Nord e Sud - anno XVIII - n. 143 - novembre 1971

, ' Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Ennio Ceccarini, Senza l)Europa - Salvatore Vinci, Il governo e la congiuntura - Enzo Vellecco, La programmazione per settori - Ugo Finetti, Lo spazio << socialdemocratico >> - Gian Giacomo dell'Angelo, Regio11i e piano zonale e scritti di Dino Cofrancesco, Marco Giardina, Ferruccio Grandi, Ugo Leone, Rodolfo Nicolaus, Michele Ributti, Giuseppe Satta, Federico Tortorelli. ANNO XVIII - NUOVA SERIE - NOVEMBRE 1971 - N. 143 (204) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibiiotecaginobianco -

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XVIII - NOVEMBRE 1971 - N. 143 (204) DIREZIONE E REDAZIONE: Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346 Una copia L. 600 - Estero L. 900 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 5.000, semestrale L. 2.700 - Estero annuale L. 6.000, semestrale L. 3.300 - Fascicolo arretrato L. 1.200- Annata arretrata L. 10.000- Effettuare i versamenti sul C~C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli .· Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale [ 3 J Ennio Ceccarini Senza l'Europa [7] Salvatore Vinci Il governo e la congiuntura [16] Enzo Vellecco La programmazione per settori [25] Giornale a più voci Ugo Leone Mediterraneo in agonia [36] Marco Giardina La ricerca scientifica nel Mezzogiorno [39] Federico Tortorelli La pianificazione turistica nella politica regionale [ 41] Contributi Ugo Finetti Lo spazio « socialdemocratico » [ 45] Argomenti Ferruccio Grandi I ricercatori e il potere [53 J Regioni Giovanni Satta Sardegna: racliografia di una crisi [ 64] Cronache e memorie Michele Ributti Il neittralismo di Croce [74] Documenti · G.G. dell'Angelo Regioni e piano zonale [85] Lettere al Direttore Rodolfo Nicolaus Le nzolecole mortali [ 102] Storia Dino Cofrancesco La lezione di Meinecke [106] Bibiiotecaginobia-nco

Editoriale La condizione del giornalista italiano è veramente una condizione di asservimento ai « gruppi di pressione » ed alle « concentrazioni» finanziarie o inditstriali che, per finalità estranee a quelle della scrupolosa informazione, si adoperano per controllare i giornali più diffusi? L'interrogativo è stato posto nel corso di un convegno organizzato a Roma dalla Federazione nazionale della stampa italiana; ed è bene che sia stato posto. Perché, in ogni caso, se n.on c'è l'asservi1nento, c'è sempre il rischio dell'asservimento. D'altra parte, non c'è da stupirsi se, alla denitncia di una condizione di asservimento della professione giornalistica, hanno fatto seguito legittime rimostra11ze polemiche da part~ di giornalisti ailtorevoli, che non si senton.o affatto asserviti e che hann_o in varie occasioY}i saputo reagire alle insidie e resistere alle lusinghe dell'asservimento. · A questo proposito, « La Voce Repubblicana » ha fatto valere una osservazione a nostro giudizio 1nolto fondata: « da alcuni anni a questa parte, la n1igliore stan1pa di informazione sta dimostrando un,'indipendenza ed una spregiudicatezza » che dimostrano come non si possa parlare di asservi1nento per qu.ei giornalisti che hanno contribuito a questo migliora,:nen.to qu,alitativo nel senso dell'irzdipendenza e della spregiudicatezza, oltre che nel senso della correttezza dell'informazione, dei grandi quotidiani (e dei grandi settimanali), certamente più indipendenti, più spreg·iudicati, piil corretti nell'informazione di quanto nori risultino i servizi giornalistici della Rai-TV, lottizzati dai partiti. La verità è che non ci sono sicure medicin.e legislative contro le insidie e contro le lusingfze dell'.asservimento giornalistico ai « padroni » dei giornali, o ai potenti della politica; ma è anche vero che in un paese democratico i giornalisti che non sono disposti a lasciarsi asservire possono reagire alle insidie e resistere alle lusingh.e dell'asservimento assai meglio di quanto reagire e resistere sia possibile in paesi non democratici. È quindi nella coscienza professionale dei giornalisti stessi il più forte presidio co11tro l'asservi1nento; e se capita, com'è capitato, che un giornalista, avuto offerto da un. partito politico, per il quale pure simpatizza, 1-!,nposto remunerativo ed inflù.ente nel quadro della lottizzazione della Rai, preferisca ri1nçinere al « Corriere della Sera », perché qui si ritiene più garantito nella sua libertà, questo è forse un episodio eccezionale, ma è ci-rto un episodio significativ.o. y 3 Bibiiotecaginobianco

Editoriale È import.ante, d'altra parte, che sia salvaguard~ta ed ampliata per quanto possibile la libertà di scelta che è présupposto della libertà di stampa e che nei paesi democratici condiziona la capacità dei giornalisti di reagire alle insidie e di resistere alle lusinghe che tendono ad asservirli. Libertà di scelta che significa possibilità di prestare la propria opera dove si ritiene di poterla dignitosa,nente prestare e di non prestarla dove si ritiene che manchino le condizio·ni dell'indipende11za e siano troppo pesanti quelle della dipende1zza. Ma l'arco di queste possibilità terzde ora a restringersi, onde il problema che risolutamente è stato posto dal convegno di Rorrza: il problema dello «spazio» nell'ambito del quale po,ssono· collocarsi le scelte dei giornalisti per « svolgere dignitosarrzente » la professione. . Anche in Italia, 1na non solo in Italia, si aggrava la crisi della stampa quo-tidiana; e anche in Italia, all'origine di qzLesta crisi, insieme all' aumento dei costi, c'è la questione della distribuzione fra le testate degli introiti pubblicitari. In Francia, da qu,ando si è data via libera alla televisione di accaparrarsi l'a pubblicità co·mmerciale, i grandi quotidiani di Parigi « han110 perduto fino ad un 10% dei loro introiti»; e s'i sa, come ha ricordato il « Corriere della Sera», che, « di fronte all'aggressività dei costi crescenti, basta itn dite o tre per cento di pubblicità in meno a far saltare la redditività di iiri'azierid.a giornalistica ». In Italia, dove da assai prima di quanto non sia avvenuto in Francia la televisione, monopolio di Stato, si accaparra una fetta crescente di pubblicità, l'incidenza di qiLesto accaparramento sulle sorti dei giornali, e naturalmente dei giornali meno dotati e meno diffusi anzitutto e soprattutto, si fa sentire sempre di più ed è la causa prima della cosiddetta « concentrazione delle testate » e quindi della contrazione dell'.arco di possibilità fra le quali il giornalista può scegliere per « svolgere dignitosamente » la professione. · Se cosi stanno· le cose, è qu,esto della pubblicità sottratta dalla television,e alla sta111pa il nodo che dev'essere sciolto. E si potrebbe perfino sospettare che il gran polveron,e sollevato da Donat Cattin - con la sua proposta al corzvegno di Ron1a, di redistribuire d'imperio la pubblicità fra le testate dei giornali, privilegiando qu,elle più deboli e penalizzando quelle piìL forti, preferite dagli inserzionisti - sia stato sollevato ancJze per co·prire una fiLga in avanti, per stornare l'attenzione dal problema dell'incidenza clella pubblicità televisiva sulla crisi degli introiti della stam.pa e quindi sulla crisi clei giornali meno dotati e meno diffusi. E tzLttavia, il problen/ta della Rai-TV è venuto in evidenza dopo il convegno di .Ronia, cori le pole1nicJ1e su,scitate proprio dalla sortita del Ministro del Lavoro al conveg1'10 di Roma; ed è venuto in evidenza 4 Bibiiotecaginobia-nco

I Editoriale come proble1na di 1nalgoverno politico ed a,nministrativo dell'ente radiotelevisivo. Le falle provocate nel bilan.cio di questo erite da deplorevoli criteri di gestione sono sempre più nu.rrrerose e più gravi; e l'ente cerca di turarle anche e soprattutto aun1entando i propri introiti pubblicitari, sottratti ai giornali. Gli introiti pubblicitari della Rai si dovrebbero, riditrre per consentire ai giornali di poter contare su maggiori introiti pubblicitari; mçi, se la Rai cercherà di accaparrarsi maggiori introiti, di quanto potranno ancora diminuire qttelli dei giornali? E se è vero che c'è una flessione degli introiti pubblicitari dei giornali, fino a che punto la crisi economica potrebbe renderla più drastica? Di quanto la Rai dovrebbe alleggerire la sua pressione perché ne risulti la possibilità per i giornali di superare le consegitenze che potrebbero derivare - in tern1ini di ulteriore riduzione delle loro entrate per la pitbblicità - dalla crisi economica? Sono interrogativi ai quali si deve dare itna risposta, prima che sia troppo tardi. E non è una risposta qitella di Donat Cattin, che ha incontrato l'ostilità di editori, giornalisti ed inserzionisti: itn'ostilità cl1e ha coinvolto indirettamen.te lo stesso Presidente del Co11siglio per non avere sn1entito il Ministro. Non è 11,narisposta quella di chi ha proposto un ri1nedio certamente peggiore del n1ale perché, qualora si volesse ricorrere a qtlesto rimedio, i giornali malati non guarirebbero e quelli sani si an1malerebbero, di n1odo che, co111e/1,ascritto Alberto Ronchey, « per soccorrere tre testate stl dieci, si metterebbero in crisi dieci testate su dieci». Non è una risposta qitella cl1e, presa in co11siderazione, provocherebbe l'inaridimento della fonte pubblicitaria, onde, come ha scritto Piero Ottone, i giornali dovrebbero per sopravvivere ricorrere all'aiitto dello Stato e quindi rintlnciare alla loro fitnzione di controllo e di critica ed ass'ervirsi assai più pericolosan1ente di qua.11to non rischino di essere asserviti dal potere econon1ico. È uria risposta, invece, quella di Adolfo Battaglia, almeno limitatamente a qitello che abbia1no detto essere il nodo cui risale la causa prima della « concentrazione delle testate »: affrontare risolutamente il problema della disastrosa gestione della Rai-TV. Perché non c'è dz,tbbio: « o si riesce ad in.tervenire srulla gestion~ della Rai, oppure anche l'atttlale equilibrio, che già danneggia la stampa, salterà; e sarà la stampa a pagare per la gestione della Rai ». Per il resto (esenzioni fiscali alle aziende giornalistiche; franchigia postale, telefonica, telegrafica; rimborso delle spese di distribuzione; fornitura gratuita di quantitativi- determinati di carta) la discussione è aperta e giova portarla· avanti, ver~o decision.i a breve termine. Ma il resto non avrebbe senso, se la Rai dovesse continuare, sotto lo stimolo 5 Bibiiotecaginobianco

Editoriale della sua fa1ne di pubblicità, a sottrarre ai gfornali- quote sempre più consistenti di introiti pubblicitari. Così co1ne non avrebbe senso, se la crisi economica non f asse risanata prima del momento in cui gli stanziamenti degli inserzionisti si fossero rido-tti al n1inimo vitale, e per i giornali e per la stessa Rai. Ma a questo punto il discorso rientra in quello più generale dello sconquasso economico che è stato provocato da una classe politica prigioniera delle formule, condizionata da lotte interne di partito, disattenta, a dir poco, nei confro·nti della realtà. E a noi, che questo discorso più generale è toccato di fare prima di quando altri non. fossero disposti a intenderne il senso e la· portata, e più previdentemente di quanto altri non siano stati disposti a recepirlo, non rest,a che annotare anche questo: che la libertà di stampa corre i suoi rischi pure quando subentrano le conseguenze dello sconquasso economico e del malgoverno in generale. Non senza aggiungere che forte è il disagio per noi quando constatiamo che, dopo tanto malgoverno delle destre (Napoli paga ancora le conseguenze del malgoverno di Lauro e della sua consorteria), non ci è consentito di esaltare il buongoverno (i,el centro-sinistra . .. 6 Bibiiotecaginobia-nco

Senza l' Europa di Ennio Ceccarini 1/entrata ufficiale della Cina all'ONU (e la contemporanea e parallela esclusione di Formosa) non poteva non avere riflessi sul gioco di aggiustamenti e ripensamenti politico-ideologici della sinistra italiana, democratica, comunista, variamente socialista. In sé l'avvenimento era dato per sco11tato; e la sola polemica dei giorni precedenti il voto dell'Assemblea delle Nazioni Unite ha avuto per oggetto l'atteggiamento della delegazione italiana. Ma anche questa polemica era scontata, oltre che abbastanza travolta dall'insieme di altre scadenze e complicazioni che affannano il gioco politico (referendum, divorzio, crisi economica, elezioni presiden- . ziali, crisi o rinascita del centro-sinistra). Non è del resto una novità che l'atteggiamento dell'Italia sul fronte dei problemi e degli schieramenti internazionali ha perduto da gran tempo la nobiltà e il nitore dei disegni a lunga scadenza per venire determinato quasi sempre in funzione di complicate, transitorie e faticose alchimie interne (rapporti tra partiti di governo e relative correnti, tra maggioranza e opposizione eccetera). Nella situazio11e decisa a larga maggioranza dall'Assemblea dell'ONU, era difficile che la diplomazia italiana potesse fiancheggiare con la maturità necessaria una manovra complicata come quella degli Stati Uniti, tendente all'affermazione del principio delle « due Cine » nel quadro dell'irreversibile diplomazia del pin.g-pong. Era anche difficile che il governo e i respo11sabili della politica estera italiana, per quanto in diversa ragione interessati a non scontentare il prezioso serbatoio di ·voti per il Quirinale rappresentato dalle sinistre, decidessero di scontentare completamente gli americani. Ne è venuto fuori - tra il coro dei socialisti riecheggianti Je richieste di Radio Pechino, la titubanza dei dorotei, il fervore promaoista dei basisti e donat-cattiniani, i toni ricattatori del PCI, l'aspro filoamericanismo dei socialde~ocratici e l'invito al buonsenso dei repubblicani - il solito atteggiamento che scontenta tutti; l'astensione italiana sulla mozione procedurale USA che chiedeva la maggioranza qualificata per decidere, in quanto « questione importante», l'esclusione di Formosa, non ha certo impedito la scon7 Bibiiotecaginobianco

Ennio Ceccarini fitta degli americani e al tempo stesso non ha accontentato i comu• nisti. Si è trattato, insomma, di un altro episodio di debolezza e dj sconnessione della maggioranza, di compromesso ambiguo tra tesi diverse, di mediazione senza nerbo proprio; e come tale va rapidame1ìte archiviato, voltando pagina. Cosa che, appunto, si sono affrettati a fare tutti i partiti italiani e i maggiori organi della stampa e della pubblicistica del paese, interessati invece a collocare la nuova posizione i1ìternazionale della Cina in uno schema interpretativo adeguato, o a rivedere questo nuovo status e rango cinese alla luce delle proprie impostazioni ideologiche. All'estrema sinistra, le versioni sono sostanzialmente due. La prima mette capo al gruppo del « Manifesto », all'ala « libertiniana » del PSIUP, ai gruppi che ruotano attorno alle riviste « Quaderni piacentini » e « Tempi moderni », a certe frange basiste della DC, al MPL di Labor e ad altre scontentezze cattoliche. La definizione più ampia ed anche politicame1ìte più rigorosa si trova sulle colon- · ne del « Manifesto » quotidiano (la rivista, che ha ripreso le pubblicazioni qualche giorno prima del voto dell'ONU, non se Iìe è ancora occupata). Una definizione schematica, che si può riassumere così: tutta la politica americana postbellica era fondata su tre pilastri: sostegno economico militare a regi1!}i reazionari in modo da costituire una barriera d'assedio contro il mondo comunista o la liberazione dei popoli ex coloniali; predominio mondiale dell'economia americana tramite il sistema monetario di Bretton Woods; controllo delle Nazioni Unite. Questa situazione ha avuto un gra1ìde scossone. Il terremoto monetario del 15 agosto ha fatto saltare in aria l'impero finanziario USA; il voto dell'ONU sulla Cina ha messo fine al predominio statunitense nella massima organizzazione internazionale. Lo scoppio di queste crisi ha determinato inoltre l'avvio di una catena di reazioni e di controreazioni del sistema capitalistico americano, il cui segno più recente è il voto isolazionista del Senato, che ha bloccato il piano di aiuti economico-militari all'estero. Forse questo piano sarà ripristinato, ma l'isolazionismo, come spinta ad una risistemazione limitativa dell'impegno americano nel mondo, è oramai irreversibile. E ciò significa lo sgretolamento e l'avvio di una crisi insanabile dell'impero USA. Questo rimescolamento di carte - per « Il Manifesto » - è effetto primario dell'ingresso della Cina nel consesso internazionale, importante come cedimento americano, come sconfitta della più 8 Bibiiotecaginobianco

Senza l'Europa lunga e tenace ostilità capitalistica nei confronti del paese comunista più « puro », intransigente, impegnato nella lotta al ·nemico storico. Nixon, in questo quadro, andrà a Pechino a raccogliere sostanzialmente condizioni e non a dettarne. E, sempre in questo quadro, la presenza della Cina all'ONU potrà alimentare le speranze e le spinte rivoluzionarie in tutto il mondo, specje in quello negro, arabo e asiatico. La prospettiva della rivoluzione internazionale ritrova un fulcro necessario, dopo lo smarrimento ed i tradimenti del gioco di potenza dell'URSS. La nuova situazione mondiale, per « Il Manifesto », mette i11 crisi lo schema del capitalismo americano, ma pone i11 gravissime difficoltà anche la linea sovietica, la sua oscillazione tra accordi di vertice con la maggiore potenza occidentale, e durissima repressione « imperiale » all'interno del proprio blocco. La Cina e la rivoluzione mondiale ha11no da presentare due conti: uno al capitalismo, l'altro al re,,isionismo sovietico. Quest'ultimo può accorgersi che i tempi sono mutati, e in tal caso cambiare rotta nei confronti della Cina. Se invece persisterà ancora nella polemica, nella politica ostile, nelle scomuniche ideologiche, si approfo11dirà il solco che divide l'URSS, ormai già abbastanza nettamente, dalle forze e dal destino della rivoluzione socialista. È u11 fatto, per « Il Manifesto », e per le altre forze di estrema sinistra che la stessa diagnosi riecheggia, che il basto11e della staffetta rivoluzionaria nel mondo moderno è passato ormai dall'Unio11e Sovietica alla Cina e che storicamente il paese-guida del socialismo è la Ci11a. L'ONU sarà, leninisticame11te, l'amplificatore necessario, la cassa di risonanza, il terreno assembleare per perorare con piì1 evidenza la causa della rivoluzione. La tesi del PCI è diversa; e non soltanto perché più cauta, rna anche perché più impacciata nel tracciare un quadro teoricamente altrettanto convinto nelle sue varie parti. J...,amaggior cautela è una sfumatura che pure fa sostanza, e gli appelli che « L'Unità » ha lanciato (cfr. l'articolo di Alberto Jacoviello, Verso quale mondo nuovo?, sull'organo comunista del 29 ottobre) per consigliare minori illusioni sulla vicinanza e la profondità della crisi americana, intendono con tutta evidenza sminuire il ruolo cinese come « guastatore » decisivo del sistema occidentale. Il PCI si trova, in effetti, in una situazione non dissimile, quanto a imbarazzo, da quella in cui versò al momento dello scisma cinese e della relativa scomunica sovietica, anche se oggi è un imbarazzo di direzione contraria. Allora i comunisti italiani dovevano in qual9 :-- Bibliotecaginobianco

Ennio Ceccarini che modo provare a conciliare la politica della coesistenza e del dialogo al vertice USA-URSS con l'estremismo anti-americano e anti-occidentale di Pechino. Oggi debbono conciliare, all'opposto, l'avvento di una politica diplomatica cino-americana (anch'essa evidentemente di profilo coesistenziale, di natura pacifica e real-politica) co11 il raffreddamento delle relazioni russo-statunitensi (e con la polemica sovietica contro Mao, che ripete le vecchie accuse di tradimento rivolte negli anni passati da Pechino a Mosca). La co11ciliazione è difficile nella teoria perché non si verifica nei fatti. Lo scisma cinese persiste (Mao ha detto, con rituale esagerazione retorica ma pure con qualche intenzion.e pratica, che la polemica con l'URSS durerà ancora migliaia di anni), la rivalità tra le due superpotenze comuniste continua aspra come prima dell'avvento del ping-po11g diplomatico e dell'ingresso della Cina alle Nazioni Unite. Il gruppo del « Manifesto » e gli altri gruppetti della sinistra ·non comunista ne prendono atto e giudicano che la partita o si co11cluderà co11 l'accettazione da parte sovietica della leadership rivoluzionaria cinese, o con il definitivo declassamento ideologico dell'URSS a semplice potenza imperiale senza nulla più di socialista, né nelle strutture né nella politica. l\1a il PCI, che ha sempre rifiutato di scegliere tra Cina e Unione Sovietica·, si rifiuta anche oggi alla scelta. Bene o male, argomentano i comt1nisti, la Cina non è rimasta sul terreno della predicazione rivoluzionaria astratta, della co11testazione sterile degli altrui sistemi: non è neppure scesa sul terreno della guerra. Cioè ha fatto un passo che l'URSS aveva anticipato dieci anni fa, accettando il dialogo della coesistenza. Perché seguirla nella contestazione dell'egemonia sovietica? Non è meglio raccomandare a cinesi e russi di tornare buoni fratelli? In realtà il PCI. sconta, anche qui, un vizio antico, quello della propria inerzia me11tale e politica dinanzi alle vicende del mond.o comunista a cui, poi, pretende costantemente di riallacciarsi. È cl1e il PCI non riesce. ancora a concepire che la storia del comunismo conte1nporaneo possa svilupparsi per qualcos'altro che non sia l'enu11ciato « x » o il modello « y » del marxismo ottocentesco, che possa, cioè, muovere in direzioni dettate da interessi, da passioni, da motivi culturali successivi e magari parzialmente mutuati dalla temperie spirituale del mondo contemporaneo tutto intero. Tenere il passo con gli eventi e dare ad essi una risposta esige una forza empirica, una capacità di accostamento alla realtà ed ai suoi motivi nuovi che è certamente un problema avvertito assai più dalle grandi potenze quotidianamente obbligate a decidere, che non 10 Bibiiotecaginobia-nco

Senza l'Europa dai partiti d'opposizione (e di comoda opposizione come, tutto sommato, è il PCI). Il mondo contemporaneo è inoltre un produttore e un divoratore rapidissimo di schemi ideologici, di slogans culturali, di modelli eco11omici. È forse da escludere - se si ha un minimo di audacia intellettuale e se non si è convinti che la storia sia scritta una volta per tutte su un certo libro del secolo scorso - che es.so, vivendo la vicenda dei due comunismi rivali, approdi alla realtà di opposti sistemi, pur sempre nominalmente comunisti? Un lavoro teorico in questa direzione manca nel PCI e manca, stando ai fatti, qualunque attuale disposizione a farlo. Manca perciò una capacità di elaborare criticamente una visione autonoma dei rapporti intercomunisti. E la conciliazione della rivalità russocinese resta affidata, come in passato, a raccomandazioni generiche di tipo comiziale e non di sostanza politica, poiché tale sostanza non è dato rinvenire negli appelli ad una nuova unità contro l'imperialismo che barcolla. Può anche darsi che il cosiddetto imperialismo barcolli (ossia, più propriamente, che l'Occidente conosca una fase storica di crisi) ma il problema storico del mondo comunista non è più oggi, come quaranta anni fa, la sua sopraffazione, sia perché l'equilibrio militare non lo consente, sia perché non lo consentono le divergenze di interessi interne al comunismo internazionale. Queste divergenze - quantificabili attraverso la pretesa cinese di spostare il centro del comùnismo contemporaneo dalla Moscovia allo Yangtse - sono il problema storico (pratico ed ideologico) del movi1nento comunista, il nodo da sciogliere attraverso un travaglio, u11 ripensamento degli schemi ed una politica nuova. E mentre il PCI accentua le sue preghiere a Breznev e a Mao perché, come bravi boy scouts, ritrovino l'amicizia perduta per affrontare il cattivo capitalista in difficoltà, la Cina, esattamente all'indomani del suo ingresso all'ONU, apre le ostilità politiche contro i sovietici proprio a due passi dall'Italia dei discussi « equilibri più avanzati ». Attraverso il leader albanese, Henver Hoxha, Pechino ha infatti proposto un fronte balcanico, dalla Jugoslavia alla Grecia alla Romania alla stessa Albania, ·come cuscinetto ostile nei confronti della « sovranità limitata » di inarca sovietica. Hoxha si è spinto oltre (per battere evidentemente concorrenza anche nei confronti degli americani, definiti complici dell'URSS nella spartizione dell'Europa): ha promesso un intervento militare (e le basi cinesi in Albania ci sono davvero) a sostegno· di qualunque paese balcanico aggredito dall'URSS. 11 -· Bibliotecaginobianco

Ennio Ceccarini Ecco un episodio, dunque, che è difficile infilare nello schema conciliativo elaborato, con buona volontà e nessun credito ai fatti, dal PCI. Si deve però aggiungere che l'episodio sfu.gge completamente anche allo schema interpretativo fornito dal « Manifesto ». Questo assume che la Cina, salita anche formalmente al rango di terza grande potenza moderna, rifiuti l'allineamento alle politiche di potenza, al gioco della realpolitik,, alla preminenza degli interessi nazionali, per continuare nell'azione suscitatrice di energie rivoluzionarie. Ma l'assunto urta contro la realtà. La Cina, attraverso gli alba11esi, tratta con la Grecia fascista come con gli Stati Uniti e l'Unio11e Sovietica. Obbedisce cioè ad una logica di interessi e di potenza, ad un momento di « indifferenza » ideologica che è tipico delle grandi potenze obbligate a far fronte su diversi scacchieri ad un gioco di successo e affermazione, inevitabilmente più spregiudicato dei discorsi o dei rapporti della domenica alle grandi masse raccolte sulla Piazza Rossa o del Celeste impero. E guarda caso, la spregiudicatezza di iniziativa politica cinese non si rivolge tanto al terreno influenzato dagli americani quanto a quello soggetto ad egemonia sovietica, Balcani, Medio Oriente o Golfo del Bengala (anche l'appoggio ai pakjstani e alle loro efferatezze contro il Bangla Desh i11che cosa è riconoscibile come « impeg110 socialista e rivoluzionario »?). L'interpretazione dell'estrema sinistra -- e la affrontiamo facendo nostre e ripetendole, le tesi della sinistra democratica italiana - soffre di un vizio di religione e di mitologia. All'estrema sinistra si è deificata la capacità rivoluzionaria della Cina. Un più rigoroso discorso sui fatti servirebbe a vanificare questa adorazione, a portarla fuori da un astratto santuario. Sfugge anzitutto. a questa visione astratta, il concetto politico della « multipolarità » ( così come in passato sfuggì e venne combattuto quello della « bipolarità » russo-americana). Ma, piaccia o non piaccia, si tratti di un concetto non arbitrario, dal significato preciso. Il mondo non è più oggetto di due, bensì di tre grandi tipi e modelli di egemonia, ciò che indica una sfera più complessa di relazioni all'insegna della coesistenza e del rispetto dei reciproci equilibri. Paradossalmente, cioè, rispetto allo schema interpretativo dell'estrema sinistra italiana, il rango di « terzo grande» guadagnato dalla Cina si colloca proprio come simbolo della irreversibilità di alcuni principi classici della diplomazia internazionale: il concetto di equilibrio di forze come garanzia della pace, il concetto di coesistenza pacifica. Gli americani, è vero, riconoscono nella Cina 12 Bibliotecaginobia.co

Senza l'Europa un gigante politico con il quale necessariamente accordarsi, ma lo stesso riconoscimento viene fatto da Pechino nei confronti di Washington. E 110n diremmo, come dice « Il Manifesto », che Nixon farà il suo lungo viaggio fino a Pechino per inchinarsi ad accettare le condizioni di Mao. Crediamo, anzi, che quel viaggio aprira un'epoca lunga, difficile ed estremamente interessante di negoziati per stabilire, tra cinesi ed americani, i confini delle reciproche zone di influenza. Anche in Asia, naturalmente. Una vittoria dell'in1mobilismo? Niente affatto. Già il periodo « bipolare » della coesistenza ci ha abituati a vedere una mobilità estrema negli schieramenti internazionali. La realtà « tripolare » potrà addirittura accelerare questo processo. Ma ciò che, scritto o non scritto, è a base del patto di non distruzione a tre anziché a due, è proprio il principio della legittimità politica dei differenti sistemi e del metodo di convivenza con cui essi regolano i loro affari e i loro rapporti. In questo senso è chiaro dunque che la Cir1a non ha salito, attraverso la diplomazia del ping-pong, un gradino ulteriore della escalation rivoluzionaria, ma ha portato il proprio peculiare bagaglio ideologico e politico all'interno di un metodo, dichiaratamente accettato, di convivenza internazionale. I dirigenti cinesi continueranno naturalmente a tentare di allargare l'importanza politico-militare e le sfere d'influenza del loro paese. Ma ciò dovrà seguire certe regole, rispettare determinati tempi ed incontrare precisi limiti. La componente rivoluzionaria « pura» (ammesso che sia sempre esistita, poiché da almeno un decennio la Cina è e si comporta con spirito di grande potenza) della politica cinese no1ì potrà non venire frenata. E che ciò sia proprio un gran male resta da discutere. Certo, il bisogno di catarsi rivoluzionaria degli studenti e degli intellettuali europei di sinistra, nauseati dal benessere e dal consumis1no, riceverà un duro colpo. Ma è da vedere se soffriranno altrettanto gli operai e i contadini cinesi, se, com'è probabile (perché già accaduto ir1 altri paesi passati dalla rivoluzione alla cooperazione tra potenze moderne), la diplomazia del ping-pong avrà qualche effetto nei consumi e nel bepessere della società cinese. Del resto non è forse umano e rivoluzionario produrre più beni di consumo, promuovere più scambi commerciali, sviluppare maggiore ricchezza per seicento, settecento milioni di persone? E può darsi che questo orìentamento relativamente « consumistico » e comunque meno spartano-militare, sia proprio una delle prossime scadenze della politica i})terna cinese. 13 Bibiiotecaginobianco

Ennio Ceccarini Anche allo schema dell'estrema sinistra, dunque, si debbono muovere rimproveri sostanziali. Insieme all'invito a dare meno corpo alla propria escatologia e assai più allo studio empirico delle regole politiche. Per noi è consolante constatare che la « multipolarità » aggancia anche la Cina al gioco della difficile pace fra grandi potenze, anziché lasciarla fuori ad alimentare tensioni e a covare pericolosi risentimenti e frustrazioni. Perché· dovrebbe essere combattuta dagli hitngry men del « Manifesto » o del Movimento studentesco? La conclusione di questo discorso sulla Cina e sul suo « m.ito » tra le forze della sinistra italiana, deve toccare necessariamente le posizioni democratiche, le meno viziate da schematismi ideologici e le più impegnate nella elaborazione di una visione aggiornata e non preconcetta della realtà internazionale. Da queste posizioni, l'estensione alla Cina degli oneri e dei privilegi propri del club delle superpotenze, non può non essere giudicato positivamente, e molte delle ragioni di questo giudizio sono state esposte più sopra, indirettamente, come replica alla visione errata del PCI o dell'estrema sinistra. Non va però tralasciata la preoccupazione, congiunta a questa soddisfazione, perché le porte di quel club continuano a rimanere chiuse all'Europa. Solo s11perficialmente può sembrare un ripiego, in realtà è un grosso e valido argomento. I fatti dimostrano che ·tra « superpotenze » e resto del mondo il gap politico non può che crescere. Ogni blocco soffre, in questo senso, di profondi squilibri. A prescindere dai rapporti tra URSS e satelliti, improntati addirittura a disciplina poliziesca, l'osservazione è già vera tra America ed Europa democratica, lo sarà prestissimo tra Cina e Terzo mondo (un altro tema da raccomandare allo studio di certa sinistra). Il gap di credibilità politica, di possibilità economiche, di influenza internazionale non è rimontabile su base nazionale, né dalla Francia di De Gaulle, né dalla Germania di Brandt. La balcanizzazione o la finlandizzazione dell'Europa sta in fondo alla sua tenace scelta nazionale, al suo ritardo sui tempi delle grandi concentrazior1i di forza e di civiltà politica. D'altra parte, senza un'Europa pari alle scommesse del mondo contemporaneo, la presenza della democrazia nel presente e nel futuro è compromessa sul serio, perché non basta a garantirla l'importanza dell'America. L;I talia, tra i paesi europei, è tra i meno saldi in termini di democrazia. La questione cinese è stata una ulteriore cartina di 14 Bibliotecaginobianco

~enza l'Europa tornasole, un'altra prova della facilità con cui da noi si smarriscono le strade maestre per correre a giocare ruoli inesistenti su altri fronti, senza ricevere neppure la grazia di t1n sentito merci. Saremo, di questo passo, un paese corteggiato da russi e cinesi solo come base di manovra per le rispettive controversie nel Mediterraneo. Illudendoci di giocare anche noi alla « multipolarità ». Questo dice, per l'Italia e per l'Europa, per la loro presente condizione politica, l'episodio dell'ingresso cinese tra i grandi che contano. È dovere di democratici sottolinearlo. ENNIO CECCARINI 15 Bibliotecaginobianco

Il governo e la • congiuntura di Salvatore Vinci Nei primi giorni del mese di ottobre è stata presentata in Par .. lamento la Relazione previsionale e progran1matica per l'anno 1972. Tale Relazione si compone di una Premessa e di quattro capitoli. Di questi, il primo è dedicato alla descrizio11e delle vicende dell'economia italiana dal 1970 ad oggi; nel secondo si individuano i fattori che hanno provocato l'inversione di te11denza e il ruolo svolto dall'azione p11bblica; il terzo si occupa della sit11azione internazionale così come si è venL1ta a determinare dopo i recenti avvenimenti monetari, allo scopo di accertarne le influenze sull'economia italiana; il quarto, infine, delinea le prospettive future con riferimento all'azione pubblica. Per comodità seguiremo nel nostro esame il contenuto della Relazione per poi tentarne, alla fine, una valutazione complessiva. La Relazione inizia con una affermazione che taglia corto su ogni possibile ottimismo e cioè: « I/ econon1ia. italiana attraversa una difficile fase di ristagno nel suo processo di sviluppo »; e più oltre: « Gli aspetti recessivi si sono accentuati nei primi sette mesi di quest'anno. Gli irzvestimenti sono caduti al di sotto del risparmio potenziale. La produzione è notevolmente inferiore alla capacità produttiva. Anche u11a rapida ripresa nell'ultin1a parte dell'an110 non muterebbe ormai segno- al 1971: un anno, nella migliore delle ipotesi, di crescita modestissima del reddito naziona.le ». Per poter individuare le cause che hanno determinato la mediocre prestazione dell'economia, la Relazione prende le mosse da un sintetico riesan1e della vicenda ciclica originatasi tra la fine del 1969 e i primi mesi del 1970. Come è noto, nell'autunno 1969 (chiamato in seguito « autunno caldo ») la contemporanea scadenza dei contratti di lavoro di u11 consistente numero di lavoratori (intorno ai 5 milioni) diede inizio ad un periodo di agitazioni e rivendicazioni sindacali che si sarebbero concluse nella primavera 1970 con forti incrementi salariali. Agli inizi del 1970, in conseguenza della rapida ripresa della 16 Bibiiotecag inobianco

, Il governo e la congiuntura produzione e soprattutto della domanda, aumentarono notevolmente sia le importazioni, sia il grado di utilizzazione della capacità produttiva. In questa situazione di domanda tesa, rispetto ad una capacità ridotta dalla sia pur parziale applicazione dei nuovi orari di lavoro, ripresero, all'incirca in marzo, i conflitti di lavoro per la contrattazione integrativa, per il rinnovo di altri contratti, per le riforme. Gli scioperi conseguenti a tali lotte impedirono l' espansione della produzione per soddisfare la potenziale domanda. In ·questa situazione di domanda eccedente la produzione a causa di un clima di instabilità politica, il Governo non adottò alcuna misura, lasciando il peso del controllo dell'economia sulle spalle delle Autorità monetarie; e queste attuarono una politica di contenimento dell'espansione della base monetaria. Tale decisione fu diretta ad evitare che il conte1nporaneo operare di altri fattori, principalmente di origine esterna, provocasse squilibri irreversibili (per « fattori esterni » si deve intendere la fuoruscita di capitali dall'Italia e manovre speculative sulla lira). Dal contenimento della base monetaria, attuato dalla Banca d'Italia, derivarono inevitabili limitazioni al soddisfacimento delle esigenze di finanziamento degli investimenti e della produzione. Limitazioni particolarmente severe in virtù del fatto che, a seguito dei cospicui aumenti salariali (oltre i margini dell'incremento di produttività del lavoro), le imprese avevano dovuto accusare una riduzione dei margini di profitto e in conseguenza avevano visto svanire le possibilità di finanziamento interno degli investi1nenti. In definitiva, all'impossibilità di autofinanziare gli investimenti con profitti non distribuiti, si aggiunse, per le imprese, l'impossibilità di soddisfare, attraverso il sistema bancario e creditizio, e cioè con prestiti, le necessità di investimenti. Oltre alla riduzione della domanda globale dovuta alla stasi degli investimenti, si deve annoverare anche il fatto che - contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati - la redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori, conseguente al successo delle lotte sindacali, no11 provocò un aumento notevole della spesa per con.- sumi privati; e ciò perché nel periodo in_esame si verificò un apprezzabile aumento della propensione al risparmio da parte delle famiglie. A questi due fattori occorre infine aggiungere la fase di stagnazione dell'attività edilizia. Nel 1970 si ha infatti un declino di questa attività, connesso alla fase discendente di un ciclo artificialmente indotto da provvedimenti legislativi,. cui non avevano fatto 17 -· Bibliotecaginobianco

Salvatore Vinci seguito misure di assetto definitivo; e non compensato dal necessario pronto incremento della esecuzione delle opere pubbliche. In conclusione, nel 1970 - nonostante un aumento del reddito 11azionale del 5,1 % in termini reali - si assiste ad un can1biamento di con.dizioni generali piuttosto preoccupante. Difatti la ripresa produttiva registratasi all'inizio dell'anno, sullo slancio del raggiunto accordo tra sindacati e imprenditori con la firma dei nuovi contratti di lavoro, ebbe una bre·ve durata, perché ben presto l'apparato produttivo si trovò di fronte una caduta della domanda globale, dovuta: 1) al persistere della crisi dell'attività edilizia; 2) alla riduzione degli investimenti per carenza di fondi (impossibilità di autofinanziamento per l'erosione dei profitti aziendali e restrizione creditizia); 3) all'aumento della propensione marginale al risparmio da parte delle famiglie. In questa situazione l'azione pubblica ebbe un ruolo di scarsa efficacia. Il decreto legge del 27 agosto 1970 (sostituito successivamente da quello del 1 ° ottobre 1970) non sortì gli effetti sperati, in quanto le misure furono prese con molto ritardo. Questa è l'opinione contenuta nella Relazione; ma su questo punto torneremo a ]ungo in sede di considerazioni, perché, a nostro parere, l'azione pubblica non soltanto no11 sortì effetti apprezzabili, ma addirittura provocò co11seguenze negative. Questa era in sintesi la situazione nel 1970; situazione nella quale le Autorità si ripromettevano agli inizi di quest'anno (e in parte anche alla fine del 1970) di intervenire per curare la scarsità di domanda glo.bale. A tal fine fu deciso, da un.a parte, di ritornare ad una politica monetaria più permissiva (dalla seconda metà del 1970), e dall'altra parte di porre le premesse per una forte ripresa degli investimenti delle imprese pubbliche, degli investimenti pubblici e privati nel settore delle costruzioni e al tempo stesso di far passare alc11ne riforme di grande rilievo, quali la riforma della casa, la legge per il Mezzogiorno e la riforma tributaria. I risultati non sono stati quelli desiderati. Ancora una volta si è• dimostrata infondata la speranza che sia sufficiente una manovra espa11sionistica delle autorità monetarie per rimettere in moto l'attività degli investimenti. Le imprese pubbliche ·hanno portato avanti il loro programma di investimenti: nel 1971 gli investimenti di queste aziende sono aumentati del 40% rispetto al 1970 e gli investin1enti delle imprese a partecipazione statale hanno registra18 Bibiiotecaginobianco

Il governo e la congiuntura to un incremento superiore al 60%. Poco o niente, invece, è stato fatto per sanare la recessione edilizia. E per quanto riguarda la spesa pubblica, nella Relazione si legge che essa presenta tre aspetti negativi e cioè: « incapacità di regolazione del disavanzo pubblico in funzione del livello della do1nanda globale; dilatazione delle spese correnti ...; vischiosità della spesa per investimenti sociali». Per ciò c11e concerne infine le riforme, soltanto in quest'ultimo periodo esse sor10 state approvate, per cui le loro eventuali ripercussioni, soprattutto in termi11i di influenze favorevoli sulle aspettative degli imprenditori, so110 ancora da venire. Consapevole del fatto che gli investi1nenti privati non andavano come si era sperato, il Governo ha varato di recente una serie di provvedimenti diretti a stimolare gli investimenti. Sull'effetto di tali misure, dato il poco tempo trascorso dal momento della loro adozione (luglio '71), non è ancora possibile esprimere un qualsiasi giudizio. A fronte di questa situazione interna così poco allegra, c'è una sitL1azione internazionale che niente di buono lascia sperareo Gli sviluppi monetari segL1iti alle decisioni del preside11te Nixon di sospendere la convertibilità del dollaro e mettere una sovratassa sulle importazioni degli Stati Uniti, lasciano poche speranze nella possibilità che la domanda estera sia di stimolo all'apparato produttivo italiano, come tante volte è avvenuto in passato. C'è da attendersi, anzi, una più forte concorrenza sul mercato mondiale (escluso quello USA), e ciò potrebbe determinare serie difficoltà per le nostre esportazioni, con problemi di bilancia dei pagamenti nel caso che, mettendosi in moto un meccanismo di sviluppo tramite l'espansione della domanda interna, si verificasse, con1e è probabile, un aun1ento cospicuo delle importazioni. Data la sitt1azione, il Governo si propone di attuare per il prossimo anno una linea di politica economica di decisa espansione, sostenendo che non può costituire una remora per una politica espansionistica l'accelerazione nell'aumento dei prezzi che sembra essersi manifestata di recente. Per ciò che riguarda le misure attraverso le quali si attuerà la politica econqmica espansio11istica, si fa riferimento .a: 1) investimenti pubblici nell'edilizia privata e nel Mezzogiorno; 2) edilizia scolastica, i cui piani sono già stati approvati e che sono giunti -in fase di esecuzione; 3) esecuzione di nuovi grandi progran1mi industriali che potran110. prendere avvio a sca.- 19 Bibliotecaginobianco

Salvatore Vinci <lenze più o meno ravvicinate (piano chimi~o, progetto aeronautico, investimenti in Calabria e Sicilia, ecc.). · Al fine di facilitare la ripresa, il Governo si adopererà per rendere operanti questi programmi, evitando che le solite l11ngaggini burocratiche finiscano per ritardare o ridurre gli effetti sperati. L'approvazione definitiva della riforma tributaria dovrebbe essere infine sufficiente a rimuovere quel clima di incertezza che ha finora frenato gli investimenti privati. Per il settore privato dell'economia si farà di tutto per stimolarne l'attività, venendo in soccorso delle imprese attualmente in difficoltà. Nella Relazione si afferma, infine, che si otterranno i risultati desiderati a patto che non sorgano ostacoli dal lato dell'offerta, in conseguenza del ripetersi dei conflitti di lavoro all'interno delle aziende. Al fine di prevenire il formarsi di una situazione di tensioni, dovrebbe verificarsi un confronto aperto tra obiettivi delle rivendicazioni salariali e obiettivi della programmazione, in modo da assicurare variazioni dei costi salariali graduali e non destabilizzanti. Finora abbiamo riassunto la Relazione senza commenti, al fine di dare al lettore un'idea del suo contenuto. Veniamo ora ad alcune considerazioni. Una prima questione di dettaglio riguàrda il fatto che, ripetendo q1.1anto già era stato scritto nelle precedenti Relazioni, il Governo lamenta la circostanza che la presentazione della Relazione cada in un periodo nel q11ale, data la scarsità di dati a disposizione, non è possibile formulare fondate previsioni sul futuro andamento dell'economia; questo spiegherebbe in parte la discorda11za verificatasi tra le previsioni per il 1971 - formulate nella Relazione dell'anno scorso - e le realizzazioni. Su questo punto si può in parte convenire, poiché le previsioni si poggiano molto su quanto avviene nel presente: quanto più imperfetta è la conosce11za del presente, tanto meno attendibili risultano le previsioni. Perciò non si potranno mai pretendere dal Governo previsioni esatte. ·Non riteniamo tuttavia che l'imperfetta conosce11za della situazione attuale possa git1stificare la richiesta del Governo di essere esentato dal presentare la Relazione, perché questa -Relazione una funzione positiva l'assolve comunque, rappresentando una guida per le classi imprenditoriali sugli orientame11ti di politica economica di breve periodo dell'Autorità pubblica. E questa funzione, la Rela20 Bibiiotecaginobianco

Il governo e la congiuntura zione dovrebbe assolverla anche in futuro, pure i11presenza del piano quinquennale. Il periodo in cui essa cade dovrebbe forse convincere gli estensori ad una maggiore cautela s11lla misura quantitativa delle variazioni previste di alcune grandezze (cosa che non avvenne lo scorso anno) e ad essere invece più precisi ed espliciti circa le proposte operative che il Governo intende avanzare per il periodo a cui la Relazione si riferisce. Ov,,riamente nella Relazione si è ben consapevoli del fatto che le divergenze tra le previsioni ed i risultati conseguiti nel 1971 sono tali da non poter essere spiegate se no11 in minima parte con l'inesattezza dei dati sui quali era basata la Relazione dello scorso anno. Per citare il caso più evidente, la divergenza tra previsioni e realizzazioni è enorme per q11anto riguarda il tasso di crescita del reddito nazionale. Nella Relazione previsionale presentata l'anno scorso in Parlamento si ipotizzava per il 1971 un tasso di crescita del reddito nazionale del 6%; la Relazione di quest'a11no, come già abbiamo notato, non azzarda cifre in proposito, limitandosi ad osservare che, 11ella migliore delle ipotesi, la crescita sarà modestissima e dovuta in larga parte all'apporto del settore agricolo e del settore terziario. A giustificazione del contrasto tra le previsioni e i risultati si dice che l'aumento del reddito indicato nella relazione dello scorso anno era da intendere carne obiettivo e no11come previsione, tanto è vero che lo scorso anno si afferma,,a: « l'effettivo conseguimento di esso ( tasso di crescita del reddito) dipende dal verificarsi di alcune condizioni, su cui può in varia n1.isura in-fluire l'azione pubblica». Si tratta ora di esaminare quali sono le condizioni il cui verificarsi ha influenzato negativamente le vicende economiche italiane e quale è stato il r11olo in esse svolto dall'azione pubblica. Come si ricorderà, in precedenza abbiamo elencato i fattori che hanno determinato la mediocre prestazione del sistema economico e cioè: 1) crisi dell'attività edilizia; 2) riduzione degli investimenti dovuti a difficoltà di finanziamento; 3) carenza (o meglio espansione inferiore al previsto) di domanda di consumi privati. Per quanto riguarda il primo punto, le responsabilità maggiori sembrano da attrib11ire all'azione pubblica, la quale per tanti motivi (dalla ritardata approvazione della legge per la casa alla lentezza burocratica che ha ostacolato e ritardato la spesa dell'edilizia pubblica) non è stata in grado di assicurare una forte ripresa dell'attività edilizia; e· questo in una situazione in cui il problema della casa risulta ancora irrisolto per gran parte dei lavoratori. 21 Bibiiotecaginobianco

Salvatore Vinci Sul secondo punto c'è molto da dire a proposito dell'azione pubblica, includendo nell'azione pubblica anche· l'operato delle autorità monetarie. Come abbiamo detto, nei primi mesi del 1970 fu attuata da parte delle Autorità n1onetarie u11a stretta creditizia che provocò difficoltà di finanziamento per gli investimenti delle imprese, difficoltà. che si sommarono a quelle derivanti dall'assottigliamento dei margini di autofinanziamento a seguito degli incrementi salariali concessi al termine dell'« autunno caldo ». Ora, è evidente che la caduta degli investimenti (cioè di una componente della domanda globale) non poteva verificarsi contemporaneamente alla stretta creditizia, ma soltanto in un momento successivo; in altri termini, gli effetti della stretta creditizia si sarebbero manifestati soltanto nei mesi successivi alla primavera 1970. Di questo si sarebbe dovuto tenere conto nell'agosto 1970, quando, dopo un periodo di inattività, il Governo decise di varare le misure anticongiunturali, il cosiddetto « decretane »; queste misure dovevano assicurare maggiori entrate fiscali per alleggerire il peso del disavanzo pubblico e per modificare la composiz~one della domanda, spostando risorse dall'area dei consumi privati a quella degli investimenti. Le maggiori entrate furono reperite i11parte attraverso aumenti delle aliquote delle imposte dirette e indirette e in parte aumentando le aliquote contributive per l'assistenza malattie a carico delle imprese con decorrenza 1° gennaio 1971. Le misure anticongiunturali detern1inarono un abbassamento del livello della domanda di consun10 e resero ancora maggiori i costi di lavoro per le imprese. No11 si vede come gli investimenti privati IJ0tessero riprendersi in una situazio11e in cui dal lato del finanziamento si frapponevano difficoltà (e le più gravi non furono certamente quelle dovute alla mancanza di autofinanziamento per gli incrementi salariali concessi ai lavoratori), mentre dal lato delle prospettive future si peggiorarono le cose con una politica fiscale che colpiva tutta una serie di consumi dei più svariati settori produttivi. Il fatto poi che tra i provvedimenti congiunturali adottati vi fossero anche misure per il rilancio degli in,lestimenti privati, quali la concessione e la proroga di sgravi fiscali, non può modificare sostanzialmente il giudizio negativo da esprimere sull'intervento di politica econo- • 1n1ca. In definitiva, a nostro parere, le misure del Governo furono prese in agosto valutando la situazione economica sulla base di dati relativi ad un periodo nel quale gli effetti della stretta creditizia non si erano ancora manifestati. Si può dunque concludere 22 Bibiiotecaginobianco

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