Nord e Sud - anno VIII - n. 24 - dicembre 1961

Rivista men si 1e dir et t a da Frane es e o C o·m p a g n a MICHELE TITO, Il u nuovo corso » del P.C.I. RICCARDO MusArn, Città e campagna: fine di un'antitesi ORAZIO GAVIOLI, Cinema e ricerca sociale LEONARDO SACCO, Amministrazioni in Puglia e in Basilicata Lettere di Giovanni Amendola a Carlo Cassala e 5critti di ALFREDO CAPONE, FRANCESCO COMPAGNA, VINCENZO GUIZZI,, EVA 0MODEO ZONA, NICOLA TRANFAGLIA ANNO VIII · NUOVA SERIE · DICEMBRE 1961 · N. 24 (85) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI ,. Bibliotecaginobianco

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INDICE DELL'ANNATA 1961 Bibliotecaginobianco

. . SOMMARIO Editoriale [ 3] Michele Tito Il e< riuovo corso » del P. C.I. [ 6] Riccardo Musatti Città e campagna: firie cli un;,antitesi [ 18] N.d.R. Eva Omodeo Zona Nicola Tranf aglia Francesco Compagna GIORNALE A Più VOCI L'on. Colombo e f apertura a sinistra [34] Testimonianza su Adolfo Omodeo [36] Sociologi ad Aricona [ 41] La crosta napoletana [ 46] DOCUMENTI Lettere di Giovanni Amendola a Carlo Cassala (a cura di Alfredo Capone) [51] INCHIESTE Leonardo Sacco Le ammin.istrazioni locali in Puglia e in Basilicata (II) [66] NOTE E RELAZIONI Orazio Gaviali Cinerria e ricerca sociale [95] RECENSIONI Vincenzo Guizzi European elections by direct suffrage [ 119] Una r•c,r,i., !. . .'~00 • F:~tern L. 360 A bhonament i Snstenitorc L. 20.000 ltaliu annu11le L. 3.~00 1wmestra le L. 1. 70(1 r·: ~ 1 no :.in n lltll e• L. 4. (t()y LIBRI RICEVUTI [127] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.91.8 !i-rne~tralt- r.. 2.200 Abhonan1enti, distribuzione e pubblicità: Effettuare i 'v('rs1rn1enti ,-ul • j • • I ' . •. I ... . . ,I • -- C:.C.P. 6.19585 intestnto i: EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Ed. S<·ientitiche ltalinnc ::;,p.A. ' Y:~ llornQ. 400 ~npoli Via Ron1a, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568 _ ibliotecaginobianco

Editoriale Dopo la decisione dei repubblicani di rinviare al prossimo mese di gennaio il loro ritiro f or1nale dalla maggioranza su cui si regge il go- -oerno delle « convergenze parallele », al niomento cioè nel quale i dernocristiarii staranno per riuriirsi in corigresso a Napoli, non ha più senso domandarsi se la risoluzio·ne adottata dietro suggerimento dell' on. Reale sia stata la rnigliore (ben.inteso, ai fini dell' acceleramerito dei tempi di quell'operazione politica che dovrà dare finalmente al paese una maggioranza ed un programma di ce,ntro-sin-istra, operazione che il PRI sta conducendo con intelligenza e con, tenacia da alcuni an,ni); si tratta invece di vedere se da quella decisione, dettata dalla preoccupazione di evitare trabocclietti e di aggirare taluni ostacoli, la causa del centro - sinistra ha tratto un qualche giovam.ento, se quel che ne è seguito - di fatti e di svilttppi della situazione politica italiana - ha in definitiva conf er-mato le aspettative e le previsioni ottimistiche di coloro che l'avevano propug·nata e difesa in polemica con certi settori della stessa siriistra deniocratica. i\ giudicare dagli ultimi avvenimenti, e dai primi interventi nel primo dibattito precongressuale fra le varie corre·nti della Democrazia , cristiaria, ci senibra che la decisione repubblicana non abbia provocato quella battuta di arresto nella difficile marcia verso il centro-sinistra che taluni avevario temuto, a torto o a ragione (ma più a ragione che a torto, possiamo senz'altro aggiurigere, se si tengono present-i tante amare esperienze del passato). Tut{'altro. Oggi si deve riconoscere che l'appello a Moro e il richiamo alla responsabilità politica nei riguardi dei maggiori leaders della De1nocrazia cristiana, imp·liciti nella decisione adottata non senza contrasti dai rep·ubblicani (i quali hanno giocato grosso concedendo una tregua e rirtttnziando all'apertura immediata di una crisi che si pronosticava da più parti risolutiva a favare del centro-sini3 Bibliotecaginobianco . ..

stra) non so·no stati vani; la fiducia concessa al segretp,rio della Democrazia cristiana è stata be·n riposta; si deve ammettere che con, l'intervista di Moro alla televisiorie e con le reazioni che essa lia provocato, niettendo in, movirne·nto itn settore che sembrava prope11so a riadagiarsi · di n,uovo nel t;eccliio gioco dei ririvii e delle reticenze, la causa clell'apertura a sinistra h,a potuto registrare taluni punti all'attivo. Il dato nuovo, clie potrà avere co11segitenze cli incalcolabile portata nella vita politica del nostro paese, enierso nei giorni scorsi, è rappresentato clalla scelta chiara e senza riserve a favore del centro-sinistra fatta dai niassimi esponenti del gritppo dirigente democristiano; è uria scelta che condizionerà tutto l' anclamento del congresso, che pone per la prima volta i democri~tiani di fronte a responsabilità precise, dinanzi alla necessità di pron1-1nciarsi cliiara1nente; è una scelta che per il fatto di rion essere stata operata in cc stato di necessità» acquista 1naggior valore e portata. Il sigriificato e le conseguenze di qiiesta scelta sono stati opportunan,ente rilevati in uri taccuino del cc ~1 onda », il quale ha osservato come per la Democrazia cristiana sembri definitiva111e11te passato il tempo clelle scaltrezze e delle furbizie, clelle unaniniità fittizie e delle mozioni nerobianclie, JJer nierito dell'attuale gruppo clirige11te ch,e si niostra risoluto a porre al congresso « il problema di una svolta nella politica italiana, di u11 governo cli centro-sinistra e di 11 n accordo coi socialisti, co1ne il proble1na fo-nclamentale e decisivo rlella vita politica italiana nei prossimi anni ». E cla parte sua cc Il Punto » ha scritto recentemente, co1nnientando gli sviluppi della situazione politica italiana a seguito della decisione repiibblicana e degli avveriin1e11ti ch,e si sono verificati siiccessit;aniente, soprattutto i11 campo democristiano: « Le probabilità che il congresso democristiano affronti veramerite il problenia clella ' scelta ' politica e che, poi, decida per il centro-sin-istra, risultano ora obiettivarnente au111entate. Aumentate no1i soltanto per quel che Lv! oro ha detto alla televisiorie e per quel tanto cli forzatura che egli ha osato nei confronti dello stesso partito, ma anche JJerchè le cose sono andate molto avanti » . Si va delinea11.do, dunque, ·una prospettiva cli sviluppi politici favorevoli clie i-nduce ad un moderato ottimismo; ecl è 111otivo cli compiacimento, d'altro canto, la sostanziale concordariza cli giuclizi che circa i clati della situazione presente si è ristabilita tra i partiti e i gr1tppi della sinistra dernocratica e fra gli orgarii di stampa che ne sono gli interpr~ti e i portavoce. Ma l'esperienza delle èose politiche clel ·nostro paese 4. Bibliotecaginobianco

. { -i1isegriache sarebbe manif estaziorie di imperdonalJile leggerezza il ritenere che da certe p✓re1nesse - soprattutto quando so11-ofavorevoli alla modifica dello statu qt10 politico e sociale - debbano necessariame11te scatttrire le coriseg·ue'nze logiche e naturali: la battaglia per il centro · sinistra riori è ancora vinta; essa è appena agli i11izi; e, se volge ·iri questo momento favorevolmente alle forze democratiche, no1i è detto che gli interessi clella conservazione politica e sociale non riescano a prendere di nu,ovo il sopravvento e a farla ancora una volta fallire. Su questa cleprecabile eventualità, riel ritenere che t·utte le strade sono ancora a7Jerte, sono ancora una volta d:a, ccordo <e Il Monda » ed cc Il P,u11to »: molto opportunaniente il prinio ricorda la capacità di ricatto che ha la clestra clemocristiana, la qiiale potrebbe ancora una volta bloccare, come ha già fatto in passato, la svolta a sinistra del JJartito di 11iaggioranza; e il secondo sottolinea l'esigenza per i partiti della sinistra clemocratica di stare uniti, di avere itn programma comune e 1ina comu·ne volo·ntà d-i azione, dai repu,bbli.can-i ai socialisti, di rion lasciarsi dividere e di ·non lasciarsi irretire in 1nanovre cli tipo centrista: e tra queste è abbastanza scoperta quella di certi ambienti democristiani che pretenclerebbero di preparare l'apert-ura a sinistra e la piattaforma programmatica della fut,ura co·mpagine governativa lasciando i socialisti ai 1nargi'ni dell'ope1'azione. L' esigeriza cli stare uniti deve nascere clalla consapevolezza della delicatezza del niomento politico che stia1no attraoersando, e della importariza clelle clecisioni che stanno rnaturanclo e dei fatti che potrebbero verificarsi. È vero, infatti, clie è diveritato clifficile, or1nai, per grart parte della Dernocrazia cristiana, r-i-fiutare -il centro sin:istra; 111,aè ariclie vero clie, se qiiesto rifiuto dovesse malgraclo tutto verificarsi, ci troveremnio di fronte alla crisi più grave degli ult·inii anni. Nei prossimi rriesi i partiti della siriistra de1nocratica avranno il clovere di marciare ins·ieme: sia per dare i1ripulso all'aperttlra a sinistra e tradurla in un effic,ie,nte program11ia di governo, sia, al contrario, JJer poter stare degnamente ed iitilmerite alt opposizione, nell'eventualità clie « Il Punto » lia voluto ricordare: nell' eventual-ità, cioè, che ancora ·uria uolta la Democrazia cristiana delu,da le speranze e le aspettative della parte sana del paese, e torni a trincerarsi dietro quell'assurdo cc non possumus » che cc da dieci anni sta portando le istituzioni ad una crisi irrimediabile ». Bibliotecaginobianco

Il « nuovo corso » del PCI di Michele Tito È probabile che nei prossimi mesi ci troveremo tutti costretti a riconoscere che un problema fondamentale della nostra vita politica è quello del cc nuovo corso » comunista. È un problema che ci investe mentre siamo impegnati nello sforzo di conquistare all'area democratica forze e ceti nuovi. Questo è un fattore di difficoltà obiettiva, per noi, che rende difficile stabilire con esattezza quali sia110 le novità nell'universo comunista, misurarne l'effettiva portata, identificarne la natura. Fattori soggettivi, invece, sembrano insidiare la serenità di un'analisi coerente e, nella misura del possibile, rigorosa degli avvenimenti. Gli atteggiamenti prevalenti nella pubblicistica non comunista sono tre: il PCI scopre la democrazia, il dibattito i11terno, l'autonomia, è in una fase ,di clamorosa trasformazione, è, dunque, in crisi; il PCI è dilaniato dalle lotte di corrente, si prepara un muta1nento d'uomini al vertice, ma le cose nella· sostanza non cambiano; il PCI è una « congrega di astuti », niente è accaduto, niente accade, la partita è chiusa. Sono tre posizio11i che, singolarmente, si interseca110 in seno alle forze democratiche e, per ciò stesso, denunciano il prevalere di una tendenza a considerare le cose comuniste per fini puramente strumentali nell'ambito della cittadella democratica. Tutto ciò assumerebbe rilievi drammatici se i confini della democrazia fossero mobili, se cioè non fosse acquisito, almeno nell'attuale momento storico, che la forza politica comur1ista non rientra nella possibile dialettica della normalità democratica. Appunto per questo, tuttavia, e' è il dovere di non speculare sui dettagli, di non ingigantire l'importanza delle formule e, soprattutto, di non risolvere un'analisi con la pretesa che l'esistenza di contra·ddizioni 6 Bibliotecaginobianco

.. \ I• . . . ' I, . . . . ' o di reticenze rappresenti tutta la realtà, comunque considerata, del comunismo italiano. Non i pettegolezzi, ma le linee di forza fondamentali posso110 veramente contare qualcosa' per un partito che aumenta costantemente il proprio peso elettorale. Il fatto nuovo cl1e più colpisce è quello delle discussioni accese che si sono avute dopo il XXII congresso e che, rese pubbliche, si trasferiscono dagli organismi di vertice alle organizzazioni di base e sem- . lJrano preludere ad una lunga stagione di aspri dibattiti. Ci colpisce, insomma, la circostanza che si discuta, che si discuta, sembra, liberamente e cl1e, per iniziativa stessa del PCI, se ne abbiano notizie dettagliate. I dirigenti comunisti ironizzano sullo « stupore » dei borghesi che nota110 la passione per la discussione nel PCI. È un'ironia che non ha ragion d'essere: può darsi, infatti, come ha detto l' on. Pajetta nella sua conferenza stampa del 2 11oven1bre, che sen1pre i comunisti abbia110 dibattt1to con l'i1n1Jegno e la libertà necessari i problemi che li riguardano; è sicuro, però, che dal vertice non era mai partito, come ora, lo sti1nolo al più ampio dibattito, ed è sicuro che ai contrasti, specialmente di sostanza, no11 era n1ai stata data pubblicità. I comunisti 110n hanno il culto della democrazia formale e, forse, non avve1tono in tutta la sua importanza il significato di questo fatto nuovo: per noi si pone il problema di vedere se il fatto nuovo non riveli un'evoluzione della natura del PCI e, perciò, di cercar di capire da che cosa nasce, perché nasce, a che tende il fenomeno che le cronache registrano. Si tratta, in realtà, dell' affer1narsi nella pratica di una vecchia tendenza di fondo, una tendenza in qualche modo 11aturale del PCI. Il co1nunisn10 italiano si è sempre ripo1tato a Gramsci, ha osato in momenti molto difficili elevare la funzione dell'insegnamento di Gramsci, allo stesso livello di quelli di ~1arx e di Lenin. C'è di più: ha difeso Gramsci e lo ha imposto in Italia anche 1 quando il fondatore del comunismo 1 ita- ·.liano, teorico an,te litteram della· cc via italiana », non trovava diritto di cittadinanza nella pubblicistica ortodossa controllata dall'URSS. Su questo- punto di pri11cipio Togliatti non ha mai fatto concessioni neppure ai tempi di Stalin. Ed è la fedeltà a Gramsci che ha lasciato costantemente aperta, sul piano puramente ideologico (è ovvio), la via di un'autonomia d'azione e di democratizzazione interna. Il PCI si è visto costretto fino al XX congresso ad accettate una· situazio11e, anormale in rapporto alle sue stesse origini~ di totale costrizione interna. Il PCI, insomma, 11a subito, face11do in una certa misura violenza a se stesso, la logica spie7 .B.. .·i: ··iotecaginobianco > ~ ,.

tata e le limitazio11i dettate da1la guerra fredda. Tanto è vero che i primi segni del cc nuovo corso » più favorevole a un a·nnuncio di democrazia interna si rivelarono non dopo il XX congresso, 1na subito dopo la 1norte di Stalin, furono in realtà precorritori delle conclusioni cui giunse Krusciov nel rapporto al XX congresso del '56 e consentiro110 al partito di affrontare gli avvenimenti senza gravi scosse e senza riscl1i seri. I comunisti francesi, che 110n hanno avuto u11 Gramsci ed avevano perfettamente assimilato lo stalinismo facendo della guerra fredda t1n fattore proprio di forza, non riuscirono invece a controllare una situazione che, in ·Italia, solo i fatti di Ungl1eria n1isero in crisi. E quel che accadde coi fatti di Ungl1eria, in Italia e in Francia, costituisce una controprova dell'influe11za che effettivamente, st1lla u base » dei militanti italia11i, esercitava l'insegnamento di Gramsci: in Francia ci fu uno sbandamento iniziale che si risolse, alla fine, nell'uscita dal partito di un ristretto, gruppo di i11tellettuali n1entre la base operaia rimase intatta; in Italia lo sbandamento portò a una serie di tentativi di analisi critica delle cose e si risolse nella rottura delle stratificazioni interne con ampi ri11novamenti dei quadri e con l'uscita dal partito di qualche isolato intellettuale, di gruppi di giovani, ma, soprattutto degli operai, degli operai più evoluti di Milano e di Torino (200 mila operai st1 230.000 dimissioni, secondo le cifre ufficiali). L'analisi comparata dell'atteggiamento dei comunisti italiani e di quelli francesi dopo il XX congresso e i fatti di Ungheria, e di fronte a problemi come quello ci11ese e quello jugoslavo, sarebbe da sola sufficie11tea dimostrare che, in Italia, il margine teorico per raffermazione dei principi e per la difesa delle rivendicazioni che oggi trovano il loro posto nei documenti ufficiali del partito è stato, al di là di ogni conformismo e di ogni abbandono, veramente conservato. La struttura di partito di massa che il PCI si è data rifiutando la soluzione, in un certo senso più adeguata al clima della guerra fredda, di partito di quadri preferita dal PCF ha per1nesso di non scontare sul terreno della compattezza e della capacità di sviluppo l'evidente e costante co11traddizione tra l'azione quotidiana, le soluzioni opportunistiche e la discipli11a alle ragioni imperialistiche dell'URSS da una parte e l'originaria realtà ideologica del partito dall'altra. Questa sembra essere cc l'origine positiva », per il PCI, della pratica del dibattito: si elimina t1n fattore di tensione interna e di contraddizione quotidiana. Negli ultimi anni, e già prima dell'VIII congresso, i riferimenti alla democrazia interna si erano· fatti sempre più insistenti, 8 Bjbliotecaginobianco I •

i tentativi si erano succeduti ai te11tativi; il IX congresso del febbraio del '60, a Roma, sembrò dominato dal presentimento, cl1e il nucleo della « giovane guardia » (Amendola, Alicata, Natoli, e, nei limiti della fedeltà a Togliatti, Pajetta e Ingrao) più degli altri se11tiva, della imn1inenza di una gra11de cl1iarificazione sulla pratica della democrazia interna. In questo senso il cc fatto nuovo >) che ci colpisce, quello, cioè, delle cliscussioni in corso e rese pubbliche, çostituisce più una n1anifestazione di forza cl1e u11aprova di debolezza. Non è certan1ente per questo solo che il PCI riscl1ia la crisi. Ma il « fatto nuovo » del dibattito ha ancl1e « origini. negative )>, percl1è indipendentemente da certe fedeltà ideologiche, esso si risolve in uno cc stato di necessità » -determinato da fattori che il partito deve subire. I principali di questi fattori sono tre: il fenomeno della vertiginosa emigrazione interna, la realtà sindacale, la grande mobilità nelle leve del partito. 1) L'emigrazione interna ha pratica1nente travolto le strutture rigide · del partito in Italia n1eridionale, le l1a messe in crisi nell'Italia centrale, le minaccia nel Nord. Il numero delle cellt1le si ridt1ce costantemente 11elSud non soltanto, per mancanza, in alcuni casi, di terreno s·u cui operare ma ancl1e per l'instabilità stessa delle situazioni che non possono più essere sintetizzate in formule e consentire una coerente e costante azione di lotta politica sul piano locale. Qualcosa di simile a·ccade nelritalia centrale con l'aggravante cl1e i rist1ltati elettorali, diversamente da ciò cl1e accade nel Sud, segnano un progredire continuo del paTtito e stanno così ad indicare che esiste il terreno per una efficace azione di proselitis1no n1a che il partito 11011è in condizione di profittarne co11venientemente. Nel Sud, come nel Nord, le insufficienze del PCI sono dovute alla rigidità della struttura orga11izzativa del partito, che non può adeguare con la rapidità necessaria razione po-litica al veloce modificarsi delle situazioni : così, la mancanza· di una forma di den1ocrazia interna minaccia di mettere in contrasto, costantemente, la struttt1ra del partito con le ragio11i locali e magari occasionali che portano gruppi di cittadini verso l'adesione alla protesta comunista. La spi11ta protestaria giunge al' voto favorevole ma non si concretizza in un impeg110 nel1' azione di pa1tito : il dibattito interno, una forma di democrazia i11terna, si rendono obbligatori p-er superare fin dove è possibile il divario ed evitare che, come accade oggi, all'espansione elettorale si contrapponga il ridursi della capacità di « presa » rivoluzionaria. 2) La realtà sindacale è infinitamente con1plessa. Far11e la storia è 9 . Bibliotecaginobianco

. ' . . \ . I jmpossibile i11 questa sede, anche soltanto a voier risalire al ;54, quando Di Vittorio rifiutò esplicitamente il principio del sindacato « cinghia di tras1nissione » per l'azione rivoluzionaria e rivendicò per il sindacato stesso il massimo di autonomia dalle esigenze tattiche del partito. Comunque, la funzione del sindacato è divenuta, in questi ultimi anni, · addi1ittura predon1i11ante sul partito; nel co11vegno delle fabbriche del maggio scorso a Milano, Amendola dovette denunciare la gravità del fatto che il p~rtito va progressivan1ente « si11dacalizzandosi » perché si trova costretto sempre più a svolgere t1n'azione di sostegno delle esigenze rivendicative avanzate dal sinda·cato piuttosto· che sviluppare un'azione propria di stimolo, di orientamento e di iniziativa ideologica. L' on. Amendola mise anche in luce a Mila110 il fenomeno grave della continua e completa co11fusione cl1e viene fatta, nella classe operaia, tra partito e sindacato; e mostrò di credere che il fenomeno sia dovuto alle grandi trasformazioni che sono in corso 11ellarealtà delle fabbriche e nell'insieme della società e che, naturalmente, trovano il sindacato più im1nediatamente capace di assin1ilarle di quanto 110n riesca il partito. Analisi certamente esatta e co11fermata da1 fatto che questo concepire il partito come sen1plice prolungan1ento del sindacato sul terreno politico è particolarmente pronunciato, stando ai dati del PCI, nei giovani e nelle categorie operaie che, per le modifiche intervenute nel tipo di lavoro nelle fabbriche (ad esempio l'auto1nazione), sono i protagonisti del processo di trasformazione della coscienza operaia e, soprattutto, di revisione del principio della solidarietà di classe. Stanco, con segni di crisi fino al '56, il sindacato ha risolto per proprio conto il problema delle trasformazioni che investono i ceti operai, l1a instaurato progressivamente (anche sotto la spinta delle rappresentanze socialiste via ·via cl1e il PSI affermava la propria autonomia) la pratica della democrazia interna ed è acceduto a una forma di azione quotidiana che fa centro nei singoli settori e, addirittura, sulle singole aziende, isolando, così, di volta in volta, ciascun problema con le specifiche esigenze da dife~dere. Le ultime elezioni per le commissioni di fabbrica, hanno mostrato, senza alcu11 dato contradditorio, che la CGIL recupera le posizioni perdute e le migliora dove il dibattito tra gli iscritti al sindacato è più aperto e viene più seriamente praticato e dove l'azione rivendicativa ha mostrato una tendenza a far prevalere i bisogni particolari sulle ragioni generali della solidarietà di classe. Comunque, la discussione interna e 'l'effettiva democraticità delle decisioni che ne derivano sembrano essere, per ammissione dei comunisti e dei socialisti, 10 Bibliotecaginobianco ' .. . . . . . ' . . .

i fattori sempre più determinanti dei successi 1Jossibili, nelle elezioni delle Commissioni interne della CGIL. Stando così le cose, il partito ha incontrato sempre maggtori difficoltà a risolvere a proprio va11taggio il problema dei rapporti col sindacato: la rigidità della sua struttura e l'abitudine di imporre per le esect1zioni direttive d'azione e di propaganda fissate soltanto in alto lo isolano sempre più dal sindacato, lo mettono agli occhi delle masse ope- , raie in t1na condizione seco11daria in rapporto al sindacato, e, al tempo stesso, costituiscono un ostacolo alla maggiore espansione di quest'ultimo (che, negli ultimi tre anni, si vede, 11onostante i propri progressi, tallonato dalla UIL - cl1e ava11za appunto in virtù della sua maggiore democraticità inter11a - e non riesce ad assorbire la grande quantità di mano d'opera femminile cl1e è entrata di recente nel 111on·dodel lavoro). L'apertura del dibattito interno, con u11 i11i:ziodi applicazione del pri11cipio della democrazia interna, deve servire al partito a rimediare a· una situazione di seria pericolosità perché espone il lavoratore comunista della CGIL a sentirsi, nelran1bito dell'u11ità sindacale, più vicino ai socialisti che al proprio partito. In una certa n1isura, ancl1e la grande lotta che, all'interno della CGIL, al livello delle singole commissioni interne, i socialisti stanno facendo ai co1nu11isti ha reso più acuto per il PCI il problen1a della democrazia interna. 3) La questione della grande rnobilità degli iscritti ha ·u11 suo peso rilevante, per individuare le origini dell'esigenza di u11amaggiore democrazia interna, in rapporto, è chiaro, alle cause cl1e sono state illustrate sommariame11te più indietro. Da sola 11011potrebbe influire gran che. Si tratta di questo: il PCI ri1nane, in Italia, il partito più giovane; esso e quello cl1e più di tutti registra ogni anno iscrizioni cc nuove » (110.000, cioè oltre il 5 %, 11ellu' ltiino anno). Poichè il 11umero•totale degli iscritti, dopo le gra11di perdite del '57, au1nenta di 30-40 mila unità all'anno, quando no11rimane stazionario, è cl1iaro cl1e c'è ar1nualmente una forte immissione di elementi giovani, di ex contadini guadag11ati all'industria, di meridionali emigrati: tutti elementi cl1e, per l'età o per la loro particolare esperienza', esercitano una pressio11e rinr1ovatrice sull'ambiente del partito. In virtù di questa pressione i quadri sono stati, negli ultimi anni, quasi totalme11te ri11novati. (dall'VIII al IX congresso ci furono mutameti nel 40 per ce11to dei quadri, e, per l'elezione dei delegati al IX congresso, il 25 per cento degli iscritti esercitò il proprio diritto di can11 .. Bibliotecaginobianco

cellatura nelle liste pronunciandosi in 111aniera diversa dai suggerin1enti delle federazioni). Il limite di età dei dirigenti si è fortemente abbassato, gli' uomini impegnati o co1nt1nq11elegati ideologicamente alla disciplina stali11iana sono praticamente scomparsi dai quadri medi, -cl1e sono qt1elli che più contano per la vita interna del PCI, mentre prevalgono gli ele- · menti cl1e provengono da u11e' sperienza si11dacale. Lo stesso accade, sia pure in misura minore, per le ammi11istrazioni locali, le cooperative, gìi organismi culturali, le organizzazio11i di sostegno. La federazio11e giovanile è, ·per suo conto, già -da qt1alche an110 sulla via che porta alla pratica della democra'zia interna. La consegue11za è che il partito, come struttt1ra, non l1a più sufficiente forza per costringere alla disciplina dell'esecuzione pura e semplice e alla regola dell'unanimità le nuove leve di militanti, i militanti iscritti alla CGIL, i giovani, i nuovi dirigenti, i vecchi iscritti cl1e si erano piegati, solo per u11a necessità gi·udicata inderogabile, al conformisn10 staliniano, ma co11servavano la riserva di un diverso clima con la fine della guerra fredda. Questa realtà fu misurata già, nella sua incidenza decisiva, cl1e era allora di molto inferiore a quella attuale, dopo il XX congresso di Mosca e i fatti di Ungheria, quando fu necessaria quasi un'azione di forza da· parte dei dirigenti centrali per troncare al punto giusto la tendenza che dilagava a rivedere radicalmente le abitudini interne di partito. L'operazione riuscì soltanto perchè l'on. Ame11dola, che aveva iniziato il processo di rinnovamento e in 11ncerto senso rappresentava la spinta al « nuovo corso » prese egli stesso l'iniziativa , del ritorno alla e, normalità » con un'apostrofe cl1e molti comt1nisti non l1anno cessato di rimproverargli: <e Compag11i, abbiamo discusso abbastanza, ora finiamola e mettian1oci a lavorare ». Leader della « giova11e gt1ardia n, l' on. An1endola potè evitare a tempo che si affermassero e si sviluppassero, sponta11ee e incontrollate, tendenze capaci di modificare profondamente la natura del partito e di mettere in causa il gruppo dirigente. Tutto il lavoro che la « giovane gt1ardia » ha fatto i11 questi anni mirava a preparare condizioni atte a non rendere pericolosa per l'unità e la forza del pa1tito la <e svolta » che, a breve o lunga scade11za, era scontata. La svolta, infatti, consiste nell'avvio ad una fo,rma qualsiasi di democrazia interna e non solo nelle affermazioni ideologiche e di principio che, dopo- il XXII congresso, sono state fatte nei documenti ufficiali del PCI sui problemi che interessano l'azio11e e l'avvenire del comunismo. Dal policentrismo alla cc via italia11a al socialismo », alJa posizione di Sta12 BJ.bliotecaginobianco

i - lin in rapporto al siste1na sovietico e alla non inevitabilità della guerra . . \ la linea del PCI riceve oggi una pi11netta accentuazione, viene resa p1t1 esplicita, se si vuole viene enunciata in ma11iera IJrogrammatica e sottratta (salvo sorprese) a eventuali revisioni future: 111a, 11ella sostanza, su t11tti i 1Jroble1ni trattati in questi giorni., il partito aveva già fatto, giorno per giorno, la propria scelta e aveva anticipato., i11 (Jualcl1e caso., le conclusioni cui si è giunti a I\1osca. Per quanto le forn1ule esplicite usate oggi riescano clamorose, è u11 errore profondo far consistere il <e nuovo corso » comunista ne]l' affermazione del policentrismo, o nell'atteggiamento favorevole alla J t1goslavi a o nel rifiuto del1a legge (dicl1iarata decaduta, nel '57, da1lo stesso Kruscev) dello stato e del partito guida. In teoria, il dibattito dovrebbe 1Jo1iare il partito a conclusioni definitive sui temi suggeriti accettando l'impostazione del Comitato ce11trale o respingendola: solo in quest'ultimo caso ci trovere1111no cl i fronte ad una crisi nel partito. I11realtà i temi proposti e l'i1npostazione del Comitato centrale e lo spirito stesso dei docun1enti che servono di base alla discussione sono in partenza larga1nente 1Jopolari nel l)nrtito, vengono dalla base IJiÙ che essere in11Josti alla base. I !)rimi dibattiti nelle federazio11i locali lo 1)rovano an11Jiame11te,tutta la storia di ci uesti ultimi anni delle vicende interne del PCI lo conferma. I dirigenti di vertice, cioè, non proceclono allo scoperto, si muovono su un terreno sicuro: aderendo e rassegnandosi, al tempo stesso, alla necessità di un dibattito condotto in 1naniera da stabilire il IJrincipio di una forma di den1ocrazia interna, essi han110 preceduto~ nel rnoclo cl i vedere i problemi do1Jo il XXII congresso di Mosca, i 1nilitanti. Non si p11ònegare cl1e la discussione può essere molto a1n1)iae che, così come è impostata, può investire problemi di fondo n1olto grossi dando alle prospettive di azione del partito, specialmente circa l'autonomia da Mosca e il giudizio sul sisterna sovietico, sbocchi allarmanti per l'universo comunista. È t111riscl1io, questo, che i gruppi dirigenti l1anno creduto di ·poter correre: ed è appunto sulla opportunità di affrontare, in tutta la sua gravità, il rischio, che si sono verificati i contrasti al vertice, non sulle conclusioni da trarre e, magari, sul da farsi dopo il congresso di Mosca. Togliatti sarebbe stato pitì cauto e avrebbe voluto offrire al dibattito alla periferia temi impostati con maggior reticenza e in ogni caso garantiti, per la· base, ·dal limite della totale adesione alle tesi di Kruscev. La cc giovane guardia » amendoliana, invece, ha rifiutato l'espediente di lasciare al vertice una parte, la più grave, dell' esan1e della: 13 Bibliotecaginobianco

• situazio11e·dopo il congresso di Mosca e ha giudicat9 che la situazione all'interno del partito e gli interrogativi che si pongono i militanti siano tali da non conse11tire di aprire al tempo stesso un dibattito e limitarne l'ampiezza impedendo che investa alcuni temi fondamentali: il pericolo,. secondo la « giovane guardia »; starebbe nella minaccia, in questo caso, di non poter controllare più gli avvenimenti e di favorire il sorgere di un conflitto tra la base e i quadri medi e gli organismi di vertice. Si trattava di scegliere tra il rischio di una crisi per « esplosione interna » e la possibilità di garantire l'unità e la forza del partito consentendo ai militanti di approfondire, con un massimo di libertà, a11che le questioni più scottanti. Su queste basi l'avvio di t1na democrazia interna non dovrebbe, secondo i calcoli della cc giovane guardia » cui alla· fine ha aderito, mettendosi in un.a posizione di riserva, lo stesso Togliatti, riuscire pericoloso. Qt1esti i fatti e le ragioni dei fatti. Essi non consentono, almeno per il momento, di scorgere segni sict1ri di crisi nel P.C.I. Le spinte di fondo trovano, al vertice, divergenze di interpretazione e 11ederivano, propensioni tatticl1e diverse. Ma c'è osmosi tra i gruppi di vertice e, tutto sommato, non si individua una corrente dai contorni precisi. Rimangono, al vertice, i nostalgici dello stalinismo (i D'Onofrio, gli Scoccimarro e, per certi aspetti, i Longo) che si sono posti f11oridel gioco opponendosi al principio stesso di un dibattito non fittizio e di un inizio di democrazia interna. C'è stato, a quanto pare, un momento in cui Togliatti s'è trovato solo: alla fine, però, egli ha pott1to far va'lere il merito d'aver egli stesso indicato, con varia fo1tuna e con diversi accenti, negli anni scorsi, le vie che ora la « giovane guardia » vorrebbe seguire e il partito attende di imboccare, le vie, cioè, del policentrismo, dell'autonomia di giudizio e di azione, di una revisione critica della storia del regime sovietico fin dai primi tempi dell'avvento di Stalin e del rigetto delle tesi cinesi e del rifiuto della strategia massimalista, ispirata dal dogma della pauperizzazione progressiva della classe operaia in regime capitalista, che governa l'azione del l)aitito comunista francese. E i suoi oppositori iniziali, ottenuto jl dibattito ampio che desideravano e assicurate le premesse per un'evoluzione den1ocratica della vita interna di partito, hanno trovato co11venjente rendere a Togliatti i meriti che gli spettano e fare qua·drato intorno a lui. Il PCI farà la propria auotcritica, ma il presupposto è che l'intero partito è responsabile degli errori compiuti e, alla base, non è possibile isolare un dirigente o un gruppo di dirigenti per sacrificarlo al « nuovo corso ». Non è che un espediente: ma, in sostanza, 14 Bjbliotecaginobianco

• l . . . ♦ .. . . esso serve a fare le cose che è indispensabile fare senza che ne derivino lacerazioni al vertice e alla base. Obiettivo: inaugurare il « nuovo corso » passando senza crisi da una fase di conformismo l1fficiale ad 11na fase di relativa indipendenza. In pratica, i11virtù dei diversi fattori di forza di cui ciascuno dei gruppi cl1e si controllano a vicenda al vertice dispone, quella del PCI è diventata veramente una direzione collegiale. Questa è, molto probabilme11te, la conseguenza di fatto di maggior rilievo che, allo stato attuale delle cose, si sia av11ta, da tutto quel che è accaduto, nella struttura organizzativa del partito comunista·. La portata politica di questo avvenimento apparirà certamente, ii1 tutta la sua importanza, nei pros- . . . sun1 mesi. I problemi che ora si pongono al PCI sono due. Il primo• è quello dei « limiti » fissati alla pratica· della democrazia interna. È possibile discutere, è an1messa l'opposizione, 1na s0110 escluse le correnti o comunque r organizzazione dell'opposizione: la ricl1iesta del riconoscimento della indispensabilità dell'esistenza di una maggioranza e di una minoranza·, formulata da alcuni cc in11ovatori » del gruppo amendoliano, rimane ancora una sem·plice richiesta. Ma è possibile veramente disct1tere a fo11do, come il partito è invitato a fare, della democrazia i11terna ript1dia11do a priori 1't1tilizzazione degli strumenti attraverso cui una vera democrazia interna può essere esercitata? Per tutto quel che si è detto prima deve essere respi11to il giudizio secondo cui il « nuovo corso » si riduce ad un trt1cco dei dirigenti che rnirano a salvare, in qualche modo le forme, senza incidere sulla sostanza del cc niente cambia· ». Piuttosto si tratta di una specie di cc atto di fede » per il quale, in virtù delle esigenze rivoluzionarie, si crede realizzabile la democrazia interna rifiutandone le manifestazioni cc formali » che, poi, riflettono la sostanza. I dirigenti credo110 cl1e la loro fede verrà premiata, alme110 11ellafase i11iziale, che è la più delicata e che, certamente, è destinata a durare qualche anno, e con l'aiuto della popolarità delle posizioni che, ·· sui temi da dibattere, sono state assunte. È cosa da vedersi. In questo punto oscuro c'è il « momento di rottura » dell'equilibrio costruito e un fattore di crisi possibile. La tendenza di fondo è quella di una legittima•zione di tutti gli strumenti tradizionali per l'esercizio della democrazia interna, rria lc1; disciplina rivoluzionaria e la necessità, nella particolare situazione italiana che trova il PSI in concorrenza col PCI, di non derogare dai dogmi leninisti, vi si oppongono. 15 · B1oliotecaginobianco

Non è difficile prevedere cl1e sulla questione l'ultima parola verrà dopo una lunga vicenda. Ma da oggi, il PCI si trova·, paradossalmente, potenzialn1ente in grado di accrescere la propria capacità di attrazione rimanendo i11interrottamente sull'orlo della crisi. . Il secondo problema è quello degli sviluppi cui potranno portare, in avvenire, anche col favore del dibattito che s'è iniziato, le impostazioni attuali sulle ql1estioni dei compiti del PCI, d_ei suoi rapporti con l'URSS, della via italiana al socialismo. Si tratta di impostazioni che, appena scaturite dall'elaborazione di vertice, e perciò limitate entro confini precisi, appaiono di u11a' udacia che sfiora l'eresia e già oppongono il partito italiano a quello francese. Affi-date alla base esse sono suscettibili di evolvere, sia pure per la via indiretta ·delle lungl1e maturazioni, verso affermazio11i estre1ne in una direzione che, ad ese1npio, potrebbe essere quella di un secondo titoismo. C'è un fattore che può rendere attivo il 1Jrocesso di questa maturazione: l'ambizione e il bisogno di assorbire le forze socialiste. L'esperienza di un decennio ci ha jnsegnato che esiste, nella situazione italiana, u11a legge per la quale il PCI è portato a inseguire vers'o destra il PSI. A11che qui i gruppi di vertice compiono una specie di atto di fede e si affida110 alla certezza di poter contenere entro i limiti da essi stabiliti l'evoluzione politica ed ideologica del partito. L'attuazione della democrazia i11terna è legata all'affermarsi di questa possibilità e i limiti cl1e alla pratica effettiva della democrazia vengono ora posti servono a interrompere, 11el caso annunci evoluzioni non previste, il processo di rielaborazione degli orientamenti del PCI verso i problemi esterni. , .. Conclusione. Ci sembra di poter esclu-dere che gli avvenimenti denuncino l'esistenza o la possibilità di una crisi immediata o prossima. Invece, gli sviluppi dipendono in larga parte -dalla capacità del gruppo dirige11te di conte1nperare le esigenze e gli orientamenti che sono emersi in maniera irresistibile alla base e che impongono una trasformazione della struttura interna del PCI con la 11ecessità di controllare e orientare l'evoluzione in corso. È in questo senso, se si vuole, che niente è cambiato nel PCI. Ma la ·partita rimar1e aperta e l'esito dipende dalle vicende internazionali come da qt1elle interne, in ultima analisi non dipende dalle forze che guidano e animano il PCI. In questo senso anche, però, il PCI sfugge all'insidia di un esautoramento e di un isterilirsi nell'attesa vana di azione rivoluzionaria. Obiettivamente, il PCI sceglie per sè la via più difficile: p11ò andargli male, ma s.e va bene risolve le 16 ~ibliotecaginobianco /

proprie contraddizioni, ritrova una giustificazione nell'ambito della lotta politica italiana e si erge come una forza infinitamente più insidiosa per la nostra democrazia di quanto non sia stato, minacciato dall'isolamento cui lo ridurrebbe il concludersi sul terreno parlan1entare dell'evoluzione autonomistica del PSI, fino ad ora. In nessun caso, comunque evolva, i] PCI può rint1nciare ai propri presupposti ideologici che lo pongono fuori del l'area de111ocratica e delle nostre stesse concezioni morali. 17 Bi.bliotecaginobianco

Città e campagna : fine di ' . . un ant1tes1 1 di R.iccardo Musatti Il rapporto fra città e campagna - tema già caro al vecchio Cattaneo e poi cardinale di tutta la tradizione del materialismo storico da Marx ad Engels a Gramsci e a Sereni - è oggi al centro degli interessi sociologici: almeno tre incontri di alto livello scientifico 1 lo hanno scelto ad oggetto dei loro dibattiti, ed echi e riflessi della sua problematica si i11contrano giorno per giorno in molta pubblicistica spicciola. Ma, se gran parte dell'interesse si è concentrata sugli aspetti economici e sociali della questione, è stata i11vece spesso trascurata u11a valutazione del sottofondo ideologico e religioso degli opposti scl1ieramenti: quello che vede nella città la « culla della civiltà », affermando cl1e cc le cose che distinguono il cam1nino dell'uo1no Sl1lla terra da quello dei bruti sono urbane qua11to l'urbanità stessa » 2 e l'altro che non sa ancora nascor1dere l'antica avversione verso la città, « sentina di iniquità », corruttrice e disgregatrice delle virtù fiorite tra i campi a contatto con la natura. Una eccezione è stata costituita dalla Conferenza bicentenaria della Columbia University che l1a dedicato u11a sezione all'esame del cc I1npact of the Metropolis on the spiritual life of Man ». Nelle relazioni degli storici religiosamente impegnati o dei teologi delle diverse confessioni, 1 La cc Deuxième Semaine sociologique » (Parigi 1951), la « First Bicentennial Conference » della Columbia University (New York 1955) dedicata a cc The Metropolis in Modern Life n e infine il Primo Congresso Nazionale di Scienze Sociali (Milano 1958) di cui il secondo tema era appunto cc l'interdipendenza fra città e campagna » (gli atti sono stati pubblicati dalla casa editrice « Il Mulino »). 2 Citiamo dal saggio del sociologo americano Ernst van der Haag, Città per esseri uma-ni, pubbìicato in cc Comunità », n. 75, diGen1bre 195'9, pag. 1. 18 Bibliotecaginobianco "1 I

. . partecipanti al -dibattito, è in verità unanimemente riconosciuta l'inalienabile importanza del fen-omeno urbano nella formazione e nella sopravvivenza non solo delle culture cosidette cc occidentali », ma di ogni corrente religiosa di ispirazione spiritualistica. Ma la cautela verso l' cc ambivalenza etica » della grande città è ancora sensibile. Per dirla con il teologo Langmead Cassarley: cc il meglio e il peggio accadono nelle città; la metropoli è il centro della cultura, come la sede delle masse i11colte e sbar1date cl1e sono uria costante minaccia alla ì1ostra cultura; è fonte -di legge e di ordine e quartier generale del crimine; è centro religioso ed ecclesiastico e sede d'indifferenza e di empietà ». È un fatto che la tradizione cristiana non si è mai liberata da un forte sospetto verso la città, giudicata come focolaio di eresia e di rivolta: il laicismo dej comuni medievali, il « paganesimo » (per quanto a1npia1nente miticizzato) delle Signorie rinascimentali, l'esplosione della grande Rivoluzione - che fu tutt'uno con l'esplosione della forza proletaria di Parigi - e infine, in 1nisura grandiosa, la scristianizzazione delle plebi urbane onde il contemporaneo trionfo marxista non potevano, del resto, che confermare questa impostazione. Oggi, come al tempo dei Padri àella Chiesa, la città dell'uomo è, per l'ortodossia, lontana dalla città di Dio: se ieri vi si annidavano il peccato e l'agnosticismo, oggi, dominando il materialismo marxista, vi si fortifìca, preparandosi all'attacco finale, il nerbo organizzato dell'eversione. In questo senso d'altronde la dottrina cristiana si identifica, da oltre due secoli, con le più diverse forme del pensiero conservatore in genere, i preoccupato, in sede di teoria socio-economica, di sopravvalutare o rivalutare la campagna - la vita rurale arcadica e statica - i11contrapposizione alla città, agitata dall'insofferenza politica e dall'intraprendenza economica. Tradizione protestantica e tradizione cattolica si equivalgono in questo orientamento, maturato in ambienti di formazione n1rale. Se il democratico J efferson definiva le città: cc ca11cri nel corpo della società », molti accenti della polemica antimetropolita11a degli architetti-scrittori-profeti americani, ,da Louis Sullivan a Wright, sono riconducibili alla stessa radice, perquanto il forte impegno creativo di tipo pionieristico possa farcelo dimenticare e il più recente superamento rifor1nistico-illuministico di Lewis Mumford 11eabbia riscattata l'origine nel disegno di una nuova dimensione sociale. Nell'assenza di questa ·apertura e di questa nuova promessa (il cc regionalismo » di Mumford, ed ora di Giedion e di tanti altri urbanisti e 19 "bliotecaginobianco

sociologi anglosassoni) la cultura neolatina, e quella francese in particolare, l1a conservato ancor più larghe tracce di sedimenti « filorurali » 3 • L'avversione a Parigi, statalista e perciò laica, giacobina e gaudente~ internazionalista e proletaria, è il lievito che rianima di tempo in tempo le nostalgje conservatrici della piccola borghesia francese di estrazione · campagnola: lo spirito cc vandeano » sembra essere un 1nomento permanente della tradizione politica francese, che nutre la s.ua nostalgia per il mondo rurale sulla pset1do Histoire de la campagne française di Gaston Roupnel ( « Le sensible génie qui anime l'oeuvre actuelle de la Race bJanche, n' est pas 11n enfant de la ville f ») piuttosto che sulle ricerche di 11arc Bloch. E in Italia? Se la maggiore tradizione storica è da noi di origine cittadina, perchè accademica e curiale, particolarmente interessante si rjvelerebbe, soprattutto ai finj di una illuminazione ideologica dei più recenti decenni di vita politica, un'antologia degli scrittori di parte cattolica e nazionalconservatrice. L>esaltazione dei valori della cc civiltà rustica » (in generale meno smaccata al confronto ài altri paesi, di più lo11tana e ricca tradizione agraria, probabilme11te in considerazione dei fermenti socialistici, o addirittura a11archici, rivelatisi ab antiquo nelle cc1mpag11eafllitte dall'intollerabile pauperis1no delle masse co11tadine) vi apparirebbe soprattutto acce11tuata nei narratori o saggisti provenienti da quelle regioni, come la Toscana, in cui un più eqt1iHbrato svilt1ppo economico-sociale della società agraria potè a lungo fondatamente motivare il mito di un immobile paradiso campag11uolo. Saltando a pie' pari la letteratura clerico-moderata dell'800 tosca110, potrebbero entrare in un'antologia siffatta Soffici e Arrjgo Serpieri, gli elzeviristi delle grandi riviste fiorentine e i begli spiriti di « Strapaese » fino a quel Giovanni Papini, che per aver incarnato mezzo secolo di co11fusio11e ideologica italiana, varrà la pena di citare per esteso i11un frammento postumo 4 : cc L'uomo fu creato per vivere in un immenso giardi110 e no11 già nei dedali pietrosi delle metropoli. La città, rinnegamento della natura, è l'antiparadiso. L'Eden fu piantato dal creatore della vita; e le prime città furon. fo11date dall'inventore della 111orte... Mentre la campagna nutrisce e ristora i cittadini, la città invade, attira e corrompe le 3 Una sommaria, ma acuta bibliografia della « nostalgia rurale >> nella letteratura francese si trova in nota alla relazione di Joseph Folliet in The Metropolis in "ft,f odern Life, New York 1955, pag. 319 e ss. ' Pubblicato sul « Corriere della Sera » del 22 dicembre 1957. 20 Bibliotecaginobianco

campagne ... La città 110n crea ma consuma. Com> è l'emporio dove affÌ.uiscono i beni strappati agli agri, così vi accorrono Ie anime più fresche delle provincie e ridee dei grandi solitari. La città è come un rogo che illumina perchè strt1gge ciò che fu creato lontano da lei, e talvolta contro di lei. Tutte le città so110 sterili. Vi nasco110, i11 proporzione, pocl1i figlioli e quasi mai un genio. Tutti vi affiuiscono, per vincere, ma le grandi opere e i grandi pensieri vengono dal di fuori come a•d una gara e ad u11a fiera ... Dio stesso ha voluto confermare l'atroce missione delle metropoli. Cristo nacque in un. villaggio, disse le sue 'parole più divine sui monti e scese alla città soltanto per essere ucciso ». La truculenta retorica del linguaggio papiniano sarebbe oggi inaccettabile; e i11 verità, cadt1to il fascismo, è ormai difficile ascoltare tirate del genere. Ma, al di là delle parole, che si son fatte più misurate e pudicl1e, la « filosofia della campagna » continua a condizionare largamente l'orientamento politico della nostra classe dirigente. La campagna resta nell'interpretazione comune, la grande trincea di difesa della conservazione e della stasi sociale, e come tale è politica1nente trattata. Per converso, il proletariato urbano è riguardato ancora come il più temibile nerbo del socialismo rivolt1zionario. Si tratta di uno schema che dovrebbe rivelare sempre meglio la s·ua ap·prossirnatività col profilarsi di una nuov~ str11tturazione socio-econon1ica del paese. Nel proletariato cittadino, legato all'espansione industriale, si rafforzano i segni dell' cc imborghesimento » e si attenua la spinta « rivoluzionaria », mentre nelle campagne l' opposizio11e all' « ordine costituito » non si attenua ed anzi conquista nuovi ceti. Nelle campag11e dell'Emilia, della Tosca11a, dell'Umbria i mezzadri continuano a votare " rosso », mentre la piccola proprietà coltivatrice - irregimentata negli schemi corporativi della federazione e dei consorzi - comincia a diffidare dei piccoli benefici saltuari, per reclamare u11a diversa politica << verde » di moden1izzazione e di progresso. E i problemi del bracciantato 111eridionale, affamato non più di terra che di ingaggi giornalieri, se sono rinviati di anno in anno per i te1npi d'arresto subiti dalla politica di rif orina, resta110 all'ordine del giorno per una scadenza non molto lo11ta11a.E tt1ttavia, malgrado questi segni di un relativo processo di conversione da parte delle masse rurali, è u.n fatto che l'Italia postfascista si è mantenuta fedele all'esigenza di darsi una a politica agraria » capace di legare in solido vi11colo le classi (quelle rustiche, appunto) ancestralmente più favorevoli ad un'impostazione conservatrice di gover110: la proposta del « piano verde » non è che l'ultima conferma 21 Bibliotecaginobianco

di questo i1npegno, che non solo perdura, ma cerca di aggiornarsi alle sopravvenienti rivendicazioni. Mentre, al contrario, bén labile, incerta, contradittoria è stata la « politica della città », proposta drammaticamente con lo sconvolgimento della guerra, nella stagione brevissima i11 . cui, caduta la .dittatura, ogni possibilità d'azione politica sembrava aperta, pur nella confusione delle impostazioni ideologiche. Fra l'altro, terminato appena il conflitto ma no11ancora iniziata una qualsiasi ricostruzione, l'Italia assisteva ad uno sconvolgimento demografico senza precedenti: dalle città, minacciate dai bombardamenti e dalla carestia, masse inge11ti di abitanti si erano disperse nella cam·pa- · gr1a, mentre, da qt1est'ultima, masse non meno numerose - sospinte dal terrore della guerra guerreggiata e ·dalle equivoche attrattive della vita urbana - si erano riversate sulle città, addensa11dosi o nei vecchi centri già sovrappopolati o nelle nuovissime bidonvilles periferiche. Malgrado la sua macroscopica evidenza, il fenomeno non determinò tuttavia una nt1ova considerazione dei problemi della dimensione urbana: i piani di ricostruzione, quando ci ft1rono, furor10 formulati in vista del ripristino delle vecchie strutture, per i vecchi abitanti; chi volle sistemarsi in città giocò la sua carta ignorando previsioni e disposizioni dei pubblici poteri, adoprandosi di sforzare le antiche strutture di quel tanto (e si trattò di 'pochissimo: un.a baracca, un vano sovraffollato) che gli consentisse una sistemazione permanente, per quanto disagiata. Che il rapporto città-campagna avesse subìto un'alterazione pesante, destinata ad a1npliarsi, come stiamo constatando, nei decenni avvenire, l'urba11istica ufficiale sembrò, e forse volle, non accorgersi nemmeno. Ne abbiamo una prima riprova considerando le finalità cl1e si è proposta ed ha raggiunto la politica d'intervento governativo nel Mezzogiorno latifondistico. Allo spezzettamento di alcune gra11dissime proprietà so110seguiti un notevole sforzo di trasformazione culturale e la costruzione di un'ingente quantità ,di abitazio11i contadine: ripetendo schemi già cari al paternalismo padronale e governativo dei secoli a11dati, si è cercato di attuare una redistribuzione demografica della popolazione contadina ammassata negli elefa11tiaci centri del latifondo bracciantile; ma la terra, per quanto migliorata nelle colture e cosparsa di casette più o meno civettuole, è rimasta cc senza città ». Fra tanto fervore d'iniziative e tanto dispendio di p1:1bblico denaro, un obbiettivo, ed era quello essenziale, è stato studiosamente evitato: la creazione di nuove città, ·di nuovi centri di promozio11e ·civile ed economica, di diversa e più moderna organizzazione sociale. La -diffidenza verso la città - dove l'incontro di espe22 Bibliotecaginobianco ..

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