Nord e Sud - anno XII - n. 61 - gennaio 1965

I Rivista mensile. diretta da Francesco Compagna Giuseppe Galasso, P. C.I., integralisti e innovatori - Rosellina Balbi, Il silenzio dell'Europa 1 - \ P. A. Allum, L'incognita laborista - Alexander Gerschenkron, La stabilità delle dittature. e scritti di Alberto Lacava, Calogero Muscarà, Pasquale Nol).no, Gianni Statera. ANNO ·xII - NUOVA SERIE .- GENNAIO 1965 - N. 61 (122) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLl Sibliotecaginobianco \

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco· Compagna ANNO XII - GENNAIO 1965 - N. 61 (122) DIREZIONE E REDAZIONE: Napo 1i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.309 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICI-IE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo I i - Telef. 393.346- 393.309 Una copia L. 400 - Estero- L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 5.oqo, semestrale L. 2.700 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Giuseppe Galasso Rosellina Balbi Editoriale [3] P.C.I., integralisti e innovatori [ 6] Il silenzio dell'Europa [26] Note della Redazione Dieci anni dopo - L'entourage del Presidente - Facoltà di Architettura [37] Giornale a più voci Gianni Statera · La riforma dorotea [ 45] Pasquale Nonno La C.F.D.T. [ 49] Frontiere P. A. Allum L'incognita laborista [54] Argomenti Alberto Lacava Insediamenti residenziali e politica di piano [76] Paesi e città , Calogero Muscarà Problemi dell'industrializzazione veneziana [83] Saggi A. Gerschenkron I La stabilità delle dittature [ 100] Bibliotecaginobianco •

Editoriale Domenica 20 dicembre, dopo sette votazioni del Parlamento che non avevano ancora dato luogo a una maggioranza capace di eleggere il Presidente della Repubblica, tutta la stampa moderata si è data da fare per diffondere nel paese un'atmosfera di insofferenza qualunquistica. Anche il direttore del « Corriere della Sera » - che pure è persona cauta e sorvegliata - denunciava, in tln sito editoriale, l'« indecoroso spettacolo delle lotte di fazione » e la « fiera dei puntigli e delle vanità ». E si pensi a ciò che ha potitto scrivere quel giorno Enrico Mattei su « La Nazione » e nei giorrii seguenti, con malcelata soddisfazione, il prof. Maranini sullo stesso « Corriere della Sera ». Si è aggiunto poi, al coro allarmistico e disfattistico della stampa moderata di Milano, di Roma, dell'Italia centrale, il coro della stampa internazionale, specialmente quando le votazioni sono diventate tredici e più di tredici. Il paragone con l'elezione di Coty a Presidente della Quarta Repubblica è stato allora l'acuto stentoreo, lo svolazzo finale, o il passaggio obbligato di iutti gli articoli di fondo e di tutte le corrispondenze che giornalisti orecchianti in materia di co,mpetenza politica dedicavano alla « maratona » di Montecitorio. Ora, non è che non vi fossero seri mo-tivi di preoccupazione per la piega che avevano preso le cose. Ma da giornalisti clie seguono per mestiere, se 11011, per passione, il complesso svolgimento delle vicende parlamentari e partitiche, si poteva almeno pretendere che si rendessero conto del fatto che a Montecitorio il Parlamento della Repubblica italiana era impegnato in una grande battaglia politica. Chi l'ha vinta, questa battag·lia? Sbagliano coloro che, volendo interpretare i risultati della ventunesima votazione, si rifanno a schemi semplicistici, e affermano che la DC essendosi divisa è stata irreparabil-- 1nente sconfitta, o che i comunisti sono riusciti a condizionare il risultato finale, o che le forze democratiche sono state logorate ·dalla lunghezza e dall'asprezza della lotta per l'elezione del Presidente. Come è naturale quando maturano occasioni che nella lotta politica sono suscettibili di dar luogo a svolte decisive in un senso o nell'altro, i co1mpor1 amen.ti dei partiti non possono essere che la risultante complessa di contrasti interni fra gruppi e correnti; e non si deve, quindi, dare, delle conseguenze che per ciascun partito sono derivate dalle scelte finali, una valutazione fondata su una visione « 1nonolitica » del suo co,mportamento. 3 Bibliotecaginobianco

Editoriale - Basti pensare al fatto che lo stesso Partito comunista, il partito che si vuol considerare « monolitico » per definizione, è arrivato alla decisione finale di votare per Saragat dopo co1'ztrasti cfie mai prima d'ora si erano verificati fra i suoi dirigenti. La corisiderazione dalla quale si deve partire, per interpretare· la battaglia di cui dicevamo, è questa: alla fine non è stato eletto Coty; è stato eletto· Giuseppe Saràgat. E questa co.nsiderazione - indipenden~emente dal bruto dato n-um.erico, onde le votazioni risultano essere state otto più di tredici· - destituisce di ogni ragiorievole fondamento il paragonè con la battaglia che si svolse nel Parlamen.to francese del~a Quarta Repubblica per la successione di Auriol (a parte il fatto che la Quarta Repu·bb-Zica non è finita come è finita perché nel 1953, dopo tred_ici votazioni del Parlamento, fu eletto lo scialbo Coty, ma perché nel 1958 la guerra d'Algeria durava dal 1954 ). Di qui, pertanto, all'indomani dellà ventu·nesima votazione e più ancora all'indomani del messaggio letto dal nuovo Presidente· al Parlamento, il diradarsi dell'atmosfera di qualunqui$tico disfattismo che la stanipa aveva diffuso nel paese, in un paese che forse è meno ricettivo di quanto non si creda a Cf!mpagne allarmistiche. di questo .genere. Del resto, salvo i _casi-tiniite, la stessa . stampa moderata ha commentato con articoli che volevano essere rassicuranti ·e responsabili l'elezione· del Presidente ed il· suo messaggio al Parlamento. Si può. dire, in definitiva, che la battaglia per l'elezione. del Presidente è stata vinta dagli uo,:nini che l'hanno combattuta con maggiore coerenza di motivazioni politiche: dagli uomini, cioè, dél centro-sinistra. Saragat è stato eletto. La Malf a è stato il più pugnace ed il più intelligente fautore dell'elezione di Saràgat, lo stratega di una lotta che prima doveva impedire che il candi(/,ato doroteo raggiungesse _la maggioranza; poi doveva impedire che sul nome di Fanfani si formasse una maggioranza di tipo milazziano, una coalizione degli avversqri _esterni ed interni della politica di èer,,tro-sinistra; infine doveva impedire che, dal climq, di tensione politica e nervosa che si era ·fatalmente creato, emergesse: . la candidatura di un Coty nostrano; e comunque doveva impedire che la ·contrapposizione tattica fra la candidatura di Saragat e quella di N enn_i si inasprisse fino al p·unto da. diventare una contrapposizione df cara,ttere personalistico fra i due candidati e di carattere politico fra i due _partiti. Moro, dopo il ritiro della candidatura dell'on. Leone, è stato il più convinto ed il più tenace fra i democristiani che nell'elezione di. Saragat intravedevano una sicura via d'U-$Cita--dal_lasitiLazione che l'insistenza do.roteà sulla candidatura dell'on. Leone aveva determi"nato. Nenni, ponendo la siLa ca11didatura (che pqi avrebbe 'ritirato, per dare 4 Bibliotecaginobianco •

Editoriale via libera alla elezione di Saragat non appena tutte le condizioni di essa si erano finalmente realizzate), aveva tenuto uniti i socialisti ed impedito che si manifestasse una dissidenza lombardiana - contro Saragat e a favore di Fanfani - e che qitesta dissidenza aprisse la strada che Ingrao (per avere ragione delle resistenze di Amendola) e Vecchietti (per ·dare sfogo ai cupi e agli sterili risentimenti del massimalismo socialista) speravano che si aprisse, per poter far convergere su Fanfani anche i voti del PCI e dei PSIVP (magari nel momento stesso in cui a Fanfani sarebbero andati anche i voti dei fascisti). Se si tengono presenti queste quattro posizioni - Saragat, La Malfa, Moro e Nenni - risulta evidente che l'elezione d-i Saragat ha po·sto le I condizioni per un rilancio della politica di centro-sinistra. Si potrebbe dire, anzi, che - come l'elezione di Segni, con la maggioranza estesa fino ai voti determinanti del MSI, ha dato luogo a un indebolimento dello slancio e della coesione che caratterizzavano agli inizi l'avvento della politica di centro-sinistra-, così l'elezione di Saragat d·ovrebb.e dar luogo a un rinvigorimento di quello slancio e di quella coesione. Si dirà che tutto questo è possibile solo fino a un certo· punto, perché c'è stata una sconfitta dei dorotei ( la mancata elezione del candidato che essi avevano proposto) e c'è stata una sconfitta dei fanfa- ;ziani ( la mancata adozione della candidatura di Fanfani da parte della DC); e che queste due sconfitte, sommate, hanno portato in una crisi niolto difficile la DC. Ma proprio per questo i dorotei non possono pensàre adesso ad alternative (e 1neno che mai ad alternative che passino attraverso nuove elezioni) rispetto alla politica di centro-sinistra. E quanto a Fanfani, sarebbe veramente stolto da parte sua - dopo avér potuto misurare tutta la gravità dell'errore commesso con i discorsi sulla « reversibilità » - isolarsi ringhiosamente e stizzosamente in una trincea integralista, invece di cercare il modo migliore per pote'rsi riqualificare su qitella posizione di coerente fedeltà e di animoso impulso alla politica di centro-sinistra che è la posizione delle altre correnti di sinistra della DC. La situazione dovrebbe, quindi, essere chiara: il governo d~ll'on. Moro come governo di legislatura e come governo che ha finalmente la possibilità di impostare e portare avarzti una grande politica di . ammodernamento del paese. s Bibliotecaginobian.co

P.C.I., integralisti e • • 1nnovator1di Giuseppe Galasso Non c'è dubbio che uno dei rischi maggiori che il PCI abbia corso clopo la fine di To,gliatti sia stata l'eventualità che la cosiddetta « memoria di Yalta » del leader scomparso fosse assunta come paradigma indeclinabile e irrinunciabile del pensiero e dell'azione del partito. Con quello del PCI si tro-vava in questo caso ad essere solidale l'interesse d-ella democrazia italiana tutta a non restare prigioniera di altri vincoli pregiudiziali oltre i tanti che già l'affliggono, a m·antenere capacità e prospettive di movimento verso equilibri e schieramenti più rassicuranti e soddisfacenti. E non è che il pericolo non sia stato effettivo e imminente. Nei primi giorni o settimane di settembre, la « memoria » ver1ne, infatti, non solo presentata « com-e precisa espressione della posizione del Partito sui problemi del movimento operaio e comunista · internazionale e della sua unità » (L. LONGO su « Rinascita » del 5 settembre scorso), ma assunta implicitament~ ed esplicitamente come il grande « testamento » in base al quale la linea togliattiana del PCI avrebbe continuato a rappresentare l'orientamento e la guida del partito, garanzia della sua continuità e della sua sicurezza di es,sere nel giusto in tutto e su tutto. Era una reazio·ne psicologicamente più che comprensibile. - Non si dirige un partito per oltre trent'anni come Togliatti aveva diretto 'il PCI, - nell'esilio, nella clandestinità, nell'azione di go·verno, nell'oppo•sizione e, sempre, nell'ambito di un vasto movimento internazionale, - senza lasciare un'eredità di affetti reale e consistente; e in questo caso gli affetti erano potenziati dall'insorgere improvviso di un male inesorabile -in un uomo che già un paio di volte era fortunosamente sfuggito alla morte. Naturale, pertanto, che il primo atteggia-. mento degli eredi si concretasse in una solenne promessa di postuma fedeltà; e la « memoria» offriva, ovviamente, a questo ·atteggiamento una base concreta e, nella sciagura, insperata. Il fatto, poi, che fosse allo:r:a imminente la p•rogettata conferenza moscovita dei ·partiti comunisti sui rapporti, soprattutto, tra cinesi e russi, e il fatto che, in merito a ciò, la « m-emoria » sembrasse offrire una linea di equilibrio e di prudenza, contribuiva a crea.re attorno ad essa un'eco internazionale che, rafforzando il prestigio del PCI; rafforzava anche i vincoli e i debiti degli eredi verso lo sco1nparso. 6 Bibliotecaginobianco •

P.C.I., integralisti e innovatori Il danno eh-e sarebbe venuto al PCI da una canonizzazione della « memoria » che avesse rigidamente vincolato il partito in una particolare direzione sarebbe stato, inoltre, tanto maggiore in quanto lo scritto di Togliatti era singolarmente povero di idee. In margine ad un contrasto storico di proporzioni inapprezzabili come quello tra russi e cinesi, che investe l'ideologia e la prassi del co·munismo e condiziona gli stati e i partiti di due tra i maggiori paesi del mondo, la « memo,ria » non sa suggerire di 1neglio che una linea di attesa, un m·etodo di discussione continua, una prospettiva unitaria di cui viene affermata la necessìtà ma non si sanno indicare modi concreti di realizzazione. Di più, profondamente co·ntraddittorio è il rico,noscimento dei successi della politica kruscioviana di coesistenza pacifica e di distensione, riconoscimento spinto fino al punto da vedere in quei successi « delle vere e importanti vittorie conseguite contro i cinesi », e, dall'altra parte, il giudizio accesamente e convenzionalmente negativo pronunciato sulle prospettive di evoluzione del mondo occidentale e delle sue linee di politica internazionale: quasi che i successi della distensione non avessero richiesto l'incontro di due volontà e no•n impegnassero il mondo occidentale, su molti problemi, anche per i prossimi anni; o· quasi che, come nessuno può negare, almeno fino a qualche mese fa non si fosse delineato sui problemi della pace un fronte comune russo-americano assai più concreto del fronte unitario comunista vagheggiato nella « memoria » e la Cina non si fosse dimostrata, per un quinquennio e più, la vera nemica, nonché della pace, della distensione. Dei problemi italiani o, meglio, di quelli del PCI nella « memoria » non si parla, perché essa si interrompe appunto là dove ne sarebbe dovuta cominciare la discussione. Vi sono, però, due punti assai importanti e sono quelli che, anche senza il completamento della « 1nemoria », avrebbero potuto vincolare il PCI in maniera perentoria ad una certa prassi e a determinate interpretazioni. Il primo di essi s11ona letteralmente così: « Abbiamo nel partito e ai suoi margini qualche gruppetto di compagni e simpatizzanti che inclinano verso le posizio,ni cinesi e le difendo•no. Qualche men1bro del partito ha do1 vuto essere cacciato dalle nostre file perché responsabile di atti di frazionismo e di indisciplina. In generale però noi conduciamo su tutti i temi della polemi~a con i cinesi ampie discussioni nelle assemblee di cellula e di sezione e negli attivi cittadini. Il maggior successo lo si ha sempre quando si passa dall'esame dei temi generali (carattere dell'imperialismo- e dello Stato, forze motrici della rivoluzione, ecc.) alle questioni concrete· della nostra politica corrente (lotta contro il governo, critica del partito socialista, unità sindacale, scioperi, ecc.). Su questi temi la polemica dei 7 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Gal0:sso cinesi è completamente disarmata e impotente». Non crediamo di esagerare, affermando che rare volte è sfuggit~ alla penna di un leader comunista una confessio·ne così piena della natura totalitaria della prassi del suo partito. Nel quale si disèute, ma d.al quale coloro che mantengono fede alle loro co-nvinzioni, le esprimono e cercano di propag~rle, sono « cacciati » per « frazionis1no » e « indisciplina »._ Si discute, ma per eliminare le dissidenze e praticare un vero e proprio lavaggio dei cervelli. Si discute, ma dando ai problemi parasindacali, alle rivendicazioni di tutto e di tutti, ai moti emozionali della base la preferenza sui grandi pro·blemi ideologici e politici (lo « Stato· », le « fo·rze motrici della rivoluzio·ne » ). È lecito definire questa prassi come una prassi di qualunquismo rivoluzionario. Essa è certamente e tipicamente togliattiana; è stata anzi la via lungo la q11ale Togliatti ha consolidato la sua direzione del partito dal 1964, dando ad esso una decorosa facciata di dibattiti assidui e intensi, ma nel contempo smascherando- così ed espellendo gli avversari della sua linea, spoliticizzando sul fronte interno del partito lo spirito dei militanti, svolgendo- un-'azione profo·ndamente disedu·cativa che potrebbe in determinate circostanze riservare sorprese inaspettate ai fanatici del « monolitism.o » e della « forza » comunista, garantendo il proprio potere con il sottinteso dello spirito classista e rivoluzionario posposto alle esigenze della formazi~-ne di un grande fronte popolare. Il seco11do punto importante della « memoria » di To,gliatti è l'analisi, che vi si abbozza nella seconda parte, d~lla società capitalistica a metà del secolo .XXe delle conseguenze che ne derivano per l'azione comunista. « La crisi del mondo economico borghese è molto profonda », scrive .Togliatti. « Nel sistema del capitalismo mo,nopolistico di Stato sorgono problemi del tutto nuo-vi, che le classi dirigenti non riescono più a risolvere con i metodi tradizionali. In particolare, sorge o·ggi nei più grandi paesi la questione di una centralizzazione della direzione economica, che si cerca di realizzare e.on una pro,grammazione dal1' alto, nell'int~resse dei grandi mo11opoli e attraverso l'intervento dello Stato ». Di fronte a ciò i comunisti debbono· avviare « uno sviluppo e· una coordinazione delle rivendicazioni immediate o,peraie e delle proposte di riforma della struttura economica (nazionalizzazioni, riforme agrarie, ~cc.), in un pian-o generale di sviluppo eco-nomico da contrapporre alla programmazione capitalistica (perché) un'iniziativa politica in questa direzio-ne ci può facilitare la conquista di una nuova grande influenza· su tutti gli strati della popolazione, cbe non sono ancora conquistati al socialismo, ma cercano una via nuova». D'altra parte, « la programmazione capitalistica è · sempre collegata a tendenze anti8 Bibliotecaginobianco .. ..

J P.C.I., integralisti e innovatori democratiche e autoritarie, alle quali è necessario opporre l'adozione di uh metodo democratico anche nella direzione della vita economica ». Bisogna perciò internazionalizzare l'azione sindacale: « la lotta dei sindacati no·n può più, nelle odierne condizioni dell'Occidente, essere condotta soltanto isolatamente paese per paese ». Allo stesso• modo non « serve a niente la vecchia propaganda ateistica. Lo stesso problema della coscienza religiosa, del suo contenuto, delle sue radici tra le masse, e del modo di superarla, deve essere posto in modo diverso· che nel passato, se vogliamo avere accesso alle masse catto 1 liche ed essere compresi· da lo,ro », ora che, nonostante il riflusso a destra avutosi ·al centro del mondo cattolico dopo la morte di Giovanni XXIII, i cattolici continuano a presentare, « alla base, le condizioni e la spinta per uno spostamento a sinistra che noi dobbiamo comprendere e aiutare». E infine, « anche nel mondo della cultura (letteratura, arte, ricerca scientifica, ecc.) oggi le porte sono largamente aperte alla penetrazione comunista. Nel mondo capitalistico si creano· infatti condizioni tali che tendono a distruggere la libertà della vita intellettuale. Do,bbiamo diventare noi i campioni della libertà della vita intellettuale, della libera creazione artistica e del progresso scientifico ». La conclusione che si trae da queste premesse è che, « in paesi dove il movimento comunista sia diventato forte come da noi (e in Francia), sorge la questione della possibilità di conquista delle posizioni di potere, da parte delle classi lavoratrici, nell'ambito di uno Stato che non ha cambiato la s1-1anatura di Stato borghese e quindi se sia possibile la lotta per una progressiva trasformazione, dall'interno, di questa natura ». Come si vede, nulla assoluta111ente di nuovo- rispetto a quanto il PCI e Togliatti ripetevano da vent'anni: riempire i vuoti politici e ideologici del mondo capitalistico, possibilismo verso le masse cattoliche, opposizione intransigente allo sviluppo econo-mico mo,derno se esso non è condizionabile dai comunisti. Quel che è_ piuttosto patetico è che, dopo vent'anni di azione politica del PCI nell'Italia post-fascista e dopo circa un secolo di presenza m~rxistica in Italia e in Europa, si venga a scoprire che « la questione di fondo che o-ggi sorge nella lotta politica» è la « possibilità » della classe -operai~ (anzi, delle classi lavoratrici) di conquistare il potere mediante un progressivo inserimel)to nei quaqri dello « stato borghese». E non ci si ripeteva da vent'anni che il PCI aveva fermamente e definitivamente- scelto la « ·via democratica » al co·munismo? Non implicava ctò l'accettazione dello « stato borghese » come quadro della progre_ssiva conquista · di posizioni' di potere? E anzi, l'impegno comunista n~n ~ra :q~e~lo· di rispettare alcUile strutture della « democrazia borghese » anche dopo la co·nquista del Bibliotecaginobianco

Giuseppe Galasso potere? La « memoria » togliattiana rivela qui, in modo indiscutibile, quanto fondata sia sempre stata l'accusa di « cloppiezza » dai democratici italian_i rivolta al PCI di Togliatti. Ma essa rivela anche l'incorreggibile schematicità dell'analisi comunista dei problemi del mondo contemporaneo, dove non si vedono che monopoli, da un lato, e ma~se popolari da conquistare al comunismo, dall'altra, ignorando tutto quello che la sociologia, l'economia, gli studi politici e storici ci vanno dicendo sulla natura estremame11te complessa della società contemporanea e sulla crescente inadeguatezza e vacuità dei termini « capitalistico, borghese, proletario » e simili per riassumerla e ridurla ad un unico deno- . minatore prefigurandone lo svolgimento e il destino s,econdo l'arcaica concezione marxistica. Il fatto che la « memoria » togliattiana vada passando o sia addirittura già passata nel dimenticatoio solo in minima parte appare, però, dovuto ad un'analisi critica di essa da parte dei comunisti italiani o non italiani. In re~ltà, la « memoria » è stata messa in ombra, sul piano internazionale, dall'i1nprovvisa destituzione di Kruscev e da tutto ciò che questa destituzione ha significato, svanite le prime impressioni, in ordine ai pro·blemi affrontati da Togli~tti; e, sul piano interno, dalla rapida incubazione di un minimo di dialettica politica entro il partito a distanza di poche settimane dalla scomparsa di Togliatti. Su questo secondo punto vogliamo qui intrattenerci. Nessun discorso sul partito comunista è oggi sostenibile se non viene fondato su un minimo, se non altro, di ipotesi circa la composizione sociologica del PCI e sul significato p,olitico di essa. A nostro avviso, nessuno ha· affacciato, a questo riguardo, in data recente, un quadro più verosimile e approfondito di quello schizzato da Marco Cesarini sul « Mo•ndo » del 17 novembre scorso. Riteniamo importante, perciò, riportarne i passi essenziali. Si era, al momento di quell'articolo, alla vigilia delle elezioni amministrative. Cesarini osservava: « Le sedi e le sezioni del PCI (secondo quanto venne dichiarato in occasione dei funerali di Togliatti sono 24.000 in tutta Italia: pressappoco quante le parrocchie) sono in questi giorni piene di gente e di movimento. I corridoi appaiono ingombri di pacchi di manifesti e di giornali. In ogni stanza c'è una riunione: sono gli attivisti che vengono a ritirare . il materiale propagandistico e a discutere le parole d'ordine per l'indomani. La sera sul tardi arrivano le squadre degli attacchini, con i pennelli e i bidoni della colla. Il partito ha molto da fare. Mentre ancora si prolunga la raccolta di fondi per il "mese della stampa comunista", sono già cominciate le operazioni di tesseramento per il 1965. Ma c'è soprattutto la campagna elettorale. In certe zone meglio organizzate, come per esempio in Ligùria, il PCI ha cominciato a prepararsi per la giornata del 22 novembre già a metà d'agosto. I parlamentari della circoscrizione hanno passato le ferie estive battendo' la regione paesello 10 Bibliotecaginobianco •

'· .. P.C.l., integralisti e innovatori per paesello, e adesso non c'è piccolo centro che non abbia la sua lista, spesso cotn·prendente molti " indipendenti " e persino qualche democristiano dissidente~ nonché il suo programma differenziato di richieste e rivendicazioni. La "macchina", in certi giorni, riesce ad organizzare oltre 3 .000 comizi ». In contrasto con l'efficienza della n1acchina organizzativa, Cesarini rilevava nel PCI la sostanziale mancanza di dibattito politico, non scossa neppure da due eventi di prima grandezza come la destituzione di Kruscev e, prima, la scomparsa di To·gliatti, e osservava giustamente: « La fedeltà, il patriottismo di partito e l'impegno elettorale non bastano, naturalmente, a spiegare questo atteggiamento di abbandono, tanto diverso dall'atteggiamento di apertura ideologica, di critica e di polemica (anche se poi malamente conclusosi) che caratterizzò tutti gli ambienti del PCI all'epoca della crisi degli anni 1956-57. Per spiegarcelo, dobbiamo guardare un poco più oltre e più in basso, e cioè all'attuale composizione o sociologia del partito comunista stesso: dobbiamo, in altre parole, renderci conto di ciò che il partito comunista italiano è realmente, oggi, nella p,rovenienza dei suoi militanti, nella sua media culturale e ideologica e nella sua struttura organizzata. Scopriremo facilmente che al fervore ideologico e polemico del 1956-57 si è sostituito oggi il disinteresse conformistico alla. stessa maniera con cui una certa base del partito ha preso il posto della vecchia base tradizionale, e nella stessa misura in cui le modificazioni del quadro dirigente intermedio, nel frattempo verificatesi, hanno sostituito il vecchio " rivoluzionario di professione" con il nuovo "funzionario di partito ". Il partito comunista italiano del 1964, inson1ma, non è più, nella sua sociologia, il partito del 1956-57. Già i risultati della crisi di quegli anni, con le numerose defezioni e sostituzioni che provocarono, modificarono notevolmente i caratteri della formazione. Ma, da allora ad oggi, sono passati otto anni, e otto anni sono, nella vita di un partito, uno spazio di tempo equivalente a quello di una generazione nella vita di una stessa famiglia». Il 1956 segnò la fine degli incrementi di iscritti che il PCI aveva fatto registrare passando, con appena qualche pausa o lieve contrazione, dai 400.000 iscritti della fine del 1944 ai 634.000 degli inizi del 1952 e ai circa 2 milioni di quattro anni dopo. Dal 1952 al 19.55, dunque, « il partito si gonfia enormemente. Ma la cosa importante, per il nostro discorso, è che il suo nucleo, il suo cuore, restava composto dai vecchi militanti, e cioè da quelle 400-450.000persone che avevano rinnovato la tessera nel 1949 avencto superato sia la delusione opportunistica della estromissione del partito dal governo (che dobbiamo indicare come ragione principale della flessione del 1949 rispetto al 19~7) sia la sconfitta del 18 aprile. Si trattava di un gruppo di gente a suo modo davvero eccezionale. Era composto, per circa un 10 per cento, da vecchi comunisti, passati al partito comunista d'Italia o alla federazione giovanile nel 19~1, o reclutati 'negli anni durissimi che seguiron'J la ripresa del lavoro clandestino all'interno dopo il 1931-32, tutti ex operai,. divenuti membri del partito in base a una precisa ancorché rozza scelta ideologica, affinatasi e fattasi più ferma, poi, attraverso le persecuzioni fasciste.· Quasi tutti avevano 11 Bibliotecaginobianco

Giuseppe· Galasso conosciuto la galera e il confino. Chi frequentò le sezioni comuniste nel decennio 1946-1956 certamente ne ricorda ancora qualcuno. (Di questi personaggi, persino un po' patetici, c'è del resto più di una traccia in romanz1 e racconti del dopoguer:r~a). Erano uomini provati, duri, scarsissimamente preparati in sede ideologica, con poche ma radicate idee in testa, ricchissimi però di dignità e di umanità, pieni di fascino e di prestigio quanto di esperienza. Essi si consideravano ed erano militanti di un partito d'avanguardia, in lotta aperta contro tutti, « rivoluzionari di professione», direttamente responsabili verso la massa popolare. Dalle vecchie polemiche contro il partito d'origine e dalla fiera resistenza al fascismo avevano tratto l'abitudine, soprattutto, a considerarsi esseri pensanti. Prima di agire dovevano essere convinti della bontà e dell'utilità dell'azione. Consideravano il partito come cosa propria, era impossibile dirigerli soltanto con i mezzi disciplinari e non lesinavano le critiche ai dirigenti, anche se poi l'abitudine alla disciplina e il p,atriottismo. di partito li inducevano a chinare la testa. Ma queste critiche aperte, questi esempi di dignità e di carattere, reagivano per allora positivamente su tutto il restante del partito, che era essenzialmente formato da giovani, uomini e donne, che tutti pr_ovenivano direttamente o indirettamente dalla Resistenza più o meno attiva o addirittura dalla guerra partigiana. Era gente, questa, che s'era fatta con1unista non certo per calcolo o capriccio o speranz~ di protezione; ma soltanto dopo che aveva discusso per mesi e mesi con gli anziani dai quali era stata primitivamente organizzata, e che dunque aveva co~piuto anch'essa una scelta politica e ideologica cosciente, in qualche caso addirittura sofferta; ma che soprattutto aveva tratto dall'esperienza partigiana l'abitudine all'autogoverno, alla direzione collegiale, alla libera discussione coi superiori, alla assunzione delle proprie responsabilità e all1autonomia delle scelte individuali: in una parola, alla democrazia di base. Certo non tutti i 400-450.000 iscritti del periodo 1946-1949 erano di questo tipo. Questo era però il tipo più normale dei " compagni " che si attivizzavano e lavoravano nelle sezioni, che formavano i comitati direttivi di cellula e strutturavano il funzionariato centrale e periferico del partito comunista, quello che contava, che discuteva e che faceva politica. Non era facile maneggiarlo: era un partito che discuteva persino troppo e con troppa pignoleria. Sta di fatto che fu da questo ambiente che venne tratto tutto il quadro intermedio, tutta la spina dorsale del PCI fino intorno al 1956. E fu l'abitudine al dibattito di questo quadro che fece erompere, nonostante gli sforzi del gruppo dirigente al vertice, la grande discussione seguita alla pubblicazione del rapporto Krusciov al XX Congresso e ai fatti di Ungheria ». In che cosa il comunismo italiano di oggi si differenzia, allora, da quello di un decennio fa? Cesarini mette in forte rilievo l'importanza dell'appartarsi del vecchio nucleo dei « migliori », ma, soprattutto, dà una clescrizioi1e estremamente attendibile del PCI o·diemo. _« Se il partito comunista del 1964 non reagisce alla " dekrusciovizzazione .,, con lo stesso ap,passionato interesse con cui il partito del 1956 reagì, positivamente o ....._ negativamente, alla·" destalinizzazione ,,, è p-erché il partito reale, quello di base e quello del rriedio quadro, è oggi estremameritè diverso da quello di allora. Ragioni politiche e anagrafiche hanno dis·attivizzato· o fatto. scomparire' praticàinente tutto 12 Bibliotecaginobianco

P.C.I., integralisti e innovatori il vecchio nucleo. Nelle sezioni non si vedono che facce nuove. Dei 400-450.000iscritti originari del 1946-1949,che diressero effettivamente il partito fino al 1956, è molto se ne sono rimasti 200.000. Tutto il resto è formato da tesserati delle leve che vanno dal 1953 al 1956 (dopo questa data il PCI non ha fatto che perdere iscritti). Tutti i comitati direttivi sono cambiati. È mutata, insomma, la composizione politica e sociale del partito: il vecchio nome racchiude un contenuto nuovo e diverso. Gli uffici centrali non diramano più, come è noto, le percentuali relative alle varie categorie sociali degli iscritti. Ma basta entrare in una sezione o in una federazione, per avere la sensazione fisica del cambiamento. Nei suoi periodi politicamente più ricchi, il P'CI sfiorava i cinquanta operai ogni 100 tesserati; ma ora la stragrande maggioranza degli aderenti è sicuramente formata da altri ceti. È dal 1952-53, in pratica, che non si entra più nel PCI in base a una scelta politica e ideologica; ma per motivi protestatari, che sono insieme estremamente differenziati ed estremamente labili.· È aumentata grandemente, a quanto pare, anche la mobilità delle iscrizioni: è difficile mantenere un iscritto per più di due-tre anni. In molte organizzazioni periferiche, soprattutto nel Nord,- i nuovi iscritti di ogni anno superano il totale delle reiscrizioni di vecchi tesserati. Gli attivisti, i membri dei comitati direttivi locali, insomma il partito vero, nella sua spina dorsale, è caratterizzato da una sorta di grande frantumazione sociale e politica: nelle assemblee di sezione non si notano che pensionati, studenti, disoccupati, impiegati di infimo ordine. Le opinioni che vi vengono espresse sono sempre meschine,. settoriali, qualunquistiche o settarie. È cessata contemporaneamente ogni attività organizzata di indottrinamento e di scuola ideologica, che un tempo veniva esercitata persino con corsi di marxismo-leninismo a dispense settimanali. Essere comunista non ha più per i nuovi iscritti, contrariamente a quanto accadeva nel passato, alcun significato politico e morale speciale, non comporta né obblighi né orgogli. Se prima il par_tito, alla sua base, era una sorta di chiesa, era almeno una ch~esa viva e piena di fern:ienti,_ ove si manifestavano spesso scismi ed eresie. Adesso il partito è una specie di magazzino di deposito di tutti i protestatari, di centomila portatori di piccoli interessi locali o personali, di un milione di scontenti di certe zone sociali e geografiche del paese, e di tutti i detentori di certi concretissimi poteri economici e politici di certe altre zone. Un partito siffatto non si accorge nemmeno che la " dekrusciovizzazione " pone alcuni problemi, non suppone neppure che ci sia qualcosa da discutere, non ha né sorprese né chocs ». Ora, è assai probabile che Cesarini abbia, in un certo qual modo, idealizzato, con connotati tra nostalgici ed eroici, l'anima del PCI di dieci anni or sono. Quel partito era pur sempre il partito che aveva giocato tra il '44 e il '48 una grossa carta per la sovversione e la conquista del potere in Italia; era pur sempre il partito .che aveva accettato con consapevolezza ed entusiasmo lo stalinismo degli anni peggiori, chiudendo occhi ed orecchi dinanzi alla realtà evidente di fatti assoluté\mente macroscopici e alle denunce della democrazia europea di sinistra; era pur sempre il partito nel quale, come lo stesso Cesarini riconosce, anche i migliori finivano col « piegare la testa », il partito insomma del « centralismo democratico » e della dittatura togliattiana, 13 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Galasso Vogliamo dire, cio·è, che tra il PCI di ieri e quello di oggi esiste una linea sostanziale di continuità nell'impostare l'esperienza politica dei militanti, che sarebbe fuorviante non ravvisare ed evidenziare. Ciò premesso, non c'è però dubbio che l'analisi della odierna sociologia del PCI abbozzata da Cesarini nel suo articolo sia fondamentalmente giusta e costituisca un prezioso punto di partenza- per comprendere . la realtà comunista italiana di oggi. È appena necessario aggiungere ad essa almeno un accenno a quelle che sono oggi le medie e maggiori gerarchie comuniste : uomini in genere poco al di là dei 40 anni, quasi sempre con studi universitari di lettere o di giurisprudenza, con situazioni personali e familiari per lo meno decorose, residenti quasi sempre nelle zo-ne « bene » delle città italiane in case n-on di rado assolutamente up to date per arredamento e comfort, solidamente inseriti nella vita sociale e, spesso, mondana delle rispettive città. È il ceto di burocrati e di professionisti della politica educato in giovanissima età alla scuola di Togliatti e del quale ·Togliatti si servì per sostituire, specialmente negli anni a. cavaliere della crisi del 1956, i ve'cchi quadri operai e intellettuali del partito che, dopo più di un decennio dalla restaurazione delle libertà democratiche in. Italia, non si erano adattati alla sua dittatura. e mantenevano una concezione del partito o più intransigentemente rivoluzionaria o più modernamente duttile. Questo ceto ha molto lavorato e molto lavora per il partito, ma la grande espansione del PCI nel nostro paese, quella che tra il 1949 e il 1956 consentì ad esso di diventare la seconda forza politica italiana per peso elettorale e la prima per efficienza organizzativa e per capacità di agitazione -e mobilitazione di grandi masse, non fu opera sua. Fu, invece, opera di quel quadro comunista che aveva la direzione e costituiva la spina dorsale del partito negli anni immediatamente seguiti alla guerra e del quale Cesarini parla nel suo articolo. Fu il vecchio quadro a creare fra il partito e gli operai, i contadini, gli intellettuali italiani quei vincoli che si sono poi mostrati così solidi. Il nuovo quadro ha vissuto e vive di rendita sul lavoro svolto in quegli anni. ·Esso ha certamente ampliato l'eredità di cui è. venuto in possesso e lo dimostrerebbe, se non altro, il milione o milione e mezzo di voti in più guadagnato dal PCI dopo il 1956; ma lo stile e il significato dell'azione del PCI sono, e torniamo ( al ~iscorso di Cesarini, profondamente mutati. Lo stile. Le nuove gerarchie comuniste non hanno più con le masse i prof o·ndi e organici legami dei loro predecessori, i quali o vivevano tra le masse o avevano direttamente educato le masse nella Resistenza e nell'azione sindacale. Le nuove geràrchie sono un ceto di borghesi, le « cento famiglie» del comunismo· italiano, che am'ministrano, con i 14 Bibliotecaginobianco •

P.C.I., integralisti e innovatori criteri di una moderna tecnica organizzativa e di una scaltrita e spregiudicata demagogia, una serie di grandissime clientele elettorali: clientele sindacali, cooperativistiche, intellettuali e così via. Questi uomini non hanno fatto e non faranno la rivoluzione, ma ciò è poco importante. Decisivo è, invece, il fatto che essi non abbiano chiarito a se stessi se la rivoluzione biso,gna farla o meno. Sono stati tirati sù nella convinzion.e che c'è una « via italiana » al socialismo, o comunismo che sia; ed essi percorrono questa via, che poi è quella della loro azione 11ella società italiana (azione in gran parte resa obbligata dalla congiuntura storica), senza sapere do,ve qu-esta via li porterà. È un ceto di uomini che non ritiene di dover essere moralmente scosso per essere dovuto passare supinamente dallo stalinismo alla destalinazzazione, al krusciovismo e alla dekrusciovizzazione (per ora): fatti tra i più grandi della storia contemporanea e eh-e non trovano alcun termine di paragone nella vita politica italiana. Il suo modo di procedere non è più quello della irruenta e appassionata tracotanza rivoluzio·naria dell'imn1ediato dopoguerra, ma è la saccente e professorale arro·ganza dei predicatori di virtù e di verità, e in questo è profo11damente togliattiano. Il significato. C'è chi si meraviglia che, tra tanto parlare di crisi comunista, il PCI, almeno elettoralmente, si rafforzi sempre più e né le vicende internazionali né gli avvenimenti nazionali si rivelino in grado di intaccarne la consistenza politica che in regime parlamentare si consegue col numero dei voti. Era una meraviglia legittima agli inizi del fenomeno, e non veniva certo dissoìta dall'attribuire anche al comunismo italiano un carattere religioso e di chiesa, poiché è proprio delle chiese e delle religioni dar vita a sette e a movimenti ereticali. Oggi possiamo dire che il fenomeno è abbastanza chiaro e non deve dar luogo a 1neraviglia .. Sono chiari, cioè, da un lato, il mutato carattere della milizia politica nel PCI, che diventa sempre più protestataria e disgregata e sempre meno omogenea e politicamente definita; e, dall'altro lato, la possibilità di coacervare gli interessi più disparati che su questa base sussiste e che, nell'Italia del « miracolo » prima co·me nell'Italia della crisi congiunturale poi, è offerta in così grande misura dai profo,ndi movimenti di rivolgimento e di assestamento di una società in crescita, indipendentemente dai margini di manovra offerti dalle note e gravi deficienze delle attuali classi dirigenti d-el nostro paese e indipendentemente da quella tendenza alla « permanenza degli aggregati » che è un dato sociologico di cui pure bisogna far conto. L'avanzata del PCI, ch,e si prospettava fin verso il 1956 come una grande avanzata di forze dell'estremo settore socialista, si configura oggi come avanzata di un grosso schieramento populista, a rafforzare il quale inter15 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Galasso vengono ad ogni elezione le frange dell'opinione p~bblica che, senza neppure pensare al socialismo o al co-munismo, vogliono che qualcosa cambi e che perciò provengo-no dai ceti medi e da quelli popolari indifferentemente. Non .si creda che quelli finora riferiti o pronunciati siano git1dizi troppo severi per il PCI o derivanti da quello che i comunisti, non senza una qualche ragione, definiscono « anticomunismo viscerale ». Noi siamo, al contrario, convinti che ogni soluzione stabile dei problemi della democrazia italiana presuppone una soluzione dei problemi posti dalla massiccia presenza comunista 11el nostro paese. Non solo non ignoriamo o disconosciamo, ma valutiamo al giusto peso il contributo che il PCI ha dato finora alla vita italiana: nell'opposizione al fascismo, nella R-esistenza, -nel risveglio e nell'organizzazione di gran parte dell'opinione popolare ·del Mezzogiorno, nell'esperienza di una milizia politica,. moderna e impegnata, diffusa in gran parte del paese, e così via. Sappiamo bene che, con tutto il suo conformismo sociale ed elettorale, il suo .dottrinarismo, la sua form.azione togliattiana e la suamania dell'organizzazione come fatto politico essenziale, i quadri del PCI a tutti i livelli so·no pur sempre una delle parti migliori e, per alcuni versi, la p·arte migliore del personale politico italiano, come quella che più largamente d'ogni altra ha maturato i suoi orientamenti sulla base di una profo·nda, autentica esigenza, di avanzamento morale, politico, sociale e 'intellettuale. Sappiamo, inoltre, altrettanto bene che, pur non essendo più il partito degli anni a cavaliere del 1950, il partito di una vera (e sia pure male apposta) crociata di rinnovamento, il PCI raccoglie, tuttavia, ancor oggi intorno alle sue bandiere grandi e diffuse aspirazio-ni popolari alla libertà e alla giustizia. Vediamo, infine, con tutta chiarezza· che, se le forze democratiche italiane sono valse a · imporre un freno decisivo alle velleità comuniste di conquistare il potere e a ridurre il PCI in un isolamento sempre più grave e rigido, è pur vero che, per far ciò, esse hanno dovuto, nel recente passato, adattarsi a subire i limiti non lievi delle co,alizioni centriste sul piano dello sviluppo d~mocratico e del rinnovamento economico e sociale e debbono oggi subire gravi limitazioni anche nella realizzazione del centro-sinistra, che pure resta come una svolta essenziale della vita politica del nostro paese. fy1a, convinti come siamo della fortissima ipoteca· antidemocratica che la scaturigine dottrinària leninista, il tipo di organizzazione interna e l'assunziòne dei regimi comunisti euro·pei . I e non euro-pei come modelli di « dem.ocrazia sostanziale » pongono ad 16 Bibliotecaginobianco •

P.C.I., integralisti e innovatori una funzione permanente di fondo del PCI in uno sviluppo positivo della democrazia italiana, ne vediamo chiaramente i limiti paurosi, le incongruenze teoriche e pratiche, la casualità dei successi, il servilismo verso i potentati comunisti internazionali. Del resto, del carattere protestatario e largamente eterogeneo dello schieramento comunista attuale nel nostro paese - e, quindi, del paradosso per cui la forza attuale del PCI deriva ad esso dalle debolezze e dalle contraddizioni della società italiana assai più che dal vigore espansivo del partito - un'ottima dimostrazione pratica è data dai risultati elettorali del 22 novembre scorso. All'indomani delle elezioni, i comunisti cantaro110 vittoria per aver ottenuto alle « provinciali » un po' meno di mezzo punto in più rispetto alla percentuale del 1963. Ma le cose erano ben più complesse. Il dato delle « provinciali » era smentito da quello, delle « comunali »: nei comuni con oltre 10 mila abitanti il PCI aveva perduto in percentuale un intero punto rispetto al 1963 e nei comuni tra 5 e 10 mila abitanti addirittura un po' più di due punti. Geograficamente, poi, ai successi in Italia centrale si contrapponevano più o meno sensibili regressi nella massima parte delle province meridionali, in Sicilia e in Sardegna. Al Comitato Centrale del partito, tenutosi dal 10 al 12 dicembre, nei loro giudizi e interpretazioni le gerarchie comuniste non nascosero né di aver ben capito il carattere composito delle votazioni conseguite dal PCI, né di rendersi conto che la crescita numerica non significava crescita politica in proporzione corrispondente, né di ~,vvertire la dura lezione che scaturiva dal contrasto tra i risultati delle « provinciali » e quelli delle « comunali ». A parere di Natta, ad esempio, i progressi del PCI erano « il fatto più saliente della consultazione »; ma il divario tra « provinciali » e « comuna]i » poneva « una serie di problemi »; inoltre, il voto comunista indicava che « la carica di lotta sociale e politica nei confronti degli indirizzi dell'attuale maggioranza è presente e viva non solo nelle masse operaie e popolari ». A parere di Colajanni « i risultati elettorali i11 tutto il Mezzogiorno giustificano allarme e preoccupazione: tanto più in Sicilia dove il ... regresso (comunista) è pressoché uniforme nelle città, nelle campagne, nelle zone in sviluppo come in quelle arretrate ». A parere .di Esposto, « la realtà messa in luce dal voto del 22 novembre è che (i comunisti sono) ancora lontani dalla riconquista della funzione dirigente, politica e culturale, quale (hanno) esercitato negli anni dal '44 al 'SO », specialmente nel Mezzogiorno. L'emiliano Miana trovava attuale, in seguito all'esito delle elezio•ni, « il problema della costruzione di forme di organizzazione unitaria degli strati intermedi (artigiani, piccoli industriali ecc.) ». Il toscano Mormugi rilevava « il fatto che al 17 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Galasso PCI non siano andati solo i consensi della classe operaia, ma di larghissimi strati di ceto medio e contadini ». Ma gli accenni più seri e approfonditi ad un'analisi realistica del tortuoso significato delle votazioni riscosse dal PCI erano certamente quelli del napoletano Massimo Caprara, che qui pertanto riproduciamo, come i passi già citati e quelli che citeremo in seguito, nel resoconto de « L'Unità »: « I risultati elettorali mostrano un andamento frastagliato e contraddittorio non solo fra città e città, ma anche nella stessa regione. A Napoli, per esempio, accanto a zone di netta avanzata comunista, ad altre dove manteniamo la nostra influenza, abbiamo un arretramento di circa 1000 voti dalla periferia della città sino alle porte di Castellammare. Sempre a Napoli abbiamo punte del 49% in alcune zone di nuovi insediamenti operai mentre in altri punti del centro superiamo appena il 10%. Analizzare i risultati vuol dire renderci conto, prima di tutto, che essi sono frutto di scelte antichissime e di esperienze nuove, di orientamenti municipali e nazionali insieme ». Sono - ci sembra - i massimi riconoscimenti di una situazione ' . di stazionarietà sostanziale e di profonda trasformazione sociale e politica della base elettorale del PCI che ci si poteva .aspettare, allo stato delle cose, da un'assemblea comunista; e, se li si legge con animo sgombro dall'untuosità e dall'ermetismo divenuti tradizionali nel partito, essi non contraddicono l'interpretazione che ~bbiamo abbozzato di sopra. Se si tiene .presente tutto ciò, diventa più facile capire perché (come ha ancora osservato Marco Cesarini, in un altro articolo, sul << Mondo » del 29 dicembre scorso) « è da tempo che il PCI non parla più di conquista del potere con la violenza, di dittatura del proletariato, di repubblica di tip-o sovietico e di socializzazione degli strumenti di produzione ». È da tempo che ciò non accade perché più l'elettorato ' . che oggi fa forte il PCI, « indifferenziato-, protestatario, niente affatto comunista in senso ideologico, sempre_ meno politicizzato e convinto, si allarga e si espande, più informa di sé lo stesso partito, lo edulcora, lo annacqua nelle sue istanze superiori ». Ed è da tempo che ciò non accade perché (ed è sempre Cesarini ad osservarlo) « il " partito di massa " non è, obiettivamente, il partito comunista-leninista alla vecchia maniera, e non può ·attuare il suo tradizionale programma: quello per cui è nato, la rivoluzione. Esso deve tenere conto, inevitabilmente, della composizione sociale, ideologica, politica e morale della sua base ' e del suo elettorato. Non si può più adoperare il pa.rtito come uno strumento militare: i dirigenti, al contrario, tendono essi stessi a lasciarsi strumentalizzare dalla base e dal suo elettorato, e si tratta 18 B)bliotecaginobianco

P.C.I., integralisti e innovatori ormai di una base e di un elettorato che tutto chiede meno che soluzioni ca-muniste-leniniste di tipo rivoluzionario classico ». Tocchiamo qui uno dei pu11ti essenziali per l'evoluzione subita dal PCI in Italia dal 1944 ad oggi. La « via italiana» teorizzata da Togliatti, e in cui i comunisti amano vedere l'anticipo della posteriore destalinizzazione, è stata, infatti, un valido appoggio alla loro azione di penetrazione nella società italiana, ma ha chiesto, a sua volta, un prezzo in termini di depotenziamento rivoluzionario e di trasformismo ideologico e politico-sociale, e i comunisti lo hanno dovuto pagare, anche se essi preferiscono trattenersi sulla misura in cui la società italiana ha subito e subisce le modifiche e i contraccolpi provocati dalla loro presenza anziché sul fenomeno inverso. Ora, fin quando era vivo Togliatti, la trasformazione del partito e il suo sintonizzarsi sulle lunghezze d'onda della società italiana potevano non sollevare problemi o potevano sollevare opposizioni facilmente domabili grazie alla garanzia di continuità e di autenticità rivoluzionaria offerta dalla personalità del leader, di gran lunga prevalente tra quelle degli altri gerarchi comunisti, vincolatissima al Cremlino e da Mosca sempre sostenuta, magna pars del comunismo italjano già dai lontani anni di Gramsci. E proprio in quanto dallo snaturarsi del PCI non nascevano problemi, e in quanto per quella via ·si raccoglievano i frutti copiosi di grosse votazioni, di larga partecipazione al potere locale, di largo controllo di molti settori o aspetti della vita intellettuale ed economica, la trasformazione procedeva inesorabile, tanto più che, a coonestarla e, in una certa misura, a nasconderla, contribuivano la staticità e l'ambiguità proprie della versione togliattiana dei compiti politici e della qualificazione ideologica di un comunismo italiano. Anche da queste considerazioni si deve partire, oltre che da quelle già da noi avanzate nel fascicolo di « Nord e Sud » dello scorso ag.osto, per rendersi conto di che cosa la scomparsa di Togliatti abbia già, a breve scadenza, significato e di che cosa essa potrà significare a più lunga scadenza. Con Togliatti il PCI l1a perduto tutt'insieme il garante. della sua persistente natura marx-leninista, il mediatore-dittatore (i due termini si integrano in questo caso funzionalmente) dei disparati elementi concorrenti nel partito, l'interprete più duttile e più conservatore della realtà italiana in funzione degli· interessi del partito intesi nella loro più stretta accezione. Un paragone con quel che nel PCUS o in URSS hanno significato la scomparsa di Stalin o la destalinizzazione non reggerebbe: non tanto per l'ovvia disparità di grandezza dei 19 Bibliotecaginobianco

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