Nord e Sud - anno X - n. 42-43 - giu.-lug. 1963

r Rivista mensile diretta da Francesco Compagna La Redazione, Prima e dopo il 28 aprile - Roberto Ducci, L'Europa e gli altri - Massimo S. Giannini, Le regioni - Giuseppe Orlando, Politica di piano -, per l'agricoltura - Francesco Compagna e Indro Montanelli, Processoal Nord. e scritti di Spartaco Anania, Alberto Aquarone, Rosellina Balbi, Roberto Berardi, Zeno Canto- , ni, Giuseppe Galasso, Enzo Golino, Antonino Izzo, Cesare Lanza, Bruno Lauretano, Luigi Mazzillo, Mario Pacelli, Antonio Palermo, Carla Perotti, Esther Piancastelli, Nicola Pierri. ANNO X - NUOVA SERIE - GIUGNO - LUGLIO 1963 - Nn. 42-43 (103 - 104) ED I z I o N I se I E N T I F I e H E ITALI AN E - N A p o LI Bi'bliotecaginobianco I )

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO X - GIUGNO-LUGLIO 1963 - Nn. 42-43 (103-104) DIREZIONE E REDAZIONE: N a i, ') 1i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.347 Amministraz1~~e, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIEN;a_IFICHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo I i - Telef. 393.346- 393.347 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 4.000, semestrale L. 2.200 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via dei Mille 47, Napoli i bi iotecaginobianeo

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SOMMARIO La Redazione Roberto Ducci Massimo S. Giannini Giuseppe Orlando Zeno Cantoni Esther Piancastelli Roberto Berardi Bruno Lauretano Cesare Lanza G. G. Editoriale [5] Prima e dopo il 28 aprile [7] L'Europa e gli altri [24] Le Regioni: rettificazioni e prospettive [ 49] La politica di piano per l'agricoltura [70] Note della Redazione Tra re Mida e Machiavelli - Riforme necessarie - Mastrella e la Federconsorzi - Il « notabilitato » e la DC nel Mezzogiorno [88] Giornale a più voci L'Euratom e la politica di ricerca [98] Una grata sorpresa [102] L'aggiornamento dei professori medi [104] Semeiotica elettorale [ 112] Il· pu11to sull'Università in Calabria [ 114] Il P.C.I. e la « battaglia meridionalista » [ 119] Paesi e città Antonino Izzo Le funzioni di Napoli nel polo di sviluppo campano [121] Luigi Mazzillo Il « caso di Latina » [ 143] Giornali e riviste Rosellina Balbi Una stampa senza avventure [159] Congressi e convegni Mario Pacelli La conferenza nazionale dell'edilizia [ 170] .Bibliotecaginobianco

Inchieste Carla Perotti L'elettore condizionato [ 179] Frontiere Spartaco Ana11ia Il consulente in campo [195] Antonio Palermo Nicola Pierri Enzo Golino Giuseppe Galasso Alberto Aquarone Recensio11i L'arte in ripresa diretta [212] La via aziendale alla classe operaia [216] La legione d'Israele [221] Dialettica, sociologia, filosofia [224] Le elezioni del 1958 [230] Documenti Francesco Compagna e Processo al Nord [235] Indro Montanelli Bibliotecaginobianco . \

' Editoriale Solo una volta, dalla sita apparizione ad og·gi, « Nord e Sud» ha pubblicato un numero doppio: fu quello dedicato, nel dicembre del 1960, alla memoria di Renato Giordano e concernente i problemi del-- l'integrazione europea. Allora, oltre il pensiero affettuoso verso l'antico da poco e così in11natura1nente scomparso, ci mosse anche una ra, gione di ordine pratico, perché, nel cambio di editore verificatosi per la nostra rivista nel genriaio del 1960, si era reso inevitabile saltare la pubblicazione del numero di quel 1nese, e noi intendemmo, col numero doppio del dicembre seguente, assolvere al nostro debito di regolarizzazione della serie dei nu1neri di « Nord e Sild » sia· verso i lettori che verso gli abbonati. Il presente numero doppio della nostra .rivista nasce, invece, da ragioni' del tutto diverse cfie, seppure in maniera assai sintetica, ci sentiamo parimerite in obbligo di dichiarare ai nostri lettori. È noto a tutti quanto dall'indomani della Liberazione ad oggi l'attività pubblicistica sia venuta miltando, nel nostro paese, ma non soltanto in esso, il suo carattere e i suoi moduli. Basti ricordare che allora la passione politica dominante, la scarsa conoscenza dei problemi e della stessa reale fisionomia del paese e l'ansia di ritrovare, fuori della cappa di pion1bo imposta dal fascismo e dalle circostanze della guerra, la propria autentica vocazione civile e culturale diedero luogo ad un'attività pubblicistica nella quale il momento fu_nzionale di ricerca e di studio cedeva nettamente dinanzi al momento espressivo di passioni e di idee. Oggi il panorama di questa branca così importante della vita culturale è tutto diverso. Ricerca e studio sono diventate le note dominanti. Ciò può essere giudicato negativo in q·uanto implica che viviamo itn po' di rendita sul patrimonio di passioni e di idee accumulato nei primissimi anni del dopoguerra, ma è innegabilmente positivo nella misura in cui si tratta di un lavoro grazie al quale quel patrimonio viene assicurato da ogni pericolo di dispersione e, sviluppato in tutte le sue implicazioni, fa lievitare una nuova fase di carica ideale e inventiva. D'altra parte, le esigenze di una società orn1ai abbastanza avanzata sulla strada della inditstrializzazione integrale hanno dato al lavoro degli studiosi (accademici e non accademici, uomini d'azione e pubblicisti) un ritmo ed una forma di una regolarità 5 i'bliotecagin.obianco

Editoriale e di una frequenza sconosciute negli antll agitati del dopoguerra. Chi di noi non è oggi assediato, per così dire, dagli impegni di convegni, congressi, tavole rotonde etc.? dalla partecipazione e collaborazione ad iniziative editoriali di vasto respiro? dalle esigenze delle numerose istituzioni scientifiche o largan,zente culturali diffusesi nell'ultimo decennio?· L'attività pubblicistica non può fare a 1neno di tener conto di tutto ciò. La sua funzione di portatrice di una cultura scritta non può più essere disgiitnta da quella di testimone e conservatrice di una cultura nella quale la comunicazione orale e il cuntatto personale vanno crescendo di importanza. I solarsi nella ricerca di un tipo di collaborazione tutto proprio vorrebbe dire, almeno per la pubblicistica di più alto livello, condannarsi alla segregazione da n1olte delle correnti più vive della cultura contemporanea e rinu11ziare ad itn' esperienza che può essere in molti sensi utile e feconda. Questo numero doppio di « Nord e Sud» è nato, dunque, dalla nostra partecipazione a questa 11uova dime11sione dell'attività pubblicistica, e vorrebbe perciò essere una dimostrazione della ricchezza a11che quantitativa di coiztributi c/1-eessa ci sembra consentire. Ci auguriamo che anche ai nostri lettori l'intersecazione e la comunione che abbiamo tentato tra il materiale messo a nostra disposizione dalle forme sopra accennate della vita culturale contemporanea e i nostri apporti redazionali appaiano felice1nente riuscite. 6 Bibliotecaginobianco

Prima e dopo il 28 aprile a cura della Redazione Tanto l'on. Taviani che l'on. Moro (quest'ultimo nella sua relazione al Consiglio Nazionale della DC, il 17 maggio) hanno opportunamente ricordato che i dati di quelle che possono essere considerate mid-term elections fra le « politiche » del 1958 e le « politiche » del 1963, e cioè le «amministrative» del novembre 1960, avevano in qualche mo·do anticipato i risultati che il 28 aprile hanno sorpreso l'opinione pubblica; onde si può dire che questa è rimasta sorpresa, appunto, perché non ha te·nuto conto adeguatamente delle indicazioni fornite da quelle elezioni amministrative, salvo che per quanto riguardava i progressi dei liberali e dei socialdemocratici. La flessione della DC e il progresso dei comunisti (sia pure limitato al Nord), che alle elezio11i a1nministrative del 1960 furono rispettivamente del 2% in meno e dell'l,8% in più, non sono stati mai indicati come punti di riferin1e11to importanti dalla gran parte di coloro che durante la campagna elettorale si sono dati la pena di in.formare l'elettorato e in pari tempo di prevedere i suoi orientamenti. E questo, non soltanto e non tanto per seguire 1.1ndisegno, tendenzioso relativamente all'informazionè della opinione pubblica e· alla previsione ~ degli orientamenti dell'elettorato, ma ancl1e e soprattutto perché i datj forniti dalle elezioni amministrative del 1960 sono stati frettolosamente interpretati o sono stati addirittura dimenticati sotto l'impressione di risultati delle elezioni amministrative «supplementari» del 10 giugno 1962, in base ai quali risultava cl1e a Roma, Napoli, Bari e Foggia, nei principali centri, cioè, in cui la popolazione era stata chiamata alle urne, non si era110. verificate flessioni rilevanti della DC, né si erano verificati avanzamenti significativi del PCI, ma, al co-ntrario, qua e là, avanzamenti della DC (in Puglia, per es.) e flessioni del PCI (in Campania, per es.). In un certo senso si può dire che i risultati del giugno 1962 hanno tratto in inga11no molti osservatori; per lo meno nella misura in cui quei risultati, confermati in parte da quelli del 28 Aprile (la DC ha perduto in Puglia solo lo 0,9?/o ed il PCI ha guadagnato in Campania solo lo 0,5% ), erano dovuti sia alla più seria impostazio,ne, unitaria, della campagna elettorale da 11arte dei partiti della maggioranza, sia a 7 -Bibliotecaginobianco

I. La Redazione fattori di ordine locale (il prestigio dell'on. Moro nelle Puglie e la particolare crisi attraversata dal PCI in Campania, onde l'aggressione dell'on. Togliatti, dopo il 10 giug110 1962, su « Rinascita », ai dirigenti napoletani del PCI). Del resto anche osservatori di sicuro orientamento democratico hanno sottovalutato, o addirittura 11Onvalutato, le indicazioni del 1960. E se questo è forse comprensibile per la DC, la quale è solita riguadagnare alle elezio11i politiche, in tutto o in parte, i voti che perde alle elezioni amministrative, è assai meno facilmente comprensibile per quanto riguarda il PCI. Valga a questo proposito ciò che è stato scritto sul « Mondo » del 21 maggio: « Nell'interpretare i voti dei comunisti alle elezioni amministrative del novembre 1960, mentre si sono giustamente attribuiti agli i0migrati meridionali i voti guadagnati dal PCI nel Nord, non si è tenuto conto del fatto che erano molti, o parecchi, i voti guadagnati nel Sud dal PCI in direzione dei monarchici; erano molti, o parecchi, anche se non figuravano con1e un arricchimento cospicuo nella misura in cui venivano in parte, e forse soprattutto, a compensare voti che i comunisti perdevano: quelli, per esempio, degli emigrati - all'estero (o al Nord, ma ancora iscritti come elettori al Sud) ~ che non tornano per votare alle elezioni amministrative come tornano per le elezioni politiche; e anche quelli che dal PCI passavano al PSI o al PSDI, in virtù di un ulteriore passo avanti nel processo di promozione politica del Mezzogiorno ». A parte ogni altra considerazio11e relativa alle interpretazioni frettolose dei dati del '60 e alle previsioni superficiali dei risultati del '63, rimane confermata, comunque, in sede di interpretazione del significato politico di questi ulti1ni, l'importanza dei 2 punti perduti dalla DC nel '60 1ispetto al 1958 (la metà, du11que, della perdita subita ne.I '63 rispetto alle precedenti elezioni politiche) e di q_uell'l,8% guadagnato già allora dai comunisti, onde l'avanzamento complessivo del PCI risulta essere stato assai più rilevante fra il '58 e il '60 (1'1,8%, appunto) di quanto non lo sia stato fra il '60 e il '63 (2,6% - 1,8% == 0,8% ). D'altra parte, a chi volesse ricordare questi dati al solo scopo di ridimensionare i risultati del 28 aprile per quell'aspetto di essi che ha più sorpreso l'opinione pubblica, e cioè l'aumento dei voti comu11isti (esteso ora pure al Sud) malgrado l'apertura a sinistra, si potrebbe obiettare che quest'ultima avrebbe dovuto consentire ai partiti della nuova maggioranza una vivace rimonta rispetto alle elezioni amministrative del 1960, venute pochi n1esi soltanto do·po i fatti di luglio, qt1ando l'elettorato era sotto l'impressione di una serie di eventi che dalla congiura dorotea del '59 avevano portato al gover11O Tambroni; e che, invece della rimonta, c'è stata un'ulteriore flessione della DC e c'è stato un ulteriore avanza8 Bibliotecag.inobianco .

Dopo il 28 aprile mento del PCI, sia pure dello 0,78% soltanto. Perché la rimonta nor1 c'è stata, perché le tendenze già denunciate dai dati del 1960 sono state ora confermate, anzi sono state marcate da un raddoppiamento percentuale, per quanto riguarda la flessione della DC, e da un arrotondame11to percentuale, per quanto riguarda l'aumento dei voti comunisti? *** · A questo punto giova osservare che nelle interpretazioni, varie e discordanti, che sono state avanzate intorno ai risultati elettorali del 28 aprile, così come non si è conferito adeguato rilievo alle indicazioni delle mid-term elections, non se ne è conferito nemmeno a una consi, derazione preliminare di ordine politico che pt1re ha la sua importanza in sede di interpretazione, appunto, dei risultati elettorali (come l'aveva, · del resto, anche in sede di previsione degli stessi). Si è sottovalutata, cioè, la considerazione che la scelta politica che ha portato alla formazione della nuova maggioranza è stata a dir poco molto laboriosa, così per la DC come per il PSI; onde ha suscitato accaniti contrasti, nell'ambito della prima e nell'ambito del secondo, ed è stata ritardata all'ultimo anno della Legislatura, dopo un penoso travaglio che naturalmente ha inciso sul giudizio degli elettori in quanto questo era (come . ~oveva essere) un giudizio formatosi lungo tutto l'arco di tempo che segna la durata della Legislatura. Si sono perduti così anni preziosi, caratterizzati da una serie di vicende che vanno dalla grande congiura dorotea, agli inizi del '59, fino al governo dell'on. Tambroni nel luglio del 1960; e altri anni preziosi si sono perduti tra un congresso e l'altro dei partiti che dovevano superare i più accaniti contrasti di cui si diceva. Alla fine, e soltanto alla .fine, della Legislatura - quando peraltro era passato in Europa il tempo della congiuntura senza nubi e ci si cominciava a confrontare con una congiuntura meno favorevole - c'è stata, d~nque, finalmente, una grande e importante e impegnativa scelta politica cui si sono decisi i due partiti maggiori, anche per la pressione esercitata su di essi dai due partiti minori della nuova maggioranza i11 via di formazione. Ma le grandi scelte politiche hanno sempre a breve scadenza u11 ·loro costo elettorale per quei partiti ~he hanno dovuto scegl.iere fra maggiori difficoltà e soprattutto contro la volontà di una parte del proprio elettorato. La riforma agraria - una decisione assai meno importante e laboriosa di quella che ha portato alla formazione della nuova maggioranza - ebbe nel 1953 un costo altissimo per la DC 9 Bi'bliotecaginobianco

La Redazione. (scesa allora dalla percentuale del 48,4 alla percentuale del 40,0: certo, non soltanto a causa della rifor111a agraria che aveva giustamente intrapreso, ma anche a causa della riforma agraria). Era evidente, quindi, che ci fosse un costo elettorale da pagare per l'apertura a sinistra: e non soltanto a destra da parte della DC, ma anche a sinistra da · parte del PSI. Senonché, solo il costo che si doveva pagare a destra è stato preventivato (anche da Moro al Congresso di Napoli della DC) e non quello che si doveva pagare a sinistra; anzi, si è data l'impressione di contare addirittura su un'espansione dei socialisti a danno dei comunisti. Così, i11 definitiva, il costo pagato a sinistra per la scelta politica del 1962 risulta minimo, se valutato sulla base della flessione percentuale fatta registrare dai socialisti (0,4% ); ma questa considerazione non può essere fatta valere come prova di un relativo sL1ccesso della maggioranza in generale, e della sua ala si11istra i11 particolare, perché in sede di previsione non si è dato, giusto rilievo all'indicazione po1 litica per cui un costo doveva essere pagato anche a si11istra. Inoltre, se valutato sulla base dei voti guadagnati dai comunisti, il costo dell'apertura a sinistra può sembrare maggiore di quello che risulta sulla base della flessione percentuale dei socialisti. L'aumento complessivo dei voti di destra (MSI, monarchici, liberali) risulta, infatti, assai minore dell'aumento dei ,,oti comunisti; onde può sembrare che a sinistra sia stato pagato un costo elettorale più alto di quello pagato a destra. Non è così, però, perché i comunisti hanno potuto ritagliare per sé una fetta cospicua dell'elettorato mo11archico, per 1notivi cl1e nulla hanno a che fare con le reazioni dell'opinione pubblica nei co11fronti dell'apertura a sinistra. Perciò è pii1 corretto valutare sulla base della flessione percentuale subita dai socialisti, e non sulla base dei voti guadagnati dai comunisti, il costo elettorale pagato a sinistra per la scelta politica del 1962; ed è giusto affermare eh~ esso risulta minore di quello pagato a destra, dato che gran parte dei voti guadagnati dal PLI, nel Nord, e 11el centro delle grandi città specialme11te, sono, per dirla con Pistelli ( « Politica » del 15 maggio), i voti che Guareschi portò alla DC nel '48 e che Mala godi le ha ripreso ora. La validità delle grandi scelte politiche, comunque, non si misura, o per lo meno non si n1isura soltanto, e nemmeno prevalentemente, sui risultati elettorali che ne derivano a breve termine (e il termine, come abbiamo visto, tenendo conto del momento· in c11i si è potuto finalmente approdare all'apertura a sinistra, è stato addirittura brevissimo); ma si misura sui risultati politici cui si può e si deve pervenire in un tempo meno breve. Dopo·, e soltanto dopo, possono venire anche i risul10 Bibliotecaginobianco .

" Dopo il 28 aprile tati elettorali palesemente favorevoli, può essere, cioè, compensato, e anche largamente, il costo elettorale di cui si diceva. Un costo elettorale, dunque, si doveva pagare, era prevedibile che si dovesse pagare, ed è stato pagato: più alto, e in parte previsto, a destra dalla DC; meno alto - e tuttavia a torto non preventivato - a sinistra dal PSI. Ma gli spostamenti eletto•rali che si sono verificati rispetto al 1958 non possono essere interpretati soltanto come la conseguenza della reazione di elettori democristiani orientati a destra, e quindi ostili al centro-sinistra, e della reazione di elettori socialisti altrettanto ostili alla nuova maggioranza perché di orientamento massimalista. Né questi spostamenti possono essere misurati quantitativamente in base alle variazioni percentuali in più o in meno che risultano per ogni partito nel 1963 rispetto al 1958: c'è stato, infatti, un generale rimescolamento, scambio di voti in tutte le direzioni, un complesso gioco di motivazioni contraddittorie, o semplicemente di origine disparata, per cui le variazioni percentuali che risultano per ogni partito rappresentano il saldo fra· voti guadagnati, per una data ragione e in una data direzione, e voti perduti, per un'altra ragio11e e in un'altra direzione. Si era detto, cioè, commettendo un altro errore di previsione, che neanche gli importanti mutamenti politici intervenuti nella situazione italiana durante il 1962 avrebbero intaccato la relativa stabilità raggiunta dall'elettorato dopo il 1953, come se i comportamenti elettorali fossero oramai viziati da una sempre più scarsa partecipazione dei cittadini alla vita politica (la« dépolitisation », come in Francia e altrove) e quindi da una assenza di reazioni veramente significative e rilevanti nei confronti delle scelte che i partiti propongono, anche quando esse sono diverse rispetto alle scelte proposte in occasione di una precede·nte scadenza elettorale. E invece sui co1npo,rtamenti dell'elettorato hanno influito non solo i mutamenti politici intervenuti nella situazio-ne italiana durante il 1962, ma anche, e forse soprattutto, i mutamenti intervenuti durante.cinque anni nella realtà geografica e sociale del paese, mutamenti, questi ultimi, veramente significativi e rilevanti. Tutto questo emerge chiara1nente dall'analisi del voto espresso dall'elettorato il- 28 aprile nelle varie provincie e regioni, nelle varie compartimentazioni, orizzontali per così dire, che sono delimitabili in base ·a considerazioni geografiche e nelle altre compartimentazioni, verticali, che sono delimitabili in base a considerazioni di ordine più ~ meno sociologico. Si può dire, insomma, che la « fluidità » dell'elettorato italiano non si è manifestata questa volta, come nel 1953 e nel 1958, soltanto alle « giunture » principali dello schieramento p·olitico, fra DC 11 Bibliotecaginobianco

La Redazione e destre o fra sinistra democratica e sinistra totalitaria, ma si è manifestata anche, e magari soprattutto, in corrispondenza 'di nuove tensioni sociali, là dove si sono profondamente modificati i rapporti fra città e campagna, là dove ampi settori dell'elettorato so,no passati da un comportamento elettorale d~ttato da motivazioni clientelistiche a un com-1 portamento elettorale dettato da sia pure primitive motivazioni politiche, 1 là dove si sono disgregati o si stanno disgregando tradizionali rapportii! • di tipo familiare-patriarcale, di tipo parrocchiale-sanfedista, di tipo: i paesano-clientelare. 1;Ina «_ fl~idità_ »,. du~que, alle « giunture » ~r~ ,le vec-j chie e le nuove strat1ficaz1on1 soc1al1, p1u ancora che una « flu1d1ta » alle « giunture » dello schiera111ento politico. Se noi tenian10 conto di tutto questo, do,bbiamo dedurne che il costo elettorale dell'apertura a sinistra è stato minore di quanto non risulti dai dati aritmetici, ma poteva forse essere contenuto, o essere largamente compe11sato (come in parte è stato compe11sato quello pagato dai socialisti) da voti che i partiti della maggioranza avrebbero potuto guadagnare, profittando essi della nuova « fluidità ». Era prevedibile, cioè, che i liberali guadagnassero voti in conseguenza dell'apertura a sinistra; ed era pure prevedibile che ne guadagnassero i comunisti, sia fra gli elettori socialisti di orientamento massimalista, sia, indipendentemente dall'apertura a sinistra, fra il sottoproletariato meridionale emigrato o non e1nigrato, ma comunque non più aggiogabile a rapporti clientelistici. A nostro avviso, però, se non fossero stati commessi alc11ni errori, le perdite della DC a favore dei liberali potevano essere contenute; e in pari te1npo si potevano compensare i voti perduti dai socialisti per il co~to dell'apertura a sinistra, e i voti guadagnati dai comunisti per la pro1nozione del sottoproletariato da orientamenti clientelistici a sia pur ancora prin1itivi orientamenti politici, con altri voti, che i con1unisti avrebbero potuto perdere a beneficio dei socialisti se no11 si fosse diffusa l'impressione che l'apertura a si11istra era stata rimessa in discussione o almeno che ne era stato rimesso in discussione il contenuto: onde vi sono stati elettori che hanno votato i comunisti- o che hanno continuato a votare per i comunisti non per votare contro il centro-sinistra, ma per votare contro il centro-sinistra indolore, contro lo svuotamento del centro-sinistra. Vediamo, dunque, quali errori sono stati commessi per cui - come scrivevamo nell'editoriale del mese di n1aggio, sotto la pri1na impressione 12 Bibliotecaginobianco

Dopo il 28 aprile suscitata dai risultati elettorali - « le elezioni del 28 aprile non hanno sortito un esito particolar1nente felice per il governo, per i partiti, per i gruppi e per gli uomini che dal 1960 ad oggi hanno prodigato fatiche e sforzi nell'intento di dare definitivamente corpo ad una grande e moderna politica democratica ». Si è parlato molto di « errori nella direzione politica del centrosinistra ». E si è voluto con questo mettere sotto accusa il governo, affermare, cioè, che gli « errori » sono stati commessi nell'elaborazione e attuazione del programma di governo e in particolare che tutti gli errori possibili ed immaginabili devono essere addebitati al dinamismo e all'attivismo del Presidente del Consiglio. Ora, se si vuole affermare j che il programma di governo, così come era stato formulato dai partiti/' nel marzo del 1962, era troppo ampio per essere attuato in un solo annoJ1 di legislatura, non si può non essere d'accordo; ma allora si tratta d. un errore che è stato co1nmesso dai partiti, piì.1che di errore del governo: E, oltre a questo, i partiti hanno commesso ancora altri errori, che non possono essere addebitati al Presidente del Consiglio, il quale, anzi, ha cercato, con la sua coerente campagna elettorale, di correggerli, per quanto era nelle sue limitate possibilità, e di contenerne le conseguenze. Così, per esempio, sono i partiti e non il governo a portare la responsabilità di aver dato l'mpressione di rinnegare il programma a suo tempo elaborato e perfi110 qt1ella parte di esso che era stato possibile attuare. Se ci domandiamo, quindi, quali siano i punti da cui si devono l prendere le mosse per capire che cosa non ha funzionato nel centro [ ( sinistra, dobbiamo anzitutto ricordare che i partiti della maggioranza: • hanno imboccato la strada giusta dopo aver battuto per quattro anni! I strade sbagliate; e dobbia1no in secondo luogo ricordare che, avendo \ percorso (per nove mesi soltanto!) un certo t:çatto della strada giusta, ~ i partiti della maggioranza si sono poi fermati, incerti sulla convenienza \ di andare avanti, onde han110 sciupato in tre mesi ciò che avevano fatto J nei nove mesi precedenti. Quando si parla di « errori nella direzione politica del centro-sinistra », e si vuole obiettivamente riconoscere quali errori, e di chi, siano all'origine dell' « esito » non « particolarmente felice » dei risultati del 28 aprile, non si può infatti no11 indicare in primo luogo, e come errore più grave, la vicenda del cosiddetto « ~isimpegno » di gennaio, della quale certamente non è stato responsabile Fanfani. Tutti sanno come ,, essa sia derivata dalle pressioni dei dorotei sulla segreteria della DC e ) a~!1:~~-dalle pr~~.?!9!11_._g_~J ..1!1assi1nalisti sulla segreteria del PSI, onde J .. Moro e Nen11i hanno ceduto a·-aiscutibili••·suggestf6iii-~fatt1ène, perdendo 13 Bibliotecaginobianco

La Redazione completamente di vista le esigenze strategiche della battaglia per il consolidamento e l'approfondimento dell'apertura a: sinistra. Valga a questo proposito quanto scrivevamo su « Nord e Sud » nel mese di febbraio: « Da qualsiasi punto di vista lo si voglia considerare, il disegno che era stato· attribuito a Moro e a Nenni di una " crisi a freddo ", per andare alle elezioni in ordine sparso e poi riprendere a riannodare le fila della coalizione di centrosinistra, era un disegno folle; e come tale è stato giudicato da tutti coloro che sono fautori intelligenti dell'apertura a sinistra, nei partiti e nei giornali. È vero che quel disegno non si è risolto in un vero e proprio suicidio, come si era temuto a un certo momento; e tuttavia, nella misura in cui esso si è parzialmente attuato, non si può dire che non si sia risolto in un atto di grave autolesionismo, perché tale è, a nostro giudizio, il "disimpegno" cui sono voluti pervenire la DC ed il PSI, senza rendersi conto che il "disimpegno", anche se soltanto parziale e non accompagnato da crisi di governo, indebolisce comunque la coalizione. Si tratta, infatti, di andare alle elezioni con uno spirito e in un clima affatto diversi da quelli con cui si è andati alle elezioni in giugno, affrontando peraltro un elettorato particolarmente incerto e difficile come quello di alcune città meridionali. A questo elettorato in giugno non si sono presentate le scuse, da parte del PSI e della DC, per avere concluso l'apertura a sinistra; ma si è detto chiaro e forte che l'apertura a sinistra rappresentava un grande passo avanti per il consolidamento e l'espansione della democrazia nel nostro paese: e le elezioni furono vinte. Ora, invece, sembra che si voglia ricorrere a una serie di espedienti tattici, cercando di rabbonire con una aperta polemica dimostrativa fra DC e PSI gli elettori moderati della ·prima e gli elettori massimalisti del secondo; e si rischia così veramente di perdere buona parte degli uni e buona parte degli altri, perché quell'aperta polemica suona in definitiva come una concessione, e non come una confutazione, rispetto alle loro rispettive preoccupazioni ». Ecco, dunque, il più grave errore che sia stato commeso nella direzione politica del centro-sinistra: andare alle elezioni in ordine sparso; anzi, in aspra concorrenza fra i partiti della nuova maggioranza. *** I partiti della maggioranza, invece di presentarsi al corpo elettorale con la coalizione rinsaldata e rinvigorita per il molto di buono che si era fatto o preparato nei primi nove mesi di attività del governo di centro-sinistra, si sono quindi lasciati condizionare dalla paura di perdere voti o dall'ansia di raccoglierli; e di conseguenza il governo è rimasto scoperto, esposto, cioè, a tutti gli attacchi più demagogici, perché non protetto dalla operante solidarietà della sua maggioranza. ,,.. Così, la DC è sembrata addirittura in certi momenti volersi giustificare davanti al corpo elettorale per certe decisioni prese o predi14 Bibliotecaginobianco

' Dopo il 28 aprile sposte dal governo: ha fatto capire di aver accettato malvolentieri la nazionalizzazione della industria elettrica, invece di spiegare le ragioni che l'avevano resa necessaria, di illustrare il modo come la si va attuando, di confutare gli argomenti di chi si azzardava ad affermare che ne era risultato un danno per i consumatori e per i piccoli risparmiatori, di indicare le prospettive di sviluppo economico che in vario senso ne derivano; ha rinnegato addirittura la nuova legge urbanistica, invece di chiarire i motivi per cui essa rappresenta la sola possibilità di salvare le città italiane e di portare avanti una efficace politica della casa per tutti; ha dato, infine, l'impressione di volere a tutti i costi proteggere la Federconsorzi, nella sua attuale, più che discutibile, configurazione. Se la DC ha commesso questi e altri errori nell'impostazione della campagna elettorale, non è stata però la sola a commetterne. I socialdemocratici, dal canto loro, non hanno smentito, come dovevano, ogni giorno e ogni momento, la loro disponibilità per il cosiddetto centrosinistra « pulito »: o, meglio, l'hanno smentita soltanto nella misura in cui non potevano non smentirla, ma in un modo che non è risultato -in del tutto convincente. Il che è tanto più grave proprio in quanto siamo convinti che i socialdemocratici non fossero affatto disponibili per una operazione come quella suggerita da certi ambienti dì destra economica: proprio La Malfa aveva scritto sulla « Voce repubblicana», agli inizi della campagna elettorale, che coloro i quali puntavano sul centrosinistra « pulito » non tenevano conto della « dignità morale e politica dell'on. Saragat » (citiamo a memoria). Ma il fatto è che anche questa debolezza della smentita socialdemocratica, per cui essa non è risultata del tutto convincente, rientrava nella logica condizionante di una campagna elettorale da essi erroneamente impostata in polemica dichiarata con i partiti alleati, indebolendo ulteriormente lo spirito di coalizione e quindi la formula della coalizione. Ed i repubblicani? Certo c'è stata contro di loro una significativa congiura del silenzio, da parte della stampa moderata, che giustamente li ha considerati i duri del centro-sinistra, non disposti a coprire manovre per svuotare l'operazione politica con tanta tenacia da essi voluta. E così è doveroso riconoscere che i repubblicani nel corso della campagna elettorale si sono astenuti dal commettere errori che altri hanno commesso, non hanno, cioè, aperto polemiche con ìa DC e con il PSI tali da indebolire lo spirito della coalizione. Ma hanno lasciato degenerare . in polemica contro il PSDI la polemica che La Malfa aveva tempestiva- : mente aperto proprio per affermare e dimostrare che Saragat e il .. PSDI non sarebbero stati mai disponibili per il centro-sinistra « pulito » . : e che quindi invano la stampa moderata si dava da fare per diffondere 15 Bibliotecaginobianco

La Redazione l'impressione cl1e tale disegno potesse tradursi dopo il 28 aprile in un'alternativa concreta all'apertura a sinistra. Vogliamo dire che, in contrasto con il modo e con il tono con cui La IVlalfa aveva responsabilmente affrontato questo teina del centro-sinistra « pulito », « La Voce repubblicana» ha avanzato dubbi (anche con vignette e manchettes di gusto qualunquistico cl1e altre volte abbiamo criticato quando ad esse si è fatto ricorso su ·giornali co1ne « L'Espresso ») sulle intenzioni postelettorali dei socialdemocratici, dubbi che finivano con l'avvalorare 1èerte impressioni che proprio la destra aveva interesse ad accreditare. / Detto questo, però, ci corre ancl1e l'obbligo di aprire una parentesi per / aggiungere· subito che ci è dispiaciuto il modo e il tono con cui il 30 f aprile Saragat ha reagito alle «intemperanze» della « Voce», addebitan1:/ done la responsabilità ai «portavoce» di La Malfa, il quale, come abbiamo visto (citando a memoria, ma esattamente nella sostanza), aveva parlato di Saragat come dell'uomo s11l quale non si poteva contare per manovre di svuotamento del centro-sinistra. La Malfa è uno dei maggiori punti di forza del centro-sinistra; l'attacco che Saragat gli ha mosso - lasciamo ad altri di giudicare fino a che punto ingeneroso, a noi questo qui non interessa - è stato politicamente inopportuno. E sia consentito di dirlo a noi, elettori di La-.. MaJfa, che di Saragat siamo stati - e siamo - ~ -- . pugnaci estimatori, che come tali ci siamo qualificati pubblicamente anche quando era di moda negli ambienti della sinistra democratica addebitare a Saragat tutte le colpe e tutte le più prave i11tenzioni immaginabili. D'altra parte - e questo vale tanto per i repubblicani che per i socialdemocratici - nel siste1na partitico italiano, pluripartitico, proprio quei partiti che confinano fra loro - e spesso sono naturalmente alleati, al governo o all'opposizione, nell'ambito di coalizioni che si dicono « omogenee » - sono quelli che figurano in periodo elettorale più direttamente concorrenti ai fini del controllo di certe zone di confine del corpo elettorale; a vo1te tanto aspran1ente concorrenti che, se i leaders non si autoco11trollano, la campagna elettorale può lasciare strascichi di sgradevoli polemiche (come quella cui qui si è fatto cenno), tali da compromettere i rapporti di buon vicinato stabiliti nella Legislatura che si chiude o da stabiìire nella Legislatura cl1e si apre. Ma tutto questo fa parte del difficile mestiere dei partiti; e se a volte ne derivano motivi di preoccupazione, o di incertezza, si tratta pur sempre di difficoltà che possono essere affrontate e superate quando agli uomini che sono a capo dei partiti non faccia difetto né il senso della misura, né la lucidità della visione politica. Confidiamo, quindi, nel superamento pieno dei motivi cl1e hanno dato l11ogo allo scontro 16 Bibliotecaginobianco

Dopo il 28 aprile fra repubblicani e socialdemocratici: se non altro perché senso della misura e soprattutto lucidità della visione politica non dovrebbero mancare né a Saragat né a La Malfa. Chiusa questa parentesi, resta da dire dell'impostazione della campagna elettorale dei socialisti. Si è affermato da varie parti che i socialisti hanno avuto il torto di non trarre tutte le conclusioni che si potevano trarre nel mese di gennaio, quando si è posto il problema di reagire alle cosiddette « inadempienze » della DC. Ma questo sarebbe stato il suicidio del centro-sinistra, con problematiche possibilità di resurrezione. È vero piuttosto che i socialisti, più di tutti gli altri partiti della maggioranza, sono stati indeboliti dalla manovra del « disimpegno », che li esponeva quasi nudi agli attacchi dei comunisti. Va detto pure che i socialisti si sono difesi da questi attacchi, ma non hanno contrattaccato come potevano e come dovevano nell'interesse proprio e della coalizione. E se non lo hanno fatto, la ragione è ancora una volta:. da ravvisarsi nel mito, o, meglio, nel complesso, dell'unità operaia, un complesso dottrinario che impedisce la percezione esatta di ciò che ormai, secondo ogni apparenza, veramente divide i socialisti dai comunisti e fa dei primi gli avversari e non gli alleati dei secondi: il fatt~, cioè, che i socialisti appartengono al fronte della sinistra democratica e non possono quindi che per un'aberrazione come quella del 1948 f entrare a far parte di un fronte, e sia pure di un fronte a maglie · larghe, con i comunisti, che rappresentano la sinistra totalitaria, come risulta chiaramente là dove soltanto può risultare: non nei paesi dove i comunisti sono all'apposizione, ma nei paesi dove i comunisti sono al potere, dove le cosiddette « vie nazionali » al socialismo risultano tutte eguali nella sostanza totalitaria. In questo senso non è vero che i socialisti non devono accettare discriminazioni a sinistra. O, meglio, è vero che devono opporsi, come noi e tutta la sinistra democratica, a discriminazioni poliziesche a sinistra, del genere di quelle che una volta furono proposte da Scelba, o del genere di quelle assai più drastiche e illiberali che i comunisti applicano contro ogni opposizione là dove detengono il potere; ma è altresì vero che devono precisare e approfondire una linea politica che politicamente, appunto, discrimini la sinistra totalitaria, che renda, cioè, evidente per tutto il movimento operaio l'alternativa che la sinistra democratica propone nei confronti della sinistra totalitaria, le cui basi, e i cui quadri pure, possono alla lunga essere recuperati, almeno in parte, senza che si possa considerare recuperabile, in quanto tale, il partito che ne incarna la tradizione e le prospettive. · 17 Bibliot~caginobianco

La Redazione D'altra parte, la storia anche recente del socialismo italiano è tale che non si poteva pretendere dal PSI che di :t11tto questo fosse pienamente consapevole, e che a queste esigenze, di aperta e dichiarata polemica con la tradizione e le prospettive della sinistra totalitaria, uniformasse la recente campagna elettorale; è già molto quello che ha detto e fatto per difendersi dagli attacchi comunisti, specialmente se si tiene conto della difficile situazione in cui si è venuto a trovare Nenni dopo gennaio: tanto difficile che i socialisti non hanno potuto neanche mettere nel giusto rilievo durante la lunga campagna elettorale quello che pure è stato opportunamente ricordato da Lombardi, e cioè che pochi mesi di centro-sinistra attivo hanno consentito di fare assai più di quanto non sia stato fatto nel corso di tutte le legislature repubblicane (e basti anche qui ricordare quella nazionalizzazione dell'industria elettrica che sembrava impossibile specialmente agli interpreti marxisti della realtà italiana, che sembrava, cioè, una rivendicazione velleitaria che non poteva non naufragare contro la potenza di certi gruppi di pressione). E infine, a proposito dei socialisti, si potrebbe anche osservare che, pur esse11do stati, come dicevan10, dal punto di vista politico, le vittime principali del « disimpegno », dal punto di vista elettorale sono stati i democristiani a subìre le più gravi conseguenze del « disimpegno » stesso, mentre il costo elettorale per l'apertura a sinistra e per le « inadempienze » della DC è stato per i socialisti addirittura minimo; il che fa pensare - se confrontian10 le relativamente forti perdite dei socialisti nelle regioni dell'Italia centrale con le relativamente lievi loro perdite nelle regioni dell'Italia settentrio11ale e con taluni loro avanzamenti nell'Italia meridionale - che, come vi è stato travaso di voti dai socialisti ai comunisti, specialmente nell'Italia centrale, nelle zone mezzadrili, così vi è stato travaso di voti in senso inverso. E perciò, appunto, il costo elettorale complessivo che i socialisti hanno dovuto pagare è stato, come dicevamo, assai minore di quanto non fosse lecito prevedere sulla base dello sforzo che era costato al Partito socialista la marcia di avvicinamento al centro-sinistra e sulla base delle possibilità di controffensiva comunista a danno dei socialisti che erano state fornite dalle vicende di gennaio. Qui, con1unque, non sì vuole fare una graduatoria di colpe fra i partiti del centro-sinistra. Si deve dire, però, che, se q11esto che abbiamo sommariamente tracciato è il quadro entro cui si sono definiti i comportamenti dei partiti dL1rante la campagna elettorale, tutti si sono resi in qualche modo colpevoli nei confronti delle esigenze e degli interessi politici generali, della coalizione di governo. Si deve dire, cioè, che tutti i partiti della 1naggioranza si sono preoccupati più del « rac18 Bibliotecaginobianco

Dopo il 28 aprile colto nel campo del vicino », anche quando il « vicino » era un alleato, che no11 della saldezza di tutta la coalizione. E le prime battute della « ripresa » politica dopo il 28 aprile non sono state affatto rassicuranti, perché hanno accreditato l'impressione che i partiti non si siano ancora decisi a fare fino in fondo l'esame di coscienza. *** C'è qualcosa da dire ancora per quanto riguarda il « disarmo ideologico» nei confronti del comunismo, poiché di questo argomento molto si è parlato, e non sempre a proposito, e poiché nel « disarmo ideologico », appunto, si è voluto riconoscere da molti osservatori politici, anche non italiani, la causa pri1na dell'aumento dei voti comunisti. Ora noi non siamo di qt1elli che rifiutano del tutto l'argomento del « disarmo ideologico », che del tutto e semplicemente negano esservi stato tale « disarmo » o che ritengono debba ravvisarsi nel « disarmo » un fatto positivo. Ma, se « disar1no » c'è stato, non se ne dia - per carità! - la colpa a Papa Roncalli o al Presidente I<.ennedy; e nemmeno all'on. Fanfani. Quando Papa Pacelli elargiva scomuniche e quando l'on. Scelba faceva la faccia feroce, c'è stato egualmente un aumento di voti comunisti in Italia, e più cospicuo di quanto• non si sia verificato fra il '58 e il '63 o fra il '60 e il '63 ( e sia detto tra parentesi che quest'ultimo confronto, tra date più ravvicinate, ai fini dell'incidenza del « disarmo ideologico » sull'aumento dei voti con1unisti è naturalmente più logico di quanto non sia l'altro, fra le elezioni politiche del '58 e del '63, perché non c'è stato certo « disarmo ideologico », nel senso che a questa espressione attribuiscono gli editorialisti della stampa di destra, fra il '58 ed il '60). E in Francia, come è stato giustamente ricordato da Mario Di Bartolomei sulla « Voce repubblicana», c'è il gollismo, non il centro-sinistra: ma sono i co1nunisti che hanno guadagnato più voti fra i partiti d'opposizione nell'autunno del 1962; e sono gli iscritti al PCI che aumentano di numero (mentre in Italia risulta che gli iscritti al PCI diminuiscono). Se « disarmo » c'è stato, dunque, esso è consistito anzitutto, a nostro avviso, negli errori dei partiti della maggioranza: negli errori dei partiti, e non del governo. C'è stato, infatti, « disarmo » nella misura in cui i partiti della maggioranza hanno dimostrato, al tempo del « disimpegno » e per tutta la campagna elettorale, « scarsa comprensione delle buone norme di un governo di coalizione», come Luigi Salvatorelli scriveva, allarmato, fin dal febbraio scorso; e nella misura in 19 Bibl"otecaginobianco

La Redazione cui questi partiti si so,no lasciati condiziona~e dagli umori dell'eletto- (, rato, invece di proporsi risolutamente, come Ogni classe politica che si l rispetti, di condizionare- essi i comportamenti dell'elettorato. E pe·r quanto più specificamente riguarda la DC, valga ciò che scrivevamo in una nota della redazione pubblicata sull'ultimo numero di « Nord ·e Sud » e scritta quando ancora non ci erano noti i risultati elettorali: « La campagna elettorale ... è stata condotta da alcune forze politiche (e in particolare dalla DC) con la preoccupazione dominante di trovare un linguaggio nuovo, convincente o rassicurante o invitante: pubblicitario, si potrebbe dire, ed è stato I detto. Di qui una tendenza ad eludere le gravi questioni politiche o quanto meno t a subordinarle nei confronti di formule e slogans da persuasori occulti; di qui, cioè, ! una degradazione dell' ' appello agli elettori '. Il quale avrebbe dovuto essere, questa l i volta più che mai, fondato su articolate proposizioni politiche per adulti; e si è andato, invece, scioccamente uniformando ad esigenze astratte di 'facilità', onde un suo progressivo ed irritante svuotamento di contenuto civile». Ma l'aspetto principale del problema, del cosiddetto « disarmo ideologico » nei confro•nti dei comunisti, chiama in causa proprio la responsabilità - e diremmo la capacità tecnica di impostare e portare avanti la polemica politica - di quella stampa moderata che della questione del « disarmo» si è forgiata ora un'arma per agitarla contro il centrosinistra, contro il mo·do di Fanfani di concepire il centro-sinistra e addirittura contro la Pacem in terris e la « nuova frontiera». Perché, a questo proposito, ha perfettamente ragione La Malfa quando scrive: « le forze di destra non vogliono accettare nessuna politica che limiti i loro privilegi. La minaccia comunista è da esse considerata lontana, e comunque in disperata ipotesi risolvibile con strutture autoritarie di destra. Una acquisizione di forze di sinistra che abbia un serio corrispettivo programmatico è dalla destra considerata molto più pericolosa della minaccia comunista. Così, dalla Liberazione in poi, la stampa e le forze di destra non fanno che combattere e in definitiva indebolire le sole posizioni idonee a combattere il comunismo ». Non solo: la stampa moderata, che ha fatto riecheggiare amplificate le trombe dei liberali che suonavano la carica contro il centro-sinistra, si è dimostrata del tutto incapace di avviare un discorso serio e chiaro su tutto quello che è avvenuto in Russia e su tutto quello che avviene oltrecortina; si è dimostrata incapace di illuminare la pubblica opinione sulla denuncia kruscioviana dello stalinismo e sulle « permanenze » staliniane del krusciovismo; si è dimostrata incapace di illustrare i metodi riformisti delle democrazie occidentali nei co,nfronti dei metodi polizieschi e repressivi dei regimi comunisti, proprio perché preoc20 Bibliotecaginobianco.

Dopo il 28 aprile cupata di contrastare quei n1etodi riformisti, preoccupata di evitare che essi trovassero campo di applicazione nel nostro paese. Dal XX Congresso del PCUS e dai fatti di Ungheria in poi, si è visto chiaramente quanto è « disarmata » nei confronti dei co,munisti la gran parte del giornalismo italiano, nella sua povertà di carica ideologica, nella sua insufficiente preparazione culturale e professionale, nella sua zelante ansia di prestazioni conformistiche. Le poche eccezioni - e ci piace segnalare qui, per tutti, Alberto Ronchey - costituiscono una lezione severa per gli altri, un esempio da seguire per chi ne fosse capace, e, naturalmente, una conferma della regola. *** Tutto quello che abbiamo scritto, come una nostra interpretazione degli « errori di direzione politica del centro-sinistro », porta alla conclusione che gli errori di Moro (si dice qui la persona per la cosa, l'uomo per il partito), e in genere dei moro-dorotei, sono stati ben più gravi degli errori di Fanfani, degli errori che si vogliono addebitare a Fanfani e che Fanfani questa volta l1a solo in minima parte commesso. Si vuol fare di Fanfani un capro espiatorio; c'è chi sembra disposto a gettare la testa di Fanfani agli sciacalli che latrano da destra, e si è perfino detto che il modo con cui Fanfani avrebbe concepito o inter-. pretato l'indirizzo di centro-sinistra sarebbe stato « orgiastico », mentre è stato semplicemente coerente. Di fronte a siffatti atteggiamenti non ~i può nor1 condividere l'opinione di Santi, il quale, al Comitato Centrale del PSI, ha ricordato che « Moro è l't1omo che più ha contribuito a svuotare di contenuto il centro-sinistra »; e fino a cl1e pt1nto questo svuotamento abbia poi contribuito a far sì che molti elettori si orientassero a favore del PCI, o continuassero ad orientarsi a favore del PCI, crediamo di aver qui dimostrato. Ma lungi da noi ogni intenzione di gettar~ la croce addosso al segretario della DC : Moro è un uomo prezioso per la Democrazia cristiana e anche, anzi soprattutto, per la democrazia italiana. Se anche personal1nente ha sbagliato, ed entro certi limiti negli ultimi tre mesi a nostro avviso ha certamente sbagliato, egli è in grado di rendersene conto meglio di ogni altro e di correggere • • • 1 .propri errori. Siamo, d'altra parte, convinti che oggi; come ha scritto· « Il Mondo »: e come era da prevedersi, « i giornali della Confindustria ed i cosiddett· moderati della DC» applaudono Moro, e lo esortano ad assumere 1 guida del governo, « per bruciar!.9 __ ►§_y~Jtf1..m~nte nel giro di pochi mesi » .... _... ·----- "" ... :.-- -·-........ - ~ - ..... - , ·- .. --·· ..,.. ___ ,,. 21 Bib· iotecaginobianco

La Redazione j Si deve evitare questo, ~per eyitarJo è n~essario Fanfani. Se è vero - come scriveva in una « lettera » a « Norcl e Sud », pubblicata nel numero di aprile, un esponente della sinistra· democristiana di Torino, Ettore De Giorgis - che « il nemico da battere è, e deve essere, il doroteismo, intes0 come costu111e morale e politico più ancora che come gruppo organizzato all'interno della DC, nella situazione attuale un risultato del genere può ottenersi soltanto con l'alleanza sempre più stretta fra Moro e Fanfani ». È un giudizio politico, questo, ancora più valido oggi di quanto non lo fosse ieri, quando pubblicavamo la lettera di De Giorgis. L'assunzione di Moro alla Presidenza del Consiglio dovrebbe essere l'occasione (nelle intenzio11i degli avversari del centrosinistra e, pare, anche nelle intenzioni dei « dorotei », ansiosi di conquistare tutte le posizioni di potere che non hanno ancora conquistato) per liquidare la maggioranza del Congresso di Napoli. Sembra, però, che Moro e Fanfani se ne rendano conto a giudicare dal modo pacifico con ct1i -- nel momento in cui scriviamo -- è emersa l'investitura di Moro. Auguriamoci che se ne rendano conto anche_ le altre forze interessate alla continuazione e all'approfondimento della politica di centro-sinistra. Vorremmo, pure, a questo punto e per concludere, riprendere il· discorso sui « dorotei ». Vi sono, tra costoro, uomini intellige11ti e competenti che sembrano, però, dominati dall'ansia del potere per il potere, e che soltanto ad esigenze di potere, perso11ale e di gruppo, sembrano ispirare la loro azione politica. Raramente· un gr11ppo politico ha saputo polarizzare contro di sé tutta l'antipatia di cui possono essere capaci gli altri gruppi politici e gli ambie11ti intellettuali, i migliori e i più disinteres5ati. In taluni di questi ambienti la parola « doroteo » suona addirittura come un'ingiuria; e sulla carta « dorotea » puntano, tutti coloro che si ripromettono, tutt'altro che disinieressatamente, di provocare una crisi definitiva della nuova maggioranza e il ritorno a maggioranze di destra, a- governi del tipo di quelli che non han110 lasciato certo un buon ricordo fra quanti hanno a cuore le sorti della democrazia italiana, la sua stabilità istituzionale, il suo consolidamento politico, il suo arricchimento civile. Si può dissentire da Scelba, ma si ha sempre un certo rispetto per la chiarezza e la coerenza delle sue posizioni politiche. Non si può, inve~e, non considerare con irritazione, o, con fastidio, questa specie di questione personale con Fanfani che sembra essere la sola ragione sociale dei « dorotei », alcuni dei quali, pri1na della III Legislatura, avevano suscitato intorno a sé ben altri sentimenti, di- stima, o addirittura di ammirazione. D'altra parte, abbia_mo visto alcuni « dorate-i » correg22 Bibliotecaginobianco_

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