Pattuglia - anno I - n. 3 - gennaio 1942

Jt capotate n. 53 mano: è un'ala ciel manicomio provinciale tra- La sua voce contadinesca ha perduto la L'ospedale è al completo: quando arrivo accompagnato da un piantone della mia compagnia trovo già nell'atrio una decina cli soldati che aspettano. Non c'è posto per sedersi. Chi mi ha condotto qui è di vecchio pelo e se la intende subito col sergente di sanità che sta in un bugigattolo attorniato da cento « basse i. d'entrata. Ritorna sorridendo, mi si avvicina con aria di mistero: - Io me ne vado, ormai sci a post.o. Ti manderanno in un ospedale civile; ci vuol pazienza - e s'allontana tranquillo, uscendo <lai portone verso la città che attende pigra sotto un tramonto afoso. Quelli che saranno i miei compagni si sono uniti a coppie e parlano senza gestire: si nota nelle loro espressioni una stanchezza inerte, una rassegnata condiscendenza. Sono anziani e portano scarponi consumati. lo invece non so dominare una sorda rabbia che mi deriva dal fatto d'essere in piedi senza che alcuno si prenda cura di 1ue, mentre sento le tempie caldissime di febbre. Non parlo con nessuno, non mi preoccupo di sapere quando vcrrù l'autoambulanza per portarci a riposare su un letto bianco. Sono irritato di sentirmi ammalato e vorrei in qualche modo ,·cndicarmi contro la mia pO\'era carne che non ha saputo resistere alla durezza delle fatiche. Cerco una sigaretta e l'accendo, pro,•ando insieme alla nausea [isica un senso cli orgoglio placato. .\rriva l'autoambulanza. Tutti, ora che le loro pene stanno per finire, si risentono con violenza. Sulla porta prima d'infilarci nel forgone, un sergente sbircia le nostre carte. Vien ultimo, mal in gamba, un caporale di fanteria tutto sgualcito e disadorno: senza bustina (capelli rossi, di stoffa, ritti a fiammate), camicia sbottonata, calzoni di tela brodosi e cascanti. Tiene la testa bassa e se la alza appena, l'occhio appare pieno di bruma crucci osa. Il sergente s'impunta e lo becca: • Sembri un fagotto, non un soldato! Dove hai messa la bustina? • -. Lui risponde aspro e continua col suo passo malsicuro. Ma all'altro ha preso fuoco il sangue e l'incidente dilaga subito fra il disappunto di noi tutti. Il caporale non molla di tono; con s[orzo - e gli sembra già di far molto - tira fuori dalla tasca della giubba una vecchia bustina tutta oliata di sudore e a caso se la mette sul capo. Ora pare che tutto s'acqueti e lui sale il predellino mugolando: - [n Albania era un altra storia, tutti buoni coi soldati in Albania ... Si lascia cadere in un canto, chiudendo gli occhi come per un [orte dolore. lo lo credo ubriaco e più che pena suscita in me un'antipatia aggressiva. Si va cd i traballamenti strappano i lamenti dei più malandati. Il caporale d'improvviso si alza, sporge la testa dal finestrino ed urla: - Prendi tutti i sassi e tutti i fossi, tocco di manzo! - e aggiunge un paio d'insolenze. ?'-/essuno cli noi gli dà corda, forse perché tutti hanno la carne sofferente; ma io mi sento disgustato d'aver innanzi un uomo tanto volgare.· L'ospedale a cui andiamo FondazioneRuffilli è mollo fuori Forlì sformato per il momento in ospedale militare. sorda asprezza di prima: ha preso il tono Fa colpo entrando: sul marmo tutto bianco ingenuo con cui il bovaro parla alla propria e pulito i nostri scarponi giostrano con in- mandria nei momenti di solitudine. stabilità fantoccesca; vien giù dall'alto dei lo li conosco tutti i paesi che scarnno soffitti, eome una fascia cli calcia bambagia, solchi cli tenerezza nel suo cuore: Barzio, un senso di pace e cli riposo. Cremeno, Balisio, Pasturo, Ballabio. E le straTutti siamo stanchi e sciupati ed aspet- de (Pian dei Resinelli, Grigna, Grignetta, tiamo l'assegnazione del letto con i nervi pro- Pian di Bobbio ecc.) partendo dalla mia bocca tesi. si allargano e s'intrecciano fantasiose nel ceri documenti da ricopiare sono lunghi ed vello calcio e buono ciel mio compagno. il caporalmaggiore scrivano gode - dato il Man mano ch'egli svela attraverso i ri-. suo faccione solare - di un'ottima salute. cordi e i rimpianti la sua anima, m'accorgo Pochi cli noi vanno in chirurgia (postumi quanto fosse falsa la prima impressione. cli ferite mal rimarginate), il grosso vien con Non ch'egli nasconda doti eccezionali: è ff1c nel reparto «medicina». un comune contadino coi suoi pregiudizi e le Quel ceffo di caporale sarà mio vicino di sue durezze, ma in _[ondo non saprebbe far letto. male a nessuno ed i sentimenti più sani li Mi cavo cli dosso i panni militari e faccio tiene intatti nel suo cuore incallito nella fatica. in modo di non t-rovarmi lnai a contatto col mio compagno, il quale continua sordamente a parlottare. Sono urtato e m'accorgo che in tutti i miei gesti manco di naturalezza. Quasi quasi provo imbarazzo, come da bambino quando ~lla sera ero costretto a coricarmi con mio fratello col quale spesso bisticciavo. .\cl ogni modo con la lunga camiciola bianca d'ospedale scompaio sotto le lenzuola e - su.pino - fingo cli dormire. Senonché - non son passati dicci minuti - il piantone arriva al mio letto, e mi chiede nome, cognome, grado, malattia, per scriverli sulla lavagnetta a capo del comodino. . 52: e comincia col gesso sotto la mia dettatura. [I caporale vicino s'è seduto sul letto mezzo svestito e interrompe il piantone chiedendo da mangiare. GIi vien detto che la cena in ospedale vien~ · distribuita alle diciassette e perciò l'orario è di molto superato. Egli protesta: - E: da stamattina che sto in piedi con un gavettino di caffè, ho fame, poche storie! Alla meglio il piantone lo calma: tutt'al più lo dirà alla suora di servizio. Si continua con le inie informazioni. Ma il caporale interviene di prepotenza: - Sci di Milano, allievo ufficiale! E: dura anche per te la « naia • eh? ! [o sono della Valsassina, lombardo - e si mette senz'altro al ritmo del nostro dialetto. Ora il ghiaccio è rotto e la fiumana delle sue parole dilaga sopra di me, senza ch'io possa in alcun modo schermirmi. Il piantone lo richiama per sapere i suoi dati: letto N. 53, caporale Mario Brini e poi? E poi lui sta dicendomi che d'autunno sulle falde della Grigna raccoglieva) i più bei funghi della terra: - Partivo il sabato sera, e la domenica la passavo così * ** Le lampade sono diventate azzurre, dalle vetrate si vede il biancore della suora cli turno che va su e giù, tutt'intorno è un roniio cli corpi ristorati dal fresco d'un letto pulito. Sono passate le dieci e iI caporale Brini che fumacchia di nascosto sotto le coperte, mi chiama. Gli ho detto di conoscere la Valsassina: sono stato tre anni a villeggiare a Barzio, e lui m'assedia di mille domande. Ha !'espressioni che urtano, però ogni tanto vien fuori con certe battute tanto sorgive, ch'io gli vedo netta in quel momento la sua coscienza, priva di macchie e attaccata ai principi più sacrosanti delle nostre famiglie senza vizio. Vuol che io fumi: non c'è scampo. Si vergogna, chè è una «nazionale», ma se io non l'accettassi lo mortificherei più che offcndérlo. Nel suo narrare pittoresco - .. ancorchè rozzo e pittoresco - mescola Valsassina e Albania come fosse tut.t.'uno con casa sua . La sua vita e polarizzata li: Valsassina e Albania . I-la fatto tutta la guerra cli Grecia, sopportando freddo e fame sempre brontolando, ma non mollando mai d'un palmo. E in quanto a fucilate ne deve aver tirate più d'una a segno. Ci voleva proprio la bomba d'un mortaio per metterlo fuori uso pochi giorni prima della nostra offensiva di primavera; ma era stata una bomba intelligente. All'ospedale di Valona - guarda il caso - era capitato sotto il tenente Giovanetti, mio compagno di liceo. li caporale Brini quando glielo dico non sta più nella pelle: - Che dottore! un pezzo di pane! se non c'era lui, la gamba la lasciavo • in Albania -. Ma il chiodo ritorna a premergli il tasto più vivo: - Ma possibile che non ricordi la mia casa? Per la strada dei Pian cli Bobbio, dopo il cimitero di Barzio, dove c'è la cava! E: tutta sola con un laghetto davanti per l'abbeveratoio cl.elle. vacche -. Io cerco nella mia memoria, ma non riesco a costmire i particolari che egli mi indica. Mi rincresce, perchè vedo che soffre. Poi desiste e diventa muto. Riprende pooo dopo: - Sai c'è un terrazzo sopra la mia casa e l'ultima volta quando son partito la mamma - io non volevo - ma lei è anelata su per vedermi ancora per la strllda. Io mi giravo e la vedevo tutta nera e piccola e mi pareva stesse per buttarsi nel cortile. Sentivo che \'Olcvo fermarmi ma invece andavo più forte, quasi correvo e la mam1na diventava sempre più piccola. Sai, sono dolori questi, dolori grossi più del freddo e del Telepeni. - Si tirò le coperte sul collo il caporale N. 53, mio vicino di letto, e per un buon dicci minuti stcmmo in silenzio. EZIO COLOMBO 7

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