Nord e Sud - anno XIX - n. 154 - ottobre 1972

NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Girolamo Cotroneo, Il battesimo di Marx - Autori vari, L)autunno sindacale --Vittorio Barbati, Le riforme di prernessa - Tullio d' Aponte, Montedison: geografia di una ristrutturazione e scritti di Giovanni Aliberti, Guido Bacci, Scipione Caccuri, Francesco Compagna, Caterina De Caprio, Sandro Petriccione, Romano Prodi, Renato Scognamiglio, Claudia Vinciguerra. ANNO XIX - NUOVA SERIE - OTTOBRE 1972 - N. 154 (215) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI

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SOMMARIO Editoriale [3] Girolamo Cotroneo Il battesin10 di Marx [ 6] Autori vari L'autunno sindacale [ 15] Vittorio Barbati Le riforme di pre1nessa [23] Cronache meridionaliste Romano Prodi Come creare l'imprenditore [34] Francesco Compagna Prùne ùnpressioni sui « progetti speciali» [38] Sandro Petriccione ll nzetodo dei « progetti speciali » [ 40] Argomenti Tullio d'Aponte ivf.ontedison: geografia di una ristrutturazione [ 46] Documenti Renato Scognamiglio Lo sciopero fra libertà e autorità [62] Scipione Caccuri Statuto dei lavoratori e medicina [79] Inchieste Claudia Vinciguerra Il n1icroscopio elettronico nelle baracche [94] Repliche Guido Bacci L'Acquario fra i rnarosi [ 105] Lettere al direttore Giovanni Aliberti Gli Europei di Napoli [117] Letteratura Caterina De Caprio Il ritorno del « feuilleton » [ 123]

Editoriale Abbiamo l'impressione che alla vigilia del loro congresso fissato per il 9 di novembre a Genova i socialisti non siano riusciti ancora a definire il ruolo che dicono di voler assumere nella nuova realtà politica italiana all'indomani della crisi del centro-sinistra e del voto del 7 maggio. Se fosse vero, infatti, come è stato detto da parte dei più autorevoli esponenti socialisti, che il problema della partecipazione o meno a governi di centro-sinistra, non sarebbe che un problema secondario, rispetto a quelli ben più importanti che il congresso presume di poter affrontare, sarebbe lecito domandarsi - e noi ce lo domandiamo - quali siano questi problemi « ben più importanti ». Forse potrebbero essere quei problemi di contenuto nei riguardi dei quali più volte i rapubblicani hanno invitato i socialisti a mostrarsi più attenti: in tal caso si potrebbe pensare che i socialisti, una volta allontanati da responsabilità governative, vogliano abbandonare le dispute sugli schieramenti, che li hanno visti protagonisti in questi ultimi anni, e rimeditare criticamente i problemi che durante l'ultima legislatura la coalizione di centro-sinistra non è riuscita a risolvere adeguatamente; e che, raggiunto questo chiarimento interno, i socialisti sarebbero pronti a confrontare le conclusioni dei loro approfondimenti con quelle degli altri partiti democratici. Purtroppo questa ipotesi è assai lontana dalla realtà come si evince non solo dalle tesi congressuali del PSI, ma soprattutto dalle interviste e dichiarazioni concesse alla stampa dai suoi maggiori esponenti. Lo stesso De Martino, in una intervista concessa al « Mondo », dimostra del resto quanto poco le questioni di contenuto e l'approfondimento dei problemi reali della società italiana siano preminenti nella vigilia di questo congresso socialista; e come questo congresso si avvii ad essere il solito congresso di schieramento. Ciò che De Martino tiene a ribadire è che i socialisti non sono assolutamente disponibili per un governo che comprenda anche il PLI, « perché questo sarebbe semplicemente una degradazione della politica di centro-sinistra ed una contraqdizione in termini. Questa forniula di gove_rnoa cinque non ha nemmeno l'utilità di mantenere aperto il dialogo col nostro partito, ma, anzi, lo chiude imn1ediatamente ». Non è, quindi, l'inclusione o 1neno di questa o quella riforma nel progra1nma di governo, non l'in1postazione e i criteri della politica, rifar3-

Editoriale mista alla luce dell'esperienza del recente e meno recente passato, non la realizzazione o meno della rifonna sanitaria o scolastica, non la concezione meridionalista dello sviluppo italiano, non la questione delle compatibilità ad aprire o chiudere il dialogo con i socialisti; ciò che lo pregiudica definitivamente è la presenza dei liberali nella compagine di governo. Noi avvertiamo lo stesso fastidio che probabilmente avverte l'on. De Martino dinanzi a certe semplicistiche sortite dell'on. Bignardi, ma avvertiamo anche una grande preoccupazione per il deterioramento del quadro politico italiano e quindi per lo stato d'emergenza del Paese; e francan1ente non ce la sentian10 di subordinare questa seconda nostra più grave preoccupazione a quel primitivo fastidio. In un certo senso l'on. De Nlartino e più di lui l'on. Giolitti la situazione di ernergenza la riconoscono; ma non ne traggono le necessarie conseguenze sul piano politico. Ed è così che noi assistiamo allo spettacolo dei socialis'ti che si avviano al congresso per parlare dei loro veti nei confronti dei liberali, più che della drammatica situazione economica e politica di questo Paese, che per di più ha subito anche la vergogna di un rinvigorito partito neofascista. Non vogliamo addebitare a nessuno le cause e le colpe di questa vergogna che avvilisce e indebolisce una democrazia, ma vorrem1no che i socialisti si rendessero conto di quali pericoli possano scaturirne, e di come quindi sia venuto il momento di passare dall'etica dell'antifascismo all'intelligenza dell' antifascismo. Ed è forse proprio l'intelligenza dell'antifascismo che suggerirebbe oggi di riconoscere l'emergenza della situazione, accantonando quindi la logica degli schiera111enti, per un serrato dibattito sui problemi reali del nostro Paese. · Ma se questo discorso lo si fa nei confronti del PSI, non possiamo esimerci dal farlo anche nei confronti del PSDI. Nei giorni scorsi «Epoca» ha pubblicato un'intervista dell'on. Tanassi che da molti è stata interpretata co1ne un duro atto di accusa nei confronti del PSI, tanto più inaspettato se si tiene conto dei recenti atteggiamenti dell'attuale vice-presidente del Consiglio, che con l'aiuto di Saragat aveva messo in minoranza Ferri, alla vigilia delle elezioni politiche, accusandolo di una linea troppo dura nei confronti del PSI. Le accuse di Tanassi non sono a nostro modo di vedere del tutto e in tutto infondate: è innegamile, e lo abbiamo scritto, che il PSI era ed è tra i maggiori responsabili del deterioramento del quadro politico; così· come è giusto il richiamo che lo stesso Tanassi fa ai programmi come unico punto di confronto e di verifica. Non vorremmo però che il tono fortemente antisocialista cui si è lasciato andare l'on. Tanassi voglia riproporre un tipo di contrapposizione tra socialisti e socialdemo4

Editoriale cratici che già tanti danni ha provocato all'indomani della scissione socialista: in questo caso i problemi, o meglio le soluzioni dei problemi si allontanerebbero sempre di più e le risse sugli schieramenti prenderebbero di nuovo il sopravvento. Di questo e' è forse un prinio accenno allorché Tanassi dice nella sua intervista: «Io sostengo che non bisogna creare frattanto l'illusione che si tornerà al centro-sinistra senza pagare il prezzo che questa operazione comporta. Per i socialisti il prezzo richiesto è quello di sempre: ro,npere in modo definitivo con il PCI». Ora noi siamo, e sianio stati, contro il frontismo comunque caniuffato ed abbiamo denunciato l'assurdità della politica dei nuovi equilibri, ma quando De Martino dice che « dal lato politico la nos'tra autonomia si esprime nella disponibilità del partito socialista ad assumere responsabilità di governo indipendentemente dalle posizioni del partito comunista », noi dobbiamo esprimere soddisfazione più che preoccupazione, se veran1ente non vogliamo la chiusura di ogni discorso di prospettiva con il PSI e se non voglia1110 fare il gioco dei Bertoldi che non è quello di De Martino. Sappia1110, infatti, che il più delle volte la polemica sui rapporti col PCI è servita ai socialisti dell'uno e dell'altro partito ad evitare ed accantonare chiarimenti ed approfondimenti sui contenuti. Ecco noi vorrem1110 che il congresso di Genova fosse per il PSI un congresso di chiarimenti, e di approfondimenti, non di « auto-accantona111ento ». I chiarimenti sono possibili riscoprendo magari il filone del realistico riformismo salveminiano, per contrapporlo non s'alo al massin1alismo, ma anche ad un certo tipo di riformismo di maniera, e a riformismi settoriali o, peggio, corporativistici che tradizionalmente hanno viziato gli atteggiamenti ed i comportamenti del socialismo italiano e che sono incompatibili non solo con una concezione meridionalista dello sviluppo italiano, ma anche con una program111azione la quale non voglia creare nuovi squilibri, ma voglia correggere quelli che sono all'origine della crisi che ci ha investito. 5

Il battesimo di Marx di Girolamo Cotroneo Ci pare sia stato Arrigo Benedetti - e la cosa ebbe anche qualche strascico pole1nico - uno dei primi a definire la sinistra democristiana (e cattolica in genere) come la parte culturalmente più povera di tutto lo schieramento politico italiano. Dato il ruolo che questa stessa parte ha avuto e continua ad avere nella vita politica del nostro paese, l'argomento merita di essere approfondito: soprattutto dopo quanto ha scritto al proposito sul più autorevole quotidiano torinese Arturo Carlo Jemolo, uno degH esponenti più prestigiosi della cultura - e non solo di quella cattolica - italiana. lì problema della povertà culturale della sinistra cattolica nasce da una costatazione evidente: tutte le frange della cultura cattolica che sono entra te in polemica - a torto o ragione che sia - da « sinistra » con la Chiesa di Roma (e con i partiti che la rappresentano o pretendono di rappresentarla), hanno finito con l'assumere a fondamento e legittimazione teorica della loro posizione politica gli schemi interpretativi del marxis1no, usando persino la terminologia da esso adottata, le sue analisi ·della società borghesecapitalistica, accettqndo le scelte economiche e le alternative politiche da esso proposte. La mancanza, quindi, di un fondamento teorico autonomo, di una prospettiva originale e di fantasia creativa, sembra avere già condannato la sinistra cattolica a essere egemonizzata culturalmente e politicamente dallo schieramento marxista, ben più agguerrito e ben più saldo sulle proprie posizioni culturali. Fra le due parti, infatti, è quella cattolica che purtroppo vede logorarsi il proprio tessuto ideologico a contatto con la sociologia marxiana, disilludendo quanti, all'inizio di questo processo, pensavano potesse verificarsi il contrario. Come ha scritto infatti Raymond Aron, oggi « il progressismo consiste nel presentare delle tesi· propriamente comuniste come se scaturissero spontaneamente da una riflessione indipendente; nel dare un'impronta liberale ad un prodotto marxista-leninista ». La tendenza cattolica a muoversi in direzione del marxismo, 6

Il battesinw di Mar .x anche se recente, non è però recentissin1a: lasciand0 da parte le più antiche, quali quelle, ricordate appunto da Jemolo, di Don Albertario che « vedeva i proletari fare le vendette della Chiesa contro la borghesia liberale ed atea »; o di Romolo Murri con il quale una parte del pensiero cattolico « entrava nella scia di un radicalismo che si sarebbe volentieri accostato al socialismo, se questo non avesse avuto un'invincibile paura dell'acqua santa »; lasciando da parte queste, dicevamo, per venire ai nostri giorni, non è, come molti credono, dal pontificato di Giovanni XXIII e dal Vaticano II che tali tendenze hanno iniziato a farsi strada. Gia nel 1955, - in piena età pacelliana, dunque - un domenicano francese (che se non andiamo errati è stato uno dei più autorevoli redattori della Mater et Magistra), M.D. Chenu, pubblicava un volumetto dal titolo Pour une théologie du travail, in cui il rapporto fra il cattolicesin10 e il comunismo di Marx veniva apertamente affrontato: e l'abbozzo di soluzione proposto dallo Chenu lasciava facilmente intuire - alla maniera del Merleau-Ponty di Humanis1ne et Terreur -- una sorta di « préjudice favorable » nei confronti del marxismo. Il padre domenicano, infatti, rilevava che « le communisme n'a pas seulement le caractère d'une farce historique sociale et politique; il comporte une vision générale des choses et de l'homme, il s'édifie à l'intérieur d'un univers total de foi et de pensée. C'est à une revolution spirituelle que nous assistons, au sein meme d'une révolution économique ». Solo che questa rivoluzione spirituale, questa novella « découverte de l'homme », fondatrice di un nuovo umanesimo dal momento che « l'émancipation du travail est Je retour à l'homme », solo che questa rivoluzione, dicevamo, « fut dans l'athéisn1e »: ed è qui che « le chrétien, sensible jusque-là aux intuitions de Marx, est mis en arret ». Era quindi per lo Chenu n1otivo di rimpianto la manifesta impossibilità di « baptiser » Karl Marx, di non potere operare sul pensiero dell'autore del Manifesto quella riduzione operata da San Tommaso sul pensiero di Aristotele: quest'ultimo, infatti, « n'est pas fermé à la transcendance camme l'est Marx» il quale quindi non sembra agevolmente prestarsi a un'impresa di questo genere. Ciò tuttavia non jmpediva al padre Chenu di indicare una via precisa, anche se piena di difficoltà-: « Ce qu'il faut surtout, - scriveva infatti - en doctrine camme dans l'action, c'est rendre vain le mobile marxiste du matérialisme, et établir que la religion n'est pas une aliénatione de l'humanité. Liquider une conception par trop anthropomorphique de Dieu (celle 7

Girolamo Cotroneo que Marx, hélas, recevait des théologiens ' bourgeois ') n'y contribuerait pas peu ». Quello hélas, quel riinprovero ai filosofi « borghesi » di avere « pas trop » antropomorfizzato la divinità di Dio, concezione che Marx malauguratamente avrebbe recepito, sono significativi di una precisa tendenza della cultura « progressista » cattolica: cioè il deciso rifiuto di tutto ciò che il pensiero razionalistico e storicistico dei secoli diciottesimo e diciannovesimo ha prodotto. Il bersaglio polemico di una certa parte (che, nonostante creda di essere il contrario, è invece la più retriva) della cultura cattolica, è appunto il pensiero « laico », illuminista e liberale, del settecento e dell'ottocento: quel pensiero che si era sostituito alla cultura controriformistica e che sul piano pratico-politico aveva, con le -rivoluzioni « borghesi », costretto la Chiesa a rinunciare ai propri privilegi temporali (i quali, come è ormai storicamente assodato, la danneggiavano invece di potenziarla). Da questo punto di vista - anche se si tratta di un fattore più psicologico, anzi psicoanalitico, che non storico - si potrebbe anche spiegare il « préjudice favorable » di un certo cattolicesimo nei confronti del marxismo, il quale, in quanto nato e sviluppatosi in antitesi polemica alla cultura laica e borghese, concorrerebbe quindi a far vendetta « de la vendetta del peccato antico ». A questo si potrebbe anche aggiungere quanto ha osservato ironicamente Leonardo Sciascia, quando ha fatto dire a uno dei protagonisti del suo ultimo romanzo, che è un vero peccato « che la chiesa cattolica abbia tanta fretta di adeguarsi ai tempi: se si arroccasse, se tornasse ad essere chiusa e feroce come ai tempi di Filippo secondo, dell'inquisizione, della controriforma, costoro correrebbero dentro a sciami. Proibire, inquisire, punire, ecco quello che vogliono ». Questi risvolti non saranno certo decisivi per spiegare alcune velleità « conciliari » del nostro tempo, ma riteniamo non vadano neppure sottovalutati. Comunque sia, a noi non interessa tanto discutere della legittimità sul piano pratico-politico di questo tipo di operazione che potrebbe anche essere spiegata, per quel che riguarda la parte cattolica, come una forma di malintesa generosità, co1ne una distorsione dell'originario nobilissimo concetto cristiano di charitas; né tanto meno apparteniamo a quella categoria di intolleranti che concepiscono soltanto lo scontro frontale (magari « anche fisico», come qualcuno ha detto di recente) con la parte avversa (pur ritenendo, con Raffaele Franchini, che il dialogo e la 8

Il battesimo cli Marx tolleranza abbiano un carattere pratico-politico di la del quale diventano soltanto ipocrisia o scetticismo). Ma proprio da questo deriva il problema di fondo che non riguarda più l'aspetto pratico e politico ma quello teoretico e dottrinale del problema: quali vantaggi sul piano culturale possono derivare alla dottrina cattolica da una commixtio con la sociologia marxiana, con il materialismo dialettico, il quale, nella sua veste filosofica, ne rappresenta l'esatta antitesi? Da un punto di vista dottrinario e spjrituale il risultato è praticamente nullo: se il problema fondamentale del cristiano ' - come è giusto sia - quello del rapporto fra l'uomo e Dio, il marxismo non aiuterà certo nessuno a risolverlo; inoltre, come ha notato ancora Raymond Aron, lungo questa via, « si confondono le tappe della storia profana - successione dei regimi sociali - con i momenti della storiél_sacra, dialogo degli uomini (e di ogni uomo) con Dio. Non è opportuno sottolineare la separazione tra l'una e l'altra storia e ricordare che chi crede interamente alla prima cessa, per ciò stesso, di credere alla seconda? ». Di fronte a obiezioni di questo genere il cattolico « progressista » ha la risposta pronta: basterà distinguere all'interno del maxismo fra ciò che costituisce l'analisi sociale, il programma socio-economico e la sovrastruttura ateistica. Argomento rozzo e deplorevole, ma non privo di efficacia pratica. Lo Chenu, padre spirituale di tutto il cattolicesimo di sinistra, lo aveva infatti già avanzato: « Sur le terrain économique - ha scritto - le théologien [ ...] doit respecter !'autonomie des objets et des méthodes; bien plus, il doit accepter de l'économiste les données de son enquete et les conclusions de son analyse ». A questo sempljcistico argomento, dove non si tiene in nessun conto che le analisi economiche seguono una scelta ideologica e politica e la condizionano per lo meno tanto quanto essa condiziona loro, e che ogni dottrina sociale è il risultato di un certo modo di intendere l'uomo, la sua natura, la sua storia, a questo semplicistico argomento, dicevamo, lo Chenu ha aggiunto una tesi alquanto sofisticata: « Mais [ ...] ce donné doit prendre piace dans une expèrience chrétienne totale, où le dynamisme spirituel des réalités économiques se révèle »; così, pur consentendo « d'esprit et de coeur » all'analisi sociologica del lavoro, deJla sua natura, della sua presente alienazione, ritiene necessario respingere l'economicismo integrale « selon lequel l'homme tout· entier se définirait par sa fonction de producteur. [ ...] Notre sociologie - conclude - comme 9

Girolanw Cotroneo notre évangélisme n1ettent eux aussi une grande espérance dans la prise de conscience d'une mission historique du monde du travail, dans 'le ròle philosophique du prolératiat '; mais, si nous reconnaissons dans la lutte des classes une aspiration de justice et dt~ libération, nous tenons à ne pas faire des stratégies nécessaires un échec à la communauté fraternelle des hommes ». Saranno belle parole, ma soltanto parole: perché lo « scacco » che la lotta di classe, vista come « unico » strumento di liberazione e di giustizia, ha dato « alla fraterna comunità degli uomini » era sotto gli occhi di padre Chenu fin dal 1955, quando cioè scriveva queste parole: è davvero convinto che seguendo la stessa via egli possa riuscire dove altri hanno fallito? Questo sul piano pratico: sul piano teoretico, poi, la confusione è ancora maggiore: conciliare immanenza e trascendenza una volta considerate come giustapposte, pianificare il conflitto fra Maria e Marta, non è davvero un compito facile. Giustamente la teologia cattolica tradizionale aveva eliminato il primo dei due termini a tutto favore del secondo; sull'altro versante il marxismo aveva risposto eliminando drasticamente quest'ultimo. La sinistra cattolica, da padre Chenu in avanti, ne tenta la conciliazione. Quanto sul piano dottrinario ciò possa giovare al cattolicesimo è difficile dirlo: c'è soltanto da constatare amaran1ente che a fare le maggiori rinuncie dottrinali è il cattolicesimo di sinistra che di cattolico ha ormai in alcune frange estreme soltanto il nome: e non si comprende bene perché si ostini ancora a portarlo. Ma crede davvero padre Chenu, credono davvero i teorici della sinistra cattolica che questa mitica realizzazione integrale dell'uomo (che la teologia cristiana orjginaria, sulla scorta del messaggio evangelico, perfettamente consapevole dei limiti intrinseci della natura umana, aveva posto di là della vita terrena), credono davvero, dicevamo, che essa possa realizzarsi in un con testo sociale quale quello che Lenin ha dato della società postulata da Marx? credono davvero che la filosofia del Cristianesimo, fondata sull'individuo e sulle sue personali responsabilità, sia compatibile con la sociologia marxiana fondata sulla classe o con quella leniniana fondata sul partito? Certo, per il cristiano impegnato sul terreno sociale, le difficoltà sono molte. Raymond Aron ha descritto con efficacia le contraddizioni che lo attanagliano: « La stessa religione della salvezza ha oscillato, attraverso la storia, tra due estremi; o ha consacrato o accettato le disuguaglianze temporali minimizzandole: rispetto all'unica cosa che conta, la salvezza dell'anima, che importano i beni 10

Il battesim_o di Marx di questo mondo, ricchezza, potenza? Oppure ha, nel no1ne della verità evangelica, denunciato le disuguaglianze sociali ed economiche e scongiurato gli uomini di riorganizzare le istituzioni, conformemente ai precetti del Cristo e della Chiesa. Ciascuno di questi due atteggiamenti comporta un pericolo per l'autenticità della religione. Il primo rischia di portare a una sorta di quietisn10, all'accettazione compiacente delle ingiustizie, nonché alla consacrazione dell'ordine costituito. Il secondo, spinto all'estremo, alin1enterebbe la volontà rivoluzionaria, tanto le società sono state, fino ad oggi, incapaci di dare ai cittadini quella uguaglianza di condizioni o di possibilità solennemente riconosciuta alle anime ». Nonostante la sua lunghezza questo testo meritava di essere riportato; co1ne merita di essere riportata la conclusione proposta: « Forse il politico più profondamente cristiano vivrebbe, ad ogni istante, la tensione fra queste due esigenze; non avrebbe mai la sensazione di avere operato abbastanza per la giustizia umana e giudicherebbe perciò derisori i risultati di tale instancabile sforzo - derisori rispetto alla posta unica -, né rassegnato alla miseria, né dimentico del peccato ». La correttezza di questa conclusione ci sembra fuori di ogni possibile obiezione: ma, come abbiamo già detto, oggi vediamo il pendolo oscillare inequivocabilmente verso la seconda esigenza, spingendosi fino al superan1ento degli stessi partiti comunisti, con progetti rivoluzionari, che come ha scritto Jemolo, hanno portato certi cattolici « a battere piuttosto le vie di una violenza che si accompagna all'odio (non è neppure la violenza di chi la crede indispensabile, ma soffre nell'infliggerla), che non le vie dell'amore ». Questa conclusione, la cui evidenza è ormai sotto gli occhi di tutti, tanto da non avere bisogno di citazioni o esemplificazioni, questa conclusione, dicevamo, ci conduce a quello che crediamo sia un problema fondamentale, la cui incidenza nelle vicende politiche del nostro paese potrebbe diventare decisiva: che cosa spinge una vasta (anche se non vastissima) area dello schieramento e della cultura cattolica verso il marxismo? Una risposta validissima è quella fornitaci da Arturo Carlo Jemolo: « Molto più vero - ha infatti scritto - che da una formazione mentale cattolica - la cui caratteristica è l'ancoramento a capisaldi, il distacco dalla storia, il rifiuto di molteplicità ed eterogeneità dei fini che non si riassumano nel solo fine di servire Dio, la negazione di ambiti diversi nell'uno dei quali può avere valore altissimo quel che in un altro 11

!7; Girolwno Cotroneo va segnato con nota negativa - il passaggio arduo è al liberalismo e soltanto a questo ». Il problema, come si vede, è grosso; ma Jemolo non ha nessuna paura a portarlo fino in fondo: « In effetto - ha scritto ancora - per chi abbia una sicura formazione cattolica (ma credo il discorso possa ripetersi per i protestanti) il passaggio al comunismo è una sostituzione di quadri a quadri, mobili a mobili, ma l'ordine della casa resta il medesimo. La via del liberalismo importerebbe uno sconvolgimento totale nel modo di ragionare, di sentire ». Può darsi anche che Jemolo, per troppa passione, sia andato oltre il segno: la perfetta identità fra la Chiesa e il comunismo marxistico da luj indicata non tiene conto di molti elementi di distinzione che rendono diversa (nonostante le apparenti similitudini ricordate da Jemolo: la crociata contro gli Albigesi o le guerre del duca d'Alba viste come il pendant dell'intervento sovietico in Ungheria e in Cecoslovacchia) tutta la loro storia e la loro funzione educativa. I Ma non è questo il problema che qui ci interessa: il punto veramente notevole del discorso di Jemolo è invece quello dell'incompatibilità creatasi fra cattolicesimo e liberalismo, le cui conseguenze sono l'attuale sbocco « progressista » di una parte della cultura cattolica. La matrice di tale conflitto è fin troppo nota: preoccupata dalle n1inacce che portava al « potere temporale » la Chiesa di Roma non vide o non volle vedere « la schietta matrice cristiana da cui - è sempre Jemolo a dirlo-· il liberalismo nasceva». Per questo colossale errore di prospettiva e di valutazione la cultura cattolica rim.ase sorda alle istanze proposte dalla filosofia europea dall'Illuminismo in avanti: un secolo e mezzo di pensiero, in cui nacquero il razionalismo illuministico, lo storicismo idealistico-romantico, il liberalismo politico, il positivismo scientifico, rimase estraneo alla cultura cattolica. Né può essere accettata come valida la tesi di una incompatibilità sul piano teoretico: un uomo di altissima spiri~ tualità come Arturo Carlo Jemolo (e non è stato certo il solo) ha potuto recepire la cultura « laica » del secolo diciannovesimo, senza sentirsi costretto a dolorose rinuncie sul piano teologico; della cultura italiana del Rinascimento, matrice diretta del pensiero italiano contemporaneo, ha potuto leggere non solo Rosmini e Gioberti, ma anche, senza scandalo per la fede, Cattaneo e Ferrari. Ma nel suo complesso la cultura cattolica ha rifiutato di fare questo e ha visto il liberalismo come vaso d'ogni nequizia. Quando poi, - e la cosa è piuttosto recente - ha deciso di uscire dal ghetto nel quale si 12

Il battesin10 di Marx era volontariamente reclusa, il complesso di inferiorità che inevitabilmente si doveva portare appresso, la spinse non già al recupero di quei valori culturali che fino ad allora aveva sdegnosamente respinto, ma verso quello che ad essa apparve come il momento politico e culturale più avanzato: il marxismo. La scelta non è stata casuale. La parte della cultura europea che un certo cattolicesimo ha rifiutato, proprio nel momento in cui poteva recepirla, era quella che nel settecento aveva teorizzato e propugnato la tolleranza e successivamente con Kant, con Fichte, con l'idealismo tedesco, con il romanticismo europeo, aveva teorizzato là libertà. Non avendo fatto i conti con questo decisivo momento della nostra storia culturale, portandosi dietro un'eredità integralistica .e dommatica che veniva da lontano, la scelta filomarxista era pressoché obbligata, trattandosi di un'ideologia che aveva anteposto le istanze giustizialiste a quella della liqertà. -J Jemolo ha individuato molti fra i motivi che hanno spinto certe ,, frange cattoliche verso il marxismo, come la strada più agevole da J imboccare dopo il mutamento di rotta che portò la Chiesa ad ammettere che « gli uomini possono gjungere al bene per vie diverse », a distinguere « l'errante dall'errore »; egli riconosce che « il comunismo offre una dottrina onnicomprensiva dove tutto, come nella cattolica, trova il suo posto e la sua connotazione, positiva o negativa », ma ha praticamente sorvolato sull'interesse pressoché nullo che ambedue le dottrine - proprio per il loro carattere totalizzante - hanno nei confronti della libertà (politica). Questo invece a noi sembra il punto decisivo per la comprensione del fenomeno cui assistiamo: il vuoto culturale, il mancato approfondimento dei lega ti lascia ti dalla cultura liber al e, doveva fare scegliere quasi necessariamente le istanze ideologicamente più affini. Paradossalmente, tali istanze erano quelle proposte da una dottrina che aveva amplificato e volgarizzato la polemica illuministica contro la Chiesa e la religione come tale. Naturalmente anche questa adesione risentiva del difetto originario: privi degli strumenti critici necessari, i teorici della sinistra cattolica hanno accettato del marxismo gli aspetti più banali e culturalmente meno sofisticati, restando sempre di fronte alla cultura ·marxista europea (in particolare quella occidentale, assai raffinata e scaltrita dai conti che (: aveva fatto con il pensiero liberale) in posizione di infeI_"iorità culturale. La conseguenza più evidente è provata dal fatto che la sinistra cattolica non accetta neppure il marxismo nella veste_ sostan13

Girolamo Cotroneo zialmente pacificata da esso assunta presso i partiti comunisti europei, ma nella veste giacobina e velleitaria datagli dal contemporaneo « spontaneisn10 » di sinistra. Così, da tale complesso di inferiorità culturale, è nata addirittura una « violenza cattolica », assai dolorosa a vedersi (e comprendiamo lo sdegno di J emolo, che è pure il nostro) da chi crede nel valore universale ed eterno del precetto evangelico, dove, fra l'altro, nelle pagine di Matteo, sta scritto: « Beati i pacifici, perché essi erediteranno la terra ». Non il cielo: la terra. GIROLAMO COTRONEO 14

L'autunno sindacale di Autori vari ~~ L'autunno sindacale si annuncia di particolare interesse sia per il numero totale di lavoratori che saranno chiamati a discutere e firmare il rinnovo del contratto di lavoro e sia, anche, per il fatto che scade durante il periodo in esame il contratto dei metalmeccanici. I metalmecacnici rappresentano in un certo senso « l'avanguardia » del movimento operaio italiano e le decisioni che verranno adottate in occasione del rinnovo contrattuale avranno certamente grande influenza sulle future vicende sindacali italiane. Si può anzitutto dire che non si sono ancora spenti gli echi del rinnovo contrattuale dell'autunno '69 che già si è arrivati alla nuova scadenza. Al fine allora di porre nella giusta prospettiva il futuro scontro tra sindacati e industriali, di cui peraltro si sono già manifestate le prime avvisaglie nelle recenti astensioni dal lavoro da parte dei lavoratori dell'industria chimica, riteniamo necessario tracciare, sia pure brevemente, il quadro della situazione politica, economica e sindacale così come questa si è venuta evolvendo a partire dall'autunno 1969. Per quanto riguarda la situazione politica è evidente che essa è profondamente cambiata rispetto al '69 e volendo, sia pure in maniera grossolana, individuare un indice del mutamento intervenuto basta fare riferimento alla composizione governativa che vedeva all'inizio del periodo in esame i socialisti del PSI al governo, mentre oggi non soltanto i socialisti sono all'opposizione ma anche i repubblicani sono in posizione da essi stessi definita di attesa non partecipando direttamente al governo ma sostenendo lo stesso in Parlamento. Sotto l'aspetto politico la situazione si presenta quindi deteriorata per il movimento sindacale e tale stato di cose non potrà non avere effetti durante le fasi del prossimo scontro sindacale. Per quanto riguarda la situazione_ sindacale le cose non sono andate come speravano alcune delle Federazioni che saranno im- (*) Questa nota è stata redatta a cura di alcuni ricercatori del Centro di specializzazione e· ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno dell'Università di Napoli. 15

Autori vari pegnate nel rinnovo del contratto, quale appunto quella dei metalmeccan1c1. L'unità sindacale è stata ritenuta per un certo tempo a partire dal 1969 come finalmente possibile tanto è vero che nell'autunno scorso l'ultin1a assemblea unitaria dei Consigli generali della CGIL della CISL e della UIL, svoltasi a Firenze il 22-24 novembre 1971, aveva stabilito che entro il 21 settembre di quest'anno avrebbero dovuto aver luogo i congressi di scioglimento delle attuali Confederazioni e che entro il febbraio 1973 si sarebbe dovuto convocare il « congresso costituente » per dare vita alla « nuova organizzazione sindacale unitaria dei lavoratori italiani ». In parte anche con1e riflesso della mutata situazione politica di cui si è già detto, gli impegni di Firenze non sono stati mantenuti. Ha cominciato infatti a tirarsi indietro la UIL seguita dopo dalla CISL; alla fine alla CGIL non è rimasta altra scelta che quella di prendere atto della non disponibilità delle altre centrali sindacali per un'organizzazione unitaria dei lavoratori. Non è rimasto altro a questo punto, per evitare di tornare ad una situazione di maggiore divisione di quella preesistente all'inizio del tentativo di riunificazione, che ripiegare su una « Federazione delle Confederazioni e delle loro strutture orizzontali e verticali » da intendere come soluzione transitoria (fino a quando?) sulla via dell'unità organica che rimane sempre l'obiettivo finale. Per quanto riguarda infine la situazione economica non c'è molto da aggiungere alle analisi che da tutte Je parti vengono avanzate e che mettono in rilievo la particolare gravità del momento. È da oltre due anni che l'Italia si trova in una fase di depressione e al momento non si vede alcuna via d'uscita; in più, rispetto alle analisi relative alla situazione come si presentava nel periodo precedente le vacanze estive, c'è da sottolineare la particolare gravità del notevole aumento dei prezzi di quasi tutti i beni nei quali i lavoratori spendono gran parte del loro reddito; né d'altra parte sono rassicuranti le vicende monetarie internazionali con le voci, a volte anche inesistenti, che danno per imminente la svalutazione della lira. È vero che sinora tali voci sono state sempre smentite dalle pubbliche autorità, ma la precarietà della situazione monetaria internazionale non autorizza certo l'ottimismo. ·Tenendo conto dei vari aspetti della situazione generale del Paese alla vigilia del rinnovo contrattuale non si fa eccessivo sforzo nel prevedere un autunno dalle caratteristiche simili a quello del 1969 definito come si ricorderà « autunno caldo ». A questo propo16

L'autunno sindacale sito occorre ricordare che sin dallo scorso anno si era cercato di avviare al di fuori delle regolari scadenze contrattuali un dialogo tra confederazioni sindacali da una parte e Confindustria dall'altra per creare eventuali convergenze su alcuni temi particolarmente importanti quali la ripresa congiunturale, lo sviluppo economico e le riforme. In questo dialogo di tanto in tanto è intervenuto anche il Ministero del Bilancio e dalla Programmazione economica. Il dialogo Sindacato-Confindustria si era aperto con un documento congiunto delle tre Confederazioni (CGIL, CISL e UIL) presentato in data 6 ottobre 1971 nel quale le organizzazioni dei lavoratori rendevano pubblico il loro orientamento in tema di sviluppo economico, trasformazioni strutturali, riforme, investimenti. Per quanto riguarda le piccole imprese (argomento che riprenderemo tra breve nell'esposizione della piattaforma contrattuale dei metalmeccanici) si sollecitavano le pubbliche Autorità ad un'azione sistematica capace di rafforzare le strutture attuali con interventi nel settore del credito, dell'assistenza tecnica e di mercato. In data 14 gennaio 1972 in un incontro tra una delegazione degli industriali ed i rappresentanti della CGIL, CISL e UIL la Confindustria presentava un suo documento di lavoro ìn risposta al documento del 6 ottobre 1971. Nel documento della Confindustria venivano trattati gli stessi temi dei sindacati con maggiori dettagli, ed esso così concludeva: « Perché tutto ciò sia realizzabile noi riteniamo necessari ed urgenti: un'azione sindacale coerente con gli obiettivi coordinata e capace di fornire l'indispensabile prevedibilità previo confronto su problemi essenziali e controversi; un confronto approfondito e possibiln1ente convergente, in materia di priorità e di operatività nell'ambito delle riforme degli investimenti e servizi sociali, degli investimenti produttivi per settori specifici, degli investimenti nel Mezzogiorno, nei settori critici e nelle imprese mi- . nor1 ». A questo documento fanno seguito delle repliche da parte della CGIL in data 23 gennaio 1972, della CISL in data 4 febbraio, e del Comitato unitario dei lavoratori metalmeccanici in data 5 febbraio. Le repliche sono abbastanza dure e con1une nelle tre risposte è il rifiuto della proposta della Confindustria secondo la quale si dovrebbe formare un'alleanza di fondo tra sindacati operai ed organizzazioni dei datori di lavoro che dovrebbe poi trovare nel Governo il coordinatore e il garante degli obiettivi indicati. In sostanza si respinge la tesi della Confindustria perché per il movimento operaio l'accettazione del piano proposto significherebbe la 17

Autori vari conferma della preminenza imprenditoriale nella determinazione degli obiettivi dello sviluppo economico e sociale. e la neutralizzazione del movimento sindacale ridotto a semplice garante della paco sociale nelle fabbriche in previsione delle scadenze contrattuali orn1ai imminenti. Con riferimento alla conflittualità sindacale le organizzazioni operaie respingono il tentativo operato, a loro parere, dalla Confindustria di drammatizzare il fenomeno affermando che la conflittualità è da collegare soprattutto con i ritardi e gU squilibri, nella società e in fabbrica, che i lavoratori si trovano a fronteggiare. Tale conflittualità verrà attenuata solo quando i ritardi e gli squilibri saranno eliminati, o si avvieranno ad esserlo, ma, data la situazione attuale, non rientra minimamente nei propositi sindacali l'attenuazione dell'impegno. Com'era da immaginare la replica della Confindustria, intervenuta in data 31 marzo 1972, è stata dura nell'accusa ai sindacati di elusione dei problen1i posti in precedenza dal documento imprenditoriale in particolare con riferimento al cosiddetto problema della conflittualità permanente. In breve la Confindustria con il suo documento accusa le organizzazioni sindacali di non avere alcuna intenzione di assumersi precise limitazioni alla propria azione chiedendo impegni precisi alla controparte. Il dialogo tra imprenditori e sindacati ha avuto altre fasi il cui tono non si è n1olto discostato da quello dei documenti finora elencati per cui non vale la pena di continuare l'ulteriore esposizione delle repliche e controrepliche e si può invece passare a descrivere il documento approvato dall'Esecutivo Unitario dei metalmeccanici FIM-FIOM-UILM nel quale è contenuta una prima ipotesi di piattaforma per il rinnovo del con tratto nazionale dei metaln1eccanici. Dopo una premessa nella quale si pone in evidenza il fatto che il rinnovo del contratto nazionale deve rappresentare un momento di sviluppo della strategia affermatasi nelle lotte successive al 1969 ed un mon1ento di coerenza tra le conquiste nelle fabbriche e le lotte sociali generali per le riforme e per l'occupazione, si passa all'esecuzione della ipotesi di piattaforma per il rinnovo contrattuale. Questa ipotesi si compone di parti riguardanti: 1) inquadramento unico; 2) salario; 3) orario di lavoro; 4) parità normativa; 5) appalti; 6) ambiente di lavoro. Con il primo punto si chiede l'inquadramento .dei lavoratori metalmeccanici in un'unica scala parametrale composta da 5 nuove categorie. Tale nuovo inquadramento rientrerebbe nella strategia 18

L'autunno sindacale sindacale diretta al controllo e alla modifica dell'organizzazione del lavoro in quanto una mobilità professionale sottoposta alla contrattazione e al controllo collettivo dei lavoratori costituisce un punto essenziale dell'inquadramento unico. Per il passaggio tra categorie vengono formulate due alternative di cui una basata sui criteri di professionalizzazione e un'altra che propone almeno un passaggio automatico per anzianità nelle categorie più basse. In questo primo punto si richiede anche il riconoscimento di 150 ore retribuite ogni tre anni da utilizzare per studio e formazione professionale. Sul secondo punto si richiede un aumento retributivo in misura uguale per tutti nel tentativo anche di ridurre lo « sventagliamento parametrale » nei limi.ti di 100-200. L'inquadramento unico implica poi la mensilizzazione del salario e infine per la garanzia del salario si avanzano due possibilità: nella prima si richiede una revisione generale di comune accordo con tutte le altre categorie; nella seconda si propone di affrontare il problema in sede di rinnovo del contratto di categoria. Sull'orario di lavoro si punta soprattutto al consolidamento delle 40 ore settimanali su 5 giorni da estendersi anche ai lavoratori discontinui. Per quanto riguarda gli altri punti c'è da dire che si richiede la parità piena operai-impiegati, maggiori controlli sull'ambiente di lavoro e, infine, per quel che riguarda gli appalti si chiede la loro abolizione con l'assunzione diretta dei lavoratori nell'organico dei lavoratori dell'azienda committente od eventualmente un trattamento economico e normativo corrispondente a quello dell'azienda appaltante. Un paragrafo a parte viene dedicato nel documento sindacale alle piccole fabbriche. Partendo dalla premessa che l'obiettivo del sindacato è la parità di trattamento tra i lavoratori occupati in aziende di dimensioni diverse e tenendo conto del fatto che nel mercato finanziario e nelle varie misure di politica economica esiste una discriminazione a danno delle piccole imprese, discriminazione che poi queste imprese tentano di recuperare attraverso salari più bassi e peggiori condizioni di lavoro, si prende in considerazione l'eventualità di un diverso scaglionan1ento degli oneri derivanti dal rinnovo contrattuale per ]e aziende con un numero di occupati in~ feriore a 100 e nel conterr1po si suggerisèono alcuni « traguardi specifici » che si pensa di possibile raggiungimento. Questi sarebbero: · 1) abolizione dei massimali per le contribuzioni con redistribuzione degli oneri tra le in1prese di diverse dimensioni; 2) definizione di tariffe di approvvigionamento dell'energia al fine di perequare 1 19

L'autunno sindacale costi della piccola e media impresa rispetto a quelli della grande; 3) uguale possibilità nell'utilizzazione del credito; 4) istituzione di servizi di assistenza tecnica e organizzativa per facilitare l'introduzione delle innovazioni. L'ultima parte del documento viene infine dedicata a problemi di carattere sociale che riguardano tutta la collettività e non soltanto i metalmeccanici. Volendo brevemente commentare questo documento c'è da dire che esso può essere suddiviso in due parti e precisamente la prima parte comprendente i 6 punti: inquadramento, salario, orario di lavoro, parità normativa, appalti e ambiente di lavoro, interessa direttamente i datori di lavoro attraverso l'influenza di queste voci sul costo (che secondo alcuni dovrebbe co1nportare un aumento del costo del lavoro di circa il 20%) e le realizzazioni di condizioni. all'interno di ciascuna fabbrica; la seconda parte del documento ha come interlocutore le autorità pubbliche. Quando infatti si fa riferimento a proposte riguardanti l'edilizia popolare, l'istruzione gratuita, ecc., è chiaro che vengono chiamati in causa direttamente il Governo e la Pubblica Amministrazione in genere. In definitiva questa seconda parte del documento dei metalmeccanici rappresenta la concretizzazione del proposito più volte avanzato negli ultimi tempi di un intervento delle organizzazioni sindacali sui problemi delle riforn1e sociali. Anche per quanto riguarda il problem_a delle imprese di piccole dimensioni le proposte avanzate nel documento sindacale coinvolgono soltanto in parte gli imprenditori, laddove ad esempio si accenna all'obiettivo sindacale di garantire un uguale trattamento economico a tutti i lavoratori indipendenternente dalle dimensioni dell'impresa in cui sono occupati e del diverso scaglionamento degli oneri che deriverebbero dal rinnovo contrattuale, mentre per la gran parte le altre proposte sono rivolte alla pubblica Autorità. Questa parte del documento, che si riallaccia al primo documento sindacale di cui si è detto in precedenza, rappresenta indubbiamente una presa di coscienza da parte del sindacato che il problema delle i1nprese di piccola e media dimensione è un problema di grande importanza nell'attuale momento economico italiano in quanto l'integrazione nell'area economica europea e l'intenso processo di ristrutturazione che ha investito e tuttora investe l'intero settore industriale italiano con tendenza marcata verso la concentrazione ha messo in crisi le imprese di limitata dimensione con grave danno per l'occupazione operaia. 20

Autori vari Le proposte, fatta eccezione per lo scaglionamento degli oneri dei rinnovi contrattuali, tuttavia sono molto generiche per cui si ha l'imoressione che il loro inserimento nel documento sindacale J.. sia da considerare come un'affermazione del principio che il trattamento salariale debba essere uniforme per i lavoratori dello stesso ramo produttivo senza riferimento alcuno alla dimensione aziendale e che il problema della crisi delle piccole e medie industrie debba essere affrontato avendo in mente il quadro generale dell'industria italiana evitando a tal fine il prevalere delle posizioni dei datori di lavoro che, a parere dei sindacati, tenderebbero ad assicurare una posizione di privilegio alle imprese minori. A questo documento sindacale si è avuta di recente una risposta da parte della Confindustria il cui succo è la proposta ai sindacati di scaglionare nel tempo il carico di oneri che con le nuove richieste normative e di aumento salariale verrebbe a gravare sugli industriali. Questa proposta della Confindustria è basata sulla premessa che le imprese non sarebbero assolutamente in grado di accollarsi altri oneri in quanto ancora non sarebbero stati digeriti quelli conseguenti al rinnovo contrattuale dell'autunno '69, ed inoltre lo scaglionamento consentirebbe ai datori di lavoro di godere di una certa tranquillità circa le future vicende sindacali almeno per il periodo di durata del contratto di lavoro. Su questa proposta si è aperto il dibattito con interventi sia da parte dei sindacalisti che da parte di alcuni econon1isti, ma (ancora) il quadro di questo dibattito è ben lungi dall'essere completo per cui rinunciamo a proseguire oltre su questa via. Quello che ci sembra di poter affermare in questo momento, è che data la complessità e la gravità dell'attuale situazione politica, economica e sociale, nel prossimo autunno si ~vrà un aspro scontro tra lavoratori e datori di lavoro ed in questo scontro la posizione dei lavoratori risulta più debole che non nell'autunno del 1969 per cui n1olte energie dovranno essere spese da parte delle organizzazioni sindacali non tanto nel tentativo di ulteriore miglioramento della condizione operaia quanto nel consolidamento della situazione scaturita dal precedente rinnovo contrattuale. Non a caso nella premessa del documento dei metalmeccanici si parla di mobilitazione degli operai per la difesa integrale delle conquiste del 1969 e in primo luogo della contrattazione articolata e dei Consigli di Fabbrica. A tal proposito si dice chiaramente che i metalmeccanici si opporranno a qualsiasi tentativo di limitare i diritti della contrattazione aziendale e di regolamentare i Consigli 21

L'autunno sindacale di Fabbrica. Su questi istituti è probabile che i datori di lavoro tenteranno di ottenere delle modifiche per cercare di limitare il fenon1eno della conflittualità permanente che tanti problemi ha loro creato. Il prossin10 scontro potrebbe vertere non tanto sulla misura degli incrementi salariali quanto sui problemi inerenti alla conflittualità susse2:uente al rinnovo contrattuale a live1lo nazionale, '--' in quanto gli. i1nprenditori hanno più volte affermato che è indispensabile una certa prevedibilità della condotta sindacale almeno nel periodo di validità del contratto. Per quanto riguarda gli aspetti delle rifonne sociali è chiaro che la risposta potrà venire soltanto da parte dell'A1n1ninistrazione pubblica anche se essa potrà avere influenza sul comportamento delle parti nel senso che eventuali promese o realizzazioni governative potrebbero ammorbidire le posizioni sindacaJi e industriali favorendo in tal modo un accordo. ?.2

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