il Potere - anno II - n. 4 - aprile 1971

pag. 4 il POTERE Occorre fareun discorso alternativo disviluppo dell'industria regionale Analisi e prospettive della politica delle partecipazioni stataliguri CHE la conferenza regionale sulle par- tecipazioni statali abbia costituito una occasione mancata è stato sottoli– neato da più parti, ed in questo numero del .. Potere" altri Si soffermano sul si– gnificato che il fatto assume da un punto di vista politico-sindacale. Indubbiamente la conferenza non ha contribuito a chia– rire le responsabilità della classe politica regionale in quanto quest'ultima - come è stato osservato - non ha dimostrato di poter assolvere pienamente al ruolo di mediazione • politica • tra classe lavo– ratrice e governo centrale. Il fatto stesso che i due giorni del dibattito abbiano confermato la diffusa opinione secondo cui l'iniziativa, voluta dai sindacati, sia stata e accettata • ed al limite subita dai partiti politici ci sembra significativo. In primo luogo, è opportuno esamina– re i motivi della tensione venutasi a creare a seguito della defezione del go– verno, del ministro Piccoli e di dirigenti responsabili di aziende pubbliche. Quasi nessuno ha tentato di chiedersi il • per– ché • di tale atteggiamento. Eppure quan– to è successo era prevedibile solo ci si fosse preoccupati di abbandonare, alme– no una volta, il comodo alibi di una classe politica che si rende conto dei problemi - quando lo. fa - solo ex-post senza analizzare le cause strutturali di certi eventi. ·E, nota infatti la posizione assunta sin dal 1969 dal ministro Malfatti, e riba– dita da Piccoli. che rifiutava categorica– mente di dar luogo a conferenze regio– nali sulle partecipazioni statali mentr~ richiamava l'attenzione sul fatto che 1 problemi, le esigenze, le proposte locali devono misurarsi con un • disegno uni– tario• di sviluppo dell'imprenditorialità pubblica. _ Una tale posizione, netta e non equi– vocabile. sottovaluta evidentemente tut– ta una problematica che, nella nostra re,_– gione, acquista un significato ancora p1_u incisivo. E' perfettamente inutile, pero, elevare solenni proteste quando non ci si vuole rendere conto che un interlocu– tore di quel tipo sarebbe comunque man– çato. Precise responsabilità dellaclasse politica In questo senso mi sembra anche evi– dente la responsabilità di tutta la classe politica regionale, opposizioni c?.mpre~e. che, manifestando chiaramente I rntenz10- ne di salvare • comunque • la conferenza, l'ha trasformata di fatto in una riunione utile per proporre un • cahier de dolean– ces. e per pr.ecostituirsi un comodo ali– bi con i sindacati dei lavoratori. Va infatti chiaramente ribadito che il • disegno unitario. dell'imp:enditorialità pubblica, non esiste (e non e mar. es~st1: to) perché la politica delle partecipazioni statali è stata sovente la sommatoria delle politiche poste in essere dalle sin– gole imprese nell'ambito di scelte priori– tarie che emarginavano progress1vament~ certe realtà regionali. E' carente altres1 una politica articolata nella quale colloca– re il comportamento dei diversi enti pub– blici, che pertanto agiscono in _mod?_au– tonomo ponendo in essere dec1s1?n1. rne– vitabilmente ratificate dagli organi d, go– verno. li mancato collegamento con obiettivi e politiche di programmazione ge~erale operanti ed incidenti, poi, svuota d, ogni significato il possibile ruolo dialettico che l'impresa pubblica è chiamata ad assolve– re nel quadro dello sviluppo di una eco– nomia industriale avanzata. Tanto il primo quanto il secondo fenomeno. infine, con– tribuiscono a lasciare spazio in Italia, e nella nostra regione, ad una gestione tecnocratica dell'apparato produttivo pub– blico e privato, eh~ procede lungo di– rezioni omogenee ad un disegno di .ra– zionalizzazione capitalistica ed emargina la dimensione politico-partecipativa. Ci sembra evidente a questo punto che l'ipotetico interlocutore manifesta tante e tali carenze da non potersi as– sumere la responsabilità di coordinare una inesistente politica di sviluppo na– zionale con una serie di pressanti esi– genze che, a livello regionale, coinvol– gono gran parte delle prospettive di svi– luppo dell'intera struttura economico-so– ciale. Pesanti cali nell' occupazione Ciò non significa che di fatto le linee di sviluppo dell'impresa pubblica non abbiano, seppure parzialmente, corrispo– sto nel nostro paese ad un disegno di sviluppo neocapitalistico. Basta ricordare la logica economico-politica cui ha cor– risposto lo sviluppo di certi settori di base, la logica di un'industria di stato che integra e sorregge lo sviluppo della iniziativa privata nei settori più dinami– ci fornendole beni intermedi, fonti di e– nergia ed infrastrutture. Va sottolineato che in questo schema è stata la mec· carnea ad essere sacrificata ed in par– ticolare la meccanica ligure che doveva affrontare gravi problemi di riconversione. Nella nostra regione, pertanto, la ca– renza di una decisa politica di sviluppo, sostenuta da un adeguato sforzo final\. ziario, ha significato l'insorgere ed il manifestarsi di un processo di accentra· ta stagnazione in relazione diretta a scel– te, pur non coordinate ed in gran par– te obsolete, assunte di fatto come va– lide a livello nazionale. L'obiettivo di fondo della conferenza doveva essere pertanto quello di individuare una linea alternativa che, anche non precisata in scelte produttive, riproponesse anche a livello nazionale l'esigenza di definire li– nee di sviluppo più adeguate ai bisogni ed alle esigenze di una economia indu– striale in rapida evoluzione. E' in questo quadro che la Liguria de– ve raccogliere la • sfida • delle parteci– pazioni statali, elaborando una politica regionale dell'impresa pubblica basata su alternative di sviluppo che siano rilevanti /:;I livello nazionale. Lo sviluppo economi– co-sociale della Liguria richiede, in par– ticolare, l'enunciazione di una chiara po– litica delle aziende a partecipazione sta– tale, che deve necessariamente investi– re i momP.nti non solo della riorganiz– zazione delle produzioni e degli impianti, ma soprattutto dell'aggiornamento del li– vello di efficienza, al fine di permettere bibliotecaginobianco la più ampia utilizzazione del patrimonio industriale esistente nella regione. Que– sta indicazione appare valida sia per le imprese tradizionalmente controllate dal– lo Stato, sia per quelle imprese (come le chimiche) in cui la presenza del ca– pitale pubblico si è recentemente este– sa in modo considerevole. Alla mancanza di un accettabile qua– dro di riferimento a livello nazionale. che tentasse di definire la collocazione della nostra regione nell'ambito delle attuali direttrici dello sviluppo industriale ita– liano, ha poi corrisposto una quasi as– soluta carenza di analisi - politica ed economica - degli squilibri, delle esi– genze e delle prospettive della struttu– ra industriale della regione, nel cui am– bito collocare un discorso alternativo sullo sviluppo del settore pubblico. Come è noto la struttura industriale ligure ha registrato nell'ultimo decennio una marcata tendenza regressiva che, in alcuni settori, rischia di proporre feno– meni di grave involuzione. Nel decennio 1961-1970 l'occupazione industriale mani– fatturiera è calata di tremila addetti, al– cuni settori traenti sono interessati da fenomeni di emarginazione dalle direttri– ci di sviluppo nazionale, i tradizionali e– quilibri industriali delle provincie di Sa– vona e La Spezia stanno rapidamente de– teriorandosi, la grande industria genove– se è coinvolta in processi di ristruttura– zione molto pericolosi, l'equilibrio del mercato del lavoro industriale si sta di– sgregando. Risibilità di certeproposte E' nell'ambito di questa problematica che si imponeva la collocazione di una analisi delle carenze e delle potenziali– tà espresse dalle aziende liguri a parteci– pazione statale. L'analisi delle carenze del settore pubblico sarebbe risultata, in questo quadro, ben più incisiva ed avrebbe evidenziato la risibilità di certe proposte avanzate durante i lavori del– la conferenza (ltalcantieri dell'Ovest, as– sessorato alle partecipazioni statali, svi– luppo indiscriminato di alcuni settori) che peraltro non sono state neppure conte– state in misura adeguata dall'assemblea. Il riferimento ai problemi complessi– vi della struttura industriale della re– gione pone in primo piano il ruolo svol– to dalle partecipazioni statali nell'econo– mia ligure, indubbiamente rilevante in termini di occupazione, di investimenti, Aprile 1971 SCUOLA ALLA DERIVA di effetti indotti. Tale ruolo va però, in questo quadro, demitizzato In quanto la politica delle partecipazioni statali In Li– guria ha proceduto lungo linee che da un lato non hanno raggiunto obiettivi fondamentali (di occupazione, di livello e qualità degli investimenti) e dall'altro lato hanno significato un costo rilevante per l'economia regionale. Va infatti osservato che l'obiettivo pri– mo delle partecipazioni statali, quello cioè di conservare comunque certi livel– l occupazion li a scapito delle possibi– lità di aprire nuove e promettenti pro– spettive di sviluppo, non è stato raggiun– to in quanto nel decennio 61-70 si è re– gistrato un calo dell'11% (4.500 addet· ti). Il naufrag della Il mancato raggiungimento dell'obiet– tivo occupazionale si collega, peraltro, ad una costante incapacità, in particola– re della Finmeccanica, a definire una po– litica degli Investimenti accettabile. Gli investimenti delle partecipazioni statali legge- ponte in Liguria sono infatti risultati insuffi– cienti, modesti e contraddittori. Va ag– giunto che la gran parte di tali investi– menti, in quanto non ha corrisposto ad alcuna visione di sviluppo strategico, si è risolta di fatto in una sostanziale com– promissione delle potenzialità di sviluppo delle industrie liguri in quanto le vin– cola a scelte ~bagliate e ben difficilmen– te rimediabili. Ciò significa che la Liguria, a fronte di un cosiddetto • vant;3ggio " in termi– ni occuoazionali (peraltro non ottenuto). si trova a dover fare i conti con una struttura industriale condizionata e • de– formata • dalla carenza di programma– zione degli investimenti che ha contrad– distinto l'operare dell'lri nell'ultimo de– cennio. il mantenimento del livello oc– cupazionale ha così costituito non solo e non tanto un comodo alibi per non definire politiche di sviluppo, ma ha an– che e fondamentalmente comportato un costo secco in termini di mancate pro– spettive di efficace riorganizzazione del– la struttura industriale. Il risultato è og– gi leggibile nella realtà industriale della nostra regione caratterizzata da una si– tuazione di crisi, senza valide prospetti– ve, con una serie di gravi problemi ed interrogativi ancora aperti. Sottovalutare quanto si è avuto ora modo di o~servare ci sembra significhi - di fatto - accettare ancora una vol– ta di rinviare la risoluzione dei gravi problemi strutturali dell'industria ligure che inducono a prevedere, in carenza di adeguate politiche di sviluppo, un pro– cesso di radicale degradazione del tes– suto industriale della regione. A questo proposito si evidenzia in tut– to il suo significato e strategico• l'esi– genza di individuare le potenzialità di sviluppo offerte dalla struttura pubblica impostando, anche e fondamentalmente, su questa base un discorso alternativo di sviluppo dell'economia industriale del– la regione. In primo luogo occorre riba– dire che il semplice mantenimento degli attuali livelli occupazionali, attraverso u– na politica di • tamponamento • e di semplice salvaguardia della struttura esi– stente, non consentirà in alcun modo di awiare a soluzione i problemi di fondo delle attività industriali liguri. Tali problemi, per essere affrontati in modo soddisfacente, richiedono l'imposta– zione di politiche di ampliamento e di diversificazione del tessuto industriale nell'ambito dì un nuovo assetto territo– riale e di nuovi rapporti industriali - at– tività portuali - infrastrutture di comu– nicazione e di trasporto e nell'ambito di una politica innovativa del territorio. In particolare va segnalata l'estrema perico– losità di impostazioni, peraltro avanzata In una delle relazioni ufficiali della con– ferenza, che propongano politiche di • specializzazione • industriale. Un salto di qualità Questo tipo di politica industriale ri– schia, infatti, di condizionare irrimedia– bilmente lo sviluppo di una struttura eco– nomica come quella ligure che ha uno dei suoi massimi squilibri proprio nella eccessiva specializzazione merceologica (al 1968 il 62% dell'occupazione mani– fatturiera era concentrata nel settore me– talmeccanico contro il 49% del Piemonte, il 40% della Lombardia ed il 28% della Toscana). Al contrario riteniamo possibile pro– porre stfategie di diversificazione e di sviluppo di nuovi settori industriali ba– sandosi sul patrimonio industriale pub– blico esistente in Liguria e sulle sue an– cora valide potenzialità tecnico-scientifi– che. li salto di qualità richiesto da que– sta impostazione non è Indifferente, in quanto implica tra l'altro il superamen– to di posizioni che sembrano oltremo– do radicate. Non si tratta solo di sostenere il di– ritto della Liguria ad avere comunque, in funzione delle irrazionalità gestionali del passato e di uno storico precedente af– fettivo, la presenza della mano pubblica; non lo esige solamente la consapevolez– za che dalle condizioni di sopravvivenza e di sviluppo delle imprese a parteci– pazioni statale dipende in gran parte lo awenire dell'industria ligure; non lo ri– chiede soltanto l'individuazione di linee alternative di sviluppo della nostra so– cietà ed una diversa collocazione dello sviluppo industriale italiano nell'ambito comunitario. L'Impegno che ci è richiesto deve andare oltre ed esprimersi come • capacità progettuale• dell'intera comu– nità regionale, che individui una direzio– ne di sviluppo democratica ed in quan– to tale sostanzialmente alternativa alla attuale. Giorgio Glorgetti LA legge ponte sulla scuola, dopo un lungo e laborioso iter parlamenta– re che aveva ormai radicalizzato nel mondo della scuola sentimenti sia di speranza sia di netta opposizione, è caduta, facendo sì che tutto rimanesse immutato. La legge non è stata approvata so– prattutto per le modifiche in senso peggiorativo che aveva subito nel suo lungo iter in particolare a causa della soppressione dell'articolo 4 sulla du– rata quinquennale degli istituti ma,– gistrali e dei licei artistici e della ri– duzione dei corsi di recupero a tre settimane a fine anno. Al Senato la legge era passata per un solo voto; alla Camera per un solo voto è stata bocciata, per colpa di franchi tiratori, molto probabilmente democristiani, e per l'astensione del Psi e del Pri. E' evidente, quindi, la debolezza e l'in– certezza dello schieramento di centro– sinistra sui problemi della scuola. Avremo così ancora i rimandati a settembre, frutto di una scuola più selettiva che formativa. Il sistema de– gli esami di riparazione è veramente legato ad una struttura scolastica or– mai arcaica e sorpassata. Con questo metodo infatti l'alunno, dichiarato non sufficientemente preparato, viene ab– bandonato a se stesso, al fine di rag– giungere la necessaria preparazione. Dire « abbandonato a se stesso>> è una forma generica e vaga per copri– re una situazione di fatto socialmente molto più grave. Infatti, è in questo momento che più che mai incidono sullo studente i condizionamenti che su di lui esercitano le diverse situa– zioni economiche e culturali della fa. miglia. I comunisti hanno sempre sostenu– t0 questa tesi, ed essa è stata ripre– sa anche nella dichiarazione di voto contrario del loro rappresentante A· lessandro Natta; ma in realtà la loro responsabilità nel naufragio di questa legge è per lo meno pari a quella di quanti proponevano l'avvio di una scuola a tempo pieno, senza essere in grado di finanziarla. I comunisti infat– ti ed i loro alleati hanno cominciato ad incrinare la legge ponte sin dal me– se di febbraio, quando votarono l'e– mendamento che sopprimeva l'artico– lo 5. In questo modo hanno ritardato di parecchie settimane una disposi– zione che poteva essere utile ed ac– cettabile soltanto se varata tempesti– vamente, in modo da poter organizza– re fin dall'inizio del secondo quadri– mestre i corsi di recupero. Coi peggioramenti che aveva subito, la legge aveva perso gran parte del suo significato. Se infatti non si vuo– le compiere un'azione di pura e sem– plice demagogia e quindi di apparen– te facilitazione della scuola, rimandan– do in realtà ad un momento successi– vo il problema della discriminazione sociale, lasciando il giovane imprepara,– to ed indifeso di fronte al meccanismo della selezione in atto nella società, occorre che la scuola stessa sia mes– sa in condizione di garantire il curri– culum di studi completo ed organico al fine della necessaria preparazione dei giovani. Ciò significa in primo luo– go predisporre una attività integrati– va dei corsi scolastici, che permetta a tutti l'apprendimento e l'approfon– dimento culturale. Nella sua ultima redazione la leg– ge era insoddisfacente e quindi non rimpiangiamo che sia caduta; nella prima stesura invece, pur imperfetta, aveva almeno il pregio di introdurre princìpi veramente nuovi nella scuola, la cui realizzazione poteva essere spe– rimentata e migliorata: inoltre que– sta legge rappresentava una certa qual volontà di base, in quanto deri– vava da una consultazione discreta– mente allargata di sindacati e di al– tre associazioni interessate al pro– blema. Rosa Elisa Giangola

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