Nord e Sud - anno XVIII - n. 144 - dicembre 1971

' ,I I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Ennio Ceccarini, Il PCI scopre l)Europa - Giulio Picciotti, I partiti tra il divorzio e il referendum - Italo Talia, << Progetti>>e << Pro,grammi>>per il Mezzogiorno - Fabio Neri, Il Pia1io W erner un anrzo dopo - E,rmanno Corsi, P1ella e il Governo dell) Assunta e scritti di Vittorio Barbati, Guido Compagna, Luigi Compagna, Antonino de Arcangelis, Enzo Golino, Ugo Leone, P-asquale Montefalcone. ANNO XVIII - NUOVA SERIE.- DICEMBRE 1971 - N. 144 (205) - EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE NAPOLI Bibliotecaginobianco -

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I I NORD E SUD Rivista mensile diretta da F•ran;cesco Compagna ANNO XVIII - DICEMBRE 1971 - N. 144 (205) DIREZIONE E REDAZIONE: · Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE IT~IANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 Una copia L. 600 - Estero L. 900 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero annuale L. 6.000, semestrale L. 3.300 - Fascicòlo arretrato L. 1.200- Annata arretrata L. 10.00C- Effettuare i versarnenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli · Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale [3] Ennio Ceccarini Il PCI scopre l'Europa [46] Guido Picciotti I partiti tra il divorzio e il referendum [ 13] Italo Talia « Progetti » e « Programnzi » per il Mezzogiorno [38] Giornale a più voci Luigi Compagna Il filo del Risorgimento [43] Ugo Leone La chi1nica in Sicilia [47] Enzo Golino Le Maschere Nude di Siciliano [49] Argomenti Fabio Neri Il Piano Werner un anno dopo [53] Antonino de Arcangelis L'età della «ragione» [64] Vittorio Barbati . Riforma tributaria: il pro e il contro [71] Cronache e memorie Ermanno Corsi Pella e il Governo dell'Assunta [83] Guido Comp·agna Il meridionalismo di Salvemini [103] Regioni Pasquale Montefalcone Le industrie della Valpescara [110] • I Bibirotecaginobianco

, Editoriale I Ci si potrebbe e dovrebbe augurare che, quando questo numero di « Nord e Sud» sarà messo in circolazione, avremo il nuovo Presidente della Repubblica. Ma nel momento in cui scriviamo, alla vigilia del 9 dicembre, non è dato prevedere quanto potrà durare la lotta per eleggere il nuovo Presidente; né è dato prevedere come questa lotta p·otrà concludersi. Sembra giusta comunque l'amara cons'tatazione cui si è lasciato andare Indro Montanelli in un articolo pubblicato sul « Corriere » del 7 dicembre: che, cioè, « tutte le nostre operazioni politiche » sono venute assitmendo « un carattere di 'palazzo ' ». E certamente il periodo che ha preceduto ed ha incubato gli scontri che si preann.unciano per i prossimi giorni, fra candidati concorrenti che aspirano a salire al vertice della Repubblica, è stato avvelenato da comportamenti propri. di una classe dirigente che « si isola e si apparta » e quindi tende a costituirsi in « corporazione fine a se stessa», dilan.iata da « risse » e « rivalità intestine » che si fanno tanto più furibonde quanto più vengono meno, nella « claustralità », i contatti ed i collegamenti con la pubblica opinione: la qu.ale, come ha scritto Arrigo Benedetti sul « Mondo » della settimana prima, guarda ai grandi elettori di Montecitorio « con severità e forse con ostilità ». Arrigo Benedetti ne deduce giusta1nente che « sarebbe rischioso » se, per scegliere il Presidente, occorressero, questa volta come sette anni or sono, 13 giorni e 21 votazioni. Noi vorremmo aggiungere, tuttavia, che sarebbe comun.que grarl ven,tura se dopo 13 o dopo 23 giorni si riuscisse ad eleggere un Presidente che, come quello eletto sette anni or sono, sappia assolvere al suo mandato con discrezione e con fermezza, con alto senso dello Stato e con altrettanto senso delle tradizioni dalle quali l'Italia ricava la sua vocazione di mo_derno paese europeo, con fedeltà alla Costituzione repubblicana e con attenzione scrupolosa ai problemi che travagliano il corpo sociale di un paese che vuole crescere. Sarebbe gran ventura, cioè, se al Quirinale p·otesse insediarsi un altro Saragat: un Presidente non soggetto alle tentazioni chè in vario modo hanno subìto altri Presidenti, come Granchi, il cui settennato è associato al ricordo di Tarnbroni, o come Segni, la cui permanenza al Quirinale consentì, se non incoraggiò addirittura, le congiure del generale De Lorenzo. Detto questo, nell'ai1:gurio ché Saragat abbia un degno, successore e che la lotta per questa successione non abbia a risolversi in un ulteriore 3 Bibiiotecaginobianco

Editoriale deterioramento della situazione politica del paese, con grave pregiudizio delle residue possibilità di recuperare le condizioni della stabilità politica e dell' equ.ilibrio dernocratico, dobbiamo però fissare ben chiaramente il quadro econ.omico e sociale che sta davanti a noi; e renderci conto della gravità dei pericoli di collasso e di sconquasso che incombono sulla nostra democrazia. Certo, la scadenza delle elezioni presidenziali ha la sua importanza; e per quanto concerne l'intreccio delle trattative per evitare il referendum contro il divorzio, non saremo certo noi a sottovalutarne l'interesse politico: ma l'uno e l'altro non esauriscono la nostra attenzione di osservatori, né la nostra ansia per il prossimo futuro del paese, perché sono i problemi economici e finanziari che oggi più che mai si configurano carne il banco di prova della nostra democrazia e in particolare dei partiti democratici che concorrono a f armare la maggioranza di centro-sinistra. L'impegno di affrontare coerentemente i problemi di una crisi di congiuntura che sta degenerando in crisi di struttura dell'economia italiana non può essere eluso, e nemmeno rinviato, se si vuole che i disoccupati diminuiscano e non aumentino, come già vanno aumentando ( e non solo nel Sud). È un impegno che si richiede anzitutto ai partiti di centro-sinistra, ma la cui importanza ed urgenza sembra sia stata finora sottovalutata proprio da questi partiti (con la sola eccezione dei repitbblicani). D'altra parte, il pericolo di un ulteriore e forse irrimediabile deterioramento del quadro economico e sociale che sta davanti a noi si accompagna al pericolo di uno sbandamento a destra del ceto medio, e non soltanto del ceto medio. I sintomi di questo sbandamento sono già riconoscibili nei risultati elettorali del 13 giugn,o 1971; e sono riconoscibili, altresz, nel clima di sempre più morbosa radicalizzazione politica che, nelle scuole e nelle università, incrementa la circolazione di tossine fasciste. Ora, se si vitale fronteggiare questo pericolo, per un verso si deve fronteggiare l'altro e creare le condizioni di un'effettiva ripresa dello sviluppo economico; e per un altro verso si deve prendere coscienza degli errori che i democratici si sono ostinati a commettere. Fra questi errori, ve ne sono che hanno provocato situazioni molto minacciose e con le quali siamo ora chiamati a fare i conti per evitare che ne derivino contraccolpi tali da indebolire irrimediabilmente la capacità della democrazia repubblicana di crescere, o magari soltanto di durare: la « liberalizzazione » degli accessi all'università, per esempio, è stata realizzata in modo quanto mai enfatico e grossolano, improvvisato ed imprevidente; onde la dequalificazione delle lauree e la disoccupazione dei laureati. 4 Bibli0~ecaginobianco

I Editoriale Tan.to più minacciosa, quest'ultima, in quanto si viene ad iscrivere, con la sua curva rigidamente ascendente, in u11 quadro che è caratterizzato dalla caduta dei livelli generali di occupazione e dall'arresto degli investimenti. Si sta formando così, specialmente nel Mezzogiorno, dove già imperversa la piaga del sottoproletariato, una piaga della s'ottoborghesia. Questa sottoborghesia, appunto, può diventare un serbatoio di voti estremisti, di estrema destra più facilmente che di estre1na sinistra; e, più in generale, questa sottoborghesia si configu,ra già come itna pericolosa polveriera cui il sovversivismo di destra potrebbe appiccare il fuoco. In pari tempo, il sovversivismo di estrema sinistra - ·in quanto non contrastato, ma subìto, dai partiti democratici - apre a sua volta sempre nuovo spazio alla reazione di estrema destra. Quando si spingono o si trascinano in piazza i ragazzini delle scuole medie, come si ritiene che possa11:oreagire i padri di questi ragazzini? Addebitando alla polizia le colpe che alla polizia milanese ha addossato l' on. Mosca del PSI, o votando a Milano, nel 1973 o prima del 1973, come hanno votato a Catania 11el 1971 tutti coloro che in questa città hanno concorso a for1nare itna 1naggioranza per il MSI? Si provveda pure, dunque, ad organizzare marce e raduni antifascisti, ma si cerchi di ristabilire un contatto ed un collegame11to tra la classe politica e gli strati di pitbblica opin.ione che risultano più corrivi ad una disaffezione dalla democrazia e che sen1brano essere diventati più larghi e più spessi di quanto non lo fossero già nell'estate del 1971, quando è suonato il can1panello d'allarme del 13 giugno; si cerchi di rilan,ciare la produzione, gli investimenti, l'occupazione; si cerchi di restituire ai cit, tadini la tranquillità della vita quotidiana e dell'attività professionale, l'una e l'altra turbate di continuo da irragionevoli manifestazioni di velleitario ed estetizza11te rivoliLzionarismo; si cerchi di mettere riparo, dove e come possibile, ai troppi errori comn1essi con una precipitosa ed enfatica attività legislativa, inquinata da intenzioni de1nagogiche o da cedimettti corporativistici; e si cerchi soprattutto e comunque di governare questo paese, che chiede appunto di essere governato: nella legalità e nella libertà, ben sapendo che l'illegalità è sempre attentato alla libertà e che la legalità non sarebbe sostanzialmente tale qualora dovesse co111.- portare il prezzo di un'eclissi della libertà; eclissi in.evitabile se le cose dovessero continuare ad andare come sono andate negli ultimi anni. 5 Bibiiotecaginobianco

Il PCI scopre l'Europa di Ennio Ceccarini: Procedendo per vie quasi sempre determinate a posteriori, ma comunque con una sorta di inevitabile indirizzo verso le chiarificazioni realmente necessarie, anche i comunisti italiani sono pervenuti ad affrontare - in un convegno di studi che aveva il caratteristico tono ufficiale della presa di posizione politica - il tema del loro « inserimento » nell'Et1ropa e della ]oro politica europea. Il convegno - che si è tenuto a Roma dal 23 al 26 novembre e che ha visto seriamente impegnati esponenti del calibro di Giorgio Amendola, Silvio Leonardi, Nilde J otti, nonché una parata delle « teste » più brillanti e più attrezzate al revisionismo di cui disponga il PCI (eccezione patetica, i1 vecchio Gian Carlo Pajetta, ridottosi a cantare le laudi dei cattolici irlandesi contro l'Inghilterra democratica ed « europea ») - non ha avuto una grande accoglienza. Alla destra e al centro è stato svalutato come prova strumentale dell'insidia del PCI nell'area del potere nazionale italiano, e quindi come pericoloso camuffamento di una forza che punta all'eversione del sistema democratico italianò ed europeo; alla estrema si11istra (in particolare tra gli implacabili ce11sori del « Manifesto ») è stato bollato come prova della definitiva « borghesizzazione » e resa del PCI al sistema capitalistico ed alle sue consolidate strutture oligopoliche et1ropee. In realtà il convegno organizzato dal CESPE non è stato né l'una né l'altra cosa. Si è trattato di un'iniziativa mossa da ragioni oggettive e perciò serie (fare politica in questa Europa), ma svolta con immaturità, approssimazione, contraddizioni, velleitarismo politico. Un'occasione perciò interessante, da non sbrigare con brevi quanto inintelligenti battute, ma da riprendere in mano con attenzione, allo scopo di mist1rare, su un terre110 cl.i primaria importanza, la quantità e la qualità del ritardo del PCI, in termini di « contenuti », di una politica democratica moderna. Di per sé è, del resto, già estremamente rilevante il fatto che una forza come il PCI si sia risolta ad affrontare il tema della politica europea polemizzando e contraddicendo le dure, persistenti, residue ostilità di altri partiti comunisti et1ropei: primo fra tutti 6 Bibirotecaginobianco

, Il PCI scopre l'Europa quello francese. Segno, qt1esto, che il « blocco » comunista operante nell'Europa occidentale è rimasto, dopo venti anni di opposizione, scompaginato e battuto dall'Europa con11tnitaria, tanto da doversi dividere, sui temi del proprio internazionalismo e della propria comune strategia sovranazionale. Ma non è per contare morti, feriti e dispersi nel campo avversario che si discute il convegno comunista sull'Europa. La sua importanza è diretta, non riflessa, e va direttamente valutata. L'obbiettivo principale del convegno è stato definito con brevi parole da Giorgio Amendola all'inizio della sua relazione introduttiva: « l'Italia - ha detto - è attualmente paese membro della Comunità economica europea. I comunisti che votarono contro i trattati di Roma, nella consapevolezza della loro responsabilità di partito di goverrio, clie si fa carico dei problenii nazionali, dichiarano di non proporsi l'obbiettivo di una rottura dei trattati di Ro1na, ma quello di una loro revisione, per realizzare una trasformazione democratica della comunità». Gli elementi essenziali di questa dichiarazione sono individuabili chiaramente: 1) il partito comunista è partito di governo (non al né del governo; la fraseologia di Amendola ricorda alcune delle formulazioni usate all'ultin10 congresso repubblicano); 2) in quanto tale è un partito di riforma, della società nazionale come delle istituzioni europee; 3) in questa sua realtà di forza non più in contrasto e in cieca contrapposizione, vuole operare all'interno e non più all'esterno della realtà politica .europea; 4) questa decisione di realismo sul terreno concreto dell'Europa si articolerà in ulteriore « offerta» di modernità e di « attualità» all'opi~ione pubblica italia11a per ottenerne nuovi suffragi e nuove investiture. Il PCI, dunque, da partito della più ottusa contrapposizione all'Europa, a partito della riforma e della democratizzazione delle istit11zioni europee. Il salto, francamente, è grande. Vogliamo far credito al PCI della seria intenzi_one di effettuarlo; non possiamo non rilevare che si è concluso con una caduta fuori pedana. Muoviamo dall'analisi delle indicazioni malgrado tutto positive contenute nel convegno. Sono essenzialmente indicazioni autocritiche, ma non per questo meno interessanti. C'è, come già si diceva, il superamento del dogmatico steccato dietro il quale si attardano altre.forze comuniste europee filo~sovietiche (il PCF, ma anche i comunisti belgi e quelli bri_tannici, per poca cosa che siano), c'è l'ammissione che la .realtà politica e strutturale dell'Europa occidentale è, per così dire, storicamente « data » e non « imposta » dal 7 Bibiiotecaginobianco -

Ennio Ceccarini fantasma capitalista, c'è il « sì » all'integrazione comunitaria, c'è la convinzione che l'esistenza della CEE non è:di per sé contraddittoria con la campagna per la sicurezza europea, c'è perfino un certo antiamericanismo più di maniera che di sostanza (malgrado le esagitazioni verbali del vecchio Pajetta). Plaudire a questi « progressi » può far sorridere democratici ed europeisti che hanno certe regole nel loro bagaglio ideologico e politico da venti anni. Sentire il PCI che annuncia la scoperta dell'Europa fa ugualmente sorridere. Pure, se si riflette al duro peso negativo che la forza comunista ebbe nella battaglia europea, ai guasti che produsse colludendo oggettivamente con la componente gollista, e se si riflette all'importanza che avrebbe una revisione sostanziale in quella forza ai fini della battaglia europea da condurre oggi contro l'elemento nazionalista sempre minaccioso e ricorrente, allora si deve pur riconoscere che ogni passo avanti, ogni autocritica del passato anti-europeo fatta dal PCI, ci interessa, desta la nostra attenzione e merita la nostra considerazione. Giustificato si deve ad esempio definire il richiamo - sollevato soprattutto negli interventi di Silvio Leonardi e di ~Tilde Jotti - alla necessità di democratizzare le strutture europee. Si potrebbe anche qui osservare che non è un richiamo nuovo, che appartiene alla migliore e più ·viva tradizione europeistica, ma non si può contestarlo. Positiva va considerata anche la proposta di convogliare la forza delle organizzazioni comuniste per consentire la democratica elezione del Parlamento europeo. Ma il fatto è che questo insieme di autocritiche, di mosse in avanti, di riconoscimenti e di pro .. messe, non si connette in una proposta di lungo raggio e non va a fondo della materia europea. Questa è ammessa come condizione dell'agire, ma non «posseduta» a fondo come familiare conoscenza. La lunga estraneità alla storia delle istituzioni europee porta il PCI a muoversi quasi se11za conoscere le regole del gioco, a mescolare in un curioso sincretismo vecchi elementi e nuove esigenze, promesse di realismo e proposte massimalistico-utopistiche, impegni nuovi e vecchi abiti mentali che la realtà europea, quale ormai tutti (inclusi i comunisti che si decidono a farne conoscenza) dobbiamo accettare, non sopporterebbe minimamente. Curioso ed esemplare, da questo punto di vista, l'atteggiamento che i comunisti hanno preso in materia di unanimità nelle decisioni del Consiglio dei ministri della CEE. La Jotti nel discorso al convegno ha continuato a difendere questa regola e a difenderla incurante della contraddizione in cui si poneva con quanto da lei stessa 8 Bibiiotecaginobianco

Il PCI scopre l'Europa sostenuto circa la necessità di democratizzare le strutture comunitarie. Se queste vanno democratizzate - e non vi sono dubbi sulla necessità di tale operazione - bisogna estendere la democratizzazione al vertice, eliminando lo scomodo ed antidemocratico principio della u.nanimità, grande scudo protettore di tutte le manovre nazionalistiche ai danni della democrazia europea. L'oratrice - come scriveva giustamente Francesco Brancoli Busdraghi sulla « Voce repubblicana » del 27 novembre - si mostrava, dopo la petizione di democrazia· contenuta nella parte iniziale del suo discorso, « assai gelosa delle sovranità nazionali e degli interessi particolari ». Ma attraverso la Jotti è il PCI che parla e la sua voce evoca ancora accenti particolaristici, nazionalistici. Altra caduta del convegno, quella sull'indirizzo futuro delle strutture comunitarie. Su questo punto occorre dire che la reticenza è maggiore dell'incoerenza. È quella filosofia del « volere e non volere », rievocata opportunamente così da Brancoli Busdraghi (nell'articolo citato) come da Garosci sull'« Umanità» del 30. novembre, quel porsi a mezzo, senza scegliere un disegno preciso e i sacrifici che la scelta comporta. Per Amendola non è ben chiaro cosa debba essere la CEE, una volta ammesso che non è più un'unione doganale e non è ancora una unione economica. Il leader dell'europeismo comunista italiano parrebbe accontentarsi di qualcosa che fa·cesse da pendant in Occidente al COMECON orientale. Ma, a parte le infinite differenze storiche, politiche, di costume tra le due aree e le due opposte forme di aggregazione economica, c'è ancora una volta una patente contraddizione tra fine proclamato e strumento proposto. Se il fine, in effetti, è la democratizzazione, l'allargamento su base « partecipatoria » di quanto strutturalmente è stato costruito in buropa occidentale, come può essere utilizzato lo strumento, peraltro confusamente suggerito da Amendola e dalla Jotti, di una CEE mantenuta nettamente al di qua di una politica « comune » e « sovranazionale », nel regno ibrido della cooperazione economica tra nazioni munite di ferrei, reciproci diritti di veto? Il fiato corto della ispirazione europea viene fuori quando, come in questo caso, il PCI deve affrontare la fisionomia dell'Europa futura e indicare il modello alternativo, le concrete scelte da compiere per disegnare quella fisionomia. Allora il discorso comunista oscilla tra il vecchio nazio11:alismo ai togliattiana memoria ( tenacemente connesso, peraltro, con l'altro mito ideologico delle « vie nazionali al socialismo ») e il generico internazionalismo speso attraverso il non originale conio della « Europa dall'Atlantico agli Urali ». 9 Bibiiotecag inobianco

Ennio Ceccarini L'Europa politica, infatti, che il PCI h~ mostrato di concepire e su cui ha esercitato qualche sforzo di definizione in più, sarebbe, sempre per dirla con Amendola, « l'Europa che abbiamo studiato a scuola, tutta l'Europa, come è delimitata dai suoi confini geografici, dall'Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Mediterraneo ». E se1npre Amendola 110n ha recitato questa definizione come ammiccante utopia libresca bensì come possibile obbiettivo politico a medio termine, i cui passi intermedi sarebbero rappresentati dall'avvio di una più stretta cooperazione tra CEE e COMECON e dalla conclusione, dopo l'omonin1a co11ferenza, di un patto sulla sicurezza europea. È stato rilevato giustamente che se nel periodo del cieco rifiuto comunista dell'Europa, questa visione poteva far sorridere o poteva essere liquidata con la meritata accusa di demagogia, oggi che il PCI intende porsi sul terreno di un dialogo concreto sulle « cose europee », non fa neppure più s9rridere, poiché rappresenta una fuga nell'astrazione dopo il riconoscimento della realtà di quelle cose. Si tratta insomma di un vizio ben duro ad estirparsi, ma contro il quale converrà spendere qualche dimostrazione ulteriore. Amendola parla di una cooperazione tra CEE e COMECON, come premessa ad una superiore integrazione di tutta l'Europa che « abbiamo studiato a scuola»: bene, risolva allora il problema che gli sottopone in un, come sempre, lucido editoriale di « Europe », Emanuele Gazzo: « questa cooperazione - scrive Gazzo sulla agenzia citata, del 23 novembre - esigerebbe, per essere veramente totale, che i prodotti provenienti dal Mercato comune potessero essere importati e venduti in ciascun paese membro del COMECON, come se fossero originari di un altro paese dello stesso COMECON, o almeno in condizioni comparabili. Basta formulare questa ipotesi per rendersi conto che essa appartiene al regno dell'utopia ». In effetti l'URSS 110n potrebbe tollerare un rapporto di armonizzazione delle condizioni di mercato tra MEC e COMECON, perché salterebbe in aria, in poche battute, tutto il suo impero economico. Ma allora di quale cooperazione dobbiamo parlare, visto che quella su base paritetica, per necessità oggettive interne al sistema sovietico, non è proponibile? Ed ancora: Amendola propone l'elezione a suffragio diretto del Parlamento europeo. Ma come dovrebbe essere eletto e, per conseguenza, quale carattere democratico dovrebbe avere l'istituzione politica prima dell'Europa unita vagheggiata dal PCI? Non è una domanda provocatoria né comiziesca. Si tratta semplicemente di porre 10 Bibiio.tecaginobia.nco

I Il PCI scopre l'Europa i comunisti dinnanzi alla evidente utopia ed alla palese contraddit-- torietà demagogica delle loro sortite internazionalistiche. ~en debole, su questo terreno, la presentazione di forza « di governo » pretesa da Amendola a sigillo del convegno romano. Ma no11 si fermano qui i rilievi di irrealismo e contraddittorietà. Il PCI - è da supporlo - si occupa finalmente della integrazione europea anche a causa del travaglio ideologico cui lo han110 sottoposto le n1olte prove dell'imperialismo sovietico. Sarebbe, cioè, perfettamente logico che l'approdo ad u11a concezione at1tonoma del proprio rapporto con l'Europa comunitaria prover1isse dalla sfiducia nel modello « europeo » prodotto ed imposto dal PCUS (la teoria della sovranità limitata, in altri termini). Sarebbe ancora logico che il PCI concepisse (qui oltretutto in accordo con gli interessi nazionali all'indipendenza del nostro paese, che esso pretende di difendere più di ogni altro partito) un'Europa democratizzata e aperta a « sinistra » sì, ma collocata in un sistema di eqt1ilibri internazionali tali da lasciarla al riparo dalla dottrina della sovranità li1nitata. Invece, per concretarla in pochi punti, ql1al'è la concezione del PCI? Gli elementi essenziali si possono così riassumere: 1) una realtà istituzio11almente divisa tra un Parlamento a elezione diretta, campo di manovre e propaganda, ed un esecutivo bloccato nello sviluppo delle politiche « comuni » (unica misura della crescita sovranazionale europea); 2) una realtà politicamente scioglientesi, in n1aniera progressiva ma sicura, in una utopistica fusione con un sistema politico-econ.omico diametralmente opposto, e con l'esclusione definitiva degli Stati Uniti d'America dalla propria sfera di alleanze. In base a questa visione - e se non è esatta, si affrettino i co~ 1nunisti a precisarne un'altra - l'Europa è destinata a scomparire come forza che gioca un ruolo nell'equilibrio internazionale e anzi, poiché tale ruolo è, in attesa della costruzione sovranazionale, legato alla garanzia politico-militare americana, inevitabilme11te destinata a scomparire del tutto. D'altro canto l'ipotesi non è di quelle che sconvolgano gli << europeisti » del PCI, tanto è vero cl1e, facendo un bilancio del convegno del CESPE, Luca Pavolini, sull'« Unità» (30 novembre) difendeva « una prospettiva che, partendo dalla concreta sitt1azione di oggi, assicuri al continente un avvenire coesistenziale nel quale ogni paese sia in grado di determi,zare il proprio assetto secorzdo i propri interessi e le proprie scelte». Ecco l'eredità dell'interesse nazionale unita .alla visione della via nazionale al modello socialista; ecco la finta concretezza che si prolunga nella più inverosimile illusione quando (citiamo la ~tessa fonte) propone che 11 Bibiiotecaginobianco

Ennio Ceccarini « questa fetta d'Europa ... si inserisca in un b~n più ampio processo di cooperazione continentale e di apertura verso le nuove realtà di quella sconfinata parte del mondo che sta duramente lottando per la propria emancipazione politica ed economica». Cioè l'avvenire dell'Europa, di questa Europa che i comunisti hanno finalmente deciso di incominciare a capire per incominciare a muovercisi realisticamente, dovrebbe consistere in un impreciso «inserimento» nelle tante, diverse e litigiosissime realtà del socialismo e del Terzo mondo. Valeva la pena di fare un convegno internazionale, di mobilitare il meglio del partito in fatto di competenza europeistica per approdare a questa brillante conclusione? Ci pare dunque che la conclusione di queste note possa legittimamente riallacciarsi a quanto affermavamo al principio: che cioè non sono in dubbio lo sforzo e l'onestà del PCI di volersi occupare finalmente di Europa, ma che i suoi modi al riguardo ci sembrano altissimamente contestabili. C'è un gravissimo limite nella posizione comunista in materia d'Europa: quello di porsi all'interno di una realtà concreta, riconoscerla per tale, ma suggerire un'assurda ed irrealistica linea d'intervento su tale realtà. Questo è, senza mezzi termini, favorire il nemico. Il dibattito tra i poli della sinistra, franco, duro e spregiudicato, trova perciò un nuovo scoglio in questa ulteriore incapacità comunista di aderire fino in fondo alla logica della realtà. Ma data la capacità d'aggregazione che il discorso comunista riesce ad avere su altre voci del dibattito politico (pensiamo alla eterna sinistra cattolica, alle sue nostalgie della « grande Europa », alle sue polemiche contro la sinistra brandtiana) non è neppure troppo pessimistico temere che l'impegno comunista sull'Europa possa tradursi in ulteriore freno ed equivoco nella sitt1azione italiana, per tanti altri versi compromessa. ENNIO CECCARINI 12 Bibiiotecaginobianco

I partiti tra il divorzio e il referendum I di Giulio Picciotti * Le elezioni del 13 gi11gno, segnando una perdita di voti della Democrazia Cristiana in favore del MSI, diedero luogo nella stessa DC a molte preocct1pazioni, che la prospettiva del Referendum accrebbe. « Si avverte - scrisse Alberto Sensini sul « Corriere della Sera » - l'estremo imbarazzo della DC che non potrà intervenire come partito in ,nodo ufficiale -- quante volte negli vtltimi anni è stata sottolineata la raggii,nta ' laicità ' di quel partito - ma avrà certo difficoltà a resistere alla pressione di una parte della base: soprattutto dopo il successo elettorale del NJSI, che si è aittoproclamato ' def ensor fidei ' ». . Ci fu, in\ 1ece, chi nella DC non ebbe dubbi, come, ad esempio, l'on. Arnaud, fanfaniano, che in una dicl1iarazione affermò: « il mondo cattolico o lo guidiamo noi o rischiamo di abbandonarlo agli oltranzisti che puntano su un fascismo clericale di massa ... Il referendum non l'abbiamo favorito, ma se ce ne lavassimo le mani faremmo itn regalo all'on. Almirante ... »; non possiamo « spalancare ai missini le porte delle parrocchie ». Era probabilmente la stessa ragione che aveva mosso il segretario del partito on. Forla11i ad apporre la firma, in vista delle elezioni del 13 giugno, alla richiesta degli antidivorzisti per il Referendum. Ma la DC era tutt'altro che u11ita, anche se il peso delle forze integraliste era preponderante. Opposto a quello di Arnaud, ad esempio, era il giudizio della on. Maria Eletta Martini, in una dichiarazione al1' « Europeo »: « Sono contraria al Referendum che, a mio parere, rappresenta un modo di coartare la volontà espressa dal Parlamento; Camera e Senato hanno voluto il divorzio? Nessuno più di n1e ne ha sofferto. Ma da questo a voler trasferire direttamente al paese il diritto di decidere, ci corre una gran bella diff erenZ;a. Come parlamentare non posso accettare l'idea che il paese neghi ciò cl1e il Parlamento ha sancito ». Il periodico della corrente DC di Base, « Politica », condannò duramente come « non giustificabile » * Questo articolo corrisponde all'ultima parte del saggio Referendum, divorzio, concordato, con prefazionè di Giovanni Ferrara, edit. « Rassegna repubblicana» di \'erona, di in1minentc pubblicazione. 13 Bibiiotecag inobianco •

Giulio Picciotti l'atto compiuto da Forlani, il quale, si sostenne,. avrebbe dovuto tener conto che nell'apporre la propria firma aveva implicato tutto il partito. A questo punto interve11ne la risposta del PCI all'« Osservatore romano », con un editoriale su «l'Unità». « Noi non dubitiamo - vi si affermava - che coloro i qual-i hanno firmato siano nella immensa maggioranza persorze in perfetta buona fede. Naturalmente occorre vedere con quali arg·omentazioni e con quali spiegazioni è stata chiesta la firma per il referendum ». « SaJJpiamo bene - aggiungeva « l'Unità » - che è stato scritto dal qi,totidiano vaticano che la Chiesa ha assunto un atteggiamento di non ingererzza, che tale atteggiamento era doveroso ... ma non è mistero l'attività di molte diocesi e sacrestie; ed è evidente che non è certo quel tal Lombardi ad aver raccolte le firme. Qui c'è dietro un' organizzazione ramificata e potente ». Ma, a quali conclusioni giungeva quell'editoriale de « l'Unità»? Giungeva all'offerta e.li una trattativa, senza precisare q·uali fossero per il PCI i punti fermi irrin~nciabili di contenuto laico. « Se nulla interverrà per evitarlo - concludeva l'articolo - il rei erendum si dovrebbe tenere tra un anno. Vi è spazio per un'ampia iniziativa politica che tenga fermo un punto essenziale: ed esso è che nel formarsi stesso della esperienza democratica italiana e in ogni forma di lotta è stato e rimane essenziale lo schieramento il più largo ed unitario d'i tutte le forze democratiche laiche e cattoliche. Anche su una questione come quella del referendum ciò non solo è necessario, ma è possibile ». Da parte laica si rispose alla presentazione del milione e 300 mila firme per il Referendum con fermezza. Il liberale Antonio Baslir1i notò « con grande amarezza l'arretratezza di tanti italiani» che non hanno compreso come « il divorzio è pur sempre l'istituto di una società fondata sitlla famiglia ». II vice segretario del PRI, Adolfo Battaglia, affermò, in una dichiarazione all'agenzia AdnKronos: « Non 1;edo perché i laici dovrebbero essere più preoccupati della DC e affannarsi a trovare soluzioni che spetta anzitutto alla DC indicare. Mi pare orribile la sola idea che si possa giungere a un baratto segreto dello Stato con la Chiesa basato sitllo scambio tra una cattiva revisione del concordato e l'abbandono del sostegno alla campagna contro il divorzio ». « Il nodo dei problemi che la questione del referendun1 oggi pone - aggiungeva Battaglia - non può essere risolto con un ricatto: i laici debbono essere fermi nel porre questo nodo alla DC 14 Bibiiotecaginobi~nco

I partiti tra il divorzio e il referendum e alla Chiesa e nel pretendere che la DC anzitutto scelga, seriamente, nella dimensione storico-politica, propria del problerna e dei rapporti con la Chiesa che ad esso sono connessi .. Quando la DC avrà scelto e impegnato un vasto dibattito all'interno del mondo cattolico e all'interno della Chiesa i laici potranno intervenire. Ma per ora a noi non resta che accettare la battaglia così come è, cercando di vincerla ». « Occorrerà molta prudenza, saggezza, intelligenza da parte di tutti ---:-affermava da parte sua l'on. Compagna - per evitare che all'indomani del referendum ci si ritrovi con un 'Tevere troppo stretto' ». È un giug110 carico d.i avvenimenti. La Corte Costituzionale emette la sentenza che conferma la costituzionalità della legge sul divorzio. Nel dispositivo della sente11za, che sarà pubblicato 1'8 luglio, si afferma che « con i Patti laterartensi lo Stato norL ha assunto l'obbligo di non introdurre nel suo ordinamento l'istituto del divorzio ». La legge sul divorzio 110n modifica neppure i Patti laterane11si per quello che attiene al quarto comma dell'art. 34 del Concordato, poiché essa non sottrae ai tribunali ecclesiastici la giurisdizione sulle controversie relative alla nullità originaria del matrimonio concordatario (che è cosa ben diversa dalla successiva cessazione dei vincoli civili derivati con la trascrizione). In linea di principio la Corte affermava così solen11en1ente che « nell'ordinamento statale il vincolo matrimoniale con le sue caratteristiche di dissolubilità o di indissolubilità nasce dalla leg·ge civile e da essa è regolato ». Le reazioni da parte cattolica furono durissime. L'« Osservatore Romano » del 30 giugno giu11se a ventilare la internazionalizzazione della vertenza: le decisioni della Corte avrebbero un valore solo interno, italiano: sul piano internazionale - si affermò - i patti sono stati infra11ti. La rivista dei Gesuiti « Civiltà Cattolica », con un articolo di padre Lener sostenne che la decisione della Corte era stata presa « con eccezionale rapidità » e che l'« aver precipitato il sito giudizio così poco giuridicamente f andato g·enera il sospetto, largamente echeggiato sulla stampa, di •una volontà politica che lascia fortemente perplesso chiunque sia educato a vedere nella Costituzione, la casa comune degli italiani, e nel suo prestigio costituzionale, org·ano di superiore ed imparziale giustizia. Pur riservandoci di tornare con maggiore ampiezza e libertà di esame sulla controversia interpretativa non possiamo tacere - ag15 Bibiiotecaginobianco

GitLlio Picciotti giungeva padre Lener - anche in sede di crona~a, che questa sentenza non ci amareggia come cattolici, ma come italiani, mentre come giuristi abituati a rispettare ogni opinione oggettivamente motivata, non potrebbe deluderci di più. Sappia1no bene che le sentenze che decidono negativamente una questione di illegittimità costituzionale non ' fanno stato ', non precludono cioè la proposizione - per altri motivi nello stesso giudizio e pure per gli stessi motivi in giudizi diversi - della stessa questione. C'è da augurarsi pertanto che con più profondo ed adeguato esa1ne la Corte costituzionale voglia rivedere questa prima e troppo precipitata sua decisione ». Il 1 ° luglio, nella relazione al Co1nitato Centrale del PCI, il vice segretario Berlinguer affermava: « noi abbiamo fatto di tutto per evitare il co11fiitto. Vogliamo ancora fare di tutto perché sia possibile evitarlo. Ma se ciò sarà reso impossibile, se alla battaglia si arriverà, la combatteremo co11 tutto il nostro impegno, affinché si concluda con la vittoria)}. Berlinguer lamentava poi che mentre in un primo momento « se1nbrava che negli stessi rapporti col vertice della Chiesa, f asse possibile individuare il terreno della revisione del Concordato come il più adatto a superare la stessa questione del divorzio », la sopravvenuta richiesta di Referendum rischiava di creare « un clima sfavorevole allo svolgimento della trattativa ». Cosa significava in concreto l'affermazione di Berlinguer: « vogliamo ancora fare di tutto » per evitare il Referendum? Il vice segretario del PCI aveva individuato il terreno della revisione del Concordato, ma questa avrebbe sig11ificato la rimessa in discussione del divorzio?· E ancora, come il proposito del PCI si sarebbe venuto a collocare i11 rapporto alle forze interne alla DC? E in quale correlazione sarebbe stato posto il problema Referendum, all'interno della strategia del PCI, rispetto alla scadenza dell'elezione presidenziale in dicembre? Gli interventi in quel dibattito al Comitato Centrale misero in luce una fondamentale incertezza su tutti questi punti. Lucio Lombardo Radice affermò che esistevano limiti ben precisi alla trattativa: « la vera contrapposizione - disse - è oggi tra coloro che vogliono conservare l'introduzione del divorzio e quelli che la ·vogliono abrogare ». Ma la voce di Lombardo Radice rimase isolata. Adriana Seroni, responsabile del movimento femminile, sostenne 16 Bibiiotecaginobia_nco

, I partiti tra il divorzio e il referendum che « la costruzione di u11a intesa più generale con le masse cattoliche esige C'he venga approfondita la comune riflessione sui problemi dello Stato, dei suoi rapporti con la Chiesa, e della famiglia e del costume ». Affermazione, questa, che significava la rimessa in discussione non solo della legge, ma di tutta la questior1e del divorzio. La Jotti volle invece distinguere all'interno del n1ondo cattolico « uiia parte schierata su posizioni più progressiste » da un lato, una parte « su posizioni più fanatiche » dall'altro. Ma quale è il rapporto tra questo mondo cattolico e la DC? L'oltranzismo cattolico, nota la Jotti, si lega sul piano politico con le forze integraliste della DC: « Non è per caso che a fianco della più estrema destra della DC, in quel partito siano schierati per il Referendum, puntualmente, uomini e gruppi fanfaniani: gli alfieri dell'integralismo democristiano ». Nelle parole della J otti c'era già il riflesso critico verso quella linea di tendenza, che avrebbe manifestato il PCI in seguito, favorevole ad una verifica se la candidatura Fanfani al Quirinale sarebbe valsa a bloccare, attraverso un impegno delle più alte gerarchie cattoliche, il Referendum. La Jotti, comunque, condusse il suo attacco più a fondo, verso tutta la strategia del PCI,. quale era stata condotta da Berlinguer: « Occorre riconoscere che il nostro partito, sotto l'esigenza di co11creti problemi posti dalle riforme, ha perduto negli ultimissimi anni, nel linguaggio, ma forse ancor più nel modo di affrontare i problemi, parte della sua capacità di porli come problemi non di classe soltanto, ma di tutto il paese, nazionali ». Le incertezze all'interno del PCI non si fermavano qui. Contemporaneamente al Comitato Centrale, « Rinascita» pubblicava un editoriale del suo direttore Alessandro Natta, in cui si affermava: « la legge sul divorzio deve rimanere ferma: il che non significa che l'esperienza non possa dettare ragionevoli modifiche della legge oggi in vigore ». Ma, a pochi giorni di distanza, l'offerta diveniva ben più ampia. Lo stesso Natta, il 23 luglio, in una conferenza a Firenze affermava tutta l'insofferenza del PCI verso la battaglia per l'introduzione del divorzio in Italia, alla quale, sotto la spinta delle forze di democrazia laica, il PCI non aveva potuto sottrarsi, e che aveva infine appoggiato con il voto in Parlamento, ma verso la quale continuava a conservare il giudizio di « battaglia borghese», perché non incidente sulla struttura dei rapporti economici e di classe, ma soprattutto perché poneva un confronto civile su un tema sul quale le masse cattoliche, o meglio confessionali, e quelle comuniste, avrebbero finito per divergere. Il divorzio, cioè, avrebbe 17 Bibiiotecaginobianco

Giulio Picciotti rappresentato un elemento avverso rispetto alla strategia del dialogo, poi dell'incontro, tra cattolici e comunisti, ·da condurre avanti senza alcun riguardo per i problemi della laicità dello Stato. A Firenze Natta affermò che « per quel che riguarda il divorzio, se non si f asse lasciato andare avanti il dibattito, forse nella presunzione di poterlo bloccare in qualche modo, se si fosse, cÒn tempestività, avviata una trattativa per la revisione del Concordato, probabilmente non ci saremmo trovati nel '70 in una stretta pericolosa e non ci troveremmo oggi di fronte alljeventualità del Referendum ». Di qui, concluse Natta, « è evidente il rilievo che può assumere la trattativa con il Vaticano, la ricerca di una soluzione per ciò che riguarda il matrimonio concordatario ». È su questa posizione, come vedremo, che si inserirà la proposta di Andreotti. Frattanto il Consiglio Nazionale repubblicano, il 19 luglio, in un documento affermava che di fronte alla mobilitazione antidivorzista per il Referendum, la difesa del voto del Parlamento sul divorzio richiedeva « una decisa, convinta e sicura volontà » delle forze laiche, « da estrinsecarsi nel modo più efficace e corretto costituzionalmente ». Veniva, ad esempio, non considerato rispondente al fine il progetto Scalfari, perché non conseguibile con legge ordinaria. Veniva, in sostanza, espresso un giudizio negativo su strumenti diretti ad impedire legislativame·nte il referendum lirnitandone, nella materia o nel tempo, l'ammissibilità, strumenti che avrebbero rappresentato u11 « errore » perché avrebbero indebolito la volontà e la capacità della battaglia laica nel paese. Che cosa rimaneva da fare, quindi, secondo i repubblicani? Il problema è politico, affermavano. In primo luogo occorre vedere quali conseg11enze politiche la mobilitazione clericale può produrre sulla disponibilità del Parlamento a procedere ad una revisione del Concordato, che ora viene sollecitata dalla Santa Sede: il Referendum turba la serenità necessaria per qualsiasi trattativa. In secondo luogo, il motu proprio di Paolo VI per gli annullamenti dei matrimoni canonici ha mutato le condizioni presupposte dall'art. 34 del Concordato e pone il problema della trascrizione civile di sentenze di nullità ottenute con diverse, e com11nq11e ben minori, garanzie che nel passato: pertanto corre l'obbligo di un profondo riesame da parte del giudice civile della legittimità delle pronunce ecclesiastiche. La proposta della trattativa col Vaticano, che investisse anche il matrimonio, veniva inv·ece negli stessi giorni sostenuta dal settimanale « Settegiorni » della sinistra democristiana « Forze nuove »: 18 Bibiiotecaginobianco

I partiti tra il divorzio e il ref erenditn1 « Ci sembra opportuna l'apertura im1nediata di una trattativa con la Santa Sede che cerchi la via per tutelare la dignità del matrimonio religioso senza cedere sull'affermata autonomia dello Stato nel regolare gli effetti civili, ma tenendo conto che la Santa Sede continua ad accusare il vul11us inferto al Concordato·». Il settimanale non forniva alcuna indicazione st1 come una trattativa avrebbe potuto essere svolta senza cedimenti da parte dello Stato a riguardo della propria autonomia (non si parlava nell'articolo di « sovranità » ); si limitava a respingere la proposta del doppio regime, concordatario e civile, con conseguenze giuridiche diverse, avanzata dal sen. Leone, e che non aveva trovato accoglimento tra le forze laiche. Le proposte volte ad evitare attraverso una modifica legislativa il Referendum, che vennero appunto in quel mese avanzate, si muovevano su due linee: il rinvio o l'improponibilità del Refe~ rendum. La prima via fu seguita dalle proposte di legge ayanzate dai deputati liberali Bozzi e Cottone e dai deputati socialisti Ballardini, Bertoldi e Fortuna, tendenti a modificare la legge sul Refere11dum in modo che per la richiesta di questo debbano trascorrere almeno tre anni dall'entrata in vigore della legge di cui si intendere chiedere l'abrogazione. In questo caso, se la modifica della legge sul Referendum fosse approvata dal Parlamento, si tratterebbe solo di un rinvio della consultazione popolare, comunque sufficiente a doppiare il capo delle elezioni politiche del 1973. Ma u11a modifica della legge sul Referendum, una volta presentate le firme per la consultazione popolare, non si configurerebbe come un mero espediente adottato dalle forze divorziste per evitare una verifica del voto espresso dal Parlamento? L'obiezione politica appariva tanto forte che neppure i partiti liberale e socialista, di cui facevano parte i presentatori, appoggiarono la proposta, pur riconoscendone la proponibilità costituzionale. L'altra linea fu scelta da 62 deputati (socialisti, liberali, socialdemocratici e indipendenti di sinistra) tra cui l'on. Scalfari, che se ne fece strenuo sostenitore, ma non trovò l'appoggio del PSI. Era volta a modificare con legge ordinaria i motivi di improponibilità per il Referendum fissati dall'art. 75 della Costituzione, facendovi rientrare le leggi che « garantisco110 l'esercizio dei diritti di libertà, che tutelano le minoranze religiose o linguistiche, che stabiliscono le condizioni per lo scioglimento· del matrimonio ». Ma un ampliamento dei motivi di improponibilità, fu rilevato, 19 Bibiiotecaginobianco

I ' Giulio Picciotti avrebbe richiesto un.a legge di revisione costituzionale, con tutta la· sua complessità procedurale, fissata dai :Costituenti con l'art. 138 quale garanzia di- stabilità del regime democratico. Inoltre l'articolo· 138 prevede che la modifica costituzionale possa essere sottoposta a Referendum su richiesta di cinquecentomila elettori. -Quindi, al Referendum, anche per questa via, della revisione costituzionale, non si sfuggirebbe, dato che i promotori del Referendum anti-divorzio hanno dimostrato di poter raccogliere più del doppio delle firme prescritte dalla Costituzione. D'altra parte la via della legge ordinaria in materia costituzionale è una via irnpraticabile: significherebbe esporsi ad una bocciatura scontata da parte della Corte Costituzionale. A queste osservazioni rigorose quanto ineccepibili, l'on. Scalfari replicò rettificando il tiro: primo, non si sarebbe trattato di revisione costituzionale bensì di esplicitazione di quanto già nello spirito della Costituzione; secondo, una volta approvata la legge, dovrebbe essere lo stesso presidente del Consiglio, oppure i rappresentanti dei vari partiti, a far presente alla Corte Costituzionale la improponibilità del Referendum antidivorzio. Anche a questo riguardo è stato notato che se l'improponibilità del Referendum antidivorzio è già nello spirito della Costituzione non dovrebbe essere 11ecessario esplicitarla, né sottoporre una nuova legge all'attenzione della Corte Costituzionale. Ma era soprattutto politicamente che la proposta veniva co11siderata inaccettabile, poiché il voler evitare attraverso un espediente la verifica popolare di un voto espresso dal Parlamento, avrebbe indebolito la posizione divorzista che fino ad allora era stata forte della sua legittimità e autorità morale, mentre non avrebbe evitato il Referendum. In queste condizioni i divorzisti si sarebbero trovati, se la proposta fosse stata portata avanti fino al suo esito non dubbio, ad affrontare il Referendum in una condizione di inferi ori tà .morale. Nell'anniversario del 20 settembre si confrontarono due modi di affrontare il problema. Al Teatro Eliseo i repubblicani tennero una manifestazione presieduta da La Malfa e nella quale Reale riaffermò la posizione assunta dal PRI nel Consiglio Nazionale del luglio precedente: la piena legittimità della legge sul divorzio non può essere messa in discussione in sede di eventuale revisione del Concordato; il divorzio deve essere difeso contro coloro che vorrebbero abrogarlo; spetta alla DC e al mondo cattolico democra20 BibiiGt_ecaingobianco •

, , I partiti tra il divorzio e il referendum tico la precipua responsabilità di « indicare i mezzi, se ce ne sono, per impedire legittimamente (non con gli erronei espedienti di qualrhe proposta di legge di origine laica) che abbia luogo il refe'ren~ dum » richiesto da parte cattolica. · Altre manifestazioni laiche, ma di diverso tono, si svolgevano a Roma in Piazza Navona (un comizio «all'americana» fu definito dal « Corriere della Sera ») in cui l'on. Fortuna lanciava la proposta di una «costituente laica» da riunirsi.1'11 febbraio .1972; a Milano,· dove l'on. Scalfari sosteneva la sua proposta di lègge; e a Trieste, dove il segretario della LID, Marco Pannella, lanciava la battaglia per « sgretolare il fron.te dei credenti 'e dei nari credenti clericali e filoclericali che si è f armato a livello dei ·vertici politici per imporre una conferma del Concordato ». L'« Osservatore Romano della Domenica» in un editoriale del suo direttore Federico Alessandrini, di replica alle manifestazioni per il 20 settembre, dopo aver liquidato con poche battute gli episodi meno rilevanti, si rivolgeva ai liberali e ai repubblicani chiedendo su quale base si potesse chiedere ai cattolici ·una posizione meno intransigente sul divorzio. Mentre i liberali risponqevano con una dichiarazione del sen. B9zzi, la « Voce Repubblicana» replicava con un editoriale di Reale: « Certi dirigenti cattolici che si scandalizzano del nostro invito alla DC, si sentono tranquilli, ri- . . . fiutano le nostre preoccupazioni, se-,,ztono solo il desiderio di vendicare il 'vulnits' al Concordato, sono sicuri che il co11fiitto gioverà alla causa della religione, non fzanno occf?i per lq, gravità della situazione italiana 11ella qitale la battaglia per il Referendum si inserisce? ... A ognitno le sue respo11sabilità politiche e storiche ». A fine settembre, il 25, ci fu il Consiglio Nazionale _della DC. Il segretario on. Forlani, nella sua relazione di apertura, affermò che « il partito ha fatto il possibile per evitare che la richiesta di referendum divenisse ineluttabile » per cui la DC « non ha che da ribadire la costante linea di difesa del principi~ dell'indissolubilità del matrimonio ». Forlani enu~ciava quindi « alcuni difetti più evidenti» della legge, che secondo la DC manca di. un giudjzio di « colpa del coniuge nei confronti dèl quale viene· chiesto il divorzio », della considerazione del « coniuge abbando11ato », di un tribunale speciale della famiglia, composto da giudici non togati, cui demandare la materia mat;rimo11iale. Inoltre, aggiungeva il segretario cl.e., « ci si può domandare se non vi sia una prof onda differenza tra il matrimoniò religioso con ~ffetti civili e · il matri21 Bibiiotecaginobianco

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