Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Pericolosi erano i suo compagni di gioco, gli uomini incapaci di riconoscere quel sorridente intruso in abiti secenteschi: l'allegria in persona. Ma basta, disse a se stesso, basta con queste assoluzioni. Perché in tali pensieri egli si assolveva. Uscire dal gregge malinconico importava severità, serietà. Anche lui aveva la sua parte, era anche lui pericoloso a causa di quelle superstizioni volontarie che ancora non aveva ben chiarito con se stesso. Quando pronunciava quelle due parole, risentiva la voce di fine secolo che si proiettava nel Duemila, verso la fine del Millennio. Ne aveva ricevuto un piacere complice. Pericolosa era questa preoccupazione del futuro. Era quella bramosia di vincere dei suoi amici del poker. E lui? E la sua stanchezza? Stanchezza, altra parola carica di magia. La temeva. Per questo l'allontanò da sé, la rifiutò. Da uno di quei giardini notturni, una sera di due anni addietro, era saltato fuori un uomo armato di revolver. Gli aveva esploso un colpo all'improvviso con evidente intenzione di ucciderlo. Le cose erano andate nel modo seguente. René era uscito dal Circolo dopo una partita e si era avviato verso casa. Assaporava il piacere della sconfitta. Più perdeva più sentiva il bisogno di giocare. Si chiedeva il perché. Perché giocare è perdere. Non aveva finito di pensare questa frase che un lampo, uno sparo e un forte dolore al collo lo avevano colpito. Nel chiaro improvviso dello scoppio riconobbe l'aggressore, un marito tradito. Sempre, in seguito, il ricordo del fatto e del processo che ne era seguito si associava alla risata di Emma, quando le aveva raccontato quel suo amore finito in tribunale. La risata di lei lo aveva rallegrato. Dell'accaduto si era fatto una colpa come se fosse stato lui a sparare e a ferire. Quel marito tradito aveva tutte le ragioni. Al posto suo avrebbe fatto lo stesso. 20

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