Nord e Sud - anno XIX - n. 147 - marzo 1972

I .I Rivista mensile diretta da Francesco Compag11a Girolamo Cotroneo, L)anticitltura di destra --Vittorio Barbati, L)equilibrio asiatico - Marcello Mari~, Le Finanziarie Regioriali - Italo Talia, <<Vecchia» e <<nuova>> industrializzazione in Campania - Pietro Jozzelli, Gli Stati Uniti nel Mediterrarteo e scritti di Rosellina Balbi, Francesco Compagna, Ugo Leone, Sergio Pistone, Alfredo Testi, Giampaolo Zucchini. • ANNO XIX NUOVli SERIE - MARZO 19·72 - N. 147. (208) ~✓ - • . • • . •• • - t • • . EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibl-iotecaginobianco -

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I NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XIX - MARZO 1972 - N. 147 (208) DIREZIONE E REDAZIONE: . Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 Una copia L. 600 - Estero L. 900 - Abbonamen!i: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero annuale L. 6.000, semestraie L. 3.300 - Fascicolo arretrato L. 1.200 - Annata arretrata L. 10.000. Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli Bibiiotecaginobianco -

SOMMARIO Editoriale [3] Girolamo Cotro 1 neo L'anticultura di destra [6] Vittorio Barbati L'eqitilibrio asiatico [21 J Rosellina Balbi Alfredo T'esti Ugo Leone Giornale a più voci La « Critica Sociale» e l'Europa [ 40] La nuova legge per la montagna [ 42] Un aeroporto per la regione [ 46 J Argomenti Marcello Marin Le f'irLanziarie Regionali [ 52] Regioni Italo Talia « Nuova » e « vecchia » industrializzazione i11 Campania [77] Giampao1o Zucchini Siidtirol: provincia autonoma o Regione? [91] Pietro J ozzelli Sergio Pistone Frontiere Gli Stati Uniti nel Mediterran.eo [ 104] La Germania e l'Europa [109] Documenti Francesco, Compagna Napoli tra passato e futuro [120] Bibiiotecaginobianco

Editoriale Sabato 11 1narzo la città di Milano è stata sconvolta da episodi di violenza così gravi, da allarmare profondamente quanti hanno a cuore la crescita - saremmo tentati di dire la sopravvivenza - della democrazia nel nostro p·aese. I fatti sono noti. L'episodio più grave, quello che maggiormente ha turbato le coscienze, si è verificato in via Solferino: dove una cinquantina di giovani (della cosiddetta sinistra extraparla,nentare), armati di caschi, sbarre di ferro, pietre e bottiglie incendiarie, il volto coperto da fazzoletti rossi, hanno dato l'assalto alla sede del « C'orriere della Sera». È forse fin troppo facile sottolineare l'analogia di co1nportamento tra certo estremismo di sinistra e le squadracce che cinquant'anni or sono, alla vigilia dell'avvento del fascismo, assaltavano la sede dell'« Avanti! » e degli altri giornali s'ocialisti. E le considerazioni che da questo parallelo derivano sono esiremamente sconf ortar1,ti. « È un altro motivo di amarezza e di malinconia - osservava il 12 maggio l'editoriale dello· stesso « Corriere della Sera » - in giorni che non sono certo consolartti per l'avvenire della libertà in Italia. La concomitanza e il reciproco aiuto· che si danno gli opposti estremis1ni, la cosiddetta 'maggiorarzza silenziosa' ormai al servizio del MSI e i gruppetti di anarchici e maoisti ed estremisti di sinistra, dove la violenza della protesta pseudopolitica si identifica con la provocazione pura e semplice. L'abbattimento di ogni confine, l'annullamento di ogn.i limite: perfino gli squadristi ispirati da Farinacci si fermarono nel '25 di frotzte alle finestre di via Solferino ». L'assalto a un giornale è di per sé un attentato alla libertà. Quando in un paese la violenza si dirige contro un organ.o di s·tampa, in pericolo non è soltanto la libertà di sta1npa, ma tutte le libertà di quel paese. Di qui lo sdegno di fronte ai fatti di Milano, di qui l'amarezza; ma di qui anche le proccupazioni, o meglio la conferma delle preoccupazioni che da tempo andiamo esprimendo su questa rivista. Nell'editoriale di dicembre ci chiedevatno: « Quando si spingono o si trascin.ano in piazza i ragazzini delle scuole medie, come si ritiene che possano reagire i padri di questi ragazzini? Addebitando alla polizia le colpe che alla polizia ha addossato l'on. lv.losca del PSI, o votando a Milano nel 1973, o prima del 1973, come hanno votato a Catania tutti coloro che in questa città hanno concorso a formare una 7'!1-aggioranzaper il MSI? ». 3 Bibl.iotecaginobianco

Editoriale · Oggi, a meno di due mesi dalla consultazione ele_ttorale, dobbiamo chiederci quali saranno·, di fronte ai fatti di Milano, le prevedibili reazioni dei szloi cittadini, di coloro che costituiscono la vera « maggioranz11 silenziosa ». Non quella che partecipa alle marce organ.izzate dagli amici dell'on. Almirante, ma quella che fino ad oggi aveva reagito con fastidio tanto dinanzi alle violenze del Movimento Studentesco, quanto dinanzi alle violenze della destra eversiva. E la risposta, purtroppo, è che questi cittadini andranno ad ingrossare, se non proprio le file di coloro che partecipano alle marce organizzate dagli amici dell'on. Almirante, quanto meno il loro « pacchetto » di voti. Dicevamo che la « n1-aggioranza silenziosa » non è quella che va, tutt'altro che silenziosa, ai comizi del MSI o ai raduni degli « amici delle Forze Armate >>. La « n1-aggiora11-zasilenziosa » è, più che altro, un concetto democratico; qualcosa che esiste eff ettivamen.te nei paesi liberi e che, tanto negli Stati Uniti quanto in Gran Bretagna, rappresenta l'ago della bilancia rzell'avvicendarsi di questo o quel partito al potere. Qitale enorme, stupida colpa avrebbero commesso le forze democratiche se avessero effettivamente regalato ad Almirante la vera « maggioranza silenziosa », sulla qilale - si voglia o no·n si v·oglia - ha fatto sempre perno la vita democratica dei paesi occidentali, tanto di quelli che si reggono sul bipartitismo, quanto di quelli che si reggono sul plitripartitismo! Della maggioranza silenziosa si i1npossessò in Francia de Gaulle, con quali conseguenze lo sappiamo; e sappiamo anche che queste conseguenze da noi sarebbero molto piìt gravi di qi-tanto non· siano state in Francia, qualora il 7 maggio l'on. Almirante si impossessasse della 1naggioranza silenziosa degli italiani; la quale, ribadiamo, non ha nie11te a che vedere, e soprattutto· non deve avere niente a che ved·ere, con le migliaia di di facinorosi che a Milano, poco prima che i maoisti assaltassero il « Corriere della Sera», si radunavano in Piazza Castello e davano il buon esempio ai loro colleghi della sinistra extraparlamentare, percuotendo un redattore e u.n fotografo dell'altro quotidiano rnilanese, « Il Giorno». Da tutto ciò e1nerge chiaramerlte qitanto colpevoli siano state le reticenze, per non dire le coperture, cui la sinistra - anche quella democratica - si è più volte prestata, nei confronti dell'estremismo di sinistra, dal 1968 ad oggi. Il risultato, infatti, è stato di dare prima ossigeno,. e poi vigore, al f e11-omen.oneofascista. Come antifascisti abbiarno quindi non solamente il diritto, ma il dovere di affermare che le gra11di n1-anifest azioni antifasciste non bastano e non servono, se poi non si muove un d'ito per impedire che ven.ga meno la fiducia dei cittadini nello Stato democratico. Di fatto si aiuta l'on. Almirante, quando si immaginano equilibri più avanzati, invece di impe4 Bibiiotecaginobianco

Editoriale gnarsi per rinvigorire la solidarietà tra i partiti democratici. Non si batte il fascismo con l'immaginazione; lo si batte con la ragione. Ed è la ragione che, commista allo sdegno, risuona in, molte delle dichiarazioni rilasciate, all'indomani dei fatti di Milano, da tittte le forze politiche dell'arco costituzionale. Esemplari sono, al riguardo, le parole di Aldo Aniasi: « Ancora una volta - ha detto il sindaco socialista di Milano - la città è stata turbata dalla violenza e da fatti luttuosi. La violenza, che sempre deve essere condannata, è ancora più intollerabile i,:,, questa vigilia elettorale. L,e elezioni debbono essere l'occasione di itn civile confronto di dibattito e non di scontri sanguinosi. La democratica Milano saprà certame·nte rispondere ' no ' alle provocazioni, con il comportamento di civile fermezza di cui ha dato prova in ogni circostanza difficile. La libertà di stampa deve essere assicurata per la sopravvivenza stessa della democrazia. Non è tollerabile che, mentre ci si propone di re11derla sempre piìt concreta, affermando poteri e ruoli del giornalista nell'azienda, vi sia ancora chi crede nella violenza contro i giornali. La solidarietà con il 'Corriere della Sera', contro un'aggressione inqualificabile, è itn dovere di ogni de1nocratico e di ogni milanese ». Ecco: se le forze politiche d·emocratiche, su.l filo di dichiarazioni come queste, rifiuteranno di lasciarsi sedurre dalla tentazione di insegitire gli extraparlatnentari o di cedere al loro ricatto, durante e dopo la battaglia elettorale; se, soprattutto, si renderan110 conto che la tutela della legalità repubblicana è condizione irri11unciabile per lo sviluppo della den1ocrazia, esse potranno ancora riuscire a sbarrare il passo al fascismo. E la democrazia potrebbe ricominciare a crescere nel nostro paese. Ma la sconfessione della violenza non basta. Bisogna anche tagliare le radici della violenza. E per tagliare queste radici, bisogna individuarle. Chi finanzia i guerriglieri? Chi equipaggia gli opposti teppismi? Chi sono i complici, chi i n1anclanti? ~4 eh.i giova questo gioco sciagurato? La guerriglia, ha scritto Carlo Casalegno sulla « Sta1npa », esige molti milioni; e « chi li versa, per dilettantis1no rivoluzionario o co11 iritenti provocatori, dovrebbe finire in carcere come i guerriglieri ». 5 Bibliotecaginobianco

L' anticultura di destra , di Girolamo Cotroneo « In genere gli scrittori reazionari sono da leggere per il forte sentimento che li anima dello Stato come autorità e consenso insieme e come istituzione che trascende il libito degli astratti individui; oltre che pel loro antiegalitarismo e pel loro antigiacobinismo, opposti come sono non solo ai' governi geometrici', ma a tutti quelli costruiti a priori, e senza fondamento e continuità storica ». Così scriveva, verso la fine degli anni trenta, Benedetto Croce, ribadendo 11na convinzione che aveva espresso e che avrebbe continuato a esprimere in diverse altre occasioni. E non si trattava di affermazioni che, come molti anni fa scrisse un critico marxista, Luporini, Croce « si lasciava sfuggire », rivelando così la « vera » natura del suo pensiero e la sua personale « vocazione » reazionaria, bensì di un atteggiamento consapevolmente meditato, e che comunque non toccava gli assunti di fondo della « religior1e della libertà ». Non a caso il periodo precedentemente citato concludeva con l'affermazione che gli scrittori reazionari « da11no carattere di eterne a forme politicl1e transeunti », mentre non riescono a vedere che anche le teorie estremistiche - per quanto discutibili come teorie - sono sempre « segni di nuove genti e di nuovi animi e di prossimi rivolgimenti politici »; per questi motivi gli autori reazionari « non intendono a pieno la storia passata, perché peccano contro i diritti dell'avvenire ». La posizione di Croce, in un momento come l'attuale - in cui viene insistentemente rila11ciata la proposta di una cultura « reazionaria » --, merita certamente di essere ripensata. A11zitutto: a chi si riferiva, a quali opere pensava Croce quando parlava di scrittori « reazionari »? Egli soprattutto pe11sava alla famosa triade di scrittori politici dell'età della Restaurazione, l'opera dei quali era stata profondamente meditata (anche se sostanzialmente respinta) dal pensiero politico liberale dell'Ottocento; si trattava quindi degli scritti di Joseph de Maistre, delle Re-flections on the lJevolution in France di Edmund Burke e dalla Restauration des Staats-Wisse11schaft di Cari Ludwig von Haller. Quest'ultima sarebbe poi stata duramente maltrattata da Hegel nei Lineamenti di filosofia del di6 Bibiiotecaginobianco

L'anticultura di destra ritto, dove si legge che « il sig. di Haller [ ...] per salvarsi, si è involto in una contraddizione la quale è 11n difetto più radicale di pensiero, e rispetto alla quale, quindi, non si può parlare di valore intrinseco: cioè nel più amaro odio contro tutte le leggi, la legislazione, co11tro ogni diritto determinato formalmente e legalmente. L'odio per la legge, per il diritto detern1inato legalmente è lo scibolleth, col quale si manifestano e si fanno rico11oscere infallibilmente il fanatismo, l'imbecillità e l'ipocrisia delle buone intenzioni; e quest9 essi so110: indossino pure, d'altronde, i vestiti che vogliono ». · Il giudizio di Hegel - che si attaglia perfettamente ancora oggi ai teorici delle « restaurazioni » - non è stato certo riportato a caso, né contrasta con quello espresso da Croce sugli scrittori politici sopra ricordati, ai quali Croce non tolse mai la qualifica di « reazionari » (con tutte le cr)nseguenze che questo aggettivo comporta), anche se, a causa della distanza storica e della loro ormai assoluta (pure al tempo di Croce) inattualità, non riteneva opportuna una polemica aspra e insultante carne quella giustame11te condotta da I-Iegel, loro contemporaneo. Non a caso quindi abbiamo riportato, dicevamo, il giudizio hegeliano sull'opera di von Haller: non solo perché esso è perfettamente idoneo alla q_ualificazione del pensiero reazionario, ma anche e soprattutto per chiarire lln equivoco (che riguarda anche Croce, e quindi tutti coloro che, per 11n verso o per l'altro, si ispirano al pensiero di lui). Vedremo più avanti le ragio11i per cui Croce stesso - dopo avere preso da essi le debite distanze - consigliava di leggere senza eccessive remore e caut~le gli scrittori reazionari, quali appunto De Maistre, Bt1rke, Haller o Baader. Per ora ci interessa chiarire - al fine di evitare, con1e si diceva, ogni equivoco - che il giudizio di Hegel sta a indicare co11 assoluta chiarezza l'abisso che separa il pensiero reazionario europeo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo dalla tradizione politica liberale, di cui lo stesso Hegel (con buona pace di quanti; non avendolo mai letto, né tanto meno compreso, lo assimilano a coloro che duramente contrastava) è certamente uno dei più validi rappresentanti. Perciò il tentativo di. quanti oggi, propo11endo un'alternativa politica e culturale « di destra» - della quale parleremo più avanti -, pensano di nobilitare la loro posizione vantandone l'illustre discendenza, appare del tutto infondato, visto che appunto Hegel definiva senza mezzi termini fanatiche, imbecilli e ipocrite le c·onclusioni cui era approdato il pensiero reazionario del sùo tempo, pensiero che oggi viene riproposto 7 Bibiiotecaginobianco

· Girolan10 Cotroneo come alternativa non solo al marxjsmo, ma anche alle tendenze liberal-democratiche sulle qt1ali si fonda la nostra repubblica. Chiarito qui11di l'abisso di distanza fra il pensiero reazionario e la parte migliore della 11ostra tradizione democratica - fra cui primeggia Croce -, resta da chiarire il significato dell'affermazione dello stesso Croce, con cui ablJiamo aperto questo scritto. E vale la pena chiarirlo in quanto oggi proprio quegli scrittori che Croce, come ormai sappiamo, qualificava senza esitazione « reazionari », e in primo luogo De Maistre, vengono riproposti per dare un fondamento teorico (e una tradizione) al tentativo di ricostituire una cultura « di destra », per accompag11are quella « restaurazione culturale » alla quale - dopo t1n'ennesima, vergognosa, trahiso11 des clercs - hanno dato la loro adesione intellettuali non sempre di secondo piano nella vita culturale del nostro paese, dimostrando, come ha scritto in un calibratissimo articolo su « La voce repubblicana » Raffaello Franchini, che ancora una volta la 11ostra cultura è apparsa restia « a trovare una mediazione tra il carnevale e il funerale, ossia, fuor di metafora, a muoversi con qualche consapevolezza o istinto o abitudine del ·se11so dell'umorismo o magari dell'understaten1ent », visto che finisce sempre con il proporre, come ora sta facendo, una « voga alquanto ciarlatanesca, che vorrebbe trarre un profitto editoriale, e perciò meramente e rapidamente economico, proprio dalla stanchezza che ha preso il pubblico dei lettori di fronte al prolungato e quasi statizzato ciarlatanismo dell'editore di sinistra. Così, al principio per ironia, poi per polemica, infine quasi per convinzione, si è cominciato a parlare di una filosofia o magari di una letteratura della reazione, foriera di un nuovo corso dell'editoria e quindi della cultura italiana ». Ma anche di questo diremo piu avanti. Ora vorremmo soltanto cl1iederci quale valore possa avere la riproposta - in termini di ristampe ampiamente diffuse e propagandate - di autori come De Maistre e Maurras, di ct1i ci è sembrato piuttosto preoccupato Alberto Moravia, tenendo· anche presente che Croce non ne sconsi-- gliava, anzi ne raccomandava, la lettt1ra. La risposta non è molto difficile. La ristampa di uno scrittore vissuto nei secoli precedenti, in ~e stessa non è mai preoccupante, qualora essa assuma, come dovrebbe essere, un valore soprattutto archeologico, senza tentarne un recupero culturale. Del resto autori come Burke e von Haller erano già stati pubblicati in Italia nel 1963, senza che la loro comparsa suscitasse allarme alcuno. Si tratta di letture che, come diremo fra poco, hanno sempre u11 momento positivo. Diceva del 8 Bibiiotecaginobianco

L'anticultura di destra resto Giambattista Vico di avere avuto modo di apprendere qualcosa da ogni libro che aveva letto (tranne che da uno che non volle mai dire quale fosse). In questa prospettiva, la ristampa di· un autore che, se non altro, per la distanza cro11ologica, potremmo definire un classico (e quindi leggerlo con la sere11ità con cui si leggono i classici) non è certo preoccupa11te. La stessa traduzione de Le sere di Pietroburgo di De Mais tre (che in sé è un libro non spregevole) non presenta certo caratteri di pericolosità, tranne che co11 essa,. come ha notato Carlo Bo, non si voglia fare « un'operazione di restaurazione culturale », interpretandola « come un tentativo di opposizione a un certo tipo di intelligenza moderna ». Si dirà che è proprio quest'ultima invece l'inte11zione di chi lo ha rilanciato: e si dice certo cosa vera. l\1a 1-1nconto è l'intenzio11e, un altro l'efficacia pratica, jl risultate) dell'operazione: che potrebbe, al limite, essere anche tutt'altro. In un recente dibattito, proposto da Lido Chiusano, a,1ente per tema la funzione di una « sinistra crociana », Giuseppe Galasso ha affermato che il fatto che « un indirizzo di pensiero sia ò 110n sia in linea con le posizioni delle forze politico-sociali ritenute di sinistra, ossia progressiste, nulla toglie o aggi11nge al significato progressivo che quel pensiero ha o non ha, come fermento critico, sollecitatore o iniziatore di altri pensieri ». E ha concluso dichiarando che « una funzione progressi,,a in tal senso può benissimo conciliarsj con la simpatia, la vicin.anza o l'alleanza di un determinato pensiero con le forze che si battono per la conser,,azione dell'ordi11e politico-sociale, e viceversa: esempio, il nucleo storicista contenuto in un Bt1rke_, i11un De Maistre, nello Hegel maturo. Più ancora. Un pensiero, progressista nel senso sopra indicato, può addirittura essere estraneo agli svolgimenti politico-sociali del suo tempo, e perfino a quelli culturali; ed esercitare solo in seguito la sua funzione progressista, svelando le sue potenzialità in tal senso: esempio, Vico ». Queste dichiarazioni ci pare rispondano esaurie11temente sia al problema aperto dalla citazio11e di Croce dalla quale eravamo partiti, sia all'ultimo interrogativo sul significato che la traduzione delle Sere di Pietroburgo (alla quale, molto più che non ai due precedenti pamphlets di Armando Plebe e di Giuseppe Berto, cioè la Filosofia della. reazione e la Modesta -proposta per prevenire, si fa risalire --· e si capisce anche perché, data la maggiore insidia contenuta nel « caso » De Maistre - il rilancio della cultura « di destra ») presenta nella vita culturale italiana del momento. D4 questo 9 Bibiiotecaginobianco

Girolanio Cotroneo punto di vista non ci pare preoccupante né la pubblicazione che Rusconi ha fatto di De Maistre, né quella che Volpe ha dato di Halévy, che si può benissimo leggere, come ha scritto Arturo Colombo, « con occhi sgombri da incat1te nostalgie autoritarie o addirittura totalitarie », né quella di ,\delpl1i ha fatto di Nietzsche, di cui pure si assiste a una sorta di revival che sembra invece preoccupare Vittorio Saltini: il quale sostiene che l'autore dello Zarathustra è di nuovo in auge in quanto i suoi pensieri « sono facilmente comprensibili e paiono abissali al dilettante, al piccolo-borghese che cerca in Nietzsche non il rigore intellettuale, ma gli orpelli per drappeggiare ' esteticamente ' il proprio qualunquistico individualismo >>. Sarà anche vero; ma in pratica le cose stanno poi in maniera. diversa. Anzitutto, autori come De Maistre o come Halévy, o come appunto Nietzsche, non possono essere più classificati (se non per validi motivi polemici immediati) come « di destra » nel senso in cui oggi adoperiamo questa categoria storiografica, se non_ a patto di mettere in questa categoria « tutti » gli scrittori politici del passato: altri infatti erano i tempi, le condizioni in cui essi operavano, altri i fini che li ispiravano e non sempre riducibili alla situazione contemporanea. Di essi, tuttavia, si pt1ò benissimo fare un uso di destra. Ciò che quindi colpisce (o irrita, o preoccupa) 110n è la presenza di un De Maistre, di uno Halévy o di un Nietzsche nel panorama editoriale contemporaneo, bensì la malafede con cui essi vengono riproposti da certi ambienti intellettuali contro i quali - e 110n già contro un autore del quale è ormai vano dire « di quanto mal fu matre » - va diretta la polemica da parte di chi della cultura ha tt1tt'altro senso .. Inoltre, sempre per restare nel tema della ripresentazione di certi autori del passato, un classico del pensiero filosofico o politico ha sempre un'enorme lentezza di penetrazione, l'accostamento ad esso richiede un retroterra culturale che non sempre il « qualunquismo » contemporaneo possiede. Non sarà. quindi in Nietzsche che andrà a cercare gli « orpelli >> per ammantare culturalmente la sua richiesta di u11a reazione politica; né in De Maistre la propria esigenza di uno Stato con solide strutture. Troverà invece purtroppo nella levata di scudi di alcuni intellettua}i italiani cl1e oggi ripropongono la « restaurazione culturale», che lanciano << proposte per prevenire » ( che poi sono proposte « per favorire » una « restaurazione » politica con caratteri _ben noti), la risposta alle attuali incertezze, alle difficoltà oggettive che oggi certamente esistono e che appunto il qualunquismo contemporaneo penserebbe di risolvere con una svolta autoritaria. Proprio per que10 Bibiiotecaginobianco

I L'anticultura di destra sto riteniamo più preoccupante che non le ristampe e le traduzioni di cui abbiamo detto, l'ince11tivo che al qualunquismo politico offrono i tentativi di restaurazione culturale che oggi vengono massicciamente riproposti da intellettuali che, gettando finalmente la maschera, ci hanno permesso di intendere quanto valesse il loro « progressismo » di ieri (co11tro il quale lottavamo allo stesso modo con cui oggi combattiamo contro la loro svolta reazionaria). A qµesto punto è necessario mettere i11chiaro due momenti essenziali che consentono di con1prendere la situazione culturale venutasi a creare in quest'ultimo anno: primo, come e perché in un'Italia dove fino a poco tempo fa gli intellettuali aveva110 gareggiato a chi fosse piìi a sinistra si sia potuto creare un movimento culturale « di destra» (dove, ricordiamolo, figurano molti non1i dell'avanguardia di « sinistra » degli anni precedenti); secondo, che cosa intendano e che cosa si propongano, deposti i panni che indossavano fino a ieri, gli homines navi della « restaurazione culturale », i « reazionari » che naturalmente oggi si presentano come orgogliosi novatori. Per chiarire il primo punto occorre tenere presente tutto il qt1adro della cultura italiana del dopoguerra. Se le responsabilità di questa situazione ricadono, come è giusto sia, su coloro che oggi tengono questo atteggiamento, non si può tuttavia escludere ve ne siano anche delle altre, in quanto, come ha notato ancora Raffaello Franchini, questa « non meglio definita ' restaurazione ' che nientemeno si rifarebbe a De Maistre ( !) per combattere Marx, Lenin e i loro prodotti e sottoprodotti », è inevitabile conseguenza della non certo ammirevole « rivoluzione » apportata nella cultura italiana dal boitrrage des cranes operato da certi settori della nostra « sinistra »; i quali, tra l'altro, dello stesso termine « sinistra» hanno sempre avuto un'idea che ci è sembrata piuttosto vaga. Proprio di recente Alberto Moravia ha lanciato l'idea di una sinistra che è di per sé « contènuto » e « natura » nel senso che « propone i suoi temi legandoli [alla] natura, a qualcosa che potremmo chiamare anche senso comune », per cui si presenterebbe· come « istanza sentimentale primaria [ :..] connaturata all'uomo ». Questa espressione ha ovviamente indignato i teorici della « destra » che in uno dei loro gi9rnali ufficiali l'hanno definita « come l'ultin10 e più significativo test dello sbriciolamento mentale che minaccia i progressist~ in allarme ». Ma, pur non condividendo, come diremo, le conseguenze pratico-politiche tratte da Moravia . 11 Bibiiotecaginobianco

Girolan10 Cotroneo dalla sua idea della sinistra come natura, occorre riconoscere in essa un fo11damento di verità. Carlo Antonì rjlevava, con l'acutezza che gli era consueta, come la cultura europea, di fro11te all'alternativa fra l'essere di Parmenide e il divenire di Eraclito, avesse fi11ito con lo scegliere quest'ultimo, optando quindi per una visione non già contemplativistica (ancora oggi tipica di altre società e di altre culture), bensì per una attivistica, dinamica, della realtà. Se quest'ultima la chiamiamo, in formula abbreviata, «sinistra», allora Moravia ha certamente ragione: non a caso infatti uno scrittore attestato su posizioni conservatrici (di un conservatorismo di tipo metafisico), l'americano Thomas Molnar, ha scritto, in uno dei primi libri la11ciati all'inizio del « nuovo corso » dall'editore Rusconi, ~he la « sinistra » odia « l'essere » preferendo sempre « ciò che non è a ciò cl1e è ». Da Cartesio in avanti, infatti, la cultura idealistica europea ha visto la realtà come « sempre incompleta », per cui la sua ambizione è stata proprio quella di « completare la realtà »: per fare questo, per raggiungere « l'impossibile coincidenza di ciò che è con ciò che dovrà essere » ha finito col dare « la caccia all'immaginario », sostituendo all'antico culto dell'essere quello del« non-essere ». Indipendentemente dalle conseguenze negative o addirittura catastrofiche che ne trae, Molnar ha certamente individuato la caratteristica principale della moderna cultura occidentale: il che porta paradossalmente la st1a tesi a coi11cidere con quella di Carlo Antoni e di conseguenza con quella di Alberto Moravia. 'f ornando a quest'ul ti1no, è tuttavia evidente che la sua affermazione secondo cui la sinistra è un « contenuto di per sé » comporta un grosso eqt1ivoco, in qua11to finisce con l'amm.ettere quella possibilità di coincidenza di essere e di pe11siero (che si realizzerebbe in una certa forma - e sappiamo quale - di organizzazione sociale), sclerotizzando così gli schemi di cui larga parte della sinistra italiana ha fatto finora uso ed abt1so. Non per nulla Ugo La Malfa, replicando a Mora,,ia, ha insistito proprio sul tema dei « contenuti », respingendo quella coincidenza che la sinistra marxista, di cui Moravia in questa occasione ci è sembrato il portavoce, ha sempre postulato come raggiungibile, dando così alla propria azione un contenuto che « proprio perché astratto, proprio perché ideologizzato, e pereia usurato in anticipo, rischia di far risorgere in Italia una destra di tipo tradizionalmente autoritario, e quindi fascista ». Le due posizioni cui qui abbiamo accennato, quella di Moravia e quella di La Malfa, rappresentano esattamente le preoccupazioni che dividono la sinistra non marxista da quella marxista. Quest'ul12 Bibiiotecaginobianco

I L'anticultura di destra tima, universalizzando e proponendo come contenuto i propri schemi ideologici, ha provocato quella frattura che oggi sta favorendo quel riflusso di destra che, se non è un pericolo sul piano culturale, in quanto propo11e, come ha giustamente detto Enzo Siciliano, « una cultura di revenants », lo è certo sul piano politico. Tutto questo induce a rifl~ttere. Tornando infatti alla « cultura reazionaria », vale la pena ricordare che, come è noto, il termine « reazionario » deriva dalla terminologia scientifica: nella fisica newtoniana, infatti, il termine reazione è 11sato per indicare un'azione uguale e di senso contrario a u11'azione determinata; in politica ha praticamente lo stesso significato, cioè il tentativo di neutralizzare qualche mutamento non gradito (o, preventivamente, di rendere impossibile un ·mutamento voluto dalla parte opposta). Quale è stata, dunque, l'azio11e che ha favorito la reazione? Come prima si diceva, gli intellettuali italiani (o almeno la più parte di essi) hanno avuto dalla fine della guerra ad oggi una sola preoccupazione: quella di non avere nemici à gauche (sia quando qui vi era soltanto il partito comunista, sia in questi ultimi anni, quando sono comparse le forze itltras di sinistra); chiunque li avesse, sia pure partendo da una piattaforma assolutamente democratica, senza la benché minima nostalgia (o vocazione) autoritaria, anzi addirittura in prima fila contro qualsiasi « ritorno » o involuzione antidemocratica, chiunque avesse nemici « a sinistra », dicevamo, chiunque non fosse allineato su certe posizioni politiche e culturali, era senza incertezze additato come « reazionario », o, nel migliore dei casi, come « moderato ». Questa forma di terrorismo culturale - attuata indiscriminatamente contro chi, pur senza essere disponibile a firmare qualsiasi manifesto (molti « intellettuali » sono divenuti tali pur non avendo apposto la propria firma in nessun altro luogo che non fosse un manifesto) combatteva tuttavia una costante battaglia per la libertà e la giustizia sociale sotto insegne diverse, e forse pit1 valide, da quelle sottq cui militava tutto il conformismo italiano di sinistra - questa forma di terrorismo culturale, dicevamo, non poteva non dare i suoi frutti nefasti. Se gli avvenimenti succedutisi dal 1968 in avanti, se la comparsa di una sinistra ul-· tra, le cui manifestazioni 110n si differenziano molto da quelle dell'oltranzismo politico di destra, hanno avuto un m.erito, questo è stato di fare finalmente comprendere quanto falso fosse il progres• sismo dei firmatari di manifesti nostrani: molti dei qual·~ ci ricordano diversi firmatari. del manifesto antifascista di Cro~e, divenuti poi, dopo opportuni mea culpa, dignitari fascisti 13 Bibiiotecaginobianco

Girolamo Cotroneo Lo spazio a destra, quindi, è stato, se. non creato, certamente favorito, prima da q11anti hanno attuato una forma, sia pure incr11enta, di persecuzione, di emarginazione, per usare un termine di moda, nei confronti della cultura democratica e liberale, colpevole soltanto di non essersi voluta allineare sulle posizioni del più diffuso conformismo di sinistra; poi da coloro che, no11ostante i chiari sintomi di una minacciosa involuzione culturale e politica verso destra, hanno continuato imperterriti a inseguire la chimera rivoluzionaria (o pseudorivoluzionaria) e a firmare grotteschi manifesti co11tro presunti « blocchi d'ordine », continuando a cercare il « nemico » proprio là dove non c'era. Di tutto questo vi è più di una ragione. La prima e più importante è quella che al conformismo di sinistra dava molto più fastidio l'esistenza di una cultura veramente democratica e libera, capace di giudicare senza schemi e senza pregiudizi, che non una velleitaria cultura di destra, che nel nostro paese (si pensi al modo in cui Croce giudicava, dal punto di vista culturale, l'età fascista) ha sempre rappresentato l'anticultura. Ma a invocare i blocchi d'ordine, a inaugurare la restaurazione culturale, non sono stati gli intellettuali· indipendenti, i quali sono rimasti al loro posto, con la loro fede nella democrazia, con la loro dignità, il loro spirito critico, la loro modernità che non si è mai lasciata sedurre da schemi e soluzioni precostituite, e che oggi sono i più qualificati a combattere sul fronte apertosi a destra; ma una pattuglia di avventurieri della cultura, fra ì quali si trovano, oltre ad alcuni revenants di cui si era dimenticato persino il nome, ex firmatari di manifesti progressisti, corteggiati (dai salotti di sinistra) vincitori di premi letterari, pittori in vario grado impegnati e così via, mentre non si trovano certo uomini provenienti dalle file della cultura laica e democratica (nel senso che noi abbiamo sempre dato a queste parole). Comunque sia, questa vicenda ha un doppio risvolto. Avrebbe infatti potuto anche essere un avvenimento di rilievo, importante 11ella storia della nostra cultura, il fatto che una nutrita schiera di intellettuali si fosse svegliata dal « sonno dogn1atico », avesse cessato di fumare quell'opium di cui ha detto Raymond Aron; m.a evidentemente il demone totalitario, lo spirito settario è così diffuso nella nostra cultura, da rendere praticamente impossibile (o meglio, forse, difficile: perché richiede di respingere ogni forma di pigrizia mentale) un'alternativa che non implichi posizioni radicali. Così, come ancora ha scritto Franchini, il risultato è stato quello che « quando il momento della rivolta contro gli intellettuali ' alli14 Bibiiotecaginobianco

L'anticultura di destra neati' (quelli, per intenderci, che si comportano spesso da semianalfabeti quando firmano i famosi manifesti di protesta senza leggerli e tal 11olta protestano, poi, di non averli mai firmati) è sonato :._ e la cosa aveva un aspetto fisiologico e non era perciò più oltre procrastinabile, ecco che la questione viene risolta in termini non già di mediazione e di misura, ma di estremismo capovolto e mutato di segno ». Per cui, invece di ancorarsi a posizioni culturalmente ,,alide, invece di rigettare i11nome dei valori della libertà e del libero spirito critico suggestioni ideologiche corrose dal tempo e dalla storia, uno strato purtroppo ormai non ristretto dell' establishment culturale italiano si propone. ufficialmente di costituire un'alternativa « di destra », si prefigge una « restaurazione » i cui caratteri non possono non contrastare con quelli ai quali si ispira la cultura democratica e liberale, che respinge da sé le sollecitazioni e suggestioni della « destra » ( come di certa « sinistra » ). Ma è giunto ormai il n1omento di vedere che cosa si propongano, quali argomenti avanzino i teorici della « restaurazione culturale », i quali dalle colonne di un settimanale - ovviamente di destra - hanno lanciato, attraverso una serie di dichiarazioni individuali, quello che potrebbe definirsi il loro manifesto ideologico e programmatico, dove la cultura « di destra » viene indicata da Armando Plebe - autore di « otto tesi » per tale cultura - come « il fenomeno più vivo e importa11te dell'attuale vita culturale ». Per paradossale che possa sembrare, questa affermazione ci trova, da una prospettiva puramente esteriore, concordi. La vastità del fenomeno, le implicazioni che esso comporta, sono certamente un fatto rilevante. Anche se Enzo Siciliano definisce una semplice velleità il tentativo della destra politica di « allineare sul proprio fronte sparuti gruppi di intellettuali », la tendenza al conformismo, che ha caratterizzato forse da sempre la nostra cultura, rischia di fare approdare ai 11uovi lidi 1.1nostrato sempre più vasto di adesioni: le quali già da ora non sono poche, ove si pensi che sino a uno o due anni fa questa prospettiva era data per inesistente. Sol-- tanto non crediamo - né lo abbiamo mai creduto - che una larga adesione a un program1na ideologico sia, di per sé, prova della validità delle tesi proposte; e nel caso in questione le tesi proposte sono quai:to di meno interessante ·potesse oggi essere avanzato. Non è certo il caso di analizzare le singole dichiarazioni per discuterne i limiti e l'eventuale significato. Quello che conta, a nostro 15 Bibiiotecaginobianco

Girola1no Cotroneo avviso, è il fenomeno, la tendenza generale che i «restauratori » rappresentano. Parlare infatti, come essi parlano, di « ·valore della tradizione », di « necessità di rivalutare l'individuo contro la società di massa», di opposizione alla «disintegrazione spirituale, sociale e naturale » oggi in atto, di « nuovo umanesimo » e così via, significa usare forme e espressioni adatta.bili a qualsiasi contenuto, e che quindi, prese in sé, non indicano proprio niente. Indicano invece qualche cosa di più l'avversio11e e la polemica antistoricistica cl1e emergono da alcune dichiarazioni e le preferenze verso una non meglio identificata « dimensione metafisica »; indica pure qualcosa l'equivoca interpretazione data a una proposizione di Croce da Augusto Del Noce, il quale finge di din1enticare che il « passato » per Croce no.n era oggetto di mistica contemplazione, ma si presentava con un carattere di « necessità » nei riguardi soltanto di se stesso, non già del presente, rispetto al quale era sì « preparante », ma al tempo stesso « indeterminante ». Indicano ancora qualcosa le « critiche » alla « società borghese » fatte da Julius E,lola (già, c'è anche lui!) il quale, come è noto, ripropone le teorie avanzate da Ernst Jiinger nel Der Arbeiter (che proprio Evola •una decina di anni addietro . tradusse parzialmente in italiano), dove, identificando il « borghese » al tipo del pacifico n1ercante che pone come valori supremi la propria comodità, il proprio benessere e la propria sicurezza, Jiinger gli opponeva le nt1ove figure dell'operaio e del guerriero, frutti della potenza universale rappresentata dalla tecnica e dalla guerra, capaci di una « nuova forma » di esistenza, pronti ad affrontare ogni situazione: compresa quella estrema del Feuer und Blut, del fuoco e del sangue. E infine indica qualcosa l'affermazione dell'editore Volpe, secondo cui « il domani 110n sarà fascista né antifascista, ma qualcosa, il meglio, del fascismo entrerà nella nuova città ». Tutto ciò, si diceva, a differenza delle generiche affermazioni di « principio », indica qualcos·a: quale cioè sia l'ideologia politica che sta al fondo di questa « operazione » culturale, che non basta, per afferrarne l'autentico significato, definire fascista, né, come da qualche parte si è fatto, qua]unquista. Il problema è più complesso. A nostro avviso, quella cui oggi stiamo assistendo è soprattutto una rivolta contro il mondo moderno, il cupo vagheggiamento di una società preindustriale fondata sul privilegio, u11a sorta di odio teologico verso l'avanzamento civile di cui, nonostante le lacerazioni che provoca e· le contraddizioni che contiene, le società democratiche occidentali sono tuttora portatrici. Perché, a ben guardare, nonostante il furore antimarxi16 Bibiiotecaginobianco

L'anticultura di destra stico contenuto nei programmi della cultura di destra, il vero nemico di quest'ultima è la « democrazia » politica occidentale. Non a caso, infatti, uno dei teorici della « restaurazione » ha detto che quella di « destra » è una cultura « realistica » che diffida delle utopie e « che non assolutizza regimi politici, né tanto meno il mito di una impossibile democrazia». Non a caso, dicevamo, si incontrano espressioni di questo genere; non a caso i nomi di Ernst Jiinger e quello del teorico del Tran1onto dell'Occidente, il prenazista Oswalq. Spengler, si incontrano con preoccupante frequenza nelle iniziative editoriali (oltre che nelle citazioni dotte) dei «restauratori»: si tratta di scrittori il cui bersaglio polemico non era certo il marxismo o la società comunista, bensì quelle democrazie occidentali di cui essi auspicavano (da destra) il dissolvimento e la fine per sostituirle con la « nuova » civiltà, con il « nuovo » ordine fondato sulla « tradizione », sulla « razza » e così via; e quella « civiltà » e quell'« ordine » hanno fatto pure di recente la loro prova storica. Proprio lungo questa strada si rnuovono (anche se taluni di essi forse senza neanche saperlo) coloro che oggi propongono l'alternativa culturale di destra: la q11ale, piì.1che alternativa anticomunista, è alternativa antidemocratica e antiliberale, perché, come prima si diceva, è rivolta contro quel mondo moderno, quella società di uomini « liberi » che la cultura occide11tale ha cercato di costituire coµtro ogni giogo totalitario. Diceva Benedetto Croce che « la storia va verso il basso » e che la « realtà è democratica»: è un'affermazione che molti (da sinistra) hanno fatto finta di ignorare e che altri (da destra) hanno respinto. Ma in essa si trova aforisticamente indicato il cammino della nostra storia, di quella storia che non a caso è rigettata dai tardi epigoni degli Haller e dei De Maistre, che appunto Croce indicava senza esitazione come reazionari e antistoricisti. Per questo non basta definire fa.scista l'operazione culturale in corso: tranne appunto che per fascismo 110n si intenda quella « rivolta contro il mondo moderno » sviluppata lungo le direttrici segnate da un libro di Julius Evola che porta appunto questo titolo, e dove si legge che « l'unico mondo verso cui oggi si è in marcia [ ...] è sen1plicemente quello che raccoglie e riassume in forrr1a estrema ciò che ha agito nella fase della distruzione. Esso è tale che non può servir da base a nulla, che non può fornire una. materia a che, seppure in forma diversa, in esso possano di nuovo manifestarsi valori tradizionali -- perché di tali valori esso rappresenta solo la negazione organizzata e divenuta corpo. Per la civiltà moderna presa in massa 17 Bibiiotecaginobianco

Girolamo Cotroneo non vi è avvenire in senso positivo. Pura fisima è quella di coloro che pensano ad un fine e ad un avvenire che ·comunque giustifichino quanto l'uomo ha distrutto in sé e fuori di sé ». QL1este considerazioni, queste previsioni (o constatazioni) apocalittiche dimostrano la vera essenza di una « restaurazione » che va a cercare in un Evola i suoi presupposti culturali: è una cupa forma di nichilismo che ci è nota perché è la stessa che ha dato vita al medioevo 11azifascista fra le due guerre mondiali; e, come quello, anch'essa è rivolta proprio contro quella società occidentale della quale il libro di Evola, recentemente rilanciato, ha preteso di descrivere la decadenza e l'ultimo dissolvimento, evitabile, a suo dire, solo attraverso una « vocazione eroica » ispirata da un'osc1~ra metafisica, mutuata da contemplativistiche e irrazionali filosofie (o teogonie) orientali, del tutto estranee alla tradizione dinamica della nostra cultura, fondata su u11a componente di razionalità avversa alle oscure forze dell'irrazionalismo contemporaneo. Ma se questo è il sottofo11do (in taluni forse addirittura inconscio) che muove i patres della restaurazione culturale, il move11te esplicito al quale essi fanno costante riferimento è invece un altro: ed è proprio su questo che si fonda il vero equivoco della situazione in corso. Il bersaglio costante di tutto il discorso avanzato dai « restauratori » è infatti la « sinistra » italiana, colpevole di tutti i guasti accaduti nel nostro paese: e l'equivoco contenuto in questo atteggiamento sta nel fatto che_ essi identificano toitt court la « sinistra » con il marxismo e con i partiti che a esso si richiamano in forma dommatica. Questo convincimento è, a nostro avviso, quanto di pit1 erroneo possa oggi concepirsi, e serve soltanto a chi da questa confusione spera di trarre vantaggi politici immediati. L'identificazione della sinistra con il marxismo, infatti, significa escludere (o pretendere di escludere) dal gioco politico, togliere qualsiasi peso cult11rale a quanti, pure non aderendo all'ideologia marxiana, si sentono di « sinistra », se « sinistra » significa movimento, articolazione dinamica della realtà, spinta verso il miglioramento dei rapporti sociali. Da questo punto di vista paradossale coincidono le vedute delle due posizioni estreme: quella marxista, che ritiene di essere la sola a désiderare il progresso, la giustizia sociale e la « vera » libertà, e quella fascista o criptofascista che, in ultima analisi, finisce con il riconoscerlo, attestandosi su posizjoni di conservazione o di involuzione, ed escludendo (così come la prima) possibilità di alternativa. Insomma, tertium no11 datur: e su questo equivoco, prima 18 Bibiiotecaginobianco

L'anticultura di destra alimentato soltanto dalla « sinistra» dommatica che non ammetteva alternative positive fuori di essa, ora alimentato anche dal nuovo fronte apertosi sulla destra, la cultura italiana è vissuta per quasi un trentennio. Ma da questo punto di vista lo scossone venuto da destra può anche avere una funzione catartica, nel senso che fugherà ogni equivoco e permetterà di individuare esattamente le diverse posizioni; la stessa ct1ltura di ispirazione marxiana dovrà riconoscere le diverse posizioni (e la diversa funzione storica e politica) esistenti fra coloro che marxisti non sono; posizioni decisamente irriducibili e che solo la cattiva coscienza di certi ambienti culturali pretende ancora di unificare sotto un con1une denominatore. Naturalmente, affincl1é questo si realizzi, occorrerà un lungo processo di decantazione. Del resto, certi avvenimenti dimostrano come la tendenza di fondo continui a essere la stessa. Basti pensare alla ingiusta polemica che alcuni esponenti comunisti hanno condotto nei confronti di Leonardo Sciascia, il cui ultimo romanzo, Il contesto, se esprime le inquietudini e il disagio dell'intellettuale, diciamo ancora, « impegnato » di fronte ai fenomeni di degenerazione politica cui tutti stiamo assistendo, 110n si colloca certo st1 posizioni di retroguardia, né può essere allineato a quelle opere che i « restauratori » hanno indicato come segni del mutare dei tempi. Eppure l'accusa più benevola è stata quella di « scetticismo », rivoltagli proprio da chi di quella stessa degenerazione non è proprio l'ultimo responsabile. Il « caso » Sciascia è quindi esemplare di un certo modo di condurre la polemica culturale nel nostro paese; e per nostra fortuna l'autore di alcuni fra i migliori romanzi della letteratura italiana contempora11ea ha la mente troppo lucida e uno spirito troppo critico per farsi risucchiare dal vortice di destra verso cui lo si vorrebbe spi11gere impiegando le solite forme di terrorismo culturale. Le responsabilità quindi vanno equamente divise. E se nulla concediamo a q_t1anti, in nome di un'astratta « sinistra », hanno favorito il deterioramento della ·situazione, meno ancora possiamo concedere a chi crede di trovare rifugio in un'alternativa oggi improponibile e che per i suoi stessi caratteri (nonostante le acrobazie con cui Armando Plebe cerca di dimostrare che la cultura è di « destra » per natura) rappresenta l'anticultura. Perché, è inutile negarlo, ogni fenome110 culturale trova -il proprio valore solo in quanto propone una prospettiva politica valida. Ciò che di comune hanno tiltti gli interv~nti dei ·nuovi teorici della cultura di destra, è proprio l'assoluto silenzio st1 tale problema. Per questo mo- • 19 Bibiiotecaginobianco

Girolamo Cotroneo tivo la proposta oggi rilanciata si presenta come un fatto di « incultura », come l'ennesima mistificazione; al rifiuto del metodo marxista si accompagna anche quello del metodo liberale, riproponendo l'intolleranza e, sotto altra forma, il terrorismo culturale, la vieta formula del « cl1i non è con noi è contro di noi ». Sono proprio queste le forme culturali e politiche che, dal Settecento in avanti, la parte migliore del pensiero europeo ha decisamente respinto in nome di una metodologia critica che rifiuta le « alcinesche seduzioni » di astratte formule, opponendo ad esse il vigile impegno di una ragione non dormiente, perché, come è stato detto, « il sonno della ragione produce mostri ». GIROLAMO COTRONEO 20 Bibiiotecaginobianco

L'equilibrio • • as1at1co di Vittorio Barbati Le coincidenze di interessi tra Stati Uniti e Cina, cl1e hanno portato al recente vertice di Pechino, non sono certame11te casuali. Si sono forn1ate a poco a poco, per gradi, magari anche attraverso i contrasti ideologici, politici e militari che dividono i dt1e paesi. La fine della seconda guerra mondiale trovò la Cina duramente provata e profondamente divisa. I.Ja lotta contro i giapponesi ave,,a accomunato per alcuni anni le forze del Kuomintang, capeggiate da Ciang Kai-Scek, e quelle comuniste, capeggiate da Mao Tse-Tung. Ma non aveva cancellato 11éil contrasto ideologico fra le due parti, né il solco di odio scavato dalla precedente guerra civile, dalle carr1pagne di annientamento di Ciang Kai-Scek e dalla « lunga marcia » di Mao e della su.a Armata Rossa. Dopo la sconfitta del Giappone, la guerra civile si riaccese con rinnovata viole11za e terminò solo nel 1949, con la sconfitta di Ciang e la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese. La fine della guerra civile cinese coincise con un periodo storico molto torn1entato per il inondo intero. In Europa era calata la « cortina di ferro ». In Rt1ssia, Zdanov, con l'assenso di Stalin, aveva proclamato la « teoria dei due campi », che co11siderava il mondo diviso in due blocchi inevitabilmente destinati a scontrarsi. Negli Stati Uniti, con la « dottrina Truman », si era affermata la politica del « conte11imento », in base alla quale l'espansione sovietica cloveva essere « contenuta » in ogni parte del mondo. Questa divisione del inondo in blocchi a,1eva già influito sugli atteggiame11ti delle grandi potenze verso la Cina. (ili Stati Uniti avevano appoggiato Ciang Kai-Scek, vedendo in Mao l'alfiere dj Mosca e forse dimenticando che, fin dagli anni trenta, c'erano stati aspri contrasti fra il Con1intern ed i co1nunisti cinesi. Stalin si era preparato a cogliere i frutti di una lotta- che gli offriva la possibilità di costruire, dall'El1ropa orientale alle estreme propaggini continentali dell'Asia, un gigantesco sisten1a mo11olitico, per bilanciare la potenza nucleare americana_. In qt1esta situazione, nessuno aveva libertà di scelta. Gli Stati Uniti « dovevano » edificare un sistema politico-strategico idoneo 21 Bibl-iotecaginobianco

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