Nord e Sud - anno X - n. 38 - febbraio 1963

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Francesco Compagna, L' alternati'Va italiana - Augusto Graziani, Dualismo e sottosviluppo nell'economia italiana - Luigi Mazzillo, Un'indagine « sovversiva » - Rosellina Balbi, La magia dei fotoromanzi - Giuseppe Sacco, Il Terzo Mondo e il modello europeo. e scritti di Renato Perrone Capano, Umberto Cassinis, Giovanni Coda, Ettore Cuomo, E1ìZO Go lino, Antonio Palerm@, Alfonso ·stile, Nicola Tranf aglia, Antonio vitiello. ANNO X - NUOVA SERIE - FEBBRAIO 1963 - N. 38 (99) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobianco ..

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NORD E SUD Rivista mensile diretta da ~rancesco Compagna ANNO X - FEBBRAIO 1963 - N. 38 (99) DIREZIONE E REDAZIONE: Napo 1i - Via dei Mille, 47 - Telef. 393.346- 393.347 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via dei Mille, 47 - Napo 1i - Telef. 393.346- 393.347 Una copia L. 400 - Estero L. 500 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 4.000, semestrale L. 2.100 - Estero annuale L. 4.000, semestrale L. 2.200 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane- Via dei Mille 47, Napoli Bibliòtecaginobianco

SOMMARIO Francesco Compagna Augusto Graziani Umberto Cassinis Rosellina Balbi Nicola Tranfaglia Editoriale [3] L'alternativa italiana [ 11] Dualismo e sottosviluppo nell'economia italiana [24] Note della Redazione Deputati e partiti - La riforma del Senato - Le aziende pubbliche e la politica di piano [33] Giornale a più voci Le migrazioni alla rovescia [ 41] I tedeschi e le Quattro giornate [ 46] Giudici e polizia [ 49] Giornali e riviste Rosellina Balbi La magia dei fotoromanzi [52] Inchieste Luigi Mazzillo Un'indagine «sovversiva» [62] Argomenti Alfonso Stile I liberati dal carcere [811 R. Perrone Capano Ettore Cuomo Giovanni Coda Antonio Vitiello Enzo Golino Antonio Palermo Angelo Cardone Giuseppe Sacco Bibliotecaginobianco Recensioni La « pantautologia » [91] Uno storicismo malinteso [94] Disoccupazione e sottoccupazione agricole in Grecia [100] La concezione fitnzionalista della cultura [ 104] La nevrosi del traduttore [107] La « darzza » di V iviani [ 111] Lettere al Direttore La crisi degli insegnanti medi [115] Frontiere Il terzo Mondo e il modello europeo [117]

Editoriale Ci sono molti indizi che la problematica sintetizzata nell'opposizione tra libertà ed efficienza sia destinata ad assumere, nel prossimo futuro, un posto centrale nel dibattito politico e culturale dei nostri tempi. È bene, perciò, cercare di pervenire ad una piena formulazione e chiarificazione dei termini mediante i quali quell'opposizione viene espressa: occorrerà poi proseguire, com'è ovvio, il tentativo, e approfondire la formulazione e la chiarificazione che qui si cercherà di dare; ma intanto disporre1no di uno strumento provvisorio di indagine e di valutazione che potrebbe rivelarsi indispensabile prima ancora di quanto si sospetti. Schiettamente politico è il terreno su cui è nata (e non in data recente: ma qui non i1nportano gli antecedenti storici) l'opposizione alla quale ci riferiamo e che dopo la II guerra mondiale ha trovato forse la sita maggiore e più precoce e significativa applicazione al problema politico e sociale dei paesi coloniali o, comunque, sottosvir~ppati. Alla libertà come principio motore e ispiratore della vita associata - suscettibile di piena fiducia per la sua capacità di favorire la soluzione dei più gravi problemi in un quadro di dialettica, naturale ' ed esplicita disposizione delle forze in contrasto, e di garentire così ai paesi arretrati un inserimento forse più lungo e faticoso, ma certo fisiologico e completo nella schiera dei paesi progrediti dell'Occidente - veniva contrapposta l'opportunità derivante da una soluzione rapida e drastica dei problemi di organizzazione politica e di sviluppo econo- . mica e sociale mediante il ricorso ad un tipo di regime - quello comunista in particolare - che vantava, tra le altre sue ragioni, quella di offrirsi come tlna « scorciatoia » della storia. In seguito, la contrapposizione tra il tipo di regime che subordina il raggiungimento di determinate mete economiche e sociali al mantenimento e all'effettivo funzionamento e sviluppo di alcune istituzioni politiche, di cui si afferma la capacità di _garantire il libero svolgimento della vita morale e civile di una società, e il tipo di regime per il quale è, invece, obiettivo primario il raggiungimento di determinate mete economiche e sociali, che si ritiene ostacolato proprio dal mantenimentq di quelle istituzioni di citi si diceva, è stata proiettata sempre più dal 3. Bibliotecaginobianco

Editoriale piano dei problemi dei paesi arretrati a quello dei problemi delle società democratiche occidentali, e particolarmente· europee. Questa proiezione si può considerare una svolta nel dibattito svoltosi sull'argomento dopo il 1945. Se, infatti, da parte marxista essa era soltanto una nuova, naturale e ben poco modificata applicazione dello schema . storico e sociologico di una dottrina per la quale ogni tipo d'organizzazione sociale (e, per ultimo, il presente tipo capitalistico) viene disciolto dalla rivelazione della sua assoluta insufficienza a superare le contraddizioni iriterne, maturate col suo stesso successo e con la sua stessa definitiva affermazione; non altrettanto si poteva dire per i casi, sempre più frequenti, in cui la proiezione era operata da ambienti e da figure per formazione culturale e per colore politico legati a tutt'altre esperienze ed aspirazioni. E, pur volendo prescindere (come s'è detto) dai precedenti storici, non si può fare tuttavia a meno di ricordare qui che le criticfze oggi rivolte alla democrazia in nome dell' efficienza furono già formulate, prima della seconda guerra mondiale, in nome della potenza e dello spirito nazionale; e che, se oggi la instabilità dei governi dei paesi democratici, il loro frequente soggiacere al gioco di interessi ristretti, la loro incapacità di impostare piani e programmi a lunga scadenza e simili altre (vere o presunte) debolezze della democrazia appaiono pregiudicare l'azione degli stati democratici, nel ca1npo economico e sociale soprattutto, ieri le stesse (vere o presunte) debolezze erano tratte in gioco come pregiudizievoli ai paesi democratici nel campo della preparazione militare e della politica estera soprattutto. Sarebbe, tuttavia, dannoso ed errato concludere da ciò che, come al solito, anche per il contrasto odierno affacciato tra libertà ed efficienza nihil sub sole novi; diversi sono oggi, infatti, i ceti sociali e i gruppi di intellettuali che quel contrasto fanno valere; diverso è il campo a citi esso è applicato; diversa è la congiuntura storica e diverso è il significato che il contrasto viene pertanto ad assumere. Ma valeva la pena di ricordare, nonostante la patente diversità dei casi, il precedente della critica militarista e nazionalista alle inefficienze della democrazia, se non altro, e anzi proprio perché 11-ell'odierna opposizione tra libertà ed efficienza c'è un caso di materiale continuità e collegamento con le posizioni militariste e nazionaliste che non si può in alcun modo trascurare. Questo caso si chiama De Gaulle ed è da esso che deriva l'equivoca sovrapposizione nel gollismo di aspetti nuovi e di aspetti vecchi, l'equivoca alleanza, intorno alla solenne figura del generalepresidente, di tanta parte di quella che fu la destra di ieri e di tanta parte di quella che potrebbe essere la destra di domani, nonostante gli elementi di antitesi radicale che, al di là delle imperiose esigenze 4 Bibliotecaginobianco

Editoriale della convenienza e del calcolo politico tattico, rendono sostanzialmente repulsive tra loro le due destre. Ed è forse proprio per esser sede di questa ibrida combinazione, oltre che per molte altre buone ragioni, clze il paese di De Gaulle è quello in cui il contrasto tra libertà ed efficienza è stato più precocemente avvertito e in cui si è più tempestivamente tentato di teorizzarlo. Oggi - e la cosa emerge assai chiara da tutti i primi tentativi cli teorizzazione - il terreno politico, sul quale. fu dapprima impostata la discitssione intorno al problema che qui ci interessa, si ·è ridotto ad essere lo sfondo, necessario e imprescindibile, di una serie di piani sul quale il problen1a è stato rapidan1ente dislocato in tutte le sue implicazioni; e, per dirla in altri _ termini, se al _suo apparire la «_ rivoluzione dei managers » preconizzata dal Burnham apparve come una prevision,e troppo prernatura rispetto all'effettuale svolgimento delle cose, oggi è proprio la problematica affrontata in quel libro a costituire: il punto principale, forse,_ della discussione. Data però la C0!'71-p.Zessità assunta dalla materia, sarà meglio enitnciare sinteticamente (e scegliendo, per comodità di esposizione, il punto di vista dell'efficienza) i piani e i termini in cui la discussione si svolge nelle sue espressioni più consapevoli e rilevanti, avvertendo peral(ro che l'enumerazione che qui di seguito si dà di tali piani può implicare, ma non necessariamente, i,1,naloro spontanea disposizione gerarchica ascende11te. * * * 1) Piano giuridico - costituzionale. - Gli ordini rappresentativi delle democrazie tradizionali, inizialmente adatti ad esprimere i contenuti e le tendenze di· una vita politica ristretta alle élites del censo e della cultura, e già portati poi al limite della tensione e della rottura dalla introduzione del suffragio universale, sono - per la loro periodicità, per il capriccioso alternarsi di maggioranze eterogenee a cui possono dar lito.go, per il compromesso che nori può essere sempre intelligente, ed è tuttavia il vero e solo strumento di cui essi possano disporre in vista di una soluzione dei contrasti di interessi e di pitnti di vista cui la società deve continuamente far fronte, per la corruzione che f acil1-,zentesi annida negli interstizi di l-ln potere teorican1ente ben definito., rrzapratica1ne11te mobile e sfuggente - del tutto insufficienti a sostenere il peso di una vita politica e sociale in èui le competenze dei pubblici poteri aumentano quotidianamente e a dismisura e in cui la natura stessa dei problemi della vita associata appare mutata: non più, o non più tan,to politica e sociale qitanto obiettivamente tecnica e, per così dire, scientifica: questioni di calcolo, non di volontà. La tendenza alla 3 • Bibliotecaginobianco

Editoriale · sostituzione di vecchi ordini rappresentativi c9n ordini nuovi appare per lo più spontanean1ente orientata verso soluzioni di tipo corporativo, ma 1zon esclude soluzioni di tipo accentuatan1ente autoritario, né il ricorso frequente al plebiscito o al referendum come surrogato del norn1ale dibattito politico. 2) Pia110 tecnico-economico. - La tecnologia e l'economia moderna si orientano sempre piìt chiaramente verso soluzioni assai complesse: il predominio, detenuto all'i11izio della rivoluzione i11dustriale dai settori secondari, appare progressivamente spostarsi verso i settori terziari; l'antitesi tra grande e piccola manifattura appare sostituita da una integrazione progressivamente accentuata tra catene di grandi, medie e piccole manifatture; il ruolo delle macchine sembra cambiare nettamente col passaggio, dovuto all'automazione, dal semplice impiego, con relativa trasformazione, di energia per un determinato scopo, e in sostituzione di una serie di sforzi n1uscolari dell'uomo, a funzioni con1plesse di programmazione, selezione e direzione di intere serie di operazioni intellettuali e muscolari; i fenon1eni monopolistici ed oligopolistici appaiono sempre più riscattati, e riescono, quindi, sempre più tollerabili per l'impulso al consumo col quale essi hanno sostituito l'originaria tendenza allo sfruttamento intensivo e privilegiato di mercati ristretti; e così via. Se la democrazia tradizionale era la naturale espressione politica di una società il cui rapporto genetico con la prima rivoluzione industriale nessuno saprebbe mettere in dubbio, l'avvento di una terza rivoluzione industriale, radicalmente diversa e senza confronti più prof onda della seconda e, in un certo senso, della stessa prin1a, richiede - o comunque richiederà - una 11.iLovaespressione politica per la società che da essa va nascendo. 3) Piano sociale. - La democrazia tradizionale è legata ad un sistema sociale agevolmente sintetizzabile nell'opposizione tra terzo stato e quarto stato, borghesia e proletariato, regime economico capitalistico e regime economico socialistico. Queste grandi divisioni della società sono lentamente, ma in maniera totale e decisiva, soppiantate dall'emergere di classi e di ceti nuovi, riferibili soltanto al nuovo assetto tecnologico ed economico affiora11te già alla vigilia della terza rivoluzione industriale e, comu.nque, più chiaro oggi. L'ingerenza dei pubblici poteri nella vita economica e l'evoluzione del sistema di governo delle grandi società anonime e per azioni, e perfino delle ditte tradizionalmente legate alle fortune di una specifica famiglia, va concentrando enormi poteri di decisione in ceti burocratici, di managers di recente formazione. Altri ceti di tecnici, di « intermedi », di specializzati vanno progressivamente rivoluzionando col loro apparire - connesso alla 6 Bibliotecaginobianco ,

Editoriale progressiva meccanizzazione ed autoniazione dei processi produttivi e di nioltissimi servizi - la struttura originariamente dualistica dell'economia industriale-capitalistica. Il moltiplicarsi, quantitativo e qualitativo, delle attività terziarie crea a sua volta ceti· interamente ignoti alle prime società industriali, rende11do estremamente diff eren,. ziate le funzioni anche di quelli che (come i « colletti bianchi », i rappresentanti di com1nercio, i propagandisti etc.) ptA-rerano già presenti un secolo fa. L'urbanesimo, l'eclisse (come è stato detto) del sacro, il trionfo dei mezzi di comunicazione di massa, la corsa al consumo, la caccia al prestigio sono le molteplici manifestazioni in cui la nuova -temperie sociale si esprime. Come potrebbe la democrazia tradizionale disciplinare questa materia ribelle e soddisfare la febbre di affermazione e di vitalità che da essa promana? Il· disciplinamento può aver luogo soltanto nel qtladro di un'azione pubblica minutamente coordi11,ata,e a lunga scadenza, che preponga, nella nuova società, il più importante al più nuovo, il più utile al più piacevole, il sociale all'individuale; e soltanto in tal modo potrà evitarsi l'avvento di una società nevrotica, preda dello spirito psicanalitico, debole non solo sul piano psicologico, ma anche su quello della funzionalità e della coesio11e, squilibrata e violenta. Ma tutto ciò significa pianificare: pianificare la produzione e i consumi, l'espansione delle città e la diffusione della cultura e dell'istritzione, l'avviamento al lavoro e· il tempo libero. Può far ciò la _democrazia? Può essa - con le sue vocazioni anarchiche, con il gioco dei suoi compron1essi, con l'alea imprevedibile dell'alternarsi delle sue 1naggioranze - dar luogo al regno dell'ordine e della fredda giustizia distributiva imposta dalle nuove esige1ize del niondo d'oggi? 4) Piano ideologico. -Messa in crisi dall'esplodere delle sue interne contraddizioni e dal confronto con realtà nuove e imprevedute, la democrazia non dà segni di capacità di rinnovamento della sua tematica politico-sociale, della sita ideologia. Le sue veccliie armi concettitali, i suoi vecchi modi di aggredire la realtà si provano sempre più insufficie11.ti;la democrazia è ormai capace solta1ito di un empirismo senza forza logica e senza mordente nella pratica. La libertà (così conie l'eguaglia1iza, così come la fraternità) è una grande idea; ma le idee vanno commisurate ai fatti che esse si rivelano capaci di evocare dal limbo delle concrete possibilità dell'azione umana. Oggi la libertà è - diciamo còsì - stanca. Il grande sforzo da essa- prodotto durante quasi due secoli sembra averla esaurita. Oggi le idee nuove, le parole adatte, i 1nezzi opportuni non sono più agitati, proposti, inventati dagli uonzini della libertà (né da quelli dell'eguaglianza e della fraternità), b.e1isì dagli uomini della tecnica, dai pionieri della grande -spinta in avanti 7 Bibliotecaginobianco

Editoriale alla quale la nostra società si appresta sul terreno della razionalizzazione delle sue scelte. 5) Piano etico-politico. - La democrazia è vissuta per circa due secoli sull'onda di una generale 1nobilitazione degli spiriti intorno alle sue parole d'ordine. Una alla volta, le varie sezioni della società sono entrate nella mischia che la democrazia evocava. La politicizzazione dell'uo1no è stata integrale. Le dichiarazioni borghesi dei diritti dell'uomo e le costititzioni proletarie della prima repubblica socialista sono state sentite dalle opinioni pubbliche rispettivamente interessate come svolte di portata e di significato grandiosi. La democrazia chiedeva all'uomo un, impegno a militare quotidianamente per una lotta senza quartiere tra le potenze opposte del bene e del n1ale. Ma le potenze del male erano nel seno stesso della democrazia. È dalla democrazia che sono tlsciti fuori i ,nostri del nazismo. Oggi, comunqite, la grande tensione etica e politica richiesta dalla democrazia appare dovunque in fase nettamente calante. Le parole che una volta correvano per le piazze, le parole per le quali si sen,tiva di poter immolare, occorrendo, anche la vita, non hanno più il loro magico potere di evocazione e di incitamento. La libertà? Chi se ne ricorda oggi? Per altre cose, invece, le masse e i singoli sono ancor oggi mobilitabili: ad esempio, per una vita razionalmente ordinata sui binari di una illuminata e progressiva diffusione del benessere e della tranquillità. Il grande n1ito di oggi non è la libertà, è la sicurezza; non l'eguaglianza, ma il benessere; 110n la fraternità, ma la carriera. * * * Come si vede, la polemica condotta in nome dell'efficienza, negando la libertà, o opponendosi ad essa, si trova fatalmente a negare o ad opporsi anche alla illibertà; negando la democrazia, nega anche l'antidemocrazia. Il punto di vista che ne risulta va quindi al di là dello spartiacque tradizionale nella polemica culturale e politica dell'Occidente. L'ambizione dei fautori dell'efficienza è di dimostrare che le loro ragioni l1anno eguale validità per il mondo americano e per quello sovietico, anche se esse sono maturate specificamente nella crisi istituzionale e nzorale delle democrazie dell'Europa occidentale. La differenza tra queste tre situazioni consisterebbe in ciò: che nelle democrazie di tipo arzglosassone un acclimatamento più tempestivo ed organico della libertà e una maturazione economica e sociale parimenti più tempestiva ed organica porrebbe il passaggio verso la società efficie11te in termini di naturale evoluzione, anziché di crisi, come è accaduto ed accade nell'Europa occidentale; mentre, per quanto riguarda il mondo sovietico, 8 Bibliotecaginobianco

Editoriale il fatto che si delinei anche colà un'evoluzione del regime socialista verso un tipo di società efficiente proverebbe la ineluttabilità del fenomeno e la sua indipendenza da moduli e condizioni specificamente 11olitici. Questa spoliticizzazione della natura delle questioni, sperata dai teorici dell'efficienza, è, tuttavia, insienie, il punto di forza e il punto debole della loro posizione. È il punto di forza in quanto il loro metodo ,ii andare all'essenzialità immediata dei problemi consente ad essi di i11terpretare 1nolti aspetti dell'evolitzione della società contemporanea che è necessario percepire appunto in tutta la loro imn1ediatezza ed essenzialità, affinché se ne possa cogliere tutta l'importanza e l'inciden.za rispetto agli sviluppi del futuro prossimo e meno prossimo. Ma è anche il punto debole, perché la spoliticizzazione, che può giovare in sede teorica alla comprensione delle dimensioni elementari dei problemi, non giova più a nulla quando si passa alla considerazione complessiva dei problemi e alla azione per risolverli. Allora anche l'efficienza si rivela co1ne una politica e il problema della sua realizzazione si rivela a1-icfz'esso un problema politico, e di grande politica per giunta. Ma nel n101nento i1z cui si scopre che la efficienza ha anch'essa bisogno di una striin1entazio1ze politica (concettuale e pratica), allora si scopre anche ztna cosa meno ovvia e più importante: si scopre, cioè, che la politica llell'efficienza può incontrarsi ed identificarsi con molte politiche del- _l'illibertà, ma non può incontrarsi, né identificarsi, con una politica della libertà senza accettare d'essere declassata a momento tecnico e subalterno. E ciò perché - quando non sia guidata ed egemonizzata da una volontà politica di libertà - l'efficienza è fatalmente portata a trasferire in sede politica i suoi organi e i suoi criteri di pianificazione e di accentrame11to, di razionalizzazione paternalistica, di mediazione corporativa. Democrazie di robusta ispirazio11e liberale - ed anche un socialis1no iti cu:i non siano spenti la forza dell'impostazione dialettica dei problemi e la vocazione alla libertà con1e fine - non possono mai accettare il piano pragmatico e ingannevolmente 11eutro dell'efficienza. I fautori della libertà hanno perciò un grande vantaggio: quello di potere accogliere tecniche e ragioni della efficienza, conservando la propria posizione di guida, la propria funzione direttiva, senza che il contrario possa mai accadere pena lo spegnimento della libertà. · Altrettanto possono, però, fare i fautori. di un qualsiasi regime illiberale, per i quali d'altronde ciò che è in gioco non è, ovviamente, la libertà, ma una qualsiasi cosa di diverso e, assai spesso, null'altro che il potere. L'efficienza si svela così con·ze un piano politicamente wertindifferent, direbbero i tedeschi, cioè privo di valore politico o suscettibile 9 (;3·ibliotecaginobianco

Editoriale di assumerne uno qualsiasi. Gradi diversi d'efficienza sono raggiungibili all'interno sia di un regime politico ispirato alla libertà sia di un regime politico di tipo opposto; e può essere un problema interessantissimo di sociologia politica il definire le dimensioni che oggi deve assumere l'uno o l'altro tipo di regirr1eper realizzare il massimo di efficienza possibile nelle concrete situazioni storiche dei paesi interessati. Ma se l'efficienza diventa essa stessa una politica, non può che sfociare naturalmente in una soluzione di destra autoritaria, anche se le parole e le intenzioni fossero di sinistra libertaria. 10 Bibliotecaginobianco

.. L'alternativa italiana di Francesco Compagna I Da qualsiasi p·unto di vista lo si voglia co11siderare, il disegno che era stato attribuito a Moro e a Nenni di una « crisi a freddo 1 », per andare alle elezioni in ordine sparso e poi riprendere a riannodare le fila della coalizione di centro-sinistra, era un disegno folle; e come tale è stato giudicato da tutti coloro che sono fautori intelligenti dell'apertura a sinistra, nei partiti e nei giornali. È vero che quel disegno non si è risolto in un vero e proprio suicidio, come si era temuto a un certo momento; e tuttavia, nella misura in cui esso• si è parzialmente attuato, non si può dire che non si sia risolto in un atto di grave autolesionismo, perché tale è, a 11ostro giudizio, il « disimpegn·o, » cui sono voluti perve·nire la DC ed il PSI, senza rendersi conto che il « disimpegno», anche se soltanto parziale e non accompagnato da crisi di governo, indebolisce comunque la coalizione. Si tratta, infatti, di andare alle elezioni co·n uno spirito e in un clima affatto diversi da quelli co,n , cui si è andati alle elezioni in giugno, affrontando peraltro un elettorato particolarmente incerto e difficile come quello di alcune città meridionali. A questo elettorato in giugno non si so,no presentate le scuse, da parte del PSI e della DC, per avere co·ncluso l'apertura a sinistra; ma si è detto chiaro e forte che l'apertura a sinistra rappresentava un grande passo avanti per il consolidamento e l'espansione della democrazia -nel nostro paese: e le elezioni furono vinte. Ora, invece, sembra che si voglia ricorrere a una serie di espedienti tattici, cercando- di rabbonire con una aperta polemica dimostrativa fra DC e PSI gli elettori moderati della prima e gli elettori massimalisti del seco·ndo; e si rischia così veramente di perdere buona parte degli uni e buona parte degli altri, perché quell'aperta polemica suona in definitiva come una concessione, e no·n come una confutazione, rispetto alle loro rispettive preoccupazioni. La conclusione della vicenda politica che confusamente si è svolta fra novembre e gennaio ha provato, insomma, fino a che punto avessero ragione coloro che hanno subito denunciato la «follia» che ispirava il 11 Bibliotecaginobianco

Francesco Compagna disegno di aprire una « crisi a freddo »; e ha compromesso i risultati che erano stati conseguiti co1 n le elezioni di giugno e le indicazioni politiche favorevo 1 li al centro-sinistra che erano p·oi venute (nazionalizzazione dell'energia elettrica, presentazione delle leggi regionali, co·nvegno di S. Pellegrino, fallimento- della manovra dorotea di ottobre, crescenti difficoltà dell'opposizione comunista, ecc.). Se Moro e Nenni si sono serviti della minaccia di una « crisi a freddo» solo per sco-pi tattici, se ne deve dedurre che essi sono, stati quanto meno imprevidenti. E così, se il pericolo di una crisi del governo consisteva, no,n più nella pressione dei dorotei come in ottobre, ma soltanto o so1 prattutto nella intima tentazione che avrebbe suggestio-nato e Moro e Nenni, la tentazione di procurarsi « ipotetici vantaggi particolari » di natura elettorale (Michele Tito sul « Punto » del 5 gennaio), più che mai si deve dare ragione a Luigi Salvatorelli per ciò che ha scritto a proposito della « scarsa comprensione » - di cui si sarebbe data prova in queste circostanze da parte di responsabili ambienti socialisti e democristiani - delle « buone nor1ne di t1n governo di coalizione, senza l'osservanza delle quali esso rischia di esautorarsi e di dissolversi »: che è un rischio assai più grave di quello rappresentato per i socialisti dall'atteggiamento ribellistico dei carristi e per i democristiani da una perdita di voti a destra, del resto già sco·ntata dallo stesso Moro, come costo elettorale dell'apertura a sinistra, nel mo-mento in cui questa operazione politica è stata decisa (nella relazione, cioè, al Congresso ·di Napoli). Quanto agli « ipotetici vantaggi particolari » di natura elettorale che Moro e Nenni si sono ripromessi di co11seguire con il « disimpegno », se tali « vantaggi » erano rappresentati per i socialisti dalla buona dispo,sizione dei carristi nella condotta stessa della campagna elettorale, in unità relativa d'i11tenti, e per i democristiani dal recupero clei voti che essi temono di aver perduto a destra, in conseguenza della scelta .politica che finalmente si sono decisi a fare, si deve rico·noscere che, dal modo come sono andate le cose, si tratta di « vantaggi » che sono diventati ora, dopo il « disimpegno,», anche più « ipotetici » di quanto no,n lo fossero nel momento in cui l'idea del « disimpegno » ha preso corpo. Si deve anche rilevare, infine, che, quali che siano state le loro intenzioni, i negoziato·ri democristiani e socialisti, per il modo come hanno portato avanti la questione delle leggi per l'attuazione dell'ordinamento regionale e per il modo come hanno posto, gli uni e gli altri, la questio·ne personale a prop·osito dell'ENEL, si sono andati a chiudere in un vicolo dal q11ale non era possibile uscire senza far subire alla maggioranza uno sforzo lo,gorante. È stato così che, grazie 12 B"bliotecaginobianco

• L'alternativa italiana all'i11cat1to comportamento di Moro e di Nenni, l'opposizione di destra è anelata molto vicino al co·nseguimento dell'obiettivo massimo che si era 1-1roposta di raggiungere e che sembrava aver fallito del tutto alla ripresa autunnale, quando il Consiglio nazionale della DC noh si e·ra prestato alle manovre dei dorotei co•ntro Fanfani. E se l'obiettivo 1 massimo non è stato raggiunto dall'opposizione di destra nemmeno questa volta, essa ne ha raggiunto, però, uno intermedio: che può essere agevolmente identificato e misurato quando si pensi allo sforzo logorante di cui si diceva, ai negoziati complicati e stancanti che hanno impegnato la maggioranza per trovare una specie di compromesso, al « malessere » che tutta la vicenda ha lasciato dietro di sé, nei partiti e nella pubblica opinione. Da tutto questo, però, non si deve dedurre che la crisi della maggioranza è soltanto rinviata, che l'apertura a sinistra risulta irrimediabilmente, o anche solo gravemente, compromessa, e cl1e dopo le elezioni sarà difficile riannodare le fila della coalizione di centro-sinistra più saldamente di quanto non sia stato possibile fare in questa vigilia elettorale. Si dovrebbe ritenere, anzi, che certi ambienti democristiani e certi ambienti socialisti, Moro e Nenni in primo luogo, sappiano far tesoro di questa esperienza di tatticismi sterili, e perfino autolesionistici, cui si sono recentemente lasciati andare; e che ripensino, gli uni e gli altri, alle « buone no1 rme » cui giova attenersi per dare efficacia e stabilità a un governo di coalizione: anzitutto alla necessità di evitare per tempo che ci si trovi impegnati, con scarse e troppo strette vie di uscita, nei vicoli delle questioni di prestigio, in fo,ndo \ai quali non resta altro da fare che confrontarsi nelle prove di forza, nei bracci di ferro. Quando si potesse contare per l'avvenire - anche per il più prossimo avvenire elettorale - sull'assimilazione da parte di tutti della recente « lezione delle cose», all'opposizione di destra (alla cui capacità di pressione si affida in definitiva ancl1e l'opposizione di sinistra) non rimarrebbe che uno spazio assai ridotto p·er le manovre con cui essa tenta di provocare la crisi della maggioranza. E questo perché, come si è visto ancora una volta pro,prio nel corso della incerta stagio,ne politica che abbiamo vissuto fr~ novembre e gennaio, gli avversari del centro-sinistra non potrebbero mai provocare la crisi dell'attuale magg~oranza per la loro forza, ma solo grazie a errori e debolezze della Democrazia cristiana o del Partito socialista. II Che cos·a si sono proposti in realtà quei commentatori delle vicende 13 • Bibliotecaginobianco

.. Francesco Compagna politiche italiane che quasi quotidianamente - e non senza qualche eccesso di zelo, nei confronti della « linea » dettata· o su.ggerita dalla « proprietà » dei giornali c11i prestano la loro opera di liberi professionisti - hanno cercato di alimentare i contrasti che si sono delineati o si sarebbero potuti delineare e inasprire all'interno della maggioranza?. Quali credono che possano essere oggi, e anche in un prossimo domani, i risultati utili di una crisi della co1 alizione di centro-sinistra, di quella crisi che essi, più o meno, esplicitamente, hanno continuato· ad augurarsi e ancora vorrebbero, potersi augurare? E che soluzione ritengono in buona fede che sia proponibile, e conveniente per il paese, in luogo di quella avversata con tanto accani1nento? La instancabile polemica che certi grandi quotidiani conducono contro il governo e il suo programma sembra risolversi, in definitiva, nella sollecitazione co,ntinua di un sentimento di nostalgia nei confronti del centrismo. Ma, in realtà, tale polemica non può concludersi, nel quadro dell'attuale situazione politica, e nemmeno in occasione di contrasti come quelli che si sono avuti fra novembre e gennaio nell'ambito della maggioranza, in una proposta esplicita di integrale ritorno, al centrismo. Pertanto si tratta di una polemica tesa nello sforzo di proYocare una crisi irrimediabile dei rapporti fra democristiani e socialistL una crisi che consenta di rimescolare le carte, tutte le carte, in modo tale che la eventualità di un nuovo centrismo o, meglio, di un qualche suo surro,gato possa essere presa in considerazione co,me « stato di 11ecessità »: non tanto il cosiddetto centro-sinistra « pulito » (già combattuto nel 1958 con non minore accanimento di quello messo ora nei tentativi di creare difficoltà al centro-sinistra co·ntaminato dall'appoggio socialista), quanto 1 un monocolore più o meno pendolare, o una qualsiasi apertura a destra più o meno camuffata: la variante italiana dell'UNR. Come fare, dunque, perché le carte possano essere veramente rimescolate? In primo luo,go eccitare i dorotei contro Fanfani, cercare di isolare Fanfani, alimentare il mito dell'« impopolarità » di Fanfani, creare motivi di contrasto fra Moro e Fanfani. In secondo luogo fare uso delle più rozze armi di seduzione nei confronti di Saragat, invitandolo a recedere da una linea che, non essendo più di contrapposizione frontale nei confronti del PSI, potrebbe favorire quest'ultimo ai fini della. concorre11za elettorale con il PSDI (come se, a cambiare linea, fossero stati Saragat e il PSDI, e no11 fosse stato il PSI a capovolgere la sua, con una serie di decisioni coraggiose cui Saragat lo aveva da sempre sollecitato). Dare poi una mano a Pacciardi contro Reale, quando una qualsiasi occasione lo consenta, e a Paolo Rossi perché rimonti 14 Bibliotecaginobianço

L'alternativa italiana la ·corrente che lo ha spinto quasi ai margini del suo partito. E infine, quanto· ai rapporti fra PSI e PCI, fare ricorso a una particolare tecnica giornalistica; tutte le volte che la cronaca offre l'occasione di applicarla: a una tecnica che si fonda sulla « minimizzazione » di certe notizie, o addirittura sulla falsificazione di esse, in un abile gioco di presentazioni adulterate (valga come esempio il nessun rilievo dato dal « Corriere della Sera» all'attacco della « Pravda » contro Nenni, o l'interpretazio,ne data dallo stesso quotidiano·- « il più autorevole quotidiano italiano» - del discorso di Lombardi al Congresso del PCI); e questo gioco di preseJ;].tazioni adulterate contempla naturalmente pure l'esigenza di « mo,ntare » adeguatamente ogni noita di agenzia carrista, ogni elucubrazione sortita dalle fertili menti dei Ve·cchietti e dei Valori. Ma soprattutto, ansiosi come sono di creare o alimentare un'atmosfera di crisi, i tenaci e zelanti avversari dell'apertura a sinistra che scrivono, i « fondi » ed i « pastoni » per alcu11i importanti giornali, sono pronti a scattare se viene in discussio·ne il bilancio politico del centrismo e se c'è qualche socialista che incautamente si mette a parlare dell'eredità negativa di questo bilancio. Allora i Russo e i Gentile, gli Airoldi e i Mattei, i Missiroli e gli Sp·adolini e i Magliano• presentano immediatamente il conto a Saragat, invitandolo a intervenire perché siano tutelate le ragioni della scissione di Palazzo Barberini; e non si lasciano sfuggire l'occasione di invocare dai dorotei adeguate prese di posizione perché sia tutelato il prestigio della DC, umiliato dalla tracotanza dei socialisti. Da tutto questo si dovrebbe arguire che il sentimento politico che " anima la polemica di certi grandi quotidiani italiani, che costituiscono dopotutto la sola arma di una certa efficacia dell'opposizione di destra all'apertura a sinistra·, sia veramente quello di nostalgia per il centrismo. Ma in realtà essi, più o meno coscientemente a seconda dei casi singoli, sono molto più a destra del centrismo: sia p·erché, ben sapendo che non è possibile oggi tornare a quella formula di maggioranza, propugnano di fatto un ritorno non a maggioranze di tipo degasperiano, ma alla degenerazione di esse, a maggioranze, cjoè, come quelle che hanno dato luogo ai monocolori di Pella, di Zoli, di Segni; sia perché, quando indicano il centrismo come modello di governo felice, non pensano certo a quelle che furono le ragioni di fondo ed -i titoli maggiori del· centrismo, ma pe!lsano a certi orientamenti del centrismo in materia economica e finanziaria (e comunque a quelli di Pella, non a quelli di Vanoni) che per essi rappresentano un bene perduto e da riconquistare, non tanto per la preoccupazione della stabilità monetaria e dell'equilibrio del bilancio, quanto· per la limitazione 15 . Bibliotecaginobianco

Francesco Compagna di principio agli interventi dello Stato, anche .se diretti ad accelerare i tempi dello sviluppo equilibrato dell'economia: italiana, e alla gestione pubblica di qualche settore pro-duttivo « di base ». Si sono resi conto questi giornalisti italiani, alcuni dei quali sono uomini ispirati da sentimenti che non possono dirsi fascisti, e nemmeno . reazionari, che essi non stanno- più combattendo la battaglia di ieri, per il centrismo come base della stabilità democratica, ma una battaglia per un « salto nel buio », per dirla con il loro linguaggio, una battaglia per cui figureranno nella migliore delle ipotesi come coloro, che non l1anno capito il valore dell'apertura a sinistra ai fini della stabilità democratica e nella peggiore delle ipotesi come coloro che avranno contribuito a precipitare la situazione italiana nell'instabilità e in un marasma politico da cui potrebbero emergere soluzioni tutt'altro che congeniali a quel centrismo di cui essi professano una nostalgia che certo non sarà tutta di co1 modo? Si sono resi conto che di fatto essi si stanno battendo per provocare una crisi politica in fondo alla quale si incontrerebbero le stesse difficoltà che sono state fatali alla Francia? Si sono resi conto delle contraddizioni in cui si muo.vono, sia che si avvalgano della politica estera, sia che si avvalgano della politica economica, per trarne capi di accusa contro il centro-sinistra? III Noi saremo certo gli ultimi a negare le benemerenze del centrismo; le abbiamo, anzi, sempre rico,rdate quando la tensione della polemica politica che ha preceduto ed accompagnato l'apertura a sinistra sembrava non potersi altrimenti scaricare che in un riconoscimento generale delle ragio·ni che inducevano a negare del tutto, da un lato, o· ad esaltare, dall'altro, le poste attive del bilancio della politica centrista. Tali poste attive so110 certamente quelle che Altiero Spinelli ha sintetizzato - assai più lucidamente di quanto no·n facciano di solito coloro che in nome del centrismo deplorano l'apertura a sinistra - in un articolo- scritto per « Les cahiers de la République » (luglio 1962). Non si può negare, infatti, che « in quindici anni la coalizione centrista ha ristabilito l'ordine, reso possibile il 'miracolo economico italiano', indotto gli altri paesi dell'Occidente a dimenticare il passato fascista dell'Italia e ad accoglierla fra lo,ro, perseguito in un primo tempo una politica europeista .ravvivata da iniziative lungimiranti e in segùito osservato• quanto meno con dignità ed intelligenza gli impegni europei che aveva contratto ». Ma non si tratta di negare, e nemmeno di sottovalutare, tutto questo, bensì di domandarsi spassionatamente a che prezzo lo· si è ottenuto e in pari tempo di considerare tutte le cose che non si sono 16 Bibliotecaginobianco

I L'altern,ativa italiana : · ~j ~ff!l17 potute ottenere entro i più o meno angusti limiti del centrismo; senza per questo dimenticare che, perdurando su un versante dello schiera- ·mento politico italiano l'alleanza frontista, non c'era, per i partiti demo- . cratici, sull'altro 1 versante, una possibilità diversa da quella che li co-. stringeva a ripiegare nell'ambito, sia pure angusto, delralleanza centrista. Gli Spadolini e i Missiroli, i Russo e i Magliano, i Gentile e gli Airoldi continuano a scrivere· che nel centrismo si deve rico,noscere ed esaltare la formula di governo cui ha corrisposto una lunga stagio·ne felice per l'Italia; e co,ntinuano ad accusare i fautori dell'apertura a sinistra perché ingenerosamente e tendenziosamente si sarebbero• affrettati a dimenticare e le benemerenze del centrismo e le colpe dei socialisti. Ma del prezzo che il paese ha dovuto pagare per il centrismo si rifiutano di discutere. Ora, per quanto riguarda tutto quello che, nei confini segnati dalla politica centrista, non poteva essere fatto, o poteva essere fatto solo fino a un certo punto, basterà ricordare - e non è certamente po·co - il ritardo, o per lo meno il rallentamento, imposto alla politica meridionalista dall'ala destra dell'alleanza centrista. I gover11i centristi, invece di affrettarsi a cogliere tutte le occasioni che l'alta congiuntura forniva per affrontare la questione degli squilibri region~li, dovevano contenere la politica meridionalista nei limiti di una politica di infrastr1:1tture ed incentivi; e di conseguenza l'alta congiuntura, come era prevedibile, ha finito col provocare quel tale aggravamento degli squilibri di cui si è tanto discusso e di cui non si può dire che non sia diventato minaccioso· fino al punto da mettere in discussione per il prossimo avvenire i risultati conseguiti con lo sbandierato « miracolo economico » (si veda, per qt1esta minacciosità degli squilibri regionali, ciò che ha detto Saraceno nella sua relazione a S. Pellegrino - che si può legg.ere ora con altri suoi scritti assai interessanti nel volume L'Italia verso la prima occupazione, edito da Feltrinelli - e si dimostri poi che non è vero, che noi rischiamo di avere, fra dieci anni, nell'Italia della piena occupazio,ne uno squilibrio più grave di qu.ello che ha dominato i rapporti fra No,rd e Sud nell'Italia della disoccupazione). Va rico,rdato, inoltre, che la stessa politica delle infrastrutture e degli incentivi per promuovere lo sviluppo economico del Mezzogiorno è stata avviata in un particolare momento (come anche la lib·eralizzazione degli scambi): quando è stato possibile, cioè, un tentativo di fare un assaggfo in direzione di una politica di centro-sinistra con le poche forze allora disponibili in Parlamento ai fini di una tale inversione .di rotta; onde, una volta che si è dovuti ritornare sulla rotta centrista, è intervenuto 17 " Bibliotecaginobianco

Francesco Compagna il rallentamento di cui si diceva, e per certi aspetti anche lo svuotamento della politica meridionalista, come rest~ dimostrato dalla vicenda clello « schema Vanoni », che si è tradotto in « un'allegra profezia sull'accrescimento del reddito nazionale», ma è stato insabbiato per tutto quello che v'era in esso di suggerimento per una politica che, facen~o leva sull'alta congiuntura, affrontasse, risolutamente e tempestivame11te, la questione degli squilibri (si veda, per questa insufficienza della politica centrista nei confronti dei grandi problemi della struttura economica e sociale del paese, la raccolta degli scritti e dei discorsi di La Malfa fra il 1946 e il 1962, recentemente pubblicata da Comunità, e poi si dimostri che non è vero che nei limiti della politica centrista si sono fatti perdere al paese, e al Mezzogiorno in particolare, anni preziosi e occasioni importanti). Ma il prezzo più alto pagato dal paese per le benemerenze della politica centrista non è nemmeno questo, del rallentamento subìto dalla · politica meridionalista; e lo svuotamento di questa politica no·n va imputato soltanto, e nemmeno principalmente, all'azione di freno tenacemente svolta dall'ala destra dell'alleanza centrista. C'è ben altro, e vi sono più gravi responsabilità di cui si deve tener conto, se si pensa alla rete di sotto,governo che si è creata nel paese al riparo· e in conseguenza della politica centrista. Nell'articolo di Altiero Spinelli che abbiamo, citato si rileva giustamente che la sproporzione nei rapporti di forza fra la DC ed i tre partiti « minori » che concorrevano, insieme o alternativamente, a formare le maggioranze degli anni cinquanta ha consentito alla prima di co,nquistare il controllo di tutte le leve della vita econon1ica e civile e politica del paese, occupando progressivarner1te, e per lo più con elementi mediocri, specialmente nel Mezzogiorno, le cosiddette posizioni-chiave. E in secondo luogo, perdurando l'alleanza frontista sul versante dell'opposizione, l'impossibilità di indicare un'alternativa sul versante del governo alla coalizione centrista « ha favorito la diffusione qi una corruzione ... che consente di ottenere per favoritismo le cose più inverosimili », specialmente - anche a q11esto proposito lo si deve aggiungere - nel Mezzogiorno, dove, peraltro, essendo più marcata la sproporzione tra le forze dei partiti che concorrevano a formare la maggioranza centrista, le aperture a destra sul piano amministrativo e le intese fra DC ed ambienti fascistoidi sul piano del sottogoverno costituivano una regola infranta da· rare • • eccez1on1. Ora, è certamente vero che sul « Corriere della Sera » e altri organi della stampa moderata si parla spesso con indigriazione di questo dilagare del « favoritismo » e della « corruzione » che ledono ovunque l'au18 Bibliotecaginobianco

L'alternativa italiana torità dello Stato·. Ma chi ne parla si guarda bene dall'addebitarne le cause alla politica centrista; sembra, anzi, che se ne vogliano addebitare le cause alla formazione dell'attuale maggioranza (o quanto meno che si voglia affermare che le cause dei mali lamentati e quelle che hanQo portato all'apertura a sinistra sono le stesse, da ravvisarsi nella cosiddetta «partitocrazia»). Evidentemente· l'attuale maggioranza non ha avuto nemmeno il tempo di creare la situazione che tutti deploriamo. Quindi, l'ha ereditata. Da chi? Anche qt1esto va detto, ma il « Corriere della Sera » e i suoi « confratelli » non lo dico-no. IV Gli argomenti che certi oppositori adducono contro l'apertura a sinistra possono essere dunque agevolmente smontati: sia perché rozzamente settari, come quelli che mirano a creare dissidi personali nell'ambito della maggioranza; sia perché fondati su una tecnica di adulterazione delle notizie e di· dosate reticenze, come quelli che mirano a dimostrare che l'apertura a sinistra « fa il gioco dei comunisti »; sia perché impostati sull'equivoco, come quelli che mirano a esaltare l'attivo del centrismo, senza fermarsi a considerarne anche il passivo; sia, infine, perché di fatto mirano tutti a proporre e a imporre, come soluzione alternativa rispetto all'apertura a sinistra, l'apertura a destra. . Né si può dire che, rispetto agli argomenti co·n cui si vorrebbe p1ovocare il rovesciamento del centro-sinistra, risultino molto più persuasivi gli argo,menti con cui, quando il rovesciamento non fosse pos- 'sibile, si vorrebbe provocare l'addomesticamento del centro-sinistra. Ar1che a qt1esto proposito si tratta di vecchi trucchi polemici e di tattiche consunte. E tuttavia, è accadt1to, come abbiamo visto, che Moro si sia lasciato suggestionare e si sia. spaventato della piega che andava prendendo la polemic~ contro il centro-sinistra. È vero che Nenni, da parte sua, si è lasciato suggestionare dagli attacchi dei comunisti; ma è ovvio che questi ultimi sono diventati più minacciosi per i socialisti nel momento in cui Moro ha preso l'atteggiamento che ha preso, onde è stato certamente il segretario della DC il maggiore responsabile del « disimpegno » e del modo come esso, si è parzialmente attuato (piaccia o no•n piaccia al « Mattino», che, pur non essendo ostile alla maggioranza co·me altri quotidiani ben pensanti, ha drammatizzato, oltre ogni limite di ragionevolezza, l'interpretazione negativa delle reazioni socialiste all'atteggiamento di Moro). Ora, per voler fronteggiare l'offensiva di destra e di sinistra contro 19 Bibliotecaginobianco

L'alternativa italiana il governo e il suo programma, con accorgimenti tattici, quasi chiedendo scusa agli elettori moderati della DC e a quelli massimalisti del PSI per ciò che si è fatto in quest'anno, si rischia, come dicevamo-, di perdere gli uni e gli altri; ma, se non si provvede tempestivamente a correggere il tiro (co·me hanno implicitamente suggerito le iniziativ~ di La Ivlalfa s1.1lpiano della politica estera), si rischia soprattutto· di perdere l'occasione per inchiodare destre e comunisti alle lo1 ro, contraddizioni, dimostrando come .e perché l'apei:tura a sinistra rappresenta per il 11ostro paese un grande passo avanti, il solo possibile, e necessario, se non si vuole fare un salto indietro. L'Italia sta diventando un paese esen1plare per i democratici degli altri paesi, i qua.li seguo,no con apprensione le sorti dell'apertura a sinistra. Il « Financial Times », che non è certamente un organo sovversivo, ha scritto in gennaio, che « sarebbe un grave passo, indietro per l'Italia e per tutta l'Europa occidentale » se l'apertura a sinistra dovesse subire una crisi e che « soltanto un governo democratico, pronto a intrapre11dere radicali riforme sociali, può sperare di far breccia tra i voti comunisti »: qt1esto mentre tutta la stampa moderata e benpensa11te del nostro paese denunciava i socialisti come « cavallo di Troia » dei comunisti e si dava da fare con gli argo·menti e accorgimenti di cui dicevamo per provocare quel « grave passo indietro » che preoccupava l'organo della City. Walter Lippmann, reduce da un viaggio in Italia, scriveva intanto sul « Washington Post » di una « alternativa italiana » in Europa e di una stabilità verso cui potrebbe avviarsi la situazione italiana, grazie al consolidamento dell'alleanza fra democristiani e socialisti, fondata sulla rinunzia da parte dei primi ad accordi sottobanco con i fascisti, e con i loro affini, e sulla rinunzia da parte dei secondi al patto d'unità d'azione con i comunisti; onde, se le elezioni prossime dovessero co,nfermare la recente svolta politica, l'Italia potrà· rappresentare t1n'indicazione preziosa per la Germania (dove, in vista dei problemi posti dalla successione ad Ade11auer, si comincia a parlare di « grande coalizione rossonera » come di una versione tedesca dell'apertura a sinistra italiana), tanto più preziosa in quanto alternativa a quella rappresentata dalla Francia (dove il problema moderno del rafforzamento e della stabilità del potere esecutivo si va risolvendo in termini quanto mai discutibili, e preoccupanti, di rafforzamento del potere personale di De Gaulle e di esaltata politica nazionalista, antiatlantica e antieuropeista). A sua volta, in « Democratie '62 », settimana}e della SFIO, Pierre Germain ha scritto, sempre in gennaio, che - mentre in Francia le recenti elezioni legislative hanno dato vita in seno all'Assemblea Nazio20 Bibliotecaginobianco

L'alternativa italiana nale ad una maggioranza di destra e mentre in Germania l'apertura di Adenauer verso i socialdemocratici è stata soltanto tattica, fintata, per così dire, allo scopo di concludere più rapidamente e più agevolmente una nuova alleanza con il partito liberale - « solo, l'Italia ha scelto di essere originale e prosegue con successo la politica di apertura a sinistra », la quale ha dimostrato che democristiani e socialisti « possono coabitare anche nel paese dove si trova la sede della Chiesa cattolica ». E giustamente Pierre Germain ha messo l'accento sul fatto che proprio l'alleanza di forze cattoliche democratiche e di forze socialiste democratiche « è in effetti la condizione di una politica di progresso »: socialisti della SFIO e democristiani del MRP sanno assai bene, infatti, quale altissimo prezzo hanno dovuto, alla fine pagare per non essere riusciti a governare insieme la IV Repubblica, per aver consentito alla destra di giocare sistematicamente contro la continuità dell'alleanza fra MRP e SFIO, fondata sull'europeismo e stilla politica sociale, la carta della vecchia que·stione scolastica, che ora anche in Italia qualcuno cerca di tirar fuori per creare difficoltà insormo,ntabili alla ma.ggioranza di centro-sinistra (si è letto recentemente di un convegno romano dove un illustre professore di diritto privato - il Santoro Passarelli - e un prelato del seguito di Ottaviani - Monsignor Staffa - hanno sparato ad alzo zero contro la politica scolastica delgoverno ). . E proprio da questo punto di vista è di buon auspicio che non solo un settimanale socialista come « Democratie '62 », 1na ancl1e u11a rivista mensile come « Études », curata da padri gesuiti, abbia indicato l'Italia èome un paese esemplare, rilevando che il governo di centro-sinistra non ha dato ragione, dopo questo· st10 periodo di rodaggio, a « nessuna delle previsioni catastrofiche fatte dai suoi avversari »; e che co·munque « i socialisti no,n sono stati il cavallo di Troia dei comunisti ». Ma se i democratici degli altri paesi indicano l'Italia come un paese esemplare che sembra avviato a risolvere in termini liberali le grandi questioni di « aggiornamento del regime democratico-rappresentativo », i democratici italiani, laici e cattolici, dovrebbero trarne i11citamento a proseguire sulla via che hanno coraggiosamente imboccato, 1nalgrado le grandi difficoltà che ne ostruivano l'accesso. Potremmo 1 dire, infatti, e noi lo diciamo: chi poteva prevederlo alcuni anni or sono, quando ci sembrava di essere tanto « immaturi » per la democrazia e sempre in bilico fra un destino europeo cui aspiravamo e un destino meditèrraneo, o addirittura sudamericano, che ci minacciava da sempre, con i fantas1ni di un passato recente e con le incognite di un futuro difficile, chi poteva prevederlo che era così prossimo il giorno in cui 21 ~ibliotecaginobianco ♦

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