanzia contro il principio repubblicano-rivoluzionario rappresentato dalla Francia. Di quell'alleanza, l'Italia monarchica avrebbe dovuto costituire come un'appendice, per meglio isolare e comprimere la Francia repubblicana. Ecco l'idea dell'alleanza dei tre imperatori, che trova la sua attuazione nei clamorosi convegni di Berlino del 1872,· quando i tre sovrani coi loro cancellieri si trovarono riuniti e si scambiarono brindisi eloquenti. Ma l 'alleanza qon era destinata a lunga durata : fin dal 1875 si manifestarono le crepe fra Germania e Russia coi dissidi Bismarck-Gortschakoff; poi sopravvennero i fatti d'oriente e la guerra russo-turca a disunire l'Austria e la Russia. Bismarck comprese che l'accordo a tre era destinato a finire, e posto a scegliùe tra Russia e Austria, si pronunciò per l'Austria. Gli effetti di questa scelta si videro a Berlino, nel Congresso del 1878, quando l'appoggio del Bismarck permise all'Austria di dar scacco alla Russia nelle questioni balcaniche e di acquistare la Bosnia-Erzegovina. Dopo il congresso di Berlino, due cose risultavano evidenti : che Bismarck doveva aspettarsi le ostilità più o meno velatç del Gortschakoff e del governo russo, di cui aveva deluse le aspirazioni, e che dall'altra parte erano mature le circostanze per una intesa stretta tra Austria e Germania. E gli avvenimenti si svilupparono infatti, nel 1879 : la stampa russa fece un 'accanita campagna contro la Germania, truppe russe furono ammassate lungo i confini occidentali dell'impero, e intanto segreti incitamenti russi spingevano i Bosniaci alla resistenza contro l'occupazione austriaca, e incoraggiavano gli slavi della Monarchia ad agitarsi. Ve n'era più che a sufficienza per spingere Germania e Austria l'una verso l'altra: Bismarck e Andrassy si incontrarono a Gastein nell'agosto 1879, poi a Vienna nel settembre, e gettarono le basi di quel trattato d'alleanza che fu ratificato nell'ottobre, dopo molte riluttanze da parte del vecchio imperatore Guglielmo I, al quale dispiaceva mettersi. in contrasto con lo czar Alessandro II, suo nipote ed amico. B blioteca Gino B1dnco

,-- 9 - Il trattato stipulava che se uno dei due stati veniva attaccato dalla Russia, l'altro doveva entrare in guerra e sostenere l'alleato con tutte le sue forze; &e uno dei due stati veniva invece assalito da potenza che non fosse la Russia, l'altro doveva non soltanto non aiutare la potenza assalitrice, ma conservare alm,mo una neutralità benevola verso il suo alleato. L'obbligo di entrare in guerra in aiuto all'alleato, nasceva soltanto quando la potenza assalitrice fosse stata aiutata dalla Russia. In questa forma, il trattato non era tale da soddisfare pienamente il Bismarck. Egli avrebbe voluto un trattato generale di alleanza, che contemplasse il caso di ostilità non solo da parte della Russia, ma anche da parte de&li altri stati, cioè sopratutto della Francia, e aveva tentato tutte le vie per fare accettare la sua idea al- . l'Andrassy. Tutto, anche le scene violents! e drammatiche, era stato inutile; il · cancelliere austro-ungarico non si era piegato. Il trattato era quindi incompleto per Bismarck: giovava più all'Austria che alla Germania, giacchè più contro l'Austria che contro la Germania era possibile un attacco russo; lasciava libere all'Austria le vie per concludere eventuali accordi parziali con quella Francia che Bismarck avrebbe voluto isolare; poteva porre in pericolo la Germania, dato che un giorno riuscissero a prevalere nella politica austro-ungarica quelle correnti slavofile, francofile, tedescofobe, che in alcune parti della monarchia erano vive. Queste e -simili considerazioni spinsero il Bismarcj( a lavorare per cpmpletare il trattato per proprio conto, con due mezzi : lasciar sussistere vie di accordo con la Russia, il che lo condurrà a firmare nel 1884 con la Russia il famoso trattato segreto di garanzia reciproca; trascinare l'Italia nell'alleanza, per compktare l'alleanza stessa e impedire che l'Italia potesse eventualmente unirsi alla Francia e alla Russia, la quale proprio al principio del 1879, aveva tentato qualche approccio verso il governo italico. Così nel 1879, come già nel 1866, Bismarck aveva bisogno dell'alleanza dell 'ltalia, per farla servire aili scopi della sua politica. La situazione internazionale dell'Italia non era molto lieta. Riuscito ad acquistare la sua capitale in mezzo ai Biblioteca Gino Bianco

10 - disastri francesi del 1870, il giovine stato aveva traversato difficili e tristi prove, nel periodo nel quale la Repubblica francese era stata governata da quel partito conservatore-clericale che ·vedeva nell'unità d'Italia una delle cause dei disastri francesi, e che avrebbe voluto ridare al papa il dominio temporale. Durante questo periodo la Destra, che aveva in Italia il potere, aveva tentato il ravvicinamento agli Imperi centrali, con le visite a Berlino e a Vienna nel 1873, ma questi primi approcci non avevano avuto conseguenze. Nel 1876, proprio quando in Italia il governo passava dalla Destra alla Sinistra, si stava preparando in Francia il trionfo dei repubblicani liberali. Questi avvenimenti parvero preparare un cambiamento nei rapporti italo-francesi : i repubblicani francesi, si pensava, non avrebbero avuto verso la Italia quelle prevenzioni onde erano animati i conservatori e i clericali ; d'altra parte gli uomini di sinistra, saliti al governo in Italia, mentre erano inclini ad un accordo con la democrazia francese, sentivano vive per l'Austria l'avversione e le ripugnanze nate ai tempi delle lotte per l'indipendenza, alle quali la più parte di essi aveva partecipato. Si sviluppa ed è tollerato e quasi visto con benevolenza dal Governo, l'irredentismo, il quale dà luogo a clamorosi episodi, che non possono non inasprire 'i nostri rapporti con l'Austria. E l'irredentismo ~nti-austriaco trova ampio alimento dai risultati del Congresso di Berlino. i quali ingrandiscono 1'Austria verso la penisola Balcanica, senza che 1'Italia riuscisse ad ottenere un adeguato compenso. Le dimostrazioni contro l'Austria prendono carattere sempre più vivo, e i rapporti fra i due Stati si tendono, mentre dall'altra parte i rapporti italo-francesi hanno avuto solo un parziale miglioramento. In questa situazione trova Bismarck l'Italia, mentre la crisi d'Oriente agitava tutta la politica europea. B bllotecc Gino Bianco

- 11 - 11colpo di Tunisi. La prima condizione per provocare un ravvicinamento deci~o dell'Italia agli Imperi centrali, era che qualche avvenimento sorgesse a inasprire le relazioni dell'Italia con la Francia, a rompere tra le due nazioni ogni apparenza di cordialità. Su questa necessità, Bismarck aveva potuto essere a sufficienza istruito dalle discussioni che si erano svolte e dalle correnti che si erano manifestate prevalenti in Italia, ogni qual volta si era trattato del problema delle alleanze : di fronte alle rare e disperse voci che, prima del Congresso di Berlino, avevano affermato la convenienza per l'Italia di orientarsi verso gli Imperi Centrali, era sorta la massa dell'opinione pubblica, nella quale le simpatie per l'antica alleata del 1859 rimanevano vive, nonostante Mentana, nonostante gli atteggiamenti dei partiti clericali e conservatori francesi, e nella quale l'avversione contro l'Austria permaneva fortissima, come appariva dalle manifestazioni dell'Irredenta. Ma un uomo politico della forza di Bismarck, era capace di trovare i mezzi per superare queste difficoltà. E· i mezzi furono da lui creati in quel Congresso di Berlino, nel quale la genialità e la potenza del gran Cancelliere si manifestarono così mirabilmente. Mentre, sostenendo l'Austria nella questione della Bosnia-Erzegovina, raggiungeva il duplice scopo di prepararsi nell'Austria una fida alleata e di spingere l'Austria verso l'Oriente, escludendola cosi sempre più dalle questioni della Germania, egli anche creava, con la questione di Tmaisi. non solo il mezzo di distrarre la Francia dalle idee della revanche, ma gittava pure il pomo della fatale discordia tra Francia e Italia, che doveva spingere quest'ultima nelle braccia delle Potenze centrali. « L'Allemagne - scriveva tre anni dopo l'ameasciatore italiano a Berlino, De Launay, - verrait avec une certaine satisfaction la République s'engager dans des avent\lres en Afrique, comB bltotect:'.Gl. no Branco

- 12 - me dérivatif aux arrières-pensées de revanche. Ce serait, en outre, un moyen de la mettril mal avec nous et d'écarter pour longtemps toute combinaison d'alliance entre nous et la France ». Tunisi è opera di Bismarck : questa affermazione esplicita viene da uno ·scrittore non sospetto di germanofobia, il Chiala, noto illustratore e difensore della Triplice. Quando nascesse nel fecondo cervello di Bismarck l'idea geniale, non si può naturalmente fissare con certezza. Possiamo soltanto dire che assai prima del Congresso di Berlino, Bismarck aveva visto nella posizione reciproca dell'Italia e della Francia nel Mediterraneo e nella questione di Tunisi, il germe della discordia fra le due nazioni : egli scriveva in un Memorandum del 1868 : « La natura ha gettato tra Francia e Italia un pomo di discordia che non cesseranno di contendersi : il Medituraneo ... E' impossibile all'Italia il tollerare che la Francia minacci a ogni momento d'impadronirsi di Tunisi... ». E nel 1877, quando Crispi chiedeva per l'Italia un compenso alla occupazione probabile della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria, il Bismarck rispondeva: « Prendetevi l'Albania! » Non parlava di Tunisi, forse perchè Tunisi era riservato alla Francia ! Sta il fatto che, riunitosi il Congresso di Berlino, il Bismarck cominciò a tentare gli approcci col Waddington, primo plenipotenziario francese, prospettandogli la facilità di occupare Tunisi, dato che la Germania avrebbe consentito, e l'Inghilterra non avrebbe posto ostacoli, smaniosa come era di esercitare per suo conto un protettorato quasi sovrano sugli affari d'Egitto. A questi primi inviti il Waddington avrebbe mostrato riluttanza, affermando che il solo desiderio della Francia, riguardo Tunisi era che· nessuna potenza vi si insediasse. I tehtativi si rinnovarono dopo 1'8 luglio, quando fu svelato il famoso trattato segreto anglo-turco del 4 giugno, col quale l'Inghilterra acquistava l'isola di Cipro. Per calmare l'irritazione francese, scoppiata vivissima alla notizia dell'ingrandimento inglese nel Mediterraneo, fu di nuovo messo avanti il miraggio di Tunisi, e non dal solo Bismarck, ma anche dai plenipotenziari inglesi, i quali dichiararono che l'Inghilterra lasciava piena libertà 8 I oteca G no Bia'lco

-13d'azione alla Francia in Tunisia. Ciò che mette in cattiva luce la diplomazia germanica, si è che mentre Bismarck ripeteva a Waddington l'offerta di Tunisi, la stessa offerta veniva fatta al primo plenipotenziario italiano, conte Corti, dal conte di Bulow, secondo plenipotenziario germanico: << L'Angleterre a Cypre, pourquoi ne prendriez-vous pas Tunis en vous arrangeant avec l'Angleterre? » e< Vous voulez donc nous brouiller avec la France! » avrebbe risposto subito il Corti, e la sua risposta spontanea scolpisce al vivo le mirè segrete della diplomazia bismarchiana. Ma il governo francese era rimasto sedotto dall'offerta: tornato a Parigi, il Waddington iniziò subito con Londra quegli ·accordi segreti che dovevano rendere l 'Inghilterra spettatrice passiva e indifferente durante tutte Le vicende della questione tunisina, nonostante le speranze e le invocazioni italiane. Le fasi della questione di Tunisi - la ripercussione In Italia. Mentre il governo francese gettava le basi della preparazione diplomatica che doveva portare la Francia a Tunisi, il governo italiano, presieduto da Benedetto Cairoli, si trovava impigliato in una situazione assai pericolosa. Il rincrudirsi dell'agitazione irredentista, in Italia, e insieme la fiducia che il Bismarck avrebbe lasciato fare, spingevano il governo austriaco ad assumere un 'attitudine minacciosa contro di noi, e a fare preparativi militari, che probabilmente avrebbero condotto a una vera e propria aggressione, se anche questa volta il solito stellonè 110n ci avesse assistito. Accade in Inghilterra nell'aprile del 1880 la crisi ministeriale, nella quale fu abbattuto il Disraeli, favorevole o almeno non ostile ai progetti austriaci, e salì invece al governo il Gladstone, che a ttili progetti si mostri) as~oh,tt~mente B bhoteca Gino Bianco

- 14 - contrario. Quasi nello stesso tempo, nel Parlamento francese, la maggioranza liberale-democratica respingeva il trattato di commercio con l'Italia. Lo respingeva sia per antipatia contro il ministro conservatore Decazes che lo aveva p;eparato, sia pçr la pressione degli interessi protezionisti : tutto questo è vero, ma non toglie che I 'impressione di tale atto, in quel momento, fosse fra noi molto cattiva. Le minaccie austriache costrinsero il Cairoli a porre freno alle agitazioni irredentistiche; nello stesso tempo egli, per divergere altrove l'attenzione dell' opinione pubbli_ca italiana, ·pensò di iniziare un'azione più attiva in Tunisia, diretta a promuovere gli interessi nazionali, che erano già assai grandi in quella regione, e che avevan fatto sorgere nella penisola una forte corrente, la quale sosteneva il nostro diritto a uua posizione prevalente nella Tunisia stessa. E' questo il momento critico in cui si preparano tutti gli ulteriori avvenimenti di Tunisia. La rinnovata attività dell'Italia, rappresentata in Tunisia da un uomo energico e intelligente, il console Macciò, comincia a insospettire il governo francese, U cui rappresentante a Tunisi, Roustan, inframmettente ed esuberante, si urtava spesso col nostro Macciò: la lotta d'influenze si accentua intorno al bçy. E il governo francese, che aveva per sè, ricordiamolo, il consenso segreto, anzi l'incitamento di Bismarck e dell'Inghilterra, insospettito dall'attività italiana, assume nei riguardi di Tunisi e dell'Italia un atteggiamento ambiguo: mentre nell'agosto del 1878 il Waddington e il Gambetta assicuravano l'ambasciatore italiano Cialdini, che la Francia non pensava ad occupare Tunisi e riconosceva gli in~eressi italiani, nel luglio del 1880 il Freycinet diceva: « La Francia non pensa per ora ad occupare Tunisi, l'avvenire è nelle mani di Dio ». Due fatti sopra tutto avevano contribuito a determinare questo nuovo ambiguo atteggiamento francese : il tentativo del governo italiano di ottenere dal bey l'autorizzazione a collocare un cavo telegrafico congiungente Tunisi con la Sicilia, e l'acquisto, fatto dalla Società Rubattino, della ferrovia Goletta•Tunisi. Ouesto acquisto, che fu fatto in concorrenza con una società francese, e col81bli'.'.>tecGaino Bianco

- 15 - I'appoggio del governo italiano, P che fu vantato in Parlamento come un grande successo, suscitò in Francia i più vivi clamori, e spinse il governo francese, premuto dall'opinione pubblica, a esigere dal bey agevolazioni e concessioni, che potessero controcambiare gli effetti del successo italiano e calmare l'effervescenza dei francesi. Jules Ferry dice addirittura che l'origine prima della spedizione di Tunisi si deve proprio ali 'acquisto di questa ferrovia Goletta-Tunisi: Nell'estate del 1880 siamo dunque a un momento critico della questione tunisina. E' allora che il Cairo li pensa di poter scongiurare l'eventuale pericolo di un 'occupazione francese, con accordi con l'Inghilterra (della quale egli ignorava gli impegni con la Francia) e con gli Imperi Centrali. E proprio questi pourparlers con gli Imperi Centrali che s'iniziano nell'agosto, ci dan modo di mostrare come Austria e Germania stessero all'agguato, vedendo appunto nella questione tunisina il mezzo di ridurre l'Italia a loro discrezione. La prima grave battuta viene dalla Norddeutsche Allgemeine Zeitung, organo di Bismarck : « La condotta della Francia· nell'ultimo incidente tunisino (quello della ferrovia) è un ammonimento per gli italiani di ciò che dovranno aspettarsi dalla loro vicina di occidente, quando questa sarà forte abbastanza da fare a meno dell'amicizia italiana. La vertenza di Tunisi è stata per l'Italia una lezione, quale non avrebbe potuto desiderare nè più chiara nè più eloquente, e a quanto pare la lezioni, non rimarrà senza frutto ». Ed ecco da Vienna, in tono minore, in tono da vieni meco, la Neue Freie Presse : « In seguito all'amara esperienza subita a Tunisi, è probabile che le simpatie degli italiani tornino a volgersi verso la Germania. Il contraccolpo della delusione subìta dagli italiani a Tunisi si manifesterà ben presto, e noi siamo perfettamente convinti che esso sarà benefico. Se l'Italia si ravvicina alla Germania, ciò prepara in pari tempo le più cordiali relazioni con l'Austria ... » Su questi spunti si intavolò tra i giornali di Berlino e di Vienna e i giornali italiani una polemica che si protrasse fino all'autunno, e che offre campo a osservazioni interessanti. I giornali degli Imperi centrali ci insegnaB bli'Jteca Gino Bianco

- 16 - vano il modo di comportarci, ci dicevano che la via per Berlino passava da Vienna, e si meravigliavano dei nostri indugi. E le proteste div~ntavano più alte, il tono si faceva amaro, di fronte al fatto che alcuni giornali italiani, fra cui l'Opinione, si permettevano di dubitare sulla convenienza per noi di buttarci senz'altro, sotto l'impressione del dispetto francese, nelle braccia degli Imperi centrali, e parlavano di fare i patti prima e volevano mettere in campo discussioni sui vantaggi che sarebbero venuti ali 'Italia dall'alleanza ... Di fronte a qu~sta stolta pretesa italiana di non voler accettare ad occhi chiusi l'invito che partiva da Berlino e da Vienna, la minaccia comincia a far capolino. « Chi non è con noi è contro di noi » si legge fra le righe della Neue Freie Presse. E ancor più grave è il tono dell'organo bismarchiano nell'ottobre : ci ammonisce sui giudizi poco lusinghieri e svantaggiosi che si fanno sull'Italia in tutti i paesi d'Europa; parla del nostro errore di non voler cercar~ il progresso nel lavoro interno, nelle scienze e nell'istruzione, nelle riforme amministrative, militari, industriali e commerciali, ma in acquisti territoriali ali 'estero. L'Italia osa pretendere Trieste? « Ciò è assai deplorèvole, perchè gli italiani non riflettono abbastanza seriamente che questa domanda ingiustificabile di Trieste, deve provocare lo sdegno dell'Austria e della Germania ! Trieste non è la proprietà legittima degli italiani, per ciò solo che un numero di negozianti italiani vi esercita il commercio. L'Italia non ha mai fatto nulla .per Trieste, ed essa non ha bisogno di questo porto : invece, contrastandolo ali' Austria, ne provoca l'inimicizia implacabile. Sembra che gli italiani vogliano confiscare l'Adriatico per l'Italia. Nei tempi che corrono, ciò non sarà possibile. Gli italiani odierni non hanno la forza di seguire le traccie degli antichi veneziani ». E un altro giornale, la Kolnische Zeitung, nel dicembre òCCitava a considerare l'Italia non più quale amica, ma quale nemica. Contemporaneamente a queste discussioni sui giornali, si erano in effetto avute trattativi! diplomatiche ·tra Roma, Berlino e Vienna; alle quali per la parte italiana aveva lavorato il conte Maffei, segretario generale al Ministero degJ,i Esteri. Ma la pretesa bismarchiana che B1bllotecc Gino Bianco

-- 17poi anzitutto dovessi rivolgerci a Vienna, mentre erano ancor vive le impressioni della minacciata aggressione austriaca, e insieme gli scrupoli e le esitazioni dtl Cairoli e del Depretis, ministro dell'interno, a mettersi per una via che avrebbe condotto all'urto con la Francia, fecero naufragare tutte le trattative. L'episodio merita ad ogni modo di essere ricordato, specie per la campagna giornalistica, la quale ci dà un eloquente saggio del metodo bismarchiano nelle relazioni con noi : metodo fondato sulle ingiurie, sull'intimidazione, sulla minaccia, se il governo italiano esitava a mettersi .senz'altro nella via che il Cancelliere di ferro additava. Al principio del 1881, il governo francese aveva fatto un nuovo passo avanti e aveva virtualmente deciso la spedizione tunisina. A sping~re su questa via il capo del governo, Ferry, e il ministro degli esteri Barthélemy de Saint-Hilaire, .contribuirono vari fatti. Vi era stata la missione ufficiale della colonia italia11ae del bey di Tunisi, inviata a Palermo in gtnnaio, in occasione della visita dei Reali d'Italia. Questa missione fu prep,arata annunziata e si svolse con forme che non potevano non insospettire l'opinione pubblica francese, e delle quali il console francese Roustan approfittò per far intravvedere al suo governo la possibilità di un'azione italiana in Tunisia e la necessità quindi di prevenire tale azione con un fatto compiuto. D'altra parte, il governo francese si teneva certo di non incontrare troppa ostilità da parte dell'Italia, per il fatto che allora si stava trattando per un nuovo trattato di commercio e per un prestit9 italiano da lanciarsi a Parigi. Si escludeva la possibilità che l'Italia trovasse appoggio in qualche potenza, giacchè l'Inghilterra era impegnata a lasciare fare la Francia, e gli Imperi Centrali non erano in buoni rapporti col governo italiano. Gambetta sorrideva ironicamente a chi gli prospettava l'eventualità che l'Italia, sdegnata per lloccupazione francese di Tunisi, si accordasse con gli Imperi Centrali ; egli vedeva un ostacolo formidabile a ciò, nell'irredentismo. Anche una considerazione di politica interna spingeva il governo francese : erano prossim• le elezioni, e data l'effervescenza contro l'Italia B blioteca Gino B1c1nco

- 18 - provocata nell'opinione pubblica francesp dalle polemiche giornalistiche su Tunisi, il ministero poteva ritenersi sicuro di una grande maggioranza, se si presentava al paese dopo aver compiuta l'impresa di Tunisi, a dispetto degli Italiani. Così gli avvenimenti si andavano maturando, mentre il Cairoli sperava che le sue dichiarazioni francofile e i suoi atteggiamenti conciliativi avrebbero trattenuto la Francia dal grav~ passo. E' noto come gli avvenimenti mostrarono ingiustificata la confidenza del Cairoli : nelJa primavera vengono in Francia abilmente create le voci di pericoli minaccianti l'Algeria per opera della tribù tunisina dei krumiri e di una possibile esplosione di fanatismo religioso, ciò naturalmente per creare il pretesto della spedizione, che è preparata ed iniziata nell'aprile, mentre il governo francese dava ancora le più ampie e ingannevoli assicurazioni al governo italiano. Gli avvenimenti precipitano ali 'inizio del maggio; e il giorno 12 il bey è costretto a firmare il famoso trattato del Bardo, che metteva la Tunisia sotto il protettorato della Francia. Nei mesi seguenti, le insurrezioni delle tribù indigene contro l'invasione francese reserò necessarie vere e proprie operazioni di guerra : così il 12 luglio fu occupata Sfax, ·il 24 Gabes, e il 9 ottobre i fraricesi entravano in Tunisi. Nel frattempo, a rendere ancor più grave la tensione dei rapporti fra l'Italia e Francia, erano anche accaduti i dolorosi fatti di Marsiglia: il 17 e il 18 giugno in occasione del passaggio di alcuni reggimenti francesi reduci dalla Tunisia, erano scoppiate tra italiani e francesi risse sanguinose con morti e feriti. Intanto, in Italia al Ministero Cairoli era succeduto un Ministero che aveva come presidente il Depretis e come ministro degli esteri il Mancini : il Cairoli era stato travolto sotto l'indignazione che era scoppiata nella stampa, nell'opinione pubblica, nel Parlamento di fronte ai procedimenti francesi ed al trattato del Bardo. E naturalmente, mentre l'agitazione imperversava, cominciò ad essere agitato più che mai il problema dell'alleanza con gli Imperi Centrali. Bisognava al più presto, ad ogni costo, uscire dall'isolamento, al quale si imputavano tutti gli interessi della politica italiana; e siccom~ ad Biblioteca Gino Bianco

- 19 un'unione con la Francia non si poteva più pensare, rimaneva l'unione con la Germania e con l'Austria. Questa è la tendenza che prevale e domina nelle discussioni accese in quell'estate turbinosa sui giornali e tra gli uomini politici. Ma non senza contrasto. Coloro che in mezzo ali 'eccitazione generale avevano mantenuto il sangue freddo, pur riconoscendo la gravità dei procedimenti e degli atteggiamenti francesi, discutevano e avanzavano obbiezioni sulla convenienza di iniziare trattative d'alleanza con gli Imperi Centrali, e molto più sulla convenienza di richiedere senz'altro l'alleanza stessa. L'occupazione della Tunisia, si diceva dai sostenitori della necessità dell'alleanza, sollevava il problema pericolosissimo e gravissimo per noi dell'equilibrio del Mediterraneo, la mossa francese minacciava di rompere I'equilibrio a nostro danno. Ma, si obbiettava, i nostri intèressi mediterranei sarebbero stati tutelati proprio dall'alleanza con gli Imperi Centrali? Non valeva meglio, in tal caso, ricercare accordi con l'Inghilterra? Gli atteggiamenti della Francia, continuavano i triplicisti, dimostrano ·1'inguaribile, congenita, fortissima ostilità francese contro di noi; l'alleanza con gli Imperi Centrali sola può salvarci da un'aggressione! Ma come credere che la Francia pensasse proprio ad aggredire noi, mentre concentrava le forze e I'energie nell'unica assorbente idea della revanche e non aveva quindi, alcuno interesse a crearsi nemici da altre parti ? E poi Bismarck, non aveva già dichiarato fin dal 1874 che era interesse della Germania difendere un'Italia aggredita dalla Francia? La Francia aveva occupato Tunisi, è vero, e con ciò aveva recato danno ai nostri intèressi e al nostro amor proprio; ma a quell'atto non era stata portata ~anto dall'ostilità contro noi, quando dal bisogno di tutelare la sicurezza dell'Algeria. La ferita all'amor proprio poteva rimarginarsi, i nostri interessi economici in Tunisia potevano esser tutelati con accordi ai quali il governo francese si mostrava disposto; i rapporti nostri con la Francia potevano quindi ritornare cordiali, il che avrebbe giovato ai 400.000 italiani viventi in Francia, e allo sviluppo delle nostre relazioni e attività economiche B·blioteca Grno 81c1nco

- 20col ricco paese vicino; mentre tutto ciò sarebbe stato irrimediatamente compromesso, se noi ci fossimo legati con la mortale avversaria della Francia. Questi e simili concetti eran sostenuti, in mezzo al1'eccitazione generale, da uomini politici come il Bonghi, il Peruzzi, il Lanza, e in giornali come la Perseveranza e il Popolo Romano. E queJ che è più, li sosteneva anche lo stesso Presidente del Consiglio, Agostino Depretis, il quale, col suo sangue freddo e col suo buon senso, discerneva quanto di giusto e quanto di fittizio e di esagerato era nel- ! 'agitazione anti-francese, calcolava i danni delle risoluzioni avventate, e non era per nulla disposto ad avventurarsi a cuor leggero sulla via della alleanza con gli Imperi Centrali. Tepido per l'alleanza era anche il ministro degli esteri, Mancini, il quale se voleva accordi con gli Imperi Centrali, voleva però che non fossero tali da compromettere il buon accordo con la Francia, che egli intendeva ristabilire. L'unico vero e deciso triplicista nel governo era il barone Alberto Blanc, s~gretario generale agli Esteri. Egli aveva un potente sostegno in Michele Torraca, direttore del Diritto, che era ritenuto l'organo ufficioso della Consulta, mentre il Popolo Romano rispecchiava le idee del Depretis. Vedremo come l'opera del Blanc al Ministero e quella del Torraca sul Diritto, combinandosi con l'azione giornalistica e diplomatica del Bismarck, riusciranno a prendere la mano al Depretis e al Mancini, e a trascinarli a quell'alleanza, che, se era voluta nell'estate del 1881 da gran parte dell'opinione pubblica eccitata contro la Francia, trovava però molti oppositori ed avversari in uomini che avevano grande influenza nella vita politica del paese. 8 blioteca Gino Bianco

- 21 - Dopo Tunisi - 11 viaggio reale a Vienna. La diplomazia tedçsca e austriaca credeva che il colpo di Tunisi sarebbe bastato a spingere l'Italia fra le braccia degli Imperi Centrali. Nell'aprile del 1881, quando la crisi tunisina era allo stadio acuto, il nostro governo aveva saputo da Berlino e da Vienna che Germania ed Austria non si sarebbero opposte all'azione francese. Anzi, è in quell'epoca che Bismarck si abbandona verso di noi ad una delle sue solite manifestazioni di disprezzo e di disistima, mentre verso il governo francese si profondeva in cortesie, al punto che, popo il colpo di Tunisi, il ministro Barthélemy de Saint-Hilaire si credeva dovere di esprimere la sua riconoscenza verso il governo tedesco. Curiosa cecità francese questa, alla quale in Francia si sottraevano pochi, fra cui il Rochefort, che vedeva molto chiaro quando scriveva: << L'expédition est un des coups les mieux réussis de M. de Bismarck, et la France ajoute à ses erreurs passés une deuxième Mentana ». Dopo gli avvenimenti di Tunisi, il contegno austrotedesco verso di noi cambia ; si giudica evidentemente giunto il momento psicologico nel quale l 'ltalia avrebbe ceduto senza condizioni, e si ritorna alle lusinghe. Dello svolgimento di questo programma il Bismarck incaricò il governo austriaco, giacchè egli preferiva per il momento tenersi in disparte, per una considerazione di politica interna tedesca : si era allora nel periodo nel quale, riuscita vana l'aspra lotta durata lunghi anni contro il partito cattolico, il Bismarck stava manovrando per riconciliarsi con quel partito, che le nuove elezioni stavano per mandare al Reichstag forte di I 10 deputati. Per quest'opera di conciliazione, il Cancelliere aveva bisogno dell'appoggio del Vaticano, ed egli non voleva rischiare di perdere quell'appoggio, prendendo l'iniziativa palese del ravvicinamento con l'Italia. Il governo austriaco accettò volentieri la parte che Biblioteca Gino Bianco

- 22gli attribuiva Bismarck, giacchè, dimostratosi ormai impossibile il ristabilimento di rapporti cordiali con la Russia, l'Austria aveva grande interesse ad assicurarsi le spalle con un 'alleanza con l'Italia. Le sirene viennesi entrarono in azione nel luglio 1881, con un 'abilissima campagna giornalistica, nella quale si lanciava l'idea di una visita dei Reali italiani a Vienna; t •si faceva intravedere che la visita sarebbe stata graditissima e feconda di risultati. L'idea fu subito accolta con entusiasmo da quella parte della stampa italiana, la quale aspettava in estasi ogni imbeccata che vtnisse da Berlino o da Vienna. L'argomento fornì campo alle discussioni per tutta -l'estate del 1881. Ma i dirigenti del governo italiano erano restii ad accogliere l'invito insidioso. Il Depretis continuava a vedere In un troppo precipitato ravvicinamento con gli Imperi Centrali una fonte sicura -di attriti e di urti con la Francia, con la quale proprio allora le relazioni miglioravano, e procedevano rapidamente e felicemente verso la conclusiont le trattative per il trattato di commercio. Il Mancini, poi, sentiva e pesava gli ammonimenti e i saggi consigli che gli venivano dal nostro ambasciatore a Vienna; conte di Robilant. Il Robilant fu uno dei pochi uomini politici che in quei momenti gravissimi conservarono la calma e il sangue freddo. Egli era assai desideroso che fra l'Italia e gli Imperi Centrali si stabilissero rapporti cordiali, i quali potessero condurre magari a una alleanza; ma molto saviamente riteneva che il governo italiano dovesse procedere con lentezza e cautela, evitando quelle determinazioni precipitate e quegli atti impulsivi, i quali avrebbero potuto far credere che l'Italia avesse assoluto immediato bisogno dell'alleanza, e l'avrebbero cosi costretta a entrarvi in condizioni sfavorevoli. E tra gli atti che potevano avere conseguenze tanto pericolose, il Robilant poneva anche la visita a Vienna, fatta in quel momento. « Se noi sapremo astenerci dal mostrare soverchia premura di andare incontro all'alleanza, dall 'elemosinarla, mi permetterò di dire - perchè proprio cosi si deve qualificare la campagna che parte della stampa nostra forzando la misura sta facendo - saremo ricerB blioteca Gino Bianco

23 - cati, invitati, malgrado ci si dica oggi che ciò non si farà. Allora soltanto potremo entrare in quell'alleanza senza ripiegare la nostra bandiera ». Cosi scriveva il Robilant al Mancini. Ah, se questi saggi consigli fossero stati sempre ascoltati ! Tuttavia, fino al termine di settembre, i ministri italiani si tennero sulla via del riserbo e della cautela ; pareva proprio che, come quelli di Ulisse, i loro orecchi fossero riempiti di cera, mentr~ le « sirene » viennesi ripetevano i loro inviti allettanti. Questo non poteva andare a genio al Cancelliere di ferro, uso a non trovar troppe resistenze nello svolgimçnto dei suoi piani politici. Già nel suo colloquio di Kissingen con il ministro austriaco Haymerle, egli aveva espresso il suo scetticismo sulla efficacia dei modi carezzevoli verso l'Italia, e la sua preferenza per i modi spicci e imperativi. E a questi ricors~ con la sua solita brutalità, alla fine di settembre, quando vide gli scarsi effetti che raccoglievano in Italia gli inviti e le seduzioni viennesi. Lo squillo di guerra venne dato da uno dei più fidi portavoc~ del Bismarck, lo storico Enrico Treitschke, con un articolo nel quale, dopo una critica acerba contro gli ultimi atteggiamenti della politica italiana, si accennava con frasi oscure all'eventualità che la questione romana potesse essere riso!levata, qualora, persistendo l'Italia n~l suo isolamento, si fosse operato un ravvicinamento tra il Vaticano e la Germania. E subito l'eco fedçle viennese del Bismarck, la Neue Freie Presse, tiene bordone allo squillo partito da Berlino : un articolo assai aspr.o attaccava apçrtamente il governo italiano e il Quirinale, per il contegno tenuto di fronte al progetto del _viaggio a Vi~nna, e faceva intravedere che ormai l'isolamento dell'Italia era irreparabile. Per ben comprendçre tutta la perfida abilità e tutto il significato della mossa di Bismarck, accennante a risollevare la questione romana, bisogna ricordare che proprio in quell'epoca, il Papa aveva avuto modo di interessare di nuovo i cattolici di tutto il mondo sulle miserevoli condizioni in cui era ridotto, e sulla necessità di veder garantita la sua sicurezza e la sua indipendenza spirituale. Ciò in seguito al!e famose deplorevoli scenate B blloteca Gino Bianco

- 24 - e dimostrazioni scoppiate in Roma nella notte dal 12 al 13 luglio 1881, durante la traslazione della salma di Pio IX da San Pietro a San Giovanni in Laterano, quando un gruppo di dimostranti aveva perfino tentato di buttare in Tevere la bara cont~nente i resti del Papa. Gli eccessi di quella triste notte, per i quali si era menato grande scalpore, avevan posto il governo italiano in una posizione delicatissima presso tutte le potenze cattoliche; il colpo di Bismarck era quindi formidabile. E in Italia v'era chi sapeva sfruttarlo a favore del1'idea all'alleanza. Il Diritto conduceva attivissima campagna per spaventare il governo sui pericoli dell'isolamento e spingerlo alla visita a Vienna; la campagna del giornale era secondata alla Consulta dal Blanc, il quale alla fine di settembre ossessionò addirittura il Mancini sui pericoli che la mancata visita a Vienna avrebbe potuto suscitare. Pare che l'argomento decisivo usato dal Blanc sia stato l'accenno al ravvicinamento possibile tra Germania è Vaticano; ravvicinamento che l'organo ufficioso di Bismarck lasciava ormai trasparire, parlando dell 'imminenza del ristabilimento della legazione prussiana presso il Vaticano. Come si vede, anche allora al governo tedesco non mancavano fidi collaboratori nel nostro paese e nello stesso Ministero degli Esteri! Il Mancini fu scosso. da questa campagna, i cui effetti non potevano disgraziatamente essere paralizzati dal Robilant ·che si trovava in Italia in congedo fin dalla metà di settembre, e che fu chiamato improvvisamente il 7 ottobre a Capodimonte ov~ si trovava a villeggiare il Mancini, per sentirsi dire clJe il viaggio era deciso. Le meraviglie e le proteste del Robilant per l'incredibile precipitazione con la quale si era presa una decisione cosl importante, a nulla valsero; l'ambasciatore dovette chinare il capo, e partire il 16 ottobre per Vienna a concordare le modalità della visita reale. Il Mancini, dopo essersi piegato al! 'idea del viaggio, aveva stentato non poco a persuadere il Depretis, che non ne voleva sapere. Evidentemente, il viaggio era desideratissimo dal nostro governo! E la mala voglia dei nostri ministri appare anche diigli sforzi coi quali essi B blioteca Gino 81dnco

- 25 - tentarono di dare al viaggio stesso la minore importanza possibile. Per togliere ogni significato che potesse urtare la Francia, i ministri italiani vollero che proprio nei giorni nei quali si svolgeva il viaggio, i nostri rappresentanti fossero a Parigi per concordare il trattato di commercio. Poi si sarebbe voluto che il viaggio avesse la forma di una semplice visita di cortesia : il Re avrebbe dovuto andar solo, e l'incontro sarebbe dovuto avvenire non nella capitale, ma in un'altra città dello stato. Par proprio che i nostri ministri dicano : « Giacchè si deve andare, andiamo, ma facciamo meno chiasso che si pub!». Così non la intendevano invece i governi austriaco e tedesco che volevano, per ragioni evidenti, che il viaggio assumesse le proporzioni di un grande avvenimento politico e diplomatico. E cosl si volle che l'incontro avvenisse a Vienna,· si desiderò che insieme col Re andasse anche la Regina. Dato che la visita avveniva a Vienna, era necessario che il Re fosse accompagnato dal suo Presidente del Consiglio; e se andava il Presidente, non poteva mancare il Ministro degli Esteri I Cosl a poco a poco la semplice visita di cortesia, si tramutò in un grande viaggio solenne che si svolse in sei giorni, dal 26 al 31 ottobre 1881. Bisogna riconoscere che le accoglienze furono ottime : la popolazione e la stampa austriaca salutarono i Reali d'Italia con molta cordialità, Re Umberto fu fatto colonnello onorario di uno dei migliori reggimenti austriaci. E Berlino fece eco a Vienna : il governo tedesco dichiarò di considerare come rivolto anche a sè stesso ogni atto di cortesia dell'Italia verso l'Austria-Ungheria. e l'organo ufficioso del Gran Cancelliere, dimenticando le frasi insolenti e minacciose di poco tempo prima, si degnò di commentare con tono benevolo l'avvenimento di Vienna. I governi di Berlino e di Vienna avevano ragione di rallegrarsi dell'avvenimento. come di una loro vittoria. I Reali d'Italia non erano andati. erano stati trascinati a Vienna. Il governo italiano, credendosi con l'acqua alla gola e dimenticando i saggi consigli di Robilant, aveva trattato e deciso il viaggio con tanta precipitazione, che B blloteca Gino Bianco

- 26 - aveva trascurato perfino di pattuire la restituzionè della visita a Roma. Così che a ragione il Carducci poteva esclamare qualche anno dopo : « Al nipote di Carlo Alberto si fece indossare la divisa di Radetsky, perchè poi gli si dicesse che non gli si rendeva la visita, perchè a Roma non è in casa sua! ». Bismarcke la questioneromana. I commenti sul viaggio reale a Vienna furono vivacissimi in Francia, dove naturalmente era cagione di amarezza tutto ciò che suscitava soddisfazione a Berlino, e dove, negli ultimi tèmpi, in seguito alla politica conciliativa di ·Depretis e di Mancini, si riteneva escluso il pericolo di un 'alleanza dell 'ltalia con gli Imperi Centrali. Nella stampa italiana i commenti non erano stati concordi: di fronte al Diritto che era d'accordo coi giornali viennesi nèl dare al viaggio un carattere di preparazione all'alleanza e nel mostrarsene soddisfatto senza riserve, vi era la nota cauta e moderata della Riforma e del Popolo Romano, vi era la Perseveranza che sostèneva apertamente l'inopportunità del viaggio stesso. In realtà, le interpretazioni, diremo così alleanzistiche che al viaggio davano i giornali viennesi e il Diritto, non èrano per allora assolutamente giustificate : il viaggio aveva sl suscitato grande clamore, ma non aveva fatto fare alcun passo positivo sulla via delle alleanze. I ministri italiani eh~, come sapoiamo, erano molti restii a prendere impegni concreti, erano sl andati a Vienna, ma non avevano iniziato alcuna trattativa, così che, dopo il viaggio, si era press'a poco allo stesso punto di prima. Ciò non poteva naturalmente piacere a chi aveva provocato e voluto il viaggio, appunto per preparare l'alleanza; tanto più che nuove circostanze erano venute a persuadere semprè più il Bismarck della necessità di concludere presto l'alleanza stessa. Si era costituito in Francia nel novembre il Ministero Gambetta, che pareva volesse iniziare una politica en~rgica e rnagari anche B blioteca Gino Bianco

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