Nord e Sud - anno XV - n. 99 - marzo 1968

/ f ... I Rivista mensile diretta da Francesco Comp,agna - I . i ManiliioRossi ' Doria, Due anni e pochi mesi - Rosellina Balbi, Il nuovo pregiudizio favorevole - Salvatore Vinci, L'occupazionenel 1967 - Felice La Rocca, Le difficili sceltedell'on.Piccoli - Girolamo. ,Cotroneo, ·11silenzio di Sartre e scritti di Giovanni Aliberti, Giovanni Coda Nunziante, Giuseppe D'Eufemia, Sebastiano Di ,Giacomo, Franco Fiorelli, Massimo Galluppi, Brunro Isab,ella, ·Antonio Palermo, . Bernardo •) Rossi Doria. • I .. ' ~ ANNO XV · - NUOVA SERIE - MARZO 1968 N. 99 (r6o) EDIZIONI S1CIENTl·F·ICHE' ITALIA.NE NA·POLI ,. .. • ::,_.,.. l • • ..Bibli ete cag i no bi an •~::;;:;::::;:=:; ~~~~ . ~ . . ,· . l, ~ • < . ' y ') ) . \

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I I NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO XV - MARZO 1968 - N. 99 (160) D I R E Z I O N E E R E D A Z I O N .E : Via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.347 Amministrazione, Distrib,uzio·ne e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. ·via Carducci, 29 - 80121 Napoli - Telef. 393.346-393.309 Una copia L. 400 - Estero L. 700 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L: 5.000, semestrale L. 2.700 - Fascicolo arretrato L. 800 - Annata arretrata L. 8.000 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Carducci 29, Napoli Biblio· ecaginobianco

SOMMARIO 1\1.anlio Rossi Dori3. Rosellina Balbi Salvatore Vinci Felice La Rocca Massimo Galluppi S. Di Giacomo Girolamo Cotro-neo Franco Fiorelli Bruno Isabella G. Coda Nunziante Antonio Palermo Giuseppe D'Eufemia . Giovanni Aliberti Mario Pannunzio [ 3] Due anni e pochi mesi [ 8] Il nuovo pregiiLdizio favorevole [25] L'occu,pazione nel 1967 [37] Note della Redazio11e Relazioni extraconitlgali e sicurezza dello Stato - Dalla consultazione alla contrattazione - Per una politica scientifica :- Cronache napoletane [ 47] Giornale a più voci Le difficili scelte dell'on. Piccoli· [55] Il neocentrismo di Giscard d'Estaing [59] Il sindacato in Italia [ 63] Il silenzio di Sartre [71] Argomenti Le prospettive della contrattazione [76] L-'acq~la sporca [89] La « finanziaria » agricola [ 104] Recensioni Tutto sugli Scapigliati [ 116] . Partiti e gruppi di pressione [120] L'epistolario di Salvemini [121] Lettere al Direttore Bernardo Rossi Daria Industrializzazione e paesaggio [127] Bibliotecaginobianco

I Mario Pannunzio {< Il Mondo» n. 891, a. XX, 25-31 gennaio 1968: è il numero unico che Mario Pannunzio aveva preparato per conservare i diritti alta testata. Lo aveva preparato prima di entrare in clinica_e lo ha visto stamp.ato quando già si trovava da qualche giorno a lottare contro il male che lo ha portato via. Il numero unico, di quattro pagine, ha il titolo: Cronache di un commiato. Questo titolo, impaginato come titolo di apertura su due colonne, si riferisce alla chiusura del settimanale: agli articoli di com1rziato, appunto, che furono pubblicati nel febbraio del 1966, quando « Il Mondo », dopo diciassette anni di gloriosa presenza settimanale nel dibattito politico e culturale, aveva annunciato di chiudere i battenti. Poiché da molte parti si chiedeva che qitesti articoli « non andassero dispersi », Mario Panriunzio li ha raccolti lui stesso, quelli che gli sono sembrati « più significativi », nel nitmero unico di cui dicevamo. Ma chi poteva mai pensare che questo numero unico potesse diventare il suo « commiato », il suo addio .agli amici? Nel numero unico, fra gli articoli di «commiato» raccolti da Mario Pannunzio, c'è anche quello che scrivemmo per « Nord e Sud» quando « Il Mondo » cessò di esistere. Lo abbiamo riletto, come abbiamo riletto tutti gli altri. Noi, il nostro articolo di « commiato », lo chiudevamo con un augurio: « sarebbe un grande giorno quello in cui ci si potesse ritrovare ancora intorno a Mario· Pannunzio, per fare insieme un settimanale ' impegnato ', per lanciare una nuova serie dél ' Mondo 1 , o per fare una qualsiasi altra cosa che fosse degna delle tradizioni del ' Mond·o ' ». Ora sappiamo che quel « grande giorno » non potrà venire. Come ha scritto Aldo Garosci (sull'« Avanti! » di domenica 11 febbraio, all'indomani della scomparsa di Mario Pannunzio), tutti pensavamo che il direttore del « Mondo» sarebbe prima o poi <, tornato in campo»; e tutti cÌ' domandavamo « quando si sarebbe deciso a mettere assieme la nuova irnpresa, l'impresa che avrebbe segnato l'unità di fini delle intelligenze, la persiste11za della critica ne.Ila · ·nuova situazione aperta dal centro-sinistra». !v!a la nostra era un'illusìone: « di lui, ci resta solo quel che ha fatto ». E tuttavia, quel che ha fatto « ci basta »: così Aldo Garosci a cfiiusura del suo necrologio di Mario Pannunzio. Possiarrzo aggiungere che, se ci sentivamo « come orfani» quo.ndo Pannunzio chiuse « i'l 11ostro giornale», oggi sentiamo di 3 -Bibliotecagin_obianco

Mario Pannunzio essere anirrzati da una ferma . volonià di continuare, come sappiamo e come possiamo, la nostra attività: proprio perché si tratta di un'attività che deriva dalla lezione etico-politica che abbiamo appresa frequentan.do l'amico che ora ci ha lasciati. Fit Mario Pannun_zio a dirci, all'indo1nani delle elezioni del 1953, che dovevamo fare questa rivista; e fu lui, durante un viaggio a Milano per un convegno della sinistra liberale, .a suggerirci -la testata: « Nord e Sud ». Ci ha seguiti poi n1ese per n1ese, senza mai farei mancare le sue considerazioni critiche sui testi che andavamo pubblicando, specialmente ~ugli editoriali e sitlle note della redazione nelle quali si d'efiniva la nostra linea politica. Ma quale fosse la misura del suo compiacimento per la nostra capacità di durare, ce lo volle di1nostrare con il « taccuino» pubblicato sul « Mo·ndo » quando « Nord e Sud·» raggiunse il suo decimo anno di vita, con la pubblicazione del numero 120, nel novembre del 1964. « Nord e Sud » è figlia del « Mondo » e noi co1ne giornalisti politici e come uomini ·di citltura liberale siarno cresciuti perché Mario Pannunzio ci ha aiutati a crescere. Se « di lui ci resta solo quel che ha fatto»,· e questo « ci basta», voglian10 e dobbiamo innanzi tutto ricordare che abbiamo contratto con la sua memoria un debito perma- . rtente: faremo del nostro meglio per continuare a pagarlo, çosì come abbiamo fatto del n.ostro meglio per continitare a pagare il debito che abbiamo contratto con la 1nemoria di Renato Giordano e con quella di 1littorio de Caprariis. Questo significa pu,re che continueremo a pensare - come se egli fosse ancora vivo e come ,abbiamo fatto per tutti questi anni - cosa direbbe Pannunzio di tutto ciò che di volta in volta noi penseremo, faremo, scriveremo, su « Nord e Sud» e altrove. Domenico Bartoli, sit «Epoca», Jza ricordato che, « in un certo ambiente di intellettuali, che è piccola minoranza nel paese, ma che raccoglie un grande numero di giornalisti colti, di scrittòri, di critici e di studiosi, il giudizio d~ Pan11itnzio aveva itn peso, una forza che nessun estraneo avrebbe potuto immaginare». E- Indro Montanelli, sul « Corriere della Sera», ha ricordato che Pannunzio era per lui, e forse per tutti i giornalisti della sua generazione, « qualcosa di più che un amico » · cui ci si poteva rivolgere « nel caso di una difficile scelta »: Pannunzio, 11.ascritto 1.\1.ontanelli,era « la 1nia coscienza ». Quanto ad Arrigo Benedetti, che di Pannunzio è stato l'amico di tutte le stagioni della vita, egli 'ha ricordato, su «Panorama», come e perché Pannunzio suscitasse « energie vitali » in tutti coloro che lo avvicinavano accettasse i ., loro problemi, li riconoscesse « quando erano autentici >>, li dissipasse « quando erano futili ». 4 Bibliotecaginobianco

I Mario Pannunzio Ecco: noi vorremmo essere di qitelli per i quali il giudizio di Pannunzio continuerà ad esercitare una forza che nessun estraneo potrà , immaginare; per i quali la 1nemoria di Pannunzio sarà ancora la voce della coscienza; per i quali il ricordo di Pannunzio sarà ancora capace di suscitare « energie vitali ». Abbiamo fatto parte di quella comunità ideale che il direttore del « Mondo » aveva saputo creare e della quale l.lgo ·La Malfa ha ricordato· la coesione e la coerenza sulla « Voce repubblicana »: averne fatto parte è un privilegio che ci impegna per sempre. E tuttavia, sul piano dei sentimenti più imn1ediati, non ci riesce anco~a di superare quello stato d'animo che Franco Libo,nati ha espresso per tutti noi, scrivendo, sulla « Voce repubblicana », che, nel momento in cui il « gruppo degli intimi » si è fermato al cancello della clinica, <lopo aver dato l'ultimo saluto a Mario Pannunzio che si allontanava verso l'ultima dimora, in quel momento, gli è sembrato che mo,lto della sua vita, e non solo della sua, « si allontanasse con lui ». Abbiamo vissuto con Pannunzio uno dei monienti più alti della storia del giornalismo politico nel nostro paese: « uno dei momenti più alti e nobili della nostra stessa esistenza», per dirla ancora con le parole di Ugo La Malfa. Abbiamo voluto citare alcuni degli an1ici che sui quotidiani e sui setti1nanali hanno scritto di Mario Pannunzio all'indomani della sua ultima giornata: li abbiamo citati perché essi ne hanno scritto prima che toccasse a noi, perché rion avremmo potu.to dire meglio di come l'lianno detto loro del ruolo avuto da Pannunzio nei confronti del giornalismo e della cultura in Italia durante questi ultimi venti anni, perché ciò che essi hanno scritto ci ha dato il conforto di sentire insieme ad altri il vuoto che si è creato intorno a noi e in questo vuoto il dovere di essere all'altezza, per quanto ci è po·ssibile, dell'amico perduto. Ma che dire di coloro che in questa occasione hanno; volitto accennare, esplicitamente o implicitamente, ad una presunta sterilità, ai limiti « moraleggianti » ed all'isolamento di una posizione come quella che Mario Pannunzio ha tenuto, nella quale noi ed altri ci siamo riconosciuti, della qtlale - quando « Il Mondo» chiuse i battenti - Vittorio Gorresio scrisse che fu intransigentemente anticomunista in no1ne della libertà, intransigentemente antifascista in no111edell'intellige11za, intransigentefnente anticlericale in nome della ragione? Se a qualcuno può essere sembrato che Mario Pannunzio si fosse spinto « fino all'accettazione consapevole e quasi alla teorizzazione di una sorta di sdegnoso isolamento protestatario di fronte ai cosiddetti ' fenomeni di 1 massa ', da lui tutti accomunati sotto un comune denominatore illiberale »; e se a qualcun altro può essere sembrato che negli ultimi tempi 5 s-ibliotecaginobianco

Mario Pannunzio Pannunzio si f asse come chiuso in se stesso, provato dalle delusioni, a noi - che già due anni or sono demmo una certa interpretazione della decisione di sospendere la pubblicazione del «Mondo·», in conseguenza, scrivev.amo, di una crisi del giornalis1no politico e in particolare di una crisi del settimanale « impegnato » - sembra di poter affermare che la coerenza con le sue aspirazioni alla professione di un liberalismo puro e duro imponesse a Pannunzio anche di sfidare il rischio dell'isolamento, come già gli aveva imposto di muoversi sempre contro corrente. Non dobbiamo di1nenticare, come ha scritto Alberto Ronchey, che <{ Il Mondù » è stato quello che è stato perché volle consapevolmente essere il « settimanale di una minoranza, spesso profetica »; e come tale « ebbe periodi di sdegnoso radicalisn10, come era giusto, ma difese i valori storici dello .Stato e della società civile con serenità e continuità degne di un potente establishment ». Pertanto, la sua p·osizione, lungi dall'essere sterile o moralistica, fu politicamerzte feconda e tesa alla ricerca di ur:.a risultante liberale dei cosiddetti « fenomeni di n1assa »: s-i pensi ai convegni degli « an1ici del 'Mondo ' », ai temi di quei convegni che sono diventati temi centrali del dibattito politico in Italia e alla funzione che quei convegni han110 avuto ai fini della preparazione dell"'apertura a sinistra, ai fini della maturazione dell'autonomismo socia- . lista e anche ai fini de( superamento delle fasi di più allarmante involitzione clericale della Democrazia cristiana; ma si pensi pure alla polemica anticomunista del « Mondo » e se ne confrontino lo stile, gli argomenti, le prospettive con quelli della polemica anticomunista che altri giornali italiani vanno praticando solo formalmente « in non1e della libertà ». E allora si può forse affermare che Mario Pannunzio, che « Il Mondo», che tutti noi, amici di Pannunzio e collaboratori del «Mondo», non fossimo, come suol dirsi, « dalla parte della storia »? Si discusse una sera, alcuni anni or sono e tra· pochi amici, di questa ritornante accusa che ci veniva mossa da quanti ritenevano di essere « dalla parte della storia » perché avevano scelto di stare « dalla parte delle masse » e presumibil-;nente « dalla parte dei vincitori ». Pannunzio disse allora . fino a che punto lo irritavano quelli che andavano dicendo: « la storia va verso ... », oppure: ·« malgrado la negazione della libertà, il comunismo è l'erede del liberalismo ». Pan.nunzio diceva, cioè, che si può essere. comunisti perché si crede che l'avvento del comunismo possa portare ad auspicabili soluzioni di quei problemi politici che si considerano i più importanti o i più difficili, ma non perché la stor!a « va verso il comunism<J ». Non si tratta, cioè, di scegliere i,1,natteggiamento politico in base a ciò che si prevede possa succedere in Italia, in Europa, 6 Bibliotecaginobianco

.. I I Mario Pannunzio nel mondo, ma in base a ciò eh.e « le nostre prof onde convinzioni, le nostre idee politiche e la nostra coscienza morale ci impongono di fare nelle deter!ninate condizioni in cui ci troviamo »~ Ricordiamo quella serata, quella discussione, l'indignazione di Pannunzio cont-to quella malattia della coscienza, dell'intelligenza, della volontà onde abbiamo inteso tanti affermare che noi eravamo moralisti isolati p·erché non avevamo saputo metterci « dalla parte della storia», perché non avevamo voluto capire verso quale direzione « marcia la storia». Non era forse, con qualche variante, lo stesso discorso di Gentile a proposito del fascis11io? E non aveva forse Benedetto Croce opposto a Ge1itile argomenti che con qualche variante si potevano opporre a quei tanti obiettori del nostro modo di essere liberali? Ricordiamo anche che dopo quella serata Vittorio de Caprariis scrisse su <e Nord e Sud » le cose che Pannunzio aveva dette: « se si analizzano le azioni umane ... si vedrà che esse sono sempre dettate da convinzioni morali prof onde o da interessi altrettanto prof ond.amente sentiti, da esigenze ideali o pratiche, da bisogni materiali, non mai da un desiderio di essere dalla parte della storia »; e de Caprariis ricordava Lutero che aveva detto a Worms: « vada il mondo dove vuole; io sto qui». Con qitesta citazione da Vittorio de Caprariis possiamo degnamente concludere teditoriale di questo nuniero di « Nord e Sud»: ancora una volta un editoriale da dedicare ad un amico insostituibile, non solo per onorarlo, ma anche perché i nostri più giov.ani amici, che 11,onl'hanno CQnosciuto come l'abbiamo conosciuto noi, sappiano quanto abbia contato per noi, e non per noi soltanto, l'averlo frequentato. F. C. 7 Bibliotecaginobianco

Due - anni e pochi • mesi di Manlio Rossi Doria 1. Due anni e pochi mesi sono passati da quando, con l'appro,vazione della cosiddetta legge di rilancio della Cassa, sembrò concludersi un lungo perio,do di incertezza per la politica di intervento straordinario per il Mezzogiorno. La sod·disfazione con la quale noi, meridionalisti di base - come amiamo chiamarci - ne salutammo l'approvazione non derivava tanto d.alla raggiunta certezza del rinnovato impegno quindicennale dello Stato, quanto dalla constatazione che il rilancio avveniva tenendo conto della revisione critica che della politica meridionalista era stata fatta r1egli anni precedenti. La legge del 1965, infatti, sanzio·nava definitivamente il passaggio· da una politica caratterizzata prevalentemente da opere pubbliche straordinarie ad una di sviluppo eco,nomico imperniato sull'industrializza~ zione; da un intervento diffuso, anche se programmatq, della Cassa, e con1e tale inevitabilmente sostitutivo di quello delle amministrazioni ordinarie, ad un intervento concentrato in pochi settori strategici e come tale veramente aggiuntivo e straordinario; dalla concezione « atte11dista » di una semplice incentiv_azione delle imprese, ad una concezio-ne direttamente « promozionale » delle stesse sulla base di organici piani di sviluppo. Come tale la legge apparve allora a noi - e appare tuttora - strumento adeguato· per quella profonda svolta nello sviluppo del Mezzogiorno che l'esperienza aveva indicato come necessaria e possibile. La legge del 1965 apparve, inoltre, allora a noi - ed appare tuttora - come u11 importante passo verso la programmazione, che fin da allora consideravamo - come dice Saraceno - « una vicenda istituzionale destinata ad impegnare un numero non piccolo di anni con al~ terni e vari e imprevedibili andamenti » 1 e quindi bisognosa di vedere consolidati ad uno ad uno - quando e come è possibile - i suoi pilastri. lJna volta trascorsi, tuttavia, questi due anni e pochi mes_i sono sembrati non il baldanzoso avvio di una nuova fase della politica meridionalista, ma un periodo di confusione e di incertezza ancora più oscuro di 1 PASQUALE SARACENO, Esperienze di programmazione: 1944-63 in « Nord e Sud», marzo 1966. 8 Bibliotecaginobianco

I I Due anni e pochi mesi quello precedente alla promulgazione della legge. Come tali essi sono stati considerati da molti, che hanno·, infatti, manifestato il loro profondo sentimento di delusione e di allarme 2 • E come tali essi sono stati vissuti dagli stessi organi, come la Cassa, incaricati di dar corso alla 11uova politica. Il fatto è che, sotto quella incertezza e confusione, si sono sviluppate, ·in questi due anni e pochi mesi, le vicende di un triplice ordine di difficoltà: crisi delle cose, divergenze nella fondamentale concezione dell'intervento straordinario, esitazioni e difetti nel funzionamento· degli organi cui l'i11tervento è affidato. Si tratta di vicende, tuttavia, che, malgrado le apparenze negative, hanno determinato un ulteriore sviluppo di esperienze e di pensiero, dal quale - se responsabilmente accolto in sede politica e amministrativa - potrà esser resa più sicura e vigorosa la svolta nello sviluppo del Mezzogiorno, che tutti abbiamo di mira. La storia « meridionalista » di questo perio·do merita, pertanto, di essere analizzata e meditata. 2. La crisi nelle cose, ossia nello sviluppo economico effettivo del Mezzogiorno in questi anni, è stata tante volte denunciata e analizzata, che non è il caso di ricordarne i dati. L'accresciuto divario tra Nord e Sud nell'incremento del reddito, la flessione degli investimenti lordi globali e di quelli industriali, il distacco tra le realizzazioni e le mete indicate dal « Piano », lo stato di disagio, se non addirittura il fallimento, di non poche tra le imprese industriali messe in piedi nel periodo precedente, la ripresa tumultuosa dell'emigrazione so·no fatti di tale gravità da giustificare ogni sorta di deh1sioni e di allarmi. Ma - come sempre - i lamenti al muro del pianto non fanno storia, mentre che - se di storia si deve parlare - essa va piuttosto ricercata, anche questa volta, nella virile meditazione sulla causa dell'arresto che tali vicende hanno provocato e negli insegnamenti che se ne sono tratti per l'azione a venire. Che la depressione del 1963-64 dovesse far risentire nel Mezzogior110 i suoi effetti e che la loro gravità potesse risultare qui relativamente maggiore in relazione alla generale debolezza dell'economia meridionale e al fatto che molte delle nuove imprese avevano dovuto affrontare la depressione nel difficile periodo del loro primo avvio, non potevano essere considerati di per sé fatti sorpren.denti. 2 Le tes,timonianze al riguardo sono. infinite. Basti .per tutte richiamare l'attenzione sulle interpellanze presentate e discusse in Parlamento nel dicembre 1967 (v. « Notiziario Svimez » gennaio 1968). 9 ·Bibliotecaginobia.nco

.. Manlio Rossi Daria Le maggiori preoccupazionj sono nate, invece, nell'osservare il prolungarsi nel tempo di tali effetti e la resistenza (a ripresa chiaramente avviata) degli imprenditori ad investire nel Mezzogio'rno malgra·do gli incoraggiamenti e gli incentivi. L'uno e l'altra ha.nno co-nfermato·, infatti, che il meccanismo messo in opera per lo sviluppo del Mezzogiorno non è ancora tale da far raggiungere gli obiettivi proposti. Tre ordini di insegnamenti sono stati, perciò, ricavati dalla dura esperienza di questi anni. A quel che sembra essi so,no- stati compresi e meditati dai nostri uomini politici più seri e responsabili e dovranno, perciò, informare di sé la futura politica economica del paese e divenire operanti nella sua attuazione nel Mezzogiorno. Il primo di questi insegnamenti riguarda il rapporto tra politica della congiuntura e politica di sviluppo eco·nomico del paese. L'esperienza degli anni recenti ha, infatti, dimostrato che, se lasceremo che l'espansione industriale del paese continui a concentrarsi esclusivamente nelle regioni di vecchia industrializzazione già oggi congestionate dall'eccessivo- ad-densamento delle attività economiche e della popolazione urbana, non potremo· evitare il riprodursi frequente di fenomeni simili a quelli che hanno colpito l'economia italiana nel triennio 1962-65 e saremo, pertanto, costretti a ricorrere periodicamente a quegli interventi anticongiunturali, che si traducono inevitabilmente in _arresti dello sviluppo economico e in ultima analisi nell'attestazione su saggi di sviluppo medi notevolmente inferiori a quelli dell'ultimo- ventennio- e in ogni caso insufficienti a consentire l'equilibrata crescita economica della . 11az1one. Per evitare un tale destino - insopportabile per un paese come il nostro, la cui crescita economica è ancora recente, instabile e diseguale -· occorre trasferire la massima parte della futura espansio·ne industriale nel Mezzogiorno-, ove esiste ancora una riserva di mano d'opera e dove è più facile ottenere un minore aggravio dei costi complessivi, in modo da evitare quella « inflazione dei costi » che è e sarà sempre alla base delle _crisi co·ngiunturali e degli arresti di sviluppo di cui sopra si diceva~ L'esperienza di questi anni ha, cioè, inconfutabilmente dimostrato che la politica di industrializzazione del Mezzogiorno no-n è soltanto imposta dalla necessità di superare al più presto possibile il dualismo caratte~istico della nostra società ed economia e di conseguire l'unità economica e civile del paese, bensì anche e soprattutto dalla necessità di utilizzare l'unico strumento capace di assicurare una crescita prolungata e rapida e relativamente stabile dell'intera economià del paese. Il secondo insegnamento - per ora solo enunciato e non ancora tradotto 10 Bibliotecaginobianco

.. I .I Due anni e pochi mesi in coerenti linee e procedure di azione politica - riguarda la politica degli incentivi. Per aiutare la difficile crescita degli imprenditori meridionali, e per vincere le indubbie e giustificate resistenze alla localizzazione nel Mezzo.giorno delle imprese già affermatesi altrove, la politica a favore del Mezzogiorno ha puntato finora principalmente sulla messa in opera di un sistema di incentivi a funzionamento indiscriminato, i cui termini sono divenuti di anno in anno più larghi e favo-- revoli. Negli anni della depressione e in quelli successivi, l'efficacia di un tale s.istema di incentivi è sta~a, per così dire, giudicata dai fatti e pur 110n essendo, ovviamente, interamente negativo, il giudizio è stato tuttavia assai severo 3 • Ad una considerevole parte degli incentivi è stato così rimproverato di avere favorito il sorgere di industrie troppo piccole, tecnicamente sorpassate e male connesse ai mercati, ossia di essere serviti a tenere in vita situazioni ·di inefficienza. Ad un'altra parte, quella destinata alla creazione di impianti industriali di adeguate dimensioni, tecnicamente validi e bene connessi ai mercati, di avere agito talvolta con eccessiva larghezza, creando dei benefici netti che non sempre si sono tradotti in un effettivo rafforzamento del tessuto industriale. Nei riguardi di una terza parte dei possibili impianti, infine, al sistema degli i11centivi si è rimproverato di nascondere le vere cause della mancata loro localizzazione nel Mezzogiorno,. ossia di non essere lo strumento adatto a superare le resistenze di maggior rilievo. Questo complesso di constatazioni e di critiche, se non ha, ovviamente, intaccato il principio dell'incentivazione, ha, tuttavia definitivamente condannato ogni sistema di incentivi a funzionamento indiscriminato o arbitrariamente differenziato ed ha posto il grosso pro•blema della « manovra degli incentivi », alla cui soluzione si oppongono serissimi ostacoli sia giuridici che amministrativi, presupponendo l'elasticità e la discrezionalità della loro erogazione il funzionamento di controlli analitici di no·n facile costituzione. Il terzo e fondamentale insegnamento di questi anni deriva dai due precedenti e si riassume nell'imperativo di trarne tutte le logiche conseguenze. La prima conseguenza che biso-gna trarne è, perciò, . il definitivo superamento della politic~ d'intervento del 1950. Questa av~va rappresentato, infatti, « un con1promesso fra una politica di sviluppo e una politica di soccorso » co•n la conseguenza di realizzare « investimenti costosi senza rendimenti im~ediati », « formazione di capi3 Valga per tutti quello espresso dal Governatore Carli nella relazione 1967 alla Banca d'Italia. 11 ·Bi·bliotecaginobianco

Manlio Rossi Dorza tali tecnici senza adeguata utilizzazione produttiva », « qualificazione professionale dalla quale traeva principale vantaggio l'emigrazione », ossia di creare « un meccanismo contenente 11otevoli' el~menti di inefficienza ». Nella nuova situazione, ciò non può più essere tollerato, perché « ogni elemento di inefficienza dev'essere eliminato » e tutto deve essere subordinato·, nell'intervento straordinario, alla immediata utilizzazione produttiva, ossia all'industrializzazione, ivi compresa quella dei settori agricolo e turistico a più elevato e pronto rendimento 4 • Tanto più questo radicale superamento è necessario in quanto - come ha lucidamente dimostrato lo stesso Graziani nelle sue due relazio-ni al Convegno della Fo-ndazione Einaudi a Torino - per effetto del recente sviluppo economico del paese « le due economie del Nord e del Sud si sono venute integrando e le loro sorti sono, divenute interdipendenti in misura sempre più stretta, indipendentemente dal fatto che la struttura economica del Sud vada rassomigliando alla struttura economica del Nord » e pertanto « l'evoluzione industriale nell'Italia del Nord ha sgretolato nella sua stessa logica la politica del 1950 di sviluppo e di assistenza per il Mezzogiorno » 5 • Sebbene una prima intuizio·ne di questo definitivo superamento della politica d'intervento del 1950 sia stato chiaramente presente. - come s'è detto all'inizio- - nella formulazione della legge di rilancio della politica meridionalista, biso-gna obiettivamente riconoscere che allora la coscienza del profondo cambiamento intervenuto e della necessità di un definitivo superamento della vecchia politica non era così esplicita e ferma, come lo è oggi dopo la dura esperienza di questi anni. La seconda conseguenza è che non c'è tempo da perdere. L'integrale processo di industrializzazione del paese e il suo definitivo approdo ad un'economia di tipo occidentale a piena occupazione si prevedono realizzabili entro il 1980. O entro quel termine avremo conseguito la creazione nel Mezzogiorno di due milioni e 400 mila posti di lavoro nelle attività extragricole modernamente industrializzate, corrispondenti ai due terzi dell'offerta di lavoro di provenienza meridionale, e avremo in tal modo concluso il processo di unificazione economica del paese e assicurato all'intera economia del paese un meccanismo policentrico· capace di uno sviluppo sostenuto ed equilibrato, o avremo definitivamente perpetuato il dualismo delle due Italie e dovremo affrontarne tutte le durissime conseguenze. 4 A. GRAZIANI, Politica di congiuntura e politica di sviluppo, « Nord e Sud » febbraio 1965. 5 Le due relazioni sono di imminente pubblicazione negli Atti del Convegno a cura della fondazione Einaudi. 12 Bibliotecaginobianco

' . I Due anni e pochi mesi Ma, se non c'è tempo da perdere, la terza e principale conseg.uenza, che dev'essere tratta dalla maturata esperienza di questi anni, è che la politica meridionalista deve poter disporre nei prossimi anni di strumenti almeno in parte diversi da quelli passati e deve farne uso efficientissimo sulla base di una incrollabile volontà politica. Se le precedenti conseguenze della nuova analisi del pro.blema sono state ·tratte principalmente dagli economisti, è significativo il fatto che quest'ultima fondamentale conseguenza sia stata proclamata dai politici, i quali si sono sforzati anche di tradurla nei termini di una concreta politica di governo. Lé vicende del dibattito su questo tema nel corso del 1967 sono a tutti note. Avviato da più parti nella primavera - e non trascurabile fu certo· il nostro apporto• nel Convegno di Torino promosso dalla Fondazione Einaudi - esso ebbe la prima manifestazione spettacolare nell'annuncio della creazione dell'Alfa Sud e la prima formulazione in termini politici nuovi nel Convegno di Taranto « Il Mezzogiorno negli an11i settanta» organizzato dal Partito socialista, ove Antonio- Giolitti affermò per la prima volta la necessità di promuovere in fatto di industrializzazione del Mezzogiorno « un tipo di azione diversa che superi la concezione del sistema degli incentivi... un tipo d'azione nel quale l'approccio sia quello della promozione di nuove iniziative industriali di grandi dimensioni ». « Lo Stato - egli allora disse - deve adoperare nei confronti dell'impresa pubblica il suo potere di direttiva efficiente e concreto; lo Stato deve adoperare, nei confronti dell'impresa privata di grandi dimensioni, il potere che gli deriva dal possesso di certi strumenti... per instaurare un rapporto che sia un rapporto di contrattazione » 6 • Questa concezione - della cui paternità vanamente discetteranno gli storici futuri - trovò, infine, nell'ottobre la più compiuta e articolata formulazione nell'energico e ragionato discorso di Emilio Colombo al Convegno meridionalista della Democrazia Cristiana a Napoli, cui dovrà sempre rifarsi chi voglia in sintesi ritrovare lucidamente riassunto il lungo ripensamento che dalla crisi di questi anni ha messo capo al vi~ goroso rilancio attuale della politica meridionalista 7 • Considerando il solo settore dell'industria di .grandi e meàie dimensioni - che è il solo capace di trascinar con sé l'intero processo· di i_ndustrializzazione - la nuova linea della c·ontrattazione politica degli investimenti nel Mezzogiorno· risulta defini~a. Si tratta, da un lato, di concordare - sia con gli organi che presiedono alle imprese pubbliche 6 Vedi « 11 Mezzogiorno negli anni '70 » Atti del Convegno del PSU, Taranto, 7-8-9 luglio 1967, p. 217. 13 Bibl'iòtecaginobia_nco

Manlio Rossi Daria che con i responsabili numerosi dell'industria privata - « la re"alizzazione contemporanea di una serie, diversificata per settori ma integrata globalmente, di impianti industriali non solo q.i grandi dimensioni » e di riservare, inoltre, al Mezzogiorno « la realizzazione delle industrie nei 11uovi rami ad alte dosi di tecnologia »; si tratta, dall'altro, di assicurare alle industrie la correlata « predisposizione delle necessarie in~rastrutture », « il finanziamento del complesso delle iniziative », la pronta organizzazione di adatte istituzioni di ricerca scientifica applicata, oltre che « una maggìore efficienza dell'A1nministrazione, un attento utilizzo delle risorse, una severa condotta della gestione della spesa pubblica, una politica monetaria capace di assicurare la stabilità dei prezzi e la formazio-ne del risparmio ». L'impegno politico che ne risulta, oltre a richiedere la stabilità della formula politica, si traduce nel fatto in una coerente scelta e in una piena efficienza degli strumenti la quale - per giudizio concorde dei due mag.giori partiti - potrà risultare, più che da leggi nuove, da ben coordinati e non co-ntraddittori atti di governo. L'insegnamento di fondo della recente esperienza, sulla base di u11a visione nuova e molto più impegnativa della politica meridionalista, mette, pertanto, in pieno risalto la preminenza della scelta e del funzionamento degli organi· cui l'intervento straordinario resta affidato~ 3. La seconda vicenda di questi due anni e pochi mesi, la cui storia merita di essere ricostruita, è appunto quella delle divergenze sulla scelta, i poteri e il funzionamento dei vari organi, tra i quali si ripartisce il compito di promuovere ed assistere la politica di sviluppo eco- - nomico del paese ed in particolare l'intervento straordinario nel Mezzo- . giorno. Il lucido articolo, che Massimo Annesi ha dedicato- nel numero scorso di questa rivista all'analisi di una serie di proposte di revisione dell'attuale ordinamento 8 , mi dispensa dal ripetere cose che sono là assai bene esposte ed· analizzate e dal ripetere il giudizio su quelle proposte che ho già avuto occasione di espo~re in altra sede 9 e che esattamente concorda col suo. Dopo quanto sono venuto dicendo sulla revisio-ne che la crisi di questi anni ha provocato nei fondamentali indirizzi della -politica per il Mezzogiorno, no1 n c'è bisogno che spieghi perché consideri senza alcun fondamento· le proposte di Carabba analizzate da Annesi, che obiettiva- • 7 Il te~to del di,scorso d~ll'on. Colombo a Napoli, oltre che nella stampa quotidiana dell ottobre, e stato nprodotto da « Mondo Economico» e da « Nuovo Mez- . zog1orno ». 14 Bibliotecaginobianco

I f Due anni e pochi mesi mente priverebbero la politica meridionalista di quegli specifici strumenti, dei quali essa ha oggi più bisogno che mai, proprio perché le vicende economiche hanno dimostrato la necessità di un impegno specifico nel Mezzo-giorno maggiore di quello precedente. È facile dimostrare, d'altronde, che l'affermazione e il consolidamento degli organi preposti alla programmazione econorp.ica - che tutti debbono _volere - difficilmente potrebbero aversi qualora nell'ambito della loro competenza si facessero rientrare funzioni diverse da quelle della programmazione. Prima di questa, la realizzazione di ogni politica era affidata a tre distinte sfere di competenza e di responsabilità - a livello legislativo, politico-direzionale ed esecutivo. Dopo la sua introduzione ad esse se ne aggiunge una quarta - quella a livello di programmazione - non circoscritta a un singolo settore, incaricata di assicurare continuità e coerenza all'insieme delle iniziative economiche pubbliche e private e quindi responsabile diretta del coordinamento di . tutte le politiche con riflessi economici. Essa non può, tuttavia, e non deve annullare le competenze e responsabilità delle singole politiche, perché, così facendo-, verrebbe, per così dire, a rinnegare se stessa o altrimenti ad accentrare in un unico organo la responsabilità direzionale ed esecutiva di tutte le politiche, il che non è neppure pensabile. Da un punto di vista formale, d'altronde, la politica di programmazione si trova - si potrebbe aggiungere - nella stessa posizione in cui si trovano tutte le altre politiche, nelle quali si articola l'azione dello Stato. Anch'essa, infatti, dovrà realizzarsi ai tre livelli: legislativo, politico-direzionale ed esecutivo. Il Parlamento ha già definito per legge e. continuerà a definire le sue competenze e i suoi poteri; il CIPE, in quanto, Comitato di l\tlinistri, ha e deve avere la piena respo·nsabilità po-- litica direzionale del coordinamento di tutte le politiche economiche e della realizzazione del programn:ia; mentre che gli organi esecutivi, ossia l'Amministrazione della programmazione, debbono assumersi intera la responsabilità della co·ntinua elaborazione coordinata dei programmi di tutte le politiche nonché del controllo del loro adempimento, senza mai assumersene - per la « contraddizion che nol consente » - quella della loro diretta esecuzione. Non si vede, pertanto, per quale ragione dovrebbe esser.e delegata all'Amministrazione della programmazione la specifica politica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, le cui ragion d'essere sono state nonché annullate, 1 confermate ed esaltate_ dalle più recenti vicende e i s MASSIMO A.NNESI, Miti e paradossi _della programmazione: la « Cassa per il Settentrione'?» in « Nord e S,ud », febbraio 1968. 9 Vedi il testo del mio intervento al Convegno di Taranto in « Atti cit. », p. 206. 15 ibliotecaginobianco

Manlio Rossi Daria cui complessi compiti hanno bisogno di essere risolti da molteplici organi, coordinati in un'unica amministrazione e affidati ad una bene individuata direzione e responsabilità politica. La controversia sviluppatasi al riguardo in questi anni è nata certame11te dal bisogno di vedere soddisfatte due giustissime esigenze, la prima delle quali ha riferimento al coordinamento dei poteri di direzione dell'eco·nomia del paese, mentre che l'altra riguarda l'adegua-. mento degli strumenti ai nuovi compiti della politica di industrializzazione del Mezzogiorno. Poiché si tratta, tuttavia, di esigenze diverse, il loro assolvimento andava cercato su due diversi piani. La prima, infatti, quella del coordinamento dei poteri di direzio.ne dell'economia del paese, va, da un lato, soddisfatta - come si sta facendo - con la definizione delle norme di procedura della politica di programmazione e dei compiti di concreta elaborazione della stessa lungo le linee in precedenza indicate, mentre che, dall'altro, per quanto riguarda il vero e proprio coordinamento dei poteri direzionali dell'eco11omia del paese, il pro•blema - come giustamente ha osservato di recente Emilio Colombo· 10 - « è strettamente legato, più che a norme, all'accettazione di comuni obiettivi e alla stretta solidarietà fra coloro che sono responsabili della direzione economica », essendo vano cercare una soluzione formale per quel che soltanto nella quotidiana intesa di ' . ' governo puo essere co·nsegu1to. La seconda, invece, - quella dell'adeguamento degli strumenti della politica d'intervento straordinario nel Mezzogiorno ai nuovi compiti dell'industrializzazione - richiedeva un discorso analitico che non è stato ancora co·mpiutamente fatto e al quale la co·ntroversia di cui si è detto 110n ha, malgrado le intenzioni, seriamente contribuito. 4. E siamo così giunti al terzo gruppo di questio•ni - quello relativo all'insoddisfacente funzionamento degli organi dell'intervento straordinario - che ha avuto, indubbiamente, con gli altri due, notevole influenza nel determinare quello stato di confusione e di incertezza, del quale si parlava all'inizio. Affinché il discorso a questo riguardo possa avere un senso e una utilità, esso va riferito ai singoli settori nei quali si articola la politica d'intervento straordinario nel Mezzogior110. Prima di passare, tuttavia, all'esame del più importante dei settori d'intervento, quello dell'industrializzazione - cui interamente ed esclusivamente quest'articolo è dedi10 Vedi al riguardo il passo del discorso di Colombo ad Assisi a conclusione del XXII Congresso dell'UCID, riportato in « Nuovo Mezzogiorno», novembre 1967. 16 Bibliotecaginobianco

Due anni e pochi 111esi cato -, cadono opportune alcune considerazioni di ordine generale e pr~liminare. Si è detto all'inizio· che il rilancio d~lla politica meridionalista con la legge del 1965 ha tenuto conto della revisione critica della politica precedente, tanto che, anche se quella revisione è andata in seguito molto oltre, la legge resta tuttora sostanzialmente valida, rappresenta, cioè, un quadro legislativo entro il quale si può realizzare una politica più energica ed efficace di quella realizzata in questi anni. Un tal giudizio sostanzialmente positivo sulla legge, tuttavia, non può -~ ed è tempo di riconoscerlo - essere esteso al modo in cui la legge è stata applicata. A questo riguardo è mancata, infatti, la revisione interna dei servizi, delle procedure, dei metodi di lavoro, dei coordinamenti, che era divenuta indispensabile col passaggio da una politica di programmi pluriennali di opere pub-bliche, di preindustrializzazione e di semplice incentivazione delle attività eco·no•miche ad una politica di sviluppo economico programmato, di intensa industrializzazione e di diretta promozione ·delle iniziative economiche private e pubbliche. I due strumenti, che avrebbero dovuto aiutare la Cassa e gli organismi collaterali a compiere il non facile passaggio- dall'una all'altra politica e a realizzare la revisione interna dei servizi, delle procedure e dei coordinamenti - la direzione politica del Ministro, del Comitato e clella piccola « amministrazione » creata attorno ad essi, da un lato, e il « Piano di coordinamento », dall'altro, che l'articolo 1 della legge investiva di un tal compito - non sono stati, nel fatto, in questo primo periodo, di molto aiuto a questo fi11e. Sebbene ogni giudizio al riguardo non possa, o·vviamente, che essere formulato in forma di semplice dubbio, si è, infatti, avuta l'impressione che sia l'uno che l'altro strumento siano stati subito adoperati con finalità operative prima di avere individuato e raggiunto le preliminari finalità riorganizzative. Si è, di cor1seguenza, avuta anche l'impressione che l'intervento del primo, anziché limitarsi alla funzione di scelta degli obiettivi e di guida e controllo del loro raggiungimento, abbia avuto la tendenza ad invadere il campo di diretta responsabilità della Cassa nella realizzazione dei singoli interventi, ·determinando no11 piccola confusione tra le rispettive sfere di competenza e di responsabilità, allo stesso modo che l'operatività del secondo - assai notevole ai fini conoscitivi della realtà e dei problemi - non sia stata sufficiente a maturare quella complessa revisione dei metodi di lavoro, nella quale sostanzialmente consiste l'introduzione della programmazione. 1 Qualunque possa essere il valore di questi giudizi, - essi sono qui proposti come semplici temi di meditazione. Se risultassero validi, no-n ·_ ibliotecaginobianco

Manlio Rossi Daria ci sarebbe da meravigliarsen_e o da sollevare scandalo. Nell'avvio di una politica nuova, in così breve periodo di tempo, sotto l'urgenza dell'operare, inconvenienti di questo genere possono sempre· manifestarsi e, una volta riconosciuti, non è difficile porre ad essi un conveniente rimedio. 5. Sebbene la legge del 1965 sia rimasta fedele alla filosofia della incentivazione delle spontanee iniziative industriali ~ che abbiamo visto in questi anni sottoposta a critiche e a proposte di revisione - essa ha anche dato il via a un sistema d'interventi concentrati e coordinati, che tuttora è riconosciuto valido per un consistente sviluppo industriale n.el Mezzogiorno. Combinando opportunamente l'attrezzatura completa e pianificata di un'area di sviluppo industriale con la localizzazione in essa di un complesso integrato di industrie - resa possibile dagli incentivi loro accordati sotto forma di agevolazioni fiscali, finanziamenti e tassi agevolati, contributi in conto capitale, nonché dall'assistenza di un Istituto come lo IASM e dalla formazione professionale a spese dello Stato di mano d'opera qualificata e di personale direttivo intermedio - si ha esattamente il quadro al quale, in questi giorni, si fa riferimento nell'avviare il nuovo sistema della contrattazione programmata, quale stru-- mento efficace della industrializzazione meridionale. Orbene, questo quadro è interamente corrispondente a quanto la legge vigente prevede e l'organizzazione esistente dovrebbe consentire. Per quale ragione sussiste, invece, l'impressione che un tale meccanismo non abbia operato a dovere e che occorra, affinché ciò avveng.a, t1na « revisione degli strumenti »? La risposta ad una tale domanda consente di mettere in luce i principali difetti che hanno· caratterizzato finora l'applicazio-ne della politica dell'industrializzazione. Essi riguardano rispettivamente: 1) la. politica delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale; 2) le procedure di concessione degli incentivi; 3) la formazione professionale della mano d'opera e 4) il coordinamento tra questi tre interventi tra loro complementari ect altri minori, che pure concorrono al successo dell'industrializzazione. La politica delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale non ha saputo finora uscire - come è noto - dalla contraddizione tra l'affermato intendimento della concentrazione degli interventi e il contemporanéo annuncio, nel « Piano di coordinamento », della individuazione e delimitazione di ben 15 aree e 26 nuclei di sviluppo industriale, oltre che l'inclusione in ciascuno di essi di grandi estensioni, talvolta di alcune decine di migliaia di ettari. 18 -- Bibliotecaginobianco

I I Due anni e pocl1i mesi .A.nche ammettendo che possa essere opportuno avviare subito per tutti un programma di elementari opere pubbliche, onde consentire un , graduale insediamento di impianti industriali di minori dimensioni e minori esigenze in fatto di infrastrutture, di servizi e di economie esterne, è stato indubbiamente un grave errore e fo·nte di confusione - d'altronde facilmente correggibile - non tracciar chiara la distinzione tra le rimanenti e le poche non vaste aree nelle quali risulta più conveniente portare rapidamente avanti la localizzazione di moderne industrie di grandi e medie dimensioni con la relativa corona di industrie minori e la corr~spondente creazione di una adeguata rete di infrastrutture e di • • serv1z1. La mancanza di una tale distinzione - oltre a non permettere una funzionale articolazione dei servizi centrali, cui spetta la messa a punto dei progetti d'intervento, del loro finanziamento e del controllo della loro esecuzione - ha fatto particolarmente sentire i suoi effetti a causa dell'istituto cui sono affidate localmente l'organizzazione, il coordinamento e la gestione degli impianti e dei servizi e di ogni altra questione connessa allo sviluppo dell'area. Dovunque questi compiti sono stati, infatti, affidati ai cosiddetti « consorzi di sviluppo industriale >>, il cui comportamento inevitabilmente risente le caratteristiche dell'ambiente « preindustriale » nel quale sono stati costituiti e dal qt1ale provengono i loro dirigenti. Nel caso di aree e nuclei di sviluppo più limitato e graduale, tale attribuzione delle responsabilità di organizzazione e gestione de1le aree ai « consorzi » può - se si evitano « le interferenze di clientele e consorterie locali » - non dar luogo a grossi inconvenienti e può anche presentare notevoli vantaggi. Nel caso, invece, in cui si tratti di portare rapidamente avanti la grossa impresa della completa ed efficiente attrezzatura di un'area a forte e moderna concentrazione industriale, il « consorzio » si è dimostrato la forma istituzionale meno adatta allo scopo e - al di là delle capacità dei dirigenti e dei funzionari - è risultato inevitabilmente impari al compito « imprenditoriale » impostogli e fonte di ogni sorta di inefficienze 11• 11 Sul problema dei « consorzi industriali», Sandro Petriccione ha detto - nel suo intervento al Convegno di Taranto~ in alcuni articoli sull'« Avanti! » e da ultimo in un lucido articolo pubb·licato s.u « Mondo operaio » (gennaio 1968) - cose assai giuste. In particolare egli ha rilevato come la loro « ideologia » sia entrata in crisi perché « riteneva di accollare alle comunità locali compiti che spettano allo Stato democratico nel suo insieme »; perché « erano predisposti in attesa che le industrie · si decidessero ad intervenire» ed in ogni caso « e1:ano proporzionati alla sola industria piccola e me·dia » ed hanno perciò visto sconvolti i loro schemi organizzativi ogni qualvolta è intervenuta una d~cisione d'investimento di una grande unità produttiva »; perché hanno costituito un ostacolo al necessario coordinamento quando due consorzi di province diverse si sono trovati a contatto e perché, infine, sono spesso divenuti strumento di clientele e di consorterie locali. 19 Bibliotecaginobianco

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