Nord e Sud - anno XX - n. 166 - ottobre 1973

, NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Sandro Bonella, L)eresia della libertà - Sergio Gagliardo, Da una« nota» all1altra - Italico Santoro, La nuova frontiera della siderurgia - Ugo Leone, Antonino de Arcangelis, Ermanno Corsi, Napoli città problema e scritti di Autori vari, Guido Cella, Francesco Compagna, Elena Croce, Brunello Daddario, Ciro Fantini, Guido Masera, Aurelio Pane, Antonino Repaci ANNO XX - NUOVA SERIE - OTTOBRE 1973 - N. r66 (227) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI BibliotecaGino Bianco

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XX - OTTOBRE 1973 - N. 166 (227) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Chiatamone, 7 "' 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Chiatamone, 7 - 80121 Napoli - Tel. 393.346 Una copia L. 600 - Estero L. 900 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero annuale L. 6.000, semestrale L. 3.300 - Fascicolo arretrato L. 1.200- Annata arretrata L, 10.000- Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Ediz. Scientifiche Italiane - Via Chiatarnone 7, Napoli Biblioteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] Sandro Bonella L'eresia della libertà [ 6] Sergio Gagliardo Da una «nota» all'altra [18] Italico Santoro La nuova frontiera della siderurgia [27] Cronache meridionaliste Elena Croce Il colera a Napoli [ 41] Guido Macera L' « affaire » del quinto centro siderurgico nazionale [ 43] Francesco Compagna La prenotazione meridionalista [ 46] Argomenti Autori vari La diffusione internazionale dell'inflazione [51] Guido Cella Svalutazione e politica antinflazionistica [61] Aurelio Pane Stagionalità dei fenomeni demografici nella città di Napoli [72] Ciro Fantini Il piano per le ferrovie [81] Napoli città problema Ugo Leone Dagli alle cozze [90] Antonino de Arcangelis Perché a Napoli [99] Ermanno Corsi Net turbini latitanti [ 106 J Cronache e memorie Antonino Repaci La rnarcia su Roma: consuntivo di una rievocazione [ 116] Lettere al Direttore Brunello Daddario La raffineria di Fossacesia [125] Biblioteca Gino Bianco

Editoriale Il problema dei grandi agglomerati urbani del Mezzogiorno - di Napoli e di Bari, di Taranto e di Reggio,·di Catania e di Palermo - diventa di ora in ora più grave e richiede ormai soluzioni impegnative e coraggiose da parte dei poteri pubblici. Le dimensioni e la complessità di questo problema sono tali da ridurre ad un'importanza marginale, nel contesto della questione meridionale, il problema delle « aree di particolare depressione »; e risulta ormai ben evidente che una politica delle città costituisce un impegno assai più rilevante di quanto non lo sia quello della « politica dei presepi», caldeggiata addirittura come prioritaria da deputati e senatori delle zone interne, e contro la quale abbiamo a suo tempo fatto valere da queste pagine riserve che oggi si dimostrano tutt'altro che infondate. Così come non infondata ci se1nbra la preoccupazione manifestata a Bari dal Presidente del Consiglio per « le carenze ed i comportamenti abnormi» rivelati dall'infezione colerica e che debbono costituire per tutti un serio « campanello d'allarme». Giustamente, su « La Stampa», Giovanni Trovati ha dato risalto a questa preoccupazione e ha dedotto dal'le parole del Presidente del Consiglio un giudizio di severa condanna del malgoverno nell'Italia meridionale. Si direbbe che finalmente, dopo il colera si è propensi a riconoscere quello che si è sempre voluto negare: che « c'è del n1arcio ». Meglio tardi _che mai! Purché si vada fino in fondo. E pare che, per quanto riguarda la DC, Fanfani voglia andare fino in fondo a perseguire quelli che Rumor ha definito « comportamenti abnormi». È accaduto, tra l'altro, che, come avemmo occasione di affermare già dopo le elezioni politiche del 1972, l'impressione sgradevole per il malgoverno di certe amministrazioni di centro-sinistra ha fatto impallidire il ricordo di un malgoverno assai più aggressivo e assai più rozzQ: quello delle destre, che, con Lauro e con la sua consorteria, ha devastato Napoli e la penisola sorrentina (per non parlare della Sicilia dove pure il malgoverno di destra ha lasciato i _suoi segni vistosi, a Palermo e non soltanto a Palermo). Minori certo le malefatte del centro-sinistra; ma tali comunque da riaprire uno spazio alle destre, che hanno potuto denunciare, dimenticando che esse avevano fatto ben di peggio, un centro-sinistra che non ha saputo acquisire benemerenze di buon governo; e 3 Bibli.otecaGino Bianco

Editoriale che, anzi, ha dato luogo a comportamenti dèfinibili « abnormi » da un Presidente del Consiglio. D'altra parte, si può ben dire che il problen1a dei grandi agglonzerati urbani del Sud espone la politica meridionalista, e in generale la democrazia italiana, su una frontiera che risulta quanto mai vulnerabile e per certi aspetti di decisiva importanza strategica. Si consideri il problema di Napoli: c'è una citta da salvare, abbiamo scritto in luglio, dopo i moti per il pane; e ora, dopo il colera, dobbiamo aggiungere che, se non si riesce a salvarla, non si potrà mai più dire che la democrazia italiana ha vinto la sua battaglia per lo sviluppo del Mezzogiorno, quali che siano nel prossimo futuro i suoi auspicabili successi su altri fronti, in altre regioni ed in altre città del Mezzogiorno. Ebbene, la salvezza di Napoli va cercata anzitutto - anche se, ovviamente, non soltanto - con il buongoverno: perché a Napoli, più che non altrove in tutto il Mezzogiorno, si riscontra nei fatti e nelle conseguenze dei fatti quanto siano tossici i frutti del malgoverno e di quei « comportamenti abnormi » che hanno· richiamato l'attenzione, e magari suscitato l'indignazione, del Presidente del Consiglio. C'era stata a Napoli, prima del 1970, una non sgradevole am1ninistrazione di centro-sinistra che aveva preparato quanto era indispensabile preparare ai fini della realizzazione di fondamentali opere pubbliche e aveva anche varato il nuovo piano regolatore. I meriti di quella amministrazione, la migliore dal 1946, furono riconosciuti dagli elettori, ma non dai partiti. Il Sindaco fu sostituito, benché rieletto come capolista della DC; il più efficiente degli assessori fu eletto alla regione e paradossalmente gli è stato perfino addebitato come un connotato negativo il suo «efficientismo »; è stata eletta una nuova giunta con1unale, con uon1ini che si sono poi distinti per i loro « comportamenti abnormi ». Così è stato sciupato dopo il 1970 quanto di buono si era fatto prima del 1970. La crisi comunale, aperta dallo scandalo dell'inceneritore, potrebbe ora risolversi positivamente solo se, come ha auspicato Silvano Labriola, si riuscisse a formare « una giunta rinnovata con un programma di emergenza ». Altrimenti, non si può evitare uno scioglimento del Consiglio com4nale: soluzione preferibile a quella di una giunta raffazzonata, con un programma non credibile e con uomini più o meno compromessi da « comportamenti abnormi ». Intanto si potrebbe, comunque, impostare e portare avanti il « progetto integrato» per l'area metropolitana di Napoli. Donat Cattin ne ha parlato nella sua conferenza-stampa a metà settembre e ne ha riparlato a Bari. Dovrebbe essere una somma algebrica di progetti speciali: per il 4 BibliotecaGino Bianco

.. Editoriale disinquinan1ento del Golfo, per il sottosuolo, per il risanamento conservativo del centro storico, per la bonifica dei ghetti periferici, per 'la delocalizzazione delle industrie inquinanti e quindi per la valorizzazione a verde degli spazi recuperati, per il porto, per le aree industriali attrezzate, per l'area della ricerca scientifica. Sono progetti che dovrebbero essere attuati mediante una tecnica di stralci continuati via via che si accertino quali interventi sono comunque necessari e tali da non compro1nettere-, se anteposti, il disegno generale. Naturalmente, non dimentichiamo che il proble1na centrale della salvezza di Napoli e della sua area metropolitana è quello dell'industrializzazione per creare nuovi posti di lavoro. È il problema di tutti i_ grandi agglomerati urbani del Mezzogiorno. A questo proposito, ci sembra che sia venuto il momento di valutare fino a che punto l'industrializzazione risulta bene avviata nelle province di Latina e di Frosinone. È in queste province che si sono contrastati e tendono a contrastarsi i differenziati investimenti industriali. Pare che la Fiat a Cassino trovi ormai ·qualche difficoltà a reperire manodopera per il turn over; e non si capisce perché la Motta (SME) abbia scelto Ferentino e non, poniamo, la provincia di Caserta, se non quella di Reggio Calabria, per la nuova fabbrica di gelati. Aprilia e Pon1ezia sono sature. E tuttavia, anche nei colloqui di Milano con le imprese medio- grandi interpellate dall'on. Giolitti. si è avvertita una propensione a scegliere, fra le possibili localizzazioni meridionali di nuovi investimenti, le province di Latina e Frosinone. Ma non si può negare che sarebbe assai più conforme agli imperativi della politica meridionalista se le nuove iniziative atterrassero in Campania, concorrendo alla soluzione del problema napo_letano, e nel più profondo Sud, concorrendo alla soluzione dei problemi degli altri giacimenti della disoccupazione e della sottoccupazione. Si dovrebbe, quindi, prendere in considerazione la possibilità e l'opportunità di una decisione che consentirebbe, quando fosse presa, di inoltrare più a sud iniziative che, fermandosi troppo a nord, concorrono fra l'altro anche ad aggravare lo squilibrio fra Alto e Basso Lazio, che taluni non a torto lamentano: fenna rin-zanendo la linea del Tronto ad est, si potrebbe ad ovest abbassare sul Garigliano il confine dell'area di competenza della Ca_ssaper il Mezzogiorno. Tanto meglio se fra dieci anni potremo abbassarlo sul Sele! 5 - BibliotecaGino Bianco

L' eresia della libertà di Sandro Bonella Una breve notizia da Mosca di un'agenzia di stampa del 14 settembre informa che il fisico sovietico Valentin Turcin, specialista in problemi di automazione nell'industria, è stato sottoposto a una sorta di processo assembleare nel corso di una riunione del personale dell'istituto scientifico in cui lavora, e « condannato ». Turcin è stato uno dei primi scienziati sovietici a prendere pubblicamente le difese di Sacharov, l'accademico « dissidente » che, dopo una lunga opera in difesa dei diritti dell'uomo, ha avuto il coraggio di denunciare al mondo la repressione contro la libertà di coscienza e di espressione in atto nell'Urss. L'episodio è fortemente indicativo, almeno per due ragioni. La prima contribuisce a definire alcuni caratteri « rituali » del1' assetto sociale sovietico e del suo apparato di autodifesa giudiziaria e, per così dire, etico-religiosa. Il· « processo» a Turcin, condotto secondo le regole dell'assemblea, senza alcun riferimento ai canoni del diritto, appartiene qualitativamente alla categoria della confessione pubblica di Yakir e Krassin, i due intellettuali condannati dal tribunale per « attività antisovietiche » e condotti a proclamare la propria colpevolezza e il proprio pentimento davanti ai corrispondenti stranieri nell'Urss, nel corso di un'allucinante conferenza stampa. Si tratta cioè di una brusca regressione dal punto di vista del diritto moderno, così come le società civili lo hanno costruito dai fondamenti dell'illuminismo e del liberalismo anglosassone. Il rito, in sostanza religioso in senso dogmatico e fideistico, prevede l'assoluta subordinazione della dignità e del diritto dell'individuo alle regole della struttura sociale, assunta come valore metastorico. Tende, in definitiva, a pronunciare una sentenza di ordine « morale », che non solo limita l'effettivo diritto all'« eresia», ma punta a perpetuare l'assetto sociale condizionando e subordinando la coscienza del singolo ad una coscienza collettiva costruita attraverso la propaganda e la defin1z1one di un sistema di valori in::imobile e indiscutibile. 6 BibliotecaGino Bianco

I L'eresia della libertà Ma il « processo » a Turcin è indicativo anche e soprattutto per un'altra ragione. I nomi prestigiosi di Sacharov e Solgenitsin (il primo tra i più grandi scienziati viventi, proposto, sia pure in modo non ortodosso per il Nobel per la pace; il secondo il massimo scrittore russo contemporaneo, premio Nobel per la letteratura) assicurano al dissenso grande risonanza. L'opinione occidentale conosce anche i nomi di Yakir, di Amalrik, di Daniel, di Siniavski e di pochi altri. Ma quasi nulla sa delle dimensioni reali del dissenso nell'Urss. Si tende anzi a dar indirettamente credito alla tesi ufficiale di Mosca, ripresa in termini anche più espliciti da alcuni partiti comunisti dell'occidente, secondo la quale l'eresia della libertà riguarderebbe pochi individui, intellettuali scontenti e in qualche modo sradicati dalla realtà sociale sovietica. Secondo questa tesi, in sostanza, il « comportamento antisociale » di questi pochi individui, sinonimo di « comportamento antisovietico », ne indicherebbe la profonda estraneità dalla storia sovietica attuale, ne farebbe una piccola setta di spostati, e non a caso da qualche tempo le autorità del Cremlino offrono ai dissidenti più famosi la possibilità di espatrio. (Ad alcuni dissidenti che si trovavano all'estero è stato inoltre ritirato bruscamente il passaporto, costringendoli così all'esilio). Solo per ragioni di interessata propaganda, la stampa borghese darebbe tanto rilievo alle nevrosi di pochi intellettuali. La repressione si limiterebbe dunque ad una sorta di esorcismo contro il « diverso », l'« eccezionale » identificati in ultima analisi con la malattia: l'internamento dei dissidenti nei manicomi, infatti, non è solo uno strumento d1 repressione, rivela anche un preciso atteggiamento psicologico. Ma questo esorcismo, comunque indicativo di una logica fideistica e autoritaria, corrisponde alla realtà? Valentin Turcin non è famoso: lavora in un istituto scientifico di Mosca, e ha preso le difese di Sacharov come altri, ugualmente non famosi, hanno fatto. Si tratta di un altro caso di «malattia», o è l'indice di un dissenso più vasto a capillare c).le si è stabilito nella socie.tà sovietica degli anni settanta, di un malessere che pervade l'apparente monolitismo della Russia di Breznev? Si tratta di una questione .di fondo. · Le dimensioni del dissenso Georges Marchais, segretario del partito comunista francese, 7 BibliotecaGino Bianco

Sandro Bonella ha sprezzantemente espresso la sua opinione sulla dissidenza nell'Urss. « Qualche scontento non basta a condannare un regime. Né a far dubitare della sua capacità di sviluppo ». E ha precisato poi, su un numero speciale dell'« Humanité », organo del suo partito: « Non c'è (nell'Urss) regresso della democrazia ma progresso continuo. Tutto indica che in quel paese esiste la ferma volontà di preferire la battaglia delle idee alle misure repressive ». Il Pcf è stato, tra i partiti comunisti occidentali, forse il più duro nei confronti dei dissidenti sovietici, e certamente il più ligio alle direttive di Mosca sulla questione. L'ortodossia rigida dei comunisti francesi ha radici lontane nel tempo, e ad essa oggi si aggiunge la necessità di non perdere terreno presso la base a vantaggio degli alleati socialisti, che hanno fermamente condannato la repressione nell'Urss. Da ciò la scelta della linea « dura ». Ma l'argomento principe resta quello dei limiti del dissenso. Ha ragione Marchais, sia pure dal suo punto di vista? I dati su cui ci si può basare per tracciare un quadro appena sommario della realtà del dissenso sovietico sono pochi. Non esiste nell'Urss libera circolazione di idee e di informazioni. I corrispondenti stranieri a Mosca operano in condizioni difficili, sotto diretto controllo delle autorità sovietiche; è proibito avere contatti non autorizzati con cittadini sovietici; la libertà di movimento è fortemente limitata; esiste il rischio di scambiare un agente del Kgb con un dissidente con la conseguenza pressoché certa dell'espulsione. Tuttavia quasi tutto quel che si conosce della dissidenza sovietica lo si deve al coraggio e alla coscienza prof essionale di giornalisti degni di questo nome. Sappiamo da loro i nomi dei dissidenti che sono divenuti noti in occidente: ma sappiamo anche che per ogni nome famoso vi è stata una rete di anonimi cittadini sovietici che hanno favorito gli incontri, che si sono esposti al rischio dell'identificazione e della cattura da parte del Kgb. Questo è già un primo dato. L'iceberg del dissenso co1nincia a prendere forma, con le cime emergenti dei nomi famosi, e la massa nascosta sotto la grigia coltre del conformismo sovietico . .Nel corso del suo congresso a Vienna, l' « Amnesty international », l'organizzazione internazionale per la difesa dei diritti dell'uomo che ha più volte denunciato i crimini .dei regimi di Grecia, Spagna, Portogallo, ha inviato a Mosca una lettera di protesta per la repressione. La lettera non si limita a chiedere il riconoscimento sostanziale dei diritti dell'individuo: sottolinea anche che le dimensioni del dissenso nell'Urss sono vaste, penetrano in 8 BibliotecaGino Bianco

L'eresia della libertà tutti gli strati della popolazione. Gli oppositori si trovano nelle fabbriche e nelle scuole: il loro coraggio è grande, perché non potranno mai contare sull'indiretta tutela dell'opinione pubblica occidentale che in qualche modo ha protetto finora Sacharov e Solgenitsin, se non Yakir, Krassin e Amalrik. L'« Amnesty international » ha pubblicato un elenco di cittadini sovietici dissidenti, internati in cliniche psichiatriche o in campi di lavoro forzato. Vladimir Khaustov, operaio; Vladimir Borisov, operaio; Alexander Rybakov, operaio specializzato; Boris Evdokimov, giornalista; Genrik Barmin, ingegnere; Seergej Rurtov, ingegnere; Lazar Lyubarski, ingegnere; Shimon Grilyus, ingegnere; Grigory Bernam, filologo; Mikail Selenkov e Ivan Vall, « propagatori religiosi »; Mikail Torusov, sovversivo. Si tratta di nomi non famosi, di gente che appartiene a tutti gli strati sociali. Dal canto suo, l'ONU - imprigionata dai limiti del diritto di «veto» dell'URSS - ha espresso ufficiosamente la sua preoccupazione per la sorte dei dissidenti, sottolineando che non si tratta di « pochi casi isolati ». La stessa vicenda della campagna propagandistica orchestrata dal regime sovietico contro Sacharov e Solgenitsin con l'appoggio compiacente della cultura « ufficiale », ha avuto un risvolto significativo. Gli scrittori Vladimir Maksimov e Aleksandr Galic e il matematico Igor Shafarevic hanno proposto che a Sacharov venga assegnato il premio Nobel per la pace. In una lettera aperta fatta pervenire ai corrispondenti stranieri di Mosca proprio nei giorni in cui si temeva che l'incriminazione di Sacharov fosse imminente, i tre intellettuali lo hanno definito « un'eminente figura di combattente per una vera democrazia, per i diritti e la dignità dell'uomo, per una pace autentica e non illusoria ». Certo, si tratta ancora di tre intellettuali. Ma intellettuale non era Elizabeta Voronianskaia, la donna che si è uccisa a Mosca per esser stata costretta a rivelare, dopo un interrogatorio· di cinque ore della Kbg, il luogo dove era nascosto un manoscritto inedito di Solgenitsin, Arkipelag Gulag. Né solo intellettuali erano i protagonisti dei tanti episodi di repressione riferiti per anni dalla « Cronaca degli avvenimenti correnti», il foglio clandestino fatto circolare nell'Urss dai circoli dissidenti e da poco misteriosamente interrotto. O coloro di cui lo ·stesso Sacharov ha fatto il nome nelle sue dichiarazioni af giornalisti occidentali. D'altra parte, si rischia di perdere di· vista le dimensioni reali 9 BibliotecaGino Bianco

Sandro Bonella del fenomeno della dissidenza, se ci si limita a legare a questa definizione la sola dissidenza « intellettuale ». La lunga battaglia degli ebrei sovietici per ottenere il diritto all'espatrio e al « ritorno » in Israele è un altro aspetto, non meno rilevante, della lotta per i fondamentali diritti di libertà nell'Unione Sovietica. Secondo fonti attendibili, come la « Neue Zuercher Zeitung », gli ebrei sovietici desiderosi di espatriare sono attualmente circa 600.000; 100.000 domande di espatrio sono rimaste finora senza risposta. Dopo le trattative commerciali con gli Stati Uniti, l'atteggiamento delle autorità sovietiche nei confronti degli ebrei, estremamente duro in passato, sembra essere divenuto più morbido. La « tassa sulle lauree », per esempio, seppure non è stata ufficialmente abrogata, non è più operante; un certo numero di richieste viene accolto. Ma il progresso è più apparente che reale: per la concessione dei visti di uscita si impiegano criteri discriminatori, e si procede con un ritmo che consentirà di lasciare il paese a tutti quelli che lo desiderano soltanto in venti anni. Nel frattempo, chi ha chiesto il visto di uscita diviene automaticamente cittadino di seconda categoria. Rischia seriamente di perdere il posto di lavoro, e comunque di vedersi privato della possibilità di trovare un alloggio, se lo cerca, o di dover subire il peso della coabitazione, se già lo possiede. I suoi figli non troveranno un lavoro, e in molti casi dovranno interrompere gli studi. Intanto la persecuzione, con maggior cautela di prima, continua. In Ucraina, l'operaio specializzato Itzak Skolnik è stato condannato a dieci 2.nni di detenzione per « spionaggio». A Minsk si sta inscenando un processo contro Svanja Kipnis, accusato di tentato espatrio clandestino. A numerosi ebrei eminenti nel campo delle scienze e della cultura universitaria si nega il visto, sotto il pretesto della sicurezza nazionale: è ac_caduto al fisico M. Gierman, al filologo Dmitrij Sega], alla famiglia dello scienziato Venjamin Grigorjevic Levic. Il quadro del dissenso sovietico, dunque, si allarga, considerando i diversi aspetti del problema. Ancora, certamente ad esso vanno ricondotti i fermenti autonomistici presenti in alcune delle repubbliche e delle regioni dell'Unione Sovietica. Concludendo, già un esame sommario delle dimensioni del dissenso ci porta ben lontano dai « pochi scontenti» di cui parla Marchais sull'eco della propaganda sovietica. D'altra parte, le autorità di Mosca sarebbero così preoccupate a'.i pochi intellettuali non ortodossi, che, tra l'altro non hanno , ' 10 . . BibliotecaGino Bianco

L'eresia della libertà alcuna possibilità di far conoscere le proprie op1n1oni agli altri cittadini sovietici se davvero essi parlassero soltanto a se stessi? Evidentemente il fenomeno del dissenso non è così limitato, come si vorrebbe far credere. La stessa qualità delle accuse, infine, indica che la preoccupazione di Mosca per il possibile estendersi del malessere civile nel profondo della società sovietica, in parallelo al processo di distensione con l'occidente, è tutt'altro che secondaria. Distensione e democratizzazione Un dato permanente delle accuse rivolte dalla propaganda sovietica ai dissidenti è che essi sarebbero nemici della distensione. Anche questa tesi è stata ripresa, sia pure con diverse sfumature, dai partiti comunisti occidentali. I dissidenti, con la loro opera di « calunnie antisovietiche », farebbero il gioco dei fautori della guerra fredda occidentali, tentando di mettere il bastone tra le ruote della difficile opera di distensione· tra i due blocchi. In particolare, con il loro appello all'opinione pubblica occidentale, i dissidenti tenterebbero di boicottare gli accordi economici tra Stati Uniti e Unione Sovietica, sabotando il tentativo di Mosca di ottenere la qualifica di « nazione più favorita » nei -rapporti commerciali con Washington. Su questi temi ha preso ufficialmente posizione la « Pravda », con un linguaggio di grande violenza. Sacharov e Solgenitsin sono stati definiti dall'organo del Pcus « rinnegati », « fantocci della reazione borghese ». Su un piano analogo, un altro giro di vite dell'attuale stretta ideologica nell'Urss è stato dato dall'organo delle forze armate sovietiche. Come preludio della conferenza per la sicurezza europea, in cui tornerà sul tappeto la spinosa questione della libera circolazione degli uomini e delle idee, che ha visto finora l'Urss su posizioni di intransigenza, « Stella rossa» ha ribadito la cosiddetta dottrina Breznev sulla « so"vranità limitata». Come è noto, tale impostazione, enunciata dal segretario del Pcus pochi giorni prima dell'invasione della Cecoslovacchia, prevede il diritto sovietico, e degli altri paesi « fratelli », a intervenire quando in un paese socialista la « legalità » sia minacciata. L'ondata autoritaria si sviluppa ·dunque su più direttrici, tenendo a ·riaffermare senza possibilità di equivoco il rigido centralismo di Mosca. È . un monito non solo per il « comunismo nazionale» di Ceausescu, ma anche per i residui fermenti di liberalizzazione nei paesi del blocco orientale. ·Ed è anche una risposta 11 BibliotecaGino Bianco

Sandro Bonella indiretta non tanto a Sacharov e Solgenitsin, che chiedono che alla distensione si accompagni un avvio di democratizzazione interna, quanto per quei governi occidentali che possono avere la stessa opinione. Sono problemi estremamente complessi e intricati. Lo con-· ferma la cautela con cui, alla sostanza, si comportano i governi dei paesi occidentali davanti agli appelli dei dissidenti. Danesi, norvegesi, austriaci hanno espresso le loro proteste all'Urss: ma si tratta di piccoli paesi, che hanno poco peso sugli sviluppi di fondo degli equilibri internazionali. Nixon, quasi volesse contraccambiare il riserbo dei sovietici sullo scandalo « Watergate », ha evitato ogni presa di posizione, anche se deve fronteggiare la crescente indignazione di ambienti democratici americani. Lo stesso Brandt, premio Nobel per la pace, si è limitato, sotto la pressione di due scrittori famosi, a lui molto vicini, Guenther Grass e Heinrich Boell e della base socialdemocratica, ad una generica deplorazione: in sostanza, nonostante l'interessata campagna propagandistica del1' opposizione cristiano-d,emocratica, il cancelliere tedesco ha lasciato capire di non poter pregiudicare i risultati e le prospettive della Ostpolitik. Certo, il problema dei dissidenti verrà sul tappeto alla conferenza per la sicurezza europea, e diventerà materia di scontro al Congresso degli Stati Uniti. Ma tutto lascia pensare che l'offensiva degli occidentali sarà modesta. A quanto pare, i dissidenti sono destinati a restare soli davanti alla repressione. Anche per questo Sacharov e Solgenitsin si sono rivolti direttamente all'opinione pubblica occidentale, e non ai governi. Il dato di fondo è che gli attuali dirigenti del Cremlino intendono la distensione - che resta comunque un irrinunciabile progresso sulla via della sicurezza e della pace nel mondo - come conferma della intangibilità dei blocchi ·sottoposti a tendenze centrifughe dal nuovo assetto multipolare degli equilibri internazionali, e del rigido mantenimento dell' « ordine » interno del proprio sistema imperiale. Sollecitano accordi economici e relazioni commerciali, ma contemporaneamente intendono rafforzare il cordone sanitario lungo i propri confini a salvaguardia di eventuali influenze « corruttrici » dell'occidente. È un'impostazione esattamente contraria a quella di un opuscolo di Sacharov del '68, in cui lo scienziato sovietico, sul presupposto delle moderne teorie della scienza e di una critica a fondo delle ideologie -rigide, ha teorizzato il progressivo avvicinamento dei paesi .sviluppati ad oriente e occi12 s·ibliotecaGino Bianco

, L'eresia della libertà dente, con una decisa osmosi di esperienze e di strutture sociali e politiche. Ciò che interessa a Mosca, invece, è di ottenere la garanzia dello status quo a occidente, di stabilire proficui rapporti tecnici con i paesi più avanzati per sviluppare la propria tecnologia in molti settori arretrata, di poter rivolgere in piena libertà di azione il peso della propria potenza sulla frontiera con la Cina. Ciò comporta, nella logica dei dirigenti del Cremlino, una stretta ancora più rigida sugli alleati europei per evitare il rischio - improbabile - di una nuova Cecoslovacchia, e una politica da Sillabo ideologico all'interno dell'Urss. Si tratta di una strategia politica, per molti aspetti, difensiva, almeno nei confronti dell'occidente, con cui evidentemente si teme il libero confronto. Ma si tratta soprattutto dell'evidente testimonianza di una sconfitta storica dell'Urss, cinquantasei anni dopo la rivoluzione d'ottobre. I dirigenti del Cremlino hanno ancora bisogno della mistica dell'assedio per perpetuare il proprio potere e il proprio sistema sociale e politico. Il disgelo interno di Kruscev si è rivelato una breve illusione, e nella Russia di Breznev l'ironia profetica di Orwell è quanto mai attuale. L'alibi dello stalinismo Genericamente, la svolta autoritaria in atto nell'Urss dall'inizio degli anni Settanta, viene spesso definita neo-stalinismo. Dello stalinismo ha la stessa intolleranza di fondo, la stessa concezione rigida dell'ortodossia, lo stesso impiego di mezzi coercitivi illegali - anche per la legislazione sovietica - per colpire chi ha il coraggio di criticare il sistema. Diversamente dallo stalinismo, essa non impiega più i metodi spietati del dittatore georgiano: i dissidenti oggi non corrono il rischio di venire giustiziati, o di « sparire » misteriosamente ad opera della polizia segreta. La loro voce riesce a giungere in occidente nonostante gli sforzi contrari di Mosca: possono essere internati nei lager e nei manicomi, e sottoposti a spietate pressioni fisiche e psicologiche, ma, almeno direttamente, non rischiano la vita. Ma quest'ultima è una differenza. di ordine puramente quantitativo, irrilevante ai fini di una definizione delle caratteristiche ideologiche della repressione. La differenza di fondo tra il terrore stalinista e la repressione attuale sta nel contesto storico in cui si sono espresse. I ,;rimini di Stalin - la- cui portata è emersa con 13 BibliotecaGino Bianco -

Sandro .Bonella chiarezza soltanto dopo il rapporto Kruscev nel ''56 - potevano con qualche successo ammantarsi dietro l'alibi della «necessità» di consolidare la rivoluzione, di resistere alla controffensiva del capitalismo. C'è qualcosa di apocalittico e di sinistramente eroico dietro la storia della Russia di Stalin. Oggi la realtà è profondamente mutata. L'Urss non è più isolata, la sua rivoluzione non è precaria per pericoli esterni. Al centro di un solido sistema imperiale, ha da tempo il rango indiscusso di seconda potenza planetaria. Perché dunque si impiega ancora la repressione del dissenso, e le frontiere vengono tenute ermeticamente chiuse all'aria dell'occidente? La risposta sta nel fatto che la stessa denuncia dello stalinismo è stata strumentale e ha offerto un comodo alibi ai comunisti sovietici e non sovietici. Addossando a un solo uomo, per quanto potente, i crimini e i fallimenti della società sovietica, si è evitato di metterla in discussione. Si è trattato; in certo senso, di un esorcismo alla rovescia. Ma Stalin è morto da vent'anni: dal 1953 ci sono state le esperienz~ del disgelo kruscioviano, della distensione con l'occidente, dell'avvio di piani quinquennali tesi a produrre « burro e non cannoni». Eppure i piani non hanno funzionato: fallita la politica agricola, è fallita nei fatti anche la prospettiva di costruire un'economia di benessere, tanto che oggi Mosca vede nell'assistenza tecnologica, industriale e commerciale dell'occidente l'unica possibilità · di imboccare questa strada. Parallelamente i timidi segni di liberalizzazione interna sono stati bruscamente cancellati ed è ripresa la caccia alle streghe. Kruscev aveva lanciato una sfida all'occidente, in termini che oggi si definirebbero di qualità della vita. La sfida è fallita, e Kruscev è caduto anche per questo. I suoi successori sono la dimostrazione evidente che le accuse a Stalin non bastano a spiegare i fallimenti del sistema sovietico. L'opaca struttura burocratica dell'Urss, misero residuo degli anni eroici della grande rivoluzione, tende a perpetuare se stessa ed esprime leaders, come Breznev, che le sono congeniali. Allo slancio prest,o rientrato della stagione kruscioviana è succeduto il ripiegamento della sopravvivenza di una struttura autoritaria. Da ciò anche il timore del confronto con l'occidente, la repressione della dissidenza interna che tende a sollevare il coperchio di una diffusa insofferenza a restare chiusi nei panni stretti di un grigio conformismo. . · La qualità di fondo dell'attuale stretta autoritaria è dunque 14 BibliotecaGino Bianco

L'eresia della libertà di difesa, come difensiva, sia pure in ultima analisi e in termini di competizione pacifica, è la strategia della politica estera di Breznev. Il mito del socialismo in un solo paese mostra la corda: ma gli avvenimenti recenti mettono in crisi anche quello dello stato-guida del socialismo. I partiti comunisti dell'occidente Qui si innesta il discorso sui partiti comunisti occidentali. Tralasciamo lo squallido conformismo del pc austriaco, che ha volentieri concesso il suo organo ufficiale alla propaganda sovietica per uno dei più violenti attacchi ai dissidenti apparsi in occidente. Consideriamo invece i due partiti comunisti più rilevanti per forza elettorale, il francese e l'italiano. Georges Marchais, segretario del Pcf, non ha esitato, come abbiamo visto, ad abbracciare acriticamente le tesi ufficiali di Mosca sulla dissidenza, insistendo sull'esiguità del numero dei dissidenti; e ha portato avanti un cinico discorso di Realpolitik sostenendo in sostanza che la distensione val bene il sacrificio di « pochi scontenti ». L'Urss resta dunque per il Pcf la grande madre del socialismo: ma non è questa l'opinione di molti comunisti francesi. Alcuni intellettuali fiancheggiatori o vicini al partito hanno apertamente condannato la repressione, come Jean-Paul Sartre o Pierre Daix: nella base operaia o piccolo-borghese serpeggia il malcontento per l'allineamento dei vertici del partito alle tesi del Cremlino, come ha rilevato il settimanale socialista « Le nouvel observateur ». In sostanza, Marchais ha seguito in patria la stessa tattica di Breznev nell'Urss: rigido centralismo, stretta ideologica, rifiuto di un confronto serio su un problema scottante, non tanto con la destra gollista, quanto con gli alleati socialisti, fermi sostenitori del dissenso. Il Pcf difende dunque il suo ruolo di massimo partito della sinistra: ma appunto si limita a difenderlo, elevando terrapieni intorno alle disposizioni dei vertici. Per il partito comunista italiano _il discorso è più sfumato· e complesso. Il Pci rappresenta per molti aspetti il massimo esempio di indipendenza dall'Urss nella geografia internazionale dei partiti comunisti.. Ma tale sua indipendenza, che raggiunse la sua espressione più nota all'epoca del <.< dissenso » sull'invasione della Cecoslovacchia, e che viene riassunta teoricamente ancora dall'« unità nella diversità » di Togliatti, ha dei limiti qualitativi invalicabili. 15 B.ibliotecaGino Bianco

Sandro Bonella Il rapporto del Pci coll'Urss è un rapporto per un verso ancora fidestico, di ordine monastico «nazionale» a chiesa centrale. Dal1' altro è un rapporto da potenza a potenza, con convenienza reciproca. L'Urss cioè può contare sul partito italiano, caratterizzato come partito relativamente indipendente, come mediatore in molti aspetti della sua politica estera: è noto il ruolo svolto dai comunisti italiani nei rapporti tra Pcus e socialdemocrazia tedesca per l'avvio della Ostpolitik. Il Pci può continuare a far riferimento, come polo di attrazione, alla seconda potenza planetaria. La logica dell'evoluzione conduce al distacco del Pci dall'Urss: ma la logica della conservazione lo impedisce. I dirigenti comunisti italiani tendono perciò a far finta di non vedere ciò che può turbare l'ambigua collocazione del partito. È quanto è accaduto nella vicenda dei dissidenti. Gli organi del Pci hanno dato pochissimo spazio alle proteste di Sacharov e di Solgenitsin da un lato, e alla grancassa propagandistica sovietica sull'argomento dall'altro, relegando la vicenda nelle ultime pagine del1'« Unità». Quando poi sono stati costretti a rispondere alle critiche e alle sollecitazioni delle forze democratiche e di sinistra - e lo hanno fatto con molta parsimonia -, hanno scelto argomentazioni di una capziosità sorprendente. Certo, hanno detto in sostanza in un corsivo apparso su « Rinascita» ripreso dall'« Unità», nessuno dubita che il diritto al dissenso e alla critica sia una componente fondamentale della società democratica e socialista. I comunisti italiani, hanno aggiunto, non hanno mai tralasciato di esprimere il proprio dissenso per eventuali errori dei dirigenti sovietici, con spirito fraterno. Ma occorre evitare le « volgari speculazioni » della stampa borghese: ricordare che comunque l'Urss costituisce il punto di riferimento obbligato del movimento comunista internazionale, e non sottovalutare le « grandi conquiste » della società sovietica. Inoltre - qui il discorso del Pci si fa evidentemente contraddittorio - le critiche e le ideologie di Sacharov e Solgenitsin non sono condivisibili: come se il dissentire non fosse l'esatto opposto del condividere. Infine, ecco l'argomento principe, si vorrebbe che i comunisti non fossero più comunisti: ed essere comunisti, secondo i dirigenti del Pci, significa evidentemente ancora accettare l'Urss come paese-guida, sia pure con il fittizio correttivo della « unità nella diversità ». Ora, nessuno chiede ai comunisti di non essere più tali, evidentemente: gli si chiede invece la testimonianza concreta, nei fatti, della piena accettazione del principio democratico. E su questo 16 . Biblio.tec Sino Bianco

L'eresia della libertà punto, i rapporti con l'Urss restano una discriminante fondamentale: non si può chiedere di esser presenti in una società .occidentale democratica anche come potenziale partito di «governo», e mantenere con l'Urss, un paese dalle strutture non democratiche, un rapporto privilegiato, definendolo ancora, sia pure con qualche correttivo, paese-guida del socialismo. Alle domande serrate che sorgono per la vicenda dei dissidenti, il Pci non può rispondere in modo soddisfacente. Non può farlo, perché· ciò significherebbe un passo fondamentale nel processo di evoluzione avviato, con ambiguità e ritardi, dopo l'invasione della Cecoslovacchia. Questo passo, per ora, i dirigenti del Pci non sono disposti a compierlo. D'altra parte, per tutti i partiti comunisti dell'occidente, nati sull'onda della rivoluzione d'ottobre per scissioni dai precedenti partiti socialisti e vissuti per decenni sul mito del paese-guida del socialismo, una revisione reale dei rapporti ideologici e non ideologici con l'Urss, comporterebbe una rivoluzione profonda e piena d'incagnite. Le relazioni privilegiate con Mosca restano ancora un bastione contro le influenze « corruttrici » - a cui i partiti comunisti occidentali sono comunque esposti - della democrazia e della sinistra borghesi. È più comodo dunque, per ora, restare arroccati all'interno di quei bastioni, compiendo al più qualche sporadica e timida sortita. Ci si chiede tuttavia fino a quando sarà possibile mantenere un tale an1biguo atteggiamento. Che cosa sanno dell'Urss, in realtà, i partiti comunisti occidentali? Quanto conoscono di una società che ha bisogno dell'isolamento e della repressione per bloccare i sintomi di crisi? Le denunce di Sacharov, di Solgenitsin, e di tutti gli altri dissidenti, agiscono nonostante tutto sulla base dei pc occidentali. Se la repressione nell'Urss dovesse continuare fino a trasformarsi in un fatto di clamorosa controriforma conformista, i comunisti occidentali, sotto la spinta della base, non potrebbero più tacere. E se la repressione nell'Urss fallisse- e il dissenso esplodesse come fenomeno di massa? Certo, per ora l'ipotesi appare lontana: ma gli stessi dirigenti sovietici non possono sperare di tenere indefinitamente compromessa la società civile di un grande paese come l'Unione Sovietica. Un dissidente, attualmente prigioniero in un lager, Andrei Amalrik, ha posto il problema con chiarezza: sopravviverà l'Unione Sovietica fino al 1984? · SANDRO BONELLA 17 BfbHotecaGino Bianco

Da una ''nota'' ali'altra di Sergio Gagliardo Strano destino, quello della « Nota preliminare al bilancio di previsione » per il 1974, resa nota di recente dal Ministro del Tesoro, Ugo La Malfa. Un destino cui non si è sottratta, oltre dieci anni or sono, l'altra «Nota», quella aggiuntiva del 1962, presentata dal Ministro del Bilancio, che era allora lo stesso La Malfa. Arco di governo, in quei giorni, il centro sinistra e arco di governo il centro sinistra oggi: l'una e l'altra « Nota» accomunate dalla medesima volontà di impegnare le forze politiche e sindacali in un'opera di ripensan1ento sullo stato presente e futuro del paese, in una rimeditazione degli errori commessi e quindi delle politiche da porsi come obiettivo per superare gli squilibri « storici » del nostro meccanismo di sviluppo, primo fra tutti il rapporto fra consensi locali e consensi individuali. Allora, nel 1962, la « Nota», pur tra l'attenzione più generale, conseguì risultati limitati sul piano concreto: sarebbero dovuti passare anni ed anni di contraddizioni, infatti,- prima che si desse ragione ai suoi contenuti e ci si rammaricasse di aver lasciato irrisolti i nodi della società italiana. La conseguenza è stata, allora, l'insorgere ed il diffondersi di tutta una lunga serie di comportamenti incoerenti, evidenziati oggi, in modo particolarmente impietoso, da come funzionano, e più spesso da come non funzionano, le strutture pubbliche, centrali. e periferiche, del paese. La « Nota preliminare» presentata da La Malfa poche settimane fa, va sottratta alla fine della sua gemella di dodici anni fa. Essa, per la particolare collocazione operativa di La Malfa e per la concomitante persistenza di un duro periodo congiunturale nel paese, va al di là del fatto contingente, rappresentando un quadro di !"iferimento essenziale, valido sia in termini di consuntivo che di speranze per l'avvenire. La Nota potrebbe avviare un processo di risanamento della dissennata opera di autolesionismo compiuta in tutti questi anni, della dissipazione più feroce delle risorse disponibili e delle incongruità di un paese ancora troppo vicino, nei limi ti del suo sviluppo, alle condizioni di un certo mondo sudamericano più che ai progressi tipici delle società a~anzate dell'Occidente. 18 BibliotecaGino Bianco

Da una « nota» all'altra Quando nella Nota preliminare si mette in rilievo lo sviluppo imponente che ha avuto la spesa corrente rispetto alla spesa per investimenti, si mette in evidenza come il consumismo individuale, a livello di decisione dell'amministratore pubblico, abbia avuto la netta prevalenza sui consumi collettivi e sociali. Questa scarna verità, tuttavia, è assai difficile ad intendersi; se è vero, come è vero, che alcuni organi di stampa (da ultimi, « Paese Sera » del 10 e « Rinascita >~ del 14 settembre) si sono dichiarati manifestamente « perplessi » dinanzi alle iniziative, di certo impopolari ma anche sanamente austere, portate innanzi - nella Nota - da Ugo La Malfa. Chi ha compreso, invece, il vero senso del documento predisposto dal Ministero del Tesoro - nel senso della drammatica situazione che esso dipinge, attraverso semplici cifre, e nel senso, altresì, dei sacrifici che essa chiede al paese n~l 1974 perché si ritrovino i margini necessari per operare in chiave di società moderna - ha anche avvertito che quello condotto innanzi da La Malfa verso il processo di risanamento economico e sociale nazionale costituisce, in fondo, l'ultimo tentativo serio, in termini finanziari, dell'Italia moderna. La nostra è una società che, pur derivando da forme di depressione secolare, aveva avuto la ventura, negli anni recenti, di tentare l'inserimento fra le società industriali più avanzate. Il tentativo è pressocché del tutto fallito, perché le risorse disponibili sono state vanificate dallo sperpero più assurdo, reso manifesto - lo si ripete - dall'accrescersi incontrollato, anzi secondato, dei consumi individuali (basti pensare a talune campagne promozionali per l'acquisto di perline di vetro e specchietti per le allodole, diffuse attraverso il monopolio televisivo) .. Tali consumi, proprio perché emulativi, non potevano non essere che di massa. La conseguenza è quella delineata in un commento che si vuol attribuire da taluno allo stesso La Malfa, allorché afferma che oggi « siamo talmente con l'acqua alla gola che, se vogliamo onorare le cambiali che tutti continuano a spiccare con disinvoltura estrema sulle finanze dello Stato, e non vogliamo nel contempo dare esca all'inflazione, non possiamo alimentare il sistema produttivo di quelle n1aggiori risorse. creditizie che probabilmente ne amplierebbero la ripresa oltre le possibilità attuali»(« La Voce Repubblicana», 11 settembre 1973). La « Nota » costituisce comunque la registrazione esatta e puntuale delle contraddizioni in cui è vissuta in tutti questi ultimi anni il paese. Essa rappresenta forse· un momento di riflessione, al di là del quale esiste solo la realtà dei colpi di piccone assestati alla finanza pubblica dagli interessi corporativi (si veda l'intervista che 19 BibliotecaGino Bianco

Sergio Gagliardo il Ministro del Tesoro ha concesso ad Eugenio Scalfari su « L'Espresso » del 30 settembre 1973). Quello che segue costituisce un tentativo, evidentemente incompleto, di sintetizzare in pochi punti e in pochi spunti gli aspetti essenziali della « Nota preliminare ». Con tutta la carica di riflessioni che essa necessariamente comporta. L'analisi verrà preceduta, peraltro, da talune specifiche indicazioni quanti-qualitative desunte dalla « nota introduttiva al bilancio di previsione » elaborata per il corrente anno dalla Ragioneria Generale dello Stato. Tale documento, che è cosa diversa della « nota preliminare », risulta di grande importanza, in effetti, per comprendere taluni specifici contenuti delle più recenti posizioni del Ministro del Tesoro. Ci sono tre aspetti, in riferin1ento alla « Nota introduttiva al bilancio di previsione » per il 1973, di cui occorre tener giusto conto: il primo riguarda i] complesso delle previsioni iniziali del bilancio dello Stato; un secondo aspetto concerne le grandi cifre dello stesso bilancio, aggiornate tuttavia con talune previsioni integrate dal complesso di operazioni relative alle spese da iscrivere durante il 1973 contestualmente all'acquisizione dei mezzi di copertura provenienti dall'em.issione di prestiti; il terzo elemento attiene, infine, al consuntivo entrate-uscite-disavanzo effettivi dell'anno 1973. È chiaro che, mentre molto può dirsi in riferimento ai primi due elementi, sul terzo potrà riferirsi solo per via indiretta, ponendo grande attenzione alle indicazioni inserite nella « nota preliminare » di La Malfa. Stabilito ciò, diamo la parola alle cifre del bilancio di previsione per il 1973. Queste hanno fatto riferimento ad una previsione di entrata pari a 15.661 miliardi di lire a fronte di una previsione iniziale della spesa pari a 20.338 miliardi di lire. Ciò equivale alla determinazione di un disavanzo finanziario non inferiore, nella ipotesi migliore, a 4.677 miliardi di lire alla fine del corrente anno. Se queste indicazioni costituiscono già, di per sé, motivo di certe riflessioni sullo stato di salute del paese, esse sono destinate a divenire molto più gravi, tenendo conto che la maggior parte delle spese finali (ossia dei 20.338 miliardi preventivati) sono state utilizzate in impieghi correnti. Si tratta, in particolare, di una cifra superiore all'8 % delle risorse potenzialmente disponibili, destinate ad alimentare il circuito dei consumi (ed, in minima parte, dei trasferimenti di reddito), a tutto scapito del ciclo degli investimenti produttivi. Di ques~i ultimi, peraltro, una parte !}On.secondaria è risultata desti20 . . BibliotecaGino Bianco

, Da una « nota » all'altra nata, più che a nuovi investimenti, al ripiano dei deficit delle Ferrovie e delle Poste. · Se questa era la condizione previsionale della spesa per il 1973, talune perplessità è destinata a determinare anche l'analisi della pubblica entrata. Quantificate in 15.661 miliardi di lire, le entrate configuravano in effetti più una ipotesi di obiettivo, da verificare nell'impatto con la realtà, che uno stato ben accertato di cose. Un obiettivo fondato, specificatamente, su due condizioni, ambedue di non facile realizzabilità: 1) uno sviluppo del reddito nazionale, da attuare ad un tasso di valore compreso tra 1'11 ed il 12,1 per cento; 2) l'esistenza di un gettito tributario complessivo (erariale e non) sostanzialmente invariato rispetto al passato anche dopo l'entrata in vigore del nuovo regime imposte dirette, delineato dalla riforma tributaria ed essenzialmente impegnato sull'introduzione dell'IVA in sostituzione dell'IGE. Quanto al raffronto tra i disavanzi del consuntivo 1972 e dello stato previsionale per il 1973, si è già detto dei 4.677 miliardi di lire: somma che, alla fine, è risultata sottostimata a causa del cumulo delle spese non iscritte inizialmente in bilancio, in quanto finanziate per legge con mutui, previsti sin dal primo momento per un importo pari a 1.298 miliardi di lire. Il quadro generale dello stato della finanza pubblica italiana nel corso del 1973 è pressoché completo, dovendosi tenere conto solamente degli oneri connessi alle esigenze degli Enti Locali previdenziali e mutualistici. Se quanto esposto sinora costituisce il comph~sso delle entrate-spese-disavanzo del bilancio previsionale dello Stato del corrente anno, quale risulta dalla legge 27 febbraio 1973, n~ 18, questo pur sintetico quadro di riferimento va rapidamente completato. Non sono stati contemplati, in effetti, anche gli oneri nascenti dalle spese da iscrivere in bilancio contestualmente all'acquisizione dei mezzi di copertura provenienti dall'emissione di prestiti. Si tratta di tutto un cornplesso di operazioni finanziarie legate all'attuazione di precisi impegni assunti in precedenza rispetto alla data di approvazione del bilancio. Tali operazioni sono state indi-· cate complessivamente in 1.298 miliardi di lire. Ma, al di là dei dati puramente quantitativi, è il disco:rso qualitativo che occorre cogliere in questa sede. Un elemento che conferma i_lquadro di generale n1alessere della finanza pubblica nazionale si coglie, infatti, nel calcolo complessivo dei livelli raggiunti dalla spesa corrente nel 1973 posti a confronto con quelli dell'anno precedente. Non sf11gga i'importanza del dato: 21 B-ibliotecaGino Bianco

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