Nuova Repubblica - anno V - n. 40 - 6 ottobre 1957

(185) mro111.1 repubblica LA. .MOS'l'RADI MESSINA -SCULTURA CONTEMPORANEA d-i ENRICO CRJSPOLTI Q uesta mostra messinese della « Scultura Italiana del XX secolo >t, organizzata, con l'appoggio della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, da Giovanni Carandente, e corredata da un magnifico cata– logo illustrato dell'Editalia dr Roma, rappresenta e!Tet– tivamente i valori e la varietà problematica della nostra scultura contemporanea? Mi sembra lecito rispondere affermativamente, purchè subito si precisi che l'esposi– zione promuove efficacemente una presa di coscienza dei valori più recenti, molto più che indicare sufficien– temente un vero e proprio panorama di mezzo secolo di sctùtura italiana. O almeno è proprio nell'ambito del panorama odierno (dell'uJtimo decennio ci.rea) che si incontrano novità rilevanti, che è possibile con testuali confronti convincersi di certe scadenze, di àlcune futi– lità problematiche, e anche di effettivi valori e di reali e vitali problemi spesso di intelJigentissima proposi– zione e risoluzione. Questo era appunto lo scopo della mostra: proporre un dibattito, anziché accettare senz'al– tro 1'im~egno di presentare unilateralmehte i soli, e poi sempre 111 qualche modo presunti, cc valori >>. E' quanto invece non si è fatto per i decenni precedenti quest'ul– timo, forse anche perché quel vigoroso panorama della scultura italiana contemporanea che ci fu Offerto nel '53 da Giuseppe Marchiori aveva già -fatto piazza pulita di tutte le mezze figure di quel non breve e non felice periodo; e giustamente (mancano quindi a Messina un Bistolfi, un Ruggeri, un Wildt, un Andreotti, un Dazzi, un Romanelli, e simili). E certo si potrebbe anche pro– testare a Iavo1·e di una collocazione, del resto operata dallo stesso Marcbiori, di Medai-do Rosso assente a Messina, a capo della problematica di q~esta nostra scultura contemporanea. La scelta iniziale messinese differisce comunque dal panorama del Marchiori almeno per il « repechage » giustissimo del De Fiori. Si propon– gono dunque a rappresentare i primi quattro decenni di questi cinquant'anni di scultura italiana: Boccioni, Modigliani, Melli, De Fiori e M:artini. Il successivo dibattito aperto cronologicamente a ri– gore, nell'esposizione, dal « Giocoliere » di Mal"ino del '40 ma in realtà pertinente .$Oltanto la situazione italian; post-bellica, vede configura1•si una ortodossa tradizione martiniana, figurativa, del mito dell'umano da Marino a Manzù, a Gerardi, a Messina, a Greco, ; Fazzini (il cui « ragazzo dei g,abbiani » è pure del '40), alla Raphael (pre!eribile in prove più antiche), a Minguzzi, a Fabbri, a Castelli, a Mazzacw·ati, a Matzu.llo, a Cannilla (in· chiave lipchztiana), come a Leoncillo (di discendenza post-c~bisla ancora, nella « Partigiana »), e se si vuole a Calo (approd ato per quella via a Moore ed ora anche rifluente verso A.rp e Brancusi), e forse a~che al fragile e giocoso Cappello. Dall'altra, una adesione liber~ e molto varia ad una nuova condizione internazionale del non figurativo, da Viani (proficuamente evolutosi in prove più recenti da una condizione di affinità lingui– stica con Arp, a librazioni spaziali solo esteriormente coincidenti con Pevsner e Gabo), a Consagra, a Mirko QUADERNI DINUOVA REPUBBLICA Otto anni di- autonomia siciliana, di A. Ramirez L 100 La riforrna fondiaria in Sicilia, di G. Gesualdo » 100 Orientamenti s_indacaLi (Per il Congresso Na- zionale d~IJa CGIL) . . . . . . . . » 100 fo difesa di Danilo Dolci, di P. Calamandrci » 100 Una sola politica (Le elezioni amministrative del 1956) , 100 Inventario e hwito per la battaglia di domani, di ~.... Parri » 100 Document.i di vita valdostcina. I. Dal riparto fiscale alla zona franca » 200 Le ragioni della crisi ungherese, di E. Kardelj » 100 In distribuzione presso LA NUOVA ITALIA • FIRENZE PIAZZA INDIPENDENZA, 29 (che non oltre'1)assa il figurativo del mito, bensì nel mito invera figurativo e non figurativo, per lui ancora conco– mitanti), a Franchina, a Lard'era, a Signori (eccellente in una purezza brancl:.lsiana), al «nuovo» Guerrini a Salvatore, a Mannucci, a Garelli, a Fontana, a Soma.in.i, alla Donegà, infine al sommario « neo-astratto i. De Giorgi, che, quale dilettante, si poteva anche avere lo scrupolo di non invitare. Eppure occorrerà accorgersi come in realtà oltre ques,ta inesatta, eppure corrente (la rispetta Io' stesso catalogo della mostra), dicotomia, esiste m1'effettiva e storica consistenza di differenti e non sempre inopinabili problematiche. Intendo, chiusa anche. la partita del mar– tinismo letterale, come la fu del resto storicamente già nel '45 con la denuncia del Martini stesso deJI"a « st.i– tuaria » « lingua morta », e verificata soltanto ora da Marino, che di tutti senz'altro più degnamente e moti– vatamente la rappresentava, il discorso quindi di un Manzù, ormai accade~ico scostante e reazionario, di un Grec_o, come d'un Fazzini, d'una RaphaeJ, e senz'altro di un. tronfio Minguzzi, d'un esternissimo Fabbri, per non dire poi degli altri innal'lzi ricordati, da Mascherini, a Castelli, a Cannilla, ecc.~ quale configurazione assume la più viva scultura italiana d'oggi - è giocoforza rico– noscerlo - non-figurativa? Non credo· prometta molto nel tempo, in aperture problematiche, non dico per qua-– litéi, quasi sempre infatti notevolissima, il discorso, l'in• vito anzt d'evasione mitologica d\m Mirko (e l'f1 impasse» si_ ri~ete aggravata nel sommario e provvisorio Crippa); ne d altra parte, su piano differente, e certo di ben minore densità umana, il gioco abilissimo di Fontana. C'è piuttosto la nuova proposizione del mito dclfumano (una scultura che nella purezza di un'immagine ideal– mente allusiva scopra ancora una possibilità di salvezza extra-esistenziale in un costante valore e principio di umamtà) perentoriamente operato ancor·oggi da Viani _ come in altro modo, forse meno, efficace, da Signori (i~ Italia ancora così ingiustamente malnato). Vi ani almeno ha ~on:1 preso come· la scultura possa divenire immagine ed msieme chiave spaziale, mito e presenza, ed acqui– stare quindi un'efficacia esistenziale non contradittoria alla propria ongine idealistica. Su questo piano, di rap– porto esistenziale, di scala umana, il giovane Somaini agisce con efficacia sempre più convincente, impegnando direttamente la propria scultura, ad un compito, quasi architettonico, di qualificazione dello spazio esistenziale eçl umano appunto. Imbrigliato ancora nel vagheggia– mento del mito soltanto di una umana fisica eleganza e fluenza è invece Salvatore, pur già oltre il limite, s'è detto, del non-figurativo, mentre la Donegà ripercorre con intensità ed intelligenza rara le sorti di Arp, ma non sembra poi scortarsi da quel « naturalismo orga– nico>> quasi letteralmente inteso. E se Ja scultura di Salvatore resta troppo palesemente immagine, quella della Donegà è troppo privativamente «oggetto» di ar– piana indifferenza. Per altra via, da origini neoplastiche commisura geometricamente lo spazio Lardera, tuttavi~ se~pre più cP,ncentrandosi in una maggiore e detta– gliata qualificazione della propria immagine « astratta » originaria. Per Consagra la scultura vuole negarsi quale elemento spaziale per qualificarsi invece soltanto su piano 1:on extsa-esistenziale, bensì extra-spaziale aÌ:,p~nto, di preciso manifesto ideologico, non tanto di oggetto nello spazio (e sia pure di questo spazio elemento ordinatore e determinante, e quindi anche ideologicamente in esso attivo), quanto di specifico ed inequivocabile schermo e tavola di espressione. Per Leoncillo la scultura è oggi una possibilità di riscatto di un moderno naturalismo· riscatto di _un valore di naturalità à:U'oggetto-scultur~ nella sua empirica dislocazione spaziale. Non più solo 1mmagioe, rappresentazione, ma sintomo, indice che apra una possibilità di qualificazione delJa natura, di cui si propone appunto quale parametro. Frflnchina indaga la condizione d'immagine della scultura per una verifica– zione tutta psicologica deHa condizione umana. E la scultura deve allora essere appunto immagine, registro psicologico, e come tale costituirsi ancora in uno spazio di dimensione' interiore. Un fondo di accentuata rileva– zione psicologica è anche in Mannucci: quelle sue accen– tuazioni materiche, di grande finezza, propongono, non altrimenti che certe articolazioni spaziali d'ordine quasi grafico, un modo <li essere della scultura simbolo di una condizione interiore, momento psicologico appunto. Dif– ferendo in ciò da GarelJi, pure rigorosamente materico e già quasi del tutto oltre l'immagine, e per il quale iÌ segno vuole mantenere il senso attivo di colpo inferto e sofferto, di dolente fisicità, di indizio cU una sconcer– tante ur~ana « dé_bacle ». Di una scultura che, pure già p_ressoche oltre l'immagine, resta allusiva a1la disgrega– z10ne morale di un mito strettamente assimilab11e a quello innanzi accennato dell'umano. . Istintivamente o meno la scultura d'oggi tende a nfiutare la materia sublimante (appunto perché della scultura rifiuta più o meno radicalmente la condizione d"immagine, per quella di presenza), e propone invece contatti diretti ed esistenziali con r:Aaterie soltanto esi– stenzialmente qualificate ed empiricamente nominabili: il masso rugginoso di Somaini, le abrasioni e saldature di GareUi, le preziosità erose di Mannucci la rudezza immediata della pietra Qi Guenini... ' La mostra è all'aperto, una consuetudine non nuova ma di sempre maggior successo: la novità di Messina ~ forse rmum"inazione serale, ecceJlente, e spesso rivela– trice. La mostra, a quanto pare, ed auspichiamo, venà a Roma. Si annotino almeno questi nomi per colmare assenz~ non sempre giustificabili: Mastroianni, Negri, ~rt?m, Carmassi, ·Ali venti, Bozzola, Colla, e per i cera– misti (a far compagnia a Meli) Melotti ed Hettner. Allar– gando il dibattito l'esposizione acquisterà ancora mag– giore interesse; e l'occasion'e è preziosa. 7 IllllLIO'l'lWA * Scandalo della speranza L 'ESTATE è ormai trascorsa e già si spengono gli ultimi echi delle polemiche suscitate dai vari pre– mi letterari: marini, montani e lucustri. Non vor– rei perciò riaccendere ta1·divi focherelli della rissa estiva ma neppure credo di dover rinunciare a esprimere un; protesta ben precisa. Essa riguarda l'assegnazione del premio Viareggio per la saggistica. E non intendo tirare in ballo i molti volumi importanti che non figuravano nella rosa dei probabili vincitori, perchè può avere in– terfedto il veto degli autori, ma mi limito a segnalare in Cesare Brandi e Carlo Bo i due grandi esclusi, i due ingiustificati esclusi dal verdetto finale. Una volta tanto ci si era accorti di questi due nostri saggisti, così di– versi lra loro, ma egualmente collocabili su di un piano di assoluta eccellenza! Nelle loro opere, pubbliC'ate qJe– st'anno: Arcadio o della Scultura - Eliate 'o delL'A-rchi– tett.ura (Torino, Einaudi, J 957) e Scandalo della Spe– ranza (Firenze, Vallecchi, 1957), Brandi e Bo hanno dato, del resto, la misura forse più alta del loro inge– gno e della loro ricca e moderna personalità. I giudici vinreggini hanno perduto, dunque, una splendida occa– sione e hanno mostr.ato di spaventarsi troppo pi·esto del loro stesso primitivo coraggio oppure di acconciarsi 1·e– missivamente ai palleggiamenti diplomptici, gi~ evidenti del resto nell'assegnazione plurima dei premi della nar– rativa e della poesia. . Non premiato a Viareggio, Scnnd<tlo della S~eranza, è tuttavia da considerarsi il libro più bello e significativo di Bo, il più intensamente meditato e sofferto. c·è in– fatti espresso, in queste pagine. un amaro dissidio tra Ja denuncia accorata della co~Tuzion.e, dell'egoismo e del conformismo che intorbid,ano la vita morale e in– teUettua.le italiana, e la riaffermala speranza nelle ra-– gioni più profonde dello spirito e della verità. Sperare in queste ragioni. nonostante tutto, può sembrare ad– dirittura « scandaloso>>, ma non si può né si deve ri– nunciarvi perchè altrimenti verrebbe meno il pdmo fondamento del nostro lavoro, del nostro impeg110 di uomini di cultura. Personalmente mi sento assai lontano dalla « spe– ranza » di Bo. Essa, infatti, è d'ordine interiore, me– tafisico, e si nutre di convinzioni reUgiose ben definite. E' una speranza che per salvarsi richiede pur sempre l'intervento della grazia, l'ausilio provvidenziale. Que– sto spiega la diffidenza di Bo per le soluzioni provvi– sorie, per gli accorgimenti empirici e persino anche per le scelte politiche. Vorrei dire che lo stesso pessimi– smo è il prezzo fatale che Bo deve pagare a salva– guardia di una speranza che non J)uò non essere ogni giorno duramente contrastata e corrosa. E' il destino degli spiriti che mirano a valori assoluti e non si in– ducono a sperimen.tarli o verificarli nella storia. Ma ciò che ho sempre ammirato in Bo è la sua fedeltà co– raggiosa ai principi da cui mosse, come critico, circa vent'anni or sono, ai priricipi di un cristianesimo i!Iu– mi!1ato. In un paese come il nostro, nel qu.ale ogni giorno_ si assiste a conversioni repentine d'ogni genere e d'ogni colore, a subitanee accensioni e fulminei smar– rimenti, in un giuoco impudicamente esibito di fedi giu– rate e di abiure dove più non sai qual'è il caso degli stimoli umorali o delle furbizie tattiche, un esempio di coerenza e di anticonformismo quale ci è offerto dal– J'opera di Carlo Bo è senza dubbio un fatto umano di singolare evidenza, un atto di moralità che aiuta anche noi a credere, seppur diversamente, nello « scan– dalo della Speranza ». LANFRANCO CARETTI Il nuovo c111ema italiano ìlJI ANCA VA finora nella bibliografia sul neor~alismo lll ~n'opera che, con la dovuta ampiezza, iJluminasse m tutte le sue connessioni storiche uno dei più im– port,intì fenomeni culturali del dopoguerra; e tale man– canza era tanto più sentita, quanto più col passare degli anni il neorealismo pareva isteriJirsi e degenerare. II libro che Giuseppe Fei-rara ha recentemente pubblicato (Il nuovo.. ci1iema itaHm1.o; Firenze, Le Monnier, 1957) non riempie del tutto questo vuoto, ma è in ogni caso impor– tante perché è la prima opera che il neorealismo faccia og– getto di w1'analisi non solo estetica (vorrei dire astratta– nlfmte estetica), ma estetica e storica ad un tempo, e quindi critica nel vero senso della parola. Il Ferrara, in aìh·i termini 1 ha considerato i1 neorealismo non solo nelJe sue derivazioni più note (analizzando, ad esempio, assai acutamente quell'Ossessione di Visconti la cui importanza non sarà mai abbastanza sottolineata) ma tenendo altresì conto della realtà economica e politica in cui esso è nato e di quella d'altro canto a cui ha reagito. Un'analisi, come quella che il Ferrara ha fatto, della organizzazione econo– mica del cinem a fascista o della situazione de11'industria cinematografi.ca all'indomani della pace è non meno im– pol'lante di un qualsiasi attento esame di Roma ci.ttà aperta o di Paisà, per la piena comprensione del « nuovo cinema italiano». Si aggiunga subilo che l'autore, studiando il nostro cinema postbellico inserito nel suo contesto siorico, ha saputo tenersi fuori delle polemiche di « rivendicazio– njsmo ideologico>> che per anni hanno funestato le nostre riviste di cinema, contribuendo probabilmente esse stesse, al di là delle intenzioni da cui erano animate, a creare le condizioni che hanno portato al decadere del neorealismo. Ma, una volta messa in luce J"importanza dello studio (segue a pào. 8, 3.a col.)

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