Nord e Sud - anno VIII - n. 20 - agosto 1961

Rivista mensile diretta da Fra 1 ncesco Compagna MARCO CESARINI SFORZA, La crisi siciliana e la Regione FEDERICO Gozzi, I punti di frizione Lmc1 AMIRANTE, Le Università nel Mezzogiorno GIUSEPPE GALAsso, Istruzione professionale e industria a Napoli CLEMENTE BuccIERO, Scuola statale e scuola privata GIULIO PANE, Turismo a Maratea \ e scritti di ALDO CANONICI, LUCIANO DELLA MEA, EDOARDO GUGLIELMI, ANTONIO NITTO, GAETANO 0RLANDI, VINCENZO PACE, PIERGIOVANNI PERMOLI, GIUSEPPE SACCO, CARLO TURCO ANNO VIII · NUOVA SERIE · AGOSTO 1961 • N. 20 (81) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI Biblioteca Gino Bianco

• Biblioteca Gino Bianco

NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ., Biblioteca Gino Bianco .....

SOMMARIO Editoriale [3] Marco Cesarini Sforza La crisi siciliaria e la Regione [ 8] Federico Gozzi I pun,ti di frizione [19] N.d.R. Antonio Nitto Gaetano Orlandi Luciano Della Mea Luigi Amirante Carlo Turco GIORNALE A Più VOCI 1 socialisti e le aree di sviliippo· -i'ncliistriale [36] Le infrastrutture e gli impreriditori [ 38] Il padroriato francese e i paesi sottosviluppati [44] 400 alberghi moclesti ma decorosi [ 47] Le Università nel Mezzogiorno· [51] l fratelli Paroncli in città [ 55] INCI-IIESTE Giuseppe Galasso Istruziorie professionale e inclustria in provincia cli Napoli (V) [62] PROPOSTE E COMMENTI Clemente Bucciero Scuola statale e scuola privata [95] PAESI E CITTÀ Giulio Pane Turismo a Maratea [ 102] U nn copia L. 300 • E8tero L. 360 A bbonamcnt i Sn~tcnitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 scrucstrnl~ I.. 1.,00 tiotcro nnnua!P L. 4.000 ~emcstralc L. 2.200 EfTctl11are i versamenti sul C.C.P. 6.19585 intestato 11 Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Vin Ruma. 406 Napoli BibliotecaGino Bianco CRONACA LIBRARIA [110] DITIEZIONE E HEDAZIONE: Napoli - \'ia Carducci, 19 - Tclef. 392.918 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità: - EL)IZIONI SCIEN,.TTFICI-IE ITALIANE - S.p.A. Via Iioma, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 31,3.568

...... Editoriale Tra le situazioni paradossali della vita pubblica del no1 stro paese merita una menzione particolare quella che si è venuta delineando negli ultimi tempi a proposito degli indirizzi della politica economica e degli strumenti della politica di sviluppo. Da un lato tutta resperienza degli anni scorsi, resempio dei paesi più progrediti delr Occidente e le acquisizioni più recenti della scienza economica inducono a postulare i esigenza di un « programma nazionale>>,in altre p·arole di un piano· gene1·ale in c·ui trovino la loro giusta collocazione i tanti programmi e i piani settoriali e regionali già varati o in progetto,, con la conseguente individuazione o creazione di un ceritro direttivo per l(l politica di sviluppo da svolgersi in Italia; dall'altro gli uomini di . governo - presi come so,no sotto il fuoco convergente degli interessi senipre più divergenti dei gruppi politici della maggioranza parlamentare e dei grupp,i di interesse - non sembrano decidersi ad imboccare finalmente la strada giusta, a fare quel passo che altri prima del nostro paese lianrio già fatto con successo senza con questo rinunciare al fandamento liberale e democratico del lMo sistema politico. E poicliè, nella vita ecoriomica nazionale, si manif esta1io con sempre maggiore evidenza i gravi inconvenienti e gli squilibri derivanti dall'as- , senza di un piano, o, se si preferisce, di un « programma di sviluppo)), ecco che il governo, non avendo il coraggio di secondare in tutto e per tutto l' on. Pella nel suo gioco politico di difensore degli interessi dei « liberisti >>, dà vita, sotto la pressione delle forze politiche più 1noderne e d~ taluni gruppi interni alla stessa Democrazia cristiana, ad un Comitato di tecnici incaricato di predisporre il «programma>> e ne affida la presidenza al prof. Papi; 1na nello stesso tempo lascia libero l'on. Pella di mettere le mani avanti s-ul programma che i tecnici dovrebbero· preparare, di suggerire - liti, l'avversario tenace di ogni 3 BibliotecaGino Bianco

novità sgradita ai liberisti - la formula della « programmazione indicativa>>che, se un senso ha, vuol significare, come ha notato, con sollievo « 24 Ore >>, proprio l'opposto di q-uel che comunemente si interide per politica programmata cli sviluppo. La situazione, dicevamo, è paradossale, percliè si è finiti con l' afficlarsi, in una delicata fase di passaggio da vecclii a nuovi metodi, proprio all'uomo più legato al passato, all'espo.rie11tedei gruppi democristiani più conservatori e clie me1io di tutti crede alla politica di sviluppo. E gli effetti di ciò già si vedono: so,spende1ido, ovviamente, ogni giudizio sul lavoro del Comitato Papi non ancora terminato e quindi non ancora cli pubblico dominio, rion si può 1io1irilevare l'assurdo clel r-hivio di qiielle scelte politiclie che avrebbero dovuto fornire ai tecnici l'indicazione clegli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ma c'è un punto su cui fin.ora si è atteso invano che si pronunciasse il governo e che il Ministro del Bilancio facesse conoscere meglio il suo pensiero, ed è quello clie riguarda, al di là dei compiti limitati nel tempo del Comitato Papi, l'esigenza di un, organismo unitario e permanente di programmazio1ie. Su questo punto i discorsi e le dichiarazio1ii dei nostri uorrnini di govern,01 sono elusivi e non certo illu1nina1iti: eppure la questione è quanto mai attuale; e a porla in risalto lia contribuito non poco· la stessa decisione governativa di f armare il Coniitato degli esperti. Se, conie si spera, si giungerà a predisporre uno schema di sviluppo, resterà sempre il problema clell'adegua.mento dello scliema alle mutevoli esigenze della realtà, e degli strumenti della realizzazione del (( programma »; in altre parole, il problema di un organismo che oltre a qualificarsi come centro di programmazione economica, abbia funzione di centro coordinato·re degli organismi ausiliari ed esecutivi, abbia capacità e po,ssibilità di i'ntervento diretto riei casi in cui ciò dovesse ritenersi indispensabile nell'interesse clel paese. A sopperire alle perplessità, alle i1idecisioni, alla maricanza cli coraggio e di iniziativa della compagine governativa giun,ge perciò qua1ito mai opportuna la propo,sta che a nome del Partito repubblicano l' on. La Malfa si accinge a presentare al Parlamento: essa pone sul terrerio concreto e sul piano delle decisio1ii politiche i1nprorogabili il problema del centro di programmazione e di controllo della politica di sviluppo in Italia. I termini del progetto di legge La Malfa sono noti, per averli egli già illustrati nel corso del recente dibattito televisivo sull'operato della Cassa per il Mezzogiornq nel suo prinio decennio di attività: premesso che da qualche anno, anche e soprattutto per merito della 4 BibliotecaGino Bianco

Cassa per il Mezzogiorno la quale si è autorevolmente qualificata come organo di programmazione, si sono ampliati progressivamente gli orizzonti operativi dello Stato a favore delle aree clepresse, e che il problema degli anni '60 è principalmente quello di eliminare gli squilibri esistenti nella struttura economica del paese - cosa che si può fare soltanto, attraverso una politica di sviluppo nazionale pianificata e programmata - l' on. La Malfa propone che venga immediatamente trasformata la Cassa per il Mezzogiorno in organismo di programmazione e di controllo nazionale della politica generale di sviluppo, riconoscendo nella Cassa il solo organo oggi esistente con la corioscenza necessaria per eseguire la programmazione stritmentale sul piario nazionale. Come si vede, siamo in presenza di un progetto profondamente innovatore, delf unica proposta concreta capace di fare -uscire dalle secclie attuali la politica di sviluppo e di spingere finalmente alle scelte fi11ora costaritemente rinviate. Perchè, come ha commentato efficacemerite l'Agerizia Radar, l'on. La Malfa ha posto sul tappetto 1 , con il suo progetto, un duplice problema: quello di una scelta di ordi11epolitico, pregiucliziale e definitiva, la scelta cioè clegli obiettivi a lunga scadenza della politica economica italiana, col ri-/itlto(clie ne consegue) dell'empirismo tracl-izionale, preferito da quelle forze clie, grazie al loro potere di pressione, sono finora riuscite ad i'mpedire l ammodername11to economico del nostro paese e a perJJetuare, aggravandoli, gli squilibri sociali e regioriali i11 esso esistenti; r altro, della creazione immediata clegli strumenti operatit;i di tale politica. Quanto al primo proble,nia, va da sè clie esso post,ula la formazio ne di una diversa maggioranza parlamentare al di là di quella, ormai logora, della convergenza, perchè una politica cli sviluppo· potrà farsi solta1ito con chi a questa politica crede) no,n con i liberali di "f.1.alagodie meno che mai illudendosi di trovarsi a fianco, concordi ed entusiaste, le forze della destra econoniica e i gruppi clella destra clericale che con le prime troppo spesso si conf ondorio. E se la D. C. lia potuto finora eludere la responsabilità di questa e di altre non meno impegnative scelte, e recentemente il «Popolo>>, proprio a propo·sito della questione della struttura da dare alla politica di sviluppo, ha creduto di poter affermare che il proble1na è prematuro, è tempo che ci sv corivinca clie l'ora stringe e che la questione non può più essere elusa. Ha scritto recentemente i on. Saragat che i partiti di centro}_ sinistra sono pronti per una azione di rottura ch,e dovrà mettere alla 5 BibliotecaGino Bianco •

prova « la clisponibilità democratica del Partito socialista e la disponibilità sociale della ,Democrazia cristiana »; e quest' itltinia, si può aggiungere, si misurerà dalla prontezza con cui il partito di maggiorranza saprà far propria una piattaforma programmatica di centro-sinistra, in una parola accettare tutte le implicanze e tutte le conseguenze che una. proposta come quella. formulata dall'on. La Malfa comporta. Quanto al secondo· pro·ble1na, cioè alla scelta e alla individuazione dell'organismo operativo principale della politica di sviluppo, non si può non essere d'accordo con l'on. La Malfa sia per qua.rito riguarda il giudizio sull'esperienza acquisita clalla Cassa per il Mezzogiorno in materia di programmazione, sia per quanto riguarda l'opportunità di ricorrere ad un organismo già funzio1iante, già dotato di quadri tecnici qualificati. E ci sembra che le riserve espresse dalt' on. Preti circa la prop·osta La Malfa siano facilmente superabili quando si consideri che il pro·getto prevede, con r ampliamento dei compiti della Cassa, il suo passa.ggio sotto il controllo del Ministero del Bilancio nonchè la con,- servazione di alcurie sezioni che dovrebbero portare a compimento il lavoro attuale ed assicurare l'interve11,to,diretto dello Stato nel ~1. ezzog'iorno e nelle altre zone depresse del paese. Senimai qualclie mot-ivo cli perplessità potrebbe nascere circa la capacità del Ministero del Bilancio ad assolvere ai nuovi compiti che gli verrebbero affidati. Si ha, cioè, ragione di temere che, riconducendo. tutti i provvedimenti relativi alla politica di sviluppo nella sfera di competenza del Ministero del Bilancio - anche quelli clie finora sono stati di competenza del Comitato clei Ministri per il Mezzogiorno - si riscliia, per le ragiorii da rioi espresse più sopra, di afficlare la politica di sviluppo in mano di uomini che ad essa 1ion credono, specialmente se il Ministero del Bilancio dovesse rimanere, com'è accaduto firio acl oggi, appannaggio di quegli uomini e di qitelle forze che harino nell' on. Pella l'esponente più autorevole e qitalificato. Già altra volta, su questa rivista, abbiamo espresso analoghe preocsupazioni, abbiamo detto che non si può pretendere di risolvere una questione di organi,· anche correttamente impostata, prescindendo cla uria questione di uomini; ma la proposta La t1 alfa, sollevando uria questione pregiudiziale di ordine politico e inquadrandosi perciò in una prospettiva di svolta della politica italiana nel senso del centro-sinistra, pone implicitamente anche la questione degli uomini più qualificati ad assolvere ai nuovi compiti. Sarebbe assurdo pensare che, una volta accolto il progetto, e con ciò una volta accettate tutte le implicanze poli6 bliotecaGino Bianco

' tiche che esso comporta, dovrebbero essere proprio gli uomini e le forze che si sono· battute, anche all'interno della Democrazia cristiana., per la programmazione della politica di sviluppo a cedere il passo e le responsabilità operative agli uomini della destra liberista. È evidente, infine, che itna soluzione come quella prospettata dall'01i. La Malfa, so,lleva11dola Cassa ad un livello più alto di responsabilità ed attribuenclo ad essa uria funzione di coordinamento della politica di sviluppo e quiridi della spesa pubblica relativa, risolverebbe il problema dei suoi rapporti con i ministeri e l'annosa questione delle spese aggiuritive e di quelle sostitutive. L'occasione inoltre sarebbe propizia per correggere i difetti manifestatisi negli anni scorsi, per renclere l'organismo più efficiente, per eliminare le cause di quelle criticlie che alla Cassa sono state spesso rivolte e che anche noi abbia1no fatte quando abbiamo constatato la facilità con cui, magari per coprire alcuni vuoti (ma spesso per non aver saputo resistere a pressioni di ordine elettoralistico), essa clilatava i suoi i11terventi a compiti che avrebberò clovuto rimanere di conipeteriza esclusiva dei ministeri, oppure quando abbiamo rilevato l'eccessiva burocratizzazione dei suoi uffici che rie lia limitato la capacità cli abbreviare i tempi degli interventi e della spesa. Le reazioni che la proposta La Malfa ha suscitato nei vari settori dello scliieramento politico era110prevedibili; ci meraviglia invece il fatto che essa abbia suscitato perplessità perfino in taluni ambienti della sinistrai democratica, i quali, forse, non si sono resi conto che in sostanza essa fornisce uria prospettiva di aziorie al centro-sinistra, e n,e inquadra in maniera organica le riveridicazioni programmatiche in materia di politica economica. La sinistra democristiana si è già dichiarata favorevole al progetto; vogliamo augurarci pertanto che le altre forze democratiche e socialiste, le quali proprio in questi giorni harino ripreso il dialogo clie era stato· interrotto· con la presentazione della moziorie socialista sulla fiducia, vogliano farne uno dei temi principali clella battaglia per il centro-sinistra preannunciata per il prossimo autunno. 7 I BibliotecaGino Bianco

La crisi siciliana e la Regione di Marco Cesarini Sforza I La giunta Corallo non è ( o non è stata: al momento in cui scriviamo la' vicenda è ben lungi dall'essersi conclusa) che un momento, una fase, e neppure la più drammatica o pittoresca, della lu11ga crisi che travaglia la Sicilia ormai da quattro anni. Nella impossibilità o, a·lmeno, nella estrema difficoltà di altre « aperture », tra le due soluzioni della crisi stessa, egualmente impossibili, suggerite dai due contrappdsti schieramenti (maggioranza convergente o maggioranza destrasinistra), una, ad un certo momento, si è dimostrata temporaneamente, e per un a'ccumularsi di circostanze politiche e psicologiche, meno impossibile dell'altra. L'im-passe era segnato ·da una constatazione molto semplice: la politica centrista o delle convergenze democratiche non aveva maggioranza, la maggioranza destra-sinistra non aveva una politica. A far quagliare la situazione sul secondo polo d'attrazione è stata, dopo quattro mesi di inutili tentativi, una serie di rea·zio11ile11tamente maturatesi e improvvisamente coagulatesi intorno al problema dello scioglime11to anticipato dell'Assemblea e alla nuova fase politica aperta a· Roma con la presentazione della mozione socialista di sfiducia al governo Fanfani. La paura di nuove elezioni, assai più che non il « frontismo » di Corrao contrapposto ~I « centrismo » di Pignatone, è stata determinante dell'atteggiamento finale del gruppo cristiano-sociale e del suo « voltafa·ccia » del giorno 30 giugno. Il grt1ppo socialista, a sua -volta, è stato unica1nente guidato, da un certo mome11to in poi, dal risentimento, per altro pienamente giustificato, contro le tenaci, scoperte e defatiganti manovre condotte dalla destra democristiana locale e dallo stesso gruppo dirigente della DC siciliana, nei loro tentativi di presentare la situa8 B bliotecaGino Bianco

zione palermitana, a Moro e a chi altri di dovere, come risolvibile esclusivamente sulla base di un'alleanza a destra'. A nessun partit.o la DC siciliana poteva chiedere, con qualche possibilità di veder accettata la ricl1iesta, quello che ha, per mesi, ricl1iesto ai socialisti: l'impossibile regalo di un appoggio tanto determinante quanto incondizionato e gratuito, tanto privo d~ scadenze quanto ricco di corresponsabilità. Quando, a Roma, è sembrato cl1e il PSI cc passasse all'opposizione », il dispositivo delle reazioni e controreazioni è scattato a Palermo: tra l'altro la· sinistra socialista è entrata in possesso di tutte le giustificazioni per rispolverare il suo latente frontismo. Sarebbe stato d'altra paTte strano che la DC accettasse in Sicilia i voti del partito che a Roma aveva preso l'iniziativa della lotta aperta· contro il suo attuale governo e che il PSI appoggiasse a Palermo ciò che osteggia in sede nazionale. Comunisti e destre di Majorana, infine, han110 svolto correttamente e coerentemente il loro gioco contro ogni solt1zione, dalla convergenza democratica al centro-sinistra, cl1e li ponesse ai margini della situazione. A che cosa è servita la giunta Corallo? Fin'ora a ben poco: non l1a neppure eliminato il pericolo di i11terventi anomali sul problema dello scioglimento anticipato dell'Assemblea. Probabilme11te ha fatto il contrario, riuscendo cioè a u11risultato completa1ne11te opposto da quello ufficialmente prefissasi, e che servì da giustificazione per la sua for1nazione; profondame11te contrastante, da t1lti1no con gli interessi immediati del partito socialista in Sicilia, che non so11certo quelli di affro11tare t1na nuova· co11sultazione elettorale. Per il momento la giunta Corallo non l1a avuto altro risultato che di offrire nuove, a11cLese surrettizie, ragio11i alla polemica antiregionalistica. Ed è questo il p1111to cl1e ci interessa. C' era1 del resto da aspettarsi, anche a prescindere dai timori e dalle reazioni suscitati dalla giunta Corallo, cl1e la lunga crisi siciliana avrebbe offerto auto1naticamente il pretesto per una nuova ondata offensiva contro la dottri11a' e la pratica del regionalismo e dell'autogoverno: contro le autonomie già i11atto e contro il regionalismo in prospettiva, come elemento struttura~e dello stato italiano, configurato in quegli articoli della Costituzione che son raggrupp.ati sotto il Titolo V e che sono, probabilme11te, i meno attuati della nostra legge fondamenta·le. Non è il caso di esaminare questa campagna di opinione pubblica nei particolari. Un rilievo cl1e però occorre fare è che voci antiregionalistiche, questa volta\ e con partiçolarissima chiarezza e violenza, si sono levate anche dall'interno dell'isola. Segnaliamo tra tutte quella ospitata dalla 9 BibliotecaGino Bianco

cc Tribu11a » del 5 maggio scorso a fìr1na del professor Virgilio Titone. Vi si legge che la Regione « ha esercitato ed esercita di fatto 11na funzione politicamente negativa e corruttrice » e che, · perchè la Sicilia risorga, occorre sopprimere le istituzioni autonomistiche « non meno, anzi più vergognose di quella piaga antica e rovinosa che è stata ed è tuttora· la mafia ». È vero: la polemica del Titone va dichiaratamente alle istituzioni regionalistiche nelle lorro forme attuali, il che sembrerebbe, a prima vista, limitarne la portata. Ma basta riflettere che le forme attuali dell'autonomia regionale altro non sono che l'autonomia stessa come fatto giuridico e come disposto costituzionale, cioè a dire altro non sono che l'autonomia in concreto, per renderci conto della profondità del disagio che i rece11ti casi della Sicilia hanno provocato presso laTghi strati dell'opinione pubblica qualificata e certo no11 accusabile di qualunquismo o di fascismo. All'inverso, occorre notare che una proposta come quella dello scioglimento anticipato dell' ARS e del ricorso a nuove elezio11i, che è stata da alcune parti così aspramente de11unciata come anti-autonomista, può essere considerata in realtà, in queste particolari circostanze, l'unico modo, se coperto dalle previste garanzie statutarie, serio ed onesto per salvare la Regione e il regionalismo, per ritrovare cioè presso il corpo elettorale la fonte stessa dell'autogoverno, quella possibilità di scelta e di differenziazione che è alla base del concetto stesso di autonomia1 amministrativa. Ci piacerebbe comunque poter dire che la reazione a questa offensiva anti-regionalista, da parte di quanti credono nell'autonomia, è stata troppo timida e incerta. In realtà, rea·zione non c'è stata affatto. Al contrario: ci si è lasciati spesso coinvolgere nel gioco delle forze anti-autonomistiche, consistente nel presentare la difficile soluzione della crisi siciliana come un fatto drammatico e gravissimo della vita naziona'le, e la crisi stessa come un evento eccezionale, sconvolgente non sappiamo \ quale normalità e tranquillità de1nocratica, come se la democra'zia non fosse continuo movimento, aggiustamento e adeguamento delle forme politiche alle sostanze. sociali. Ci si è compiaciuti, spesso, di parlare di ricatti; ricatti che sarebbero stati o verrebbero attualmente esercitati da questo o quel gruppo politico nei riguardi degli altri, dimenticando che in regime di democrazia pluripartitica non esiste, propriamente parlando, il ricatto politico, ma soltanto la normale e libera contrattazione delle posizioni di potere e delle concrete alleanze. Si è infine adottato, nei riguardi dei gruppi e dei partiti politici operanti a Palermo, un lin10 - Biblioteca Gino Bi neo

guaggio equivoco e i1111aturale,come qt1a11do si definiscono alcuni di essi, se 110n tutti, come cc gruppi di potere », quasi che la conquista o il mantenimento del potere non costituissero il fine ultimo e la sostanza stessa di ogni partito e gruppo politico. Il comportamento tenuto dall'Unione Cristiano Sociale potrà spiacere. Ma come mostrare sorpresa 1 e risentimento per il « voltafaccia » dei milazziani, quando si conoscono fin troppo bene le origini del gruppo (operazione Scelba-Sturzo contro la dirigenza fanfaniana in Sicilia) e la sua storia successiva (cessione di clientele politiche da parte del PCI in funzione anti-democristiana) e quando, per mesi e mesi, si è tentato di utilizzarlo come elemento di provocazione e di confusione, nella speranza di cc scavalcare » i socialisti a sinistra, da una parte, e nel riuscito disegno, dall'altra, di risospingere verso posizioni estreme le mezze-ali originariamente utilizza·bili? Veniamo al discorso che più ci interessa. Sembra a noi di poter dimostrare che un attento esame delle cause, dello svolgimento e dei modi propri dell'attuale crisi siciliana potrebbe portare a conclusioni diametralmente opposte a quella1 a cui sono pervenuti i nemici dell' autonomia. Ci sembra, per la verità, di poter dire che il problema generale del regionalismo e quello particolare dell'autonomia siciliana non vengo110, in altre parole, messi in causa dalla1 presente vicenda. E probabile, al contrario, che ciò che sta avvenendo oggi in Sicilia non derivi da un eccesso, ma anzi da un difetto di autonomia e di autogoverno o, meglio, dal modo equivoco, capovolto e sba·gliato, che ha caratterizzato fin qui, nel nostro paese, l'applicazione pratica del principio. Ciò che la lunga crisi siciliana mette dunque in discussione è, per noi, non già l'istituto della Regione come tale o la sua pratica attuazione in Sicilia (questo problema·, natt1ralmente, esiste, ed è grave ed t1rge11te;ma non ci interessa in qt1esta sede), bensì i concetti generali e le forme pratiche entro i quali l'attività regionaljstica di autogoverno nelle scelte e nelle decisioni è stata impostata e viene svolta nel nostro paese. Ciò che la crisi di Palermo mette in discussione sono dunque, ancora· una volta, i modi e le forme particolari e caratteristici della nostra democrazia: la sua struttura centralizzata e piramidale laddove dovrebbe essere di tipo federativo e decentrata, centrifuga e dispersiva laddove, invece, dovrebbe essere saldamente ancorata a un fuoco centrale; il suo sistema di comunicazioni a senso unico; i suoi criteri di rappresentatività e, in una parola, le sue deficienze proprio dal punto di vista dei meccanismi operanti le scelte e le decisioni particolari. Ciò 11 BibliotecaGino Bianco

che la crisi siciliana rimette con urgenza' sul tappeto, da ultimo, è IJer noi l'eterno, irresoluto problema dei rapporti tra Settentrione e Meridione d'Italia, cioè a dire degli schemi concreti, politici ed economici, entro i quali si determinano le relazioni tra i centri direzionali del paese e le sue zone ancora qu-asi esclusivamente ricettive, tra cc. centro » attivo .e « periferia » passiva. (I modi concreti e le deficienti caratteristiche strutturali della nostra democrazia sono stati ampiamente esaminati, in questi ultimi tempi, da· diversi punti di vista e per diversi settori. In che misu.ra, ci si è chiesti, le basi dei diversi partiti politici riescono ad influire sulla determinazione della linea politica dei partiti stessi e sulla loro concreta attività parlamentare? Chi prende le decisioni sindacali? Qual' è il concreto grado di rappresentatività degli istituti costituzionali? Eccetera. Occorrerebbe estendere questa indagine strutturale al titolo della Costituzione che riguarda i poteri locali e i relativi enti). Alcune osservazioni potranno servire di sostegno alla· nostra tesi. Se da una parte sono ampiamente rilevabili in Sicilia tutti quegli elementi, tipici d'una situazio11e di arretratezza economica, politico-sociale e culturale, che fanno cata·logare l'isola tra le zone sottosviluppate del nostro paese, è vero altresì, d'altra parte, che la Sicilia stessa è inserita in un contesto nazionale che, nel suo complesso e nel corso degli t1ltimi an11i,non può non essere considerato come sviluppato o, almeno, in via di sviluppo. Abbiamo perciò da una parte una società locale ancora sostanzialmente incapace di esprimere dal suo seno gruppi politici, e persino meramente sociologici, che possano promuoverne il rinnovamento dall'interno, per forza endogena, dall'altra una situazione ester- · ~a in fa·se di rapida produttività non soltanto di gruppi politicamente e socialmente rinnovatori, ma di istituzioni pratiche, pubbliche e privatistiche (nt1ovi strumenti di intervento eco11omico, piani di sviluppo, nuovi gruppi di pressione, nuove politiche: per esempio, il centrosinistra), che la Sicilia non è attualmente in grado di recepire. In altre parole, mentre in Sicilia (come in tutto il Mezzogiorno) sono attivamente presenti quelli che sogliono essere chiamati gli cc operatori sociali » su scala nazionale, sono invece assenti o quasi gli cc operatori » a livello regionale. È assente, in una parola, quella· classe dirigente economica, politica e ct1lturale che dovrebbe elaborare la linea di sviluppo locale o, almeno, adattare e tradurre i termini generali della politica di sviluppo nazionale al livello delle autonomie regionali. Bisogna essere onesti fino in fondo. La politica del centro-sinistra si può enucleare soltanto, in quanto sia una' reale, concreta esigenza 12 Biblioteca Gino Bia co

storica e in quanto dato permanente di sviluppo, su un terreno economico-sociale e su un'esigenza di problematica culturale caratterizzati dalla presenza di un qualche grado o specie di economia del benessere e da una situazione di sviluppo generale; da una situazione cioè di pieno impiego o assai vicina ad esso; dalla presenza, da una parte, di nuclei operai a tende11za riformista e socialdemocratica, dall'altra di nuclei padrona·li moderni; da un'alleanza, in ultima analisi, di ceti produttori piccoli, medi e grandi, che escluda cioè, da un lato, le situazioni a livello del monopolio, dall'altro quella al livello delle sussistenze. In mancanza di tutto ciò, il centro-sinistra può configurarsi soltanto come un'impazienza o, peggio, come una mera· combine parlamentare, se non addirittura come un tentativo del centro per fagocitare la sinistra, comprometterla e corromperla comunque. Accusare la Sicilia, e cioè la sua società e la sua classe politica· attuali, di non essere in grado di porre in essere una politica coerente con le scadenze già urgenti che si verificano presso il resto sviluppato della nazione, è un controsenso o, almeno, un ana·cronismo, una volta che venga riconosciuto come nell'isola manchino tuttora talune, e non delle meno importanti, delle co11dizioni economiche e culturali che, in tante altre zone del nostro paese, permettono di guardare a quella politica non soltanto come a· una combinazione sul piano della tranquillità governativa o a una garanzia contro eventuali avventure; ma come a un naturale, organico portato delle più avanzate strutture produttive nazionali. Basterebbe questo per scaricare la Sicilia da molte respo11sabilità. Ma c'è dell'altro. Gli « operatori sociali » a livello nazionale che, in mancanza di operatori a· livello regionale, impongo110 a Palermo i loro schemi e le loro soluzioni sono essenzialmente tre: i grandi partiti nanazionali i11sede politica, i grandi complessi industriali monopolistici del Nord in sede economica e la gerarchia cattolica. Sono queste le entità cl1e dettngono il potere reale in Sicilia. I grandi partiti, col loro distacco · tra basi e vertici, le loro comunicazioni e decisioni a senso unico e, · in:6.ne, la loro << politica » spesso contrapposta alle esigenze della puntua'le amministrazione. I grandi monopoli, con la loro azione di drenaggio di tutte le risorse, umane e finanziarie, reperibili sul luogo, il loro sviluppo a ciclo chiuso e la implacabile, continua violenza esercitata contro gli interess~ particolari locali. Sugli ideali, le direttive e la concreta attività dirigenziale della· gerarchia cattolica a Palermo non c'è bisogno di dilungarci. 13 ( BibliotecaGino Bianco

• • Sorge a questo pu11to un'obiezione. Il rapporto d_a noi postulato tra economia sviluppata e politica di centro-sinistra come diretto rapporto di causa ad effetto, può sembrare meccanico e comunque improduttivo, destinato a finire sulle secche dell'immobilismo e, perciò stesso, obiettivamente reazionario. Il rapporto di causa ad effetto non è, in- ·vero, sempre reversibile? L'ambiente economico non è forse sottosviluppato perchè manca una politica di centro sinistra? Prima· l'uovo o prima la gallina? Non si tratta di uova e di galline, ma di u11a politica di sviluppo generale e, allora, quello che importa· è trovare il primo anello della catena da mettere in tensione, il punto preciso sul quale applicare il vettore d'accelerazione. Vengono qui buoni alcuni rilievi, appena accennati all'inizio, circa il nostro modo di pensare l'autonomia· nei suoi termini concettuali generali, circa il co_ntenuto pratico che è stato storicamente assegnato al nostro ordinamento regionale e, infine, circa i compiti specifici affidati agli ordinamenti siciliani. In concreto, ci sembra di poter assumere come un dato obiettivo il fatto che le forze politiche espresse dalla Sicilia nel momento attuale si qualificano, e non possono fare diversamente, al livello della situazione economica, sociale e culturale, largame11te deficitaria, che è propria dell'isola. È un altro dato di fatto che le forze politiche che vengono espresse, o che cominciano a venir espresse, in sede nazionale si configurano invece ad u11 diverso e superiore livello, proprio in quanto espressione istituzionalizzata di u11 ambiente economico, sociale e culturale enormemente più sviluppato. Appare evidente che, in questa situazione, spetta alle forze politiche nazionali operare in Sicilia per modificare il terreno. La salvezza• per la Sicilia è rappresentata, secondo noi, da un sempre più stretto collegamento tra le sue forze economicl1e e sociali aperte in direzione dello sviluppo (e che 1 devono essere aiutate a svilupparsi sulla base di originali soluzioni autonomistiche) e le f_orze politicl1e na:zio11alipiù avanzate. La vita difficile e stenta del nostro attuale sistema di autonomia e di at1togoverno locale ci sembra derivare, in gran parte, dallo strano capovolgimento che abbiamo operato sulla scala della priorità. Abbia1no per così dire messo la Regione i11bilico sulla testa, con i piedi in aria. Abbiamo, in altre parole, centralizzato dove dovevamo decentrare e decentrato dove dovevan10 centralizzare. Abbiamo decentralizzato la politica e centralizzato l'amministrazione; affidato alla immatu14 BibliotecaGino • 1anco

rità locale le soluzioni politiche e avocato al vertice le soluzioni econ omiche (potere dei monopoli, Cassa del Mezzogiorno centralizzata, ma ncata o ritardata elaborazione dei piani di sviluppo locali, ecc.). Ciò che si impo11e, se si vuol salvare il salvabile, è di passare a u11 cc secondo tempo regionalistico » che, per parte nostra, 110n può non essere basato sul principio dell'autonomia delle scelte economiche e, al contrario, sulla interdipendenza e integrazione, organicamente co dificate e istituzionalizzate, delle scelte politiche. Le Regioni già esisten ti e quelle di cui si auspica la forma·zione devo110 poter decidere da so le dove, come, in cl1e misura, con quali i11tenti e con qt1ali strumen ti operare la loro svolta economica, ma devono essere fer1namente rico ndotte o mantenute 11ell'ambito della linea politica nazionale sul pia no dei rapporti giuridici e politici. Abbiamo fin qui fatto il contrario: a bbia1no imposto loro u11a linea ester11a e spesso estranea di sviluppo ec o11omicoe non siamo stati capaci di convogliarle nel se11sodello svilupp o . politico nazionale. Peggio: ci siamo serviti delle Regioni, in particolar e ' della Sicilia, per tentare di imporre linee politicl1e divergenti da quel le del nat11rale sviluppo in sede nazionale o abbiamo posto in essere timidi, anacronistici e irritanti te11tativi di verificare astratte e velleitar ie « co11cordanze >>• T11tto ciò in r)ratica, 110n vuol dir altro cl1e la lotta autonoma di og11isingola regione, e in particolare della Sicilia:, per il raggiungimento dei propri obiettivi economici e sociali ide11ti:6cati e perseguiti sulla base di un'autonomia delle scelte che sia chiaramente riconosciuta e onestame11te rispettata al centro, non puo 110n essere accompag11ata da una coscie11te e seria lotta politica contro l'attuale classe dirigente locale, che lJUÒ essere condotta soltanto dalle più avanzate dirigenze a· carattere nazionale. Per quanto riguarda le respo11sabilità sicilia11e occorre poi ricordare che la lunga crisi è 11ata, come non tutti ricor,dano, lontano da Palermo e sulla base di un calcolo e di un'esigenza che non hann o niente a cl1e fare con l'autonomia isolana e che, anzi, contrastano a d essa proprio i11 quanto parti organiche di un piano elaborato in sed e centrale e da forze dichiaratamente anti-autonomistiche. L'obiettivo di colo[o che apriro110 la crisi era di gettare un problema assolutamente irrisolvibile su una soluzione convergente tra i piedi del temutissimo , al momento, governo Fa_nfani, che osservava con palese interesse la· vicenda interna del PSI e che si configurava ancora, nell'inverno scors o, come formazio11e dicl1iaratamente a11tifascista·, uscita dall'esperienza d ei 15 BibliotecaGino Bianco I

fatti del luglio 1960. Alle giunte comunali di centro-sinistra si volle contrapporre, _nella speranza di ottenere immediate ripercussioni i11campo nazionale, una vicenda· esemplare, questa volta, del peso che le destre ancora conservano e capace di offrire {in'occasione di rivalutazione politica sia al PLI che alle correnti conservatrici della Democrazia: Cri- · stiana. Il regionalismo e l'autonomia non c'entrano per nulla. Esiste evidentemente il pericolò che queste 11ostre considerazioni siano comprese come una sconsolata· ammissione: in Sicilia, allo stato dei fatti, la soluzione di centro-destra è la sola possibile e realizzabile. Se così fosse, non ci sarebbe che rispolverare il vecchio detto secondo cui chi semina ~ento raccoglie tempesta. Il modo come la DC e tutte le altre forze politiche hanno puntato in Sicilia su gli elementi deteriori d'u-na situazione sociale e produttiva già così largamente deficitaria; il duro schiacciamento che i grandi monopoli hanno effettuato, in sede economica, di ogni germe di rinnovamento auto!)omo e di ogni forma·- zione di nuovi, moderni ceti imprenditoriali; la mancata industrializzazione; la mancata riforma agraria; il regime di universa·le corruzione che è in gran parte diretto portato dello strumentalismo centralistico de1 gruppi politici nazionali; tutto ciò non poteva dare che frutti amari. Sulla scala delle responsabilità vanno collocati, press'a poco allo stesso gradino, democristiani e comunisti. I primi con la loro incapacità di rottura' con le destre locali, dentro e fuor1 il partito, con la loro incapacità a rinunciare a un solo voto e, quindi, col loro puntare! sulle vecchie clientele, mafie e cricche; i secondi col loro tradimento della piccola e media borghesia produttrice dell'isola, in formazione e ricca di slancio ali' epoca della Sicindustria', e la loro successiva alleanza, a obiettivo nazionale, con i gruppi eversori della destra economica locale. Ci pare infine opportuno far rilevare che, almeno fino a questo 1nomento, la crisi siciliana non hc:tdato luogo, se non marginalmente, a quei vistosi e sconcertanti fenomeni di trasformismo o, meglio, di amoralismo politico a cui Palermo ci aveva abituati. Non ci sono stati scandali, o qua'Si. Gli_inviati speciali acquartierati nel famoso atrio del1' Albergo delle Palme si lamentavano cl1e~ questa volta, mancasse il solito, lacrimevole o divertente « colore locale », il « folklore » degli intrallazzi personali, i voti a sorpresa, le schiere di franchi tiratori. I gruppi hanno sempre votato compatti. A questo spettacolo di maggior dignità offerto dall'Assemblea non ha corrisposto, invece, la chiarezza e l'onestà delle direttive che ai vari gruppi locali provenivano e provengono dalle centrali nazionali. È in16 Biblioteca Gino Bianco

dubbio che anche questa volta siano partiti da Romtt espliciti suggerimenti per il ritorno alla pratica dei « deputati squillo », delle offerte sottobanco, del mercato delle posizioni di sottogoverno. È però nostra impressione che gli esponenti locali abbiano questa· volta condotto simili tentativi con una sostanziale sfiducia nella loro riuscita. Va da sè che il gioco dei tentati cc ricuperi » si è svolto in forma incrociata dalle due a'lf verso il centro e dal centro verso le ali e che, infine, è pur questa l'Assemblea che ha tranquillamente digerito le scandalose conclusioni dell'inchiesta sull'altretta11to scandaloso caso Corrao-SantalcoMarrato. Il fatto è che ci sembra di poter dire che 1' attuale crisi siciliana ha almeno un significato positivo. Si dice che tutte le sorprese sono sempre possibili in Sicilia, ed è vero. Ma ci sembra che, almeno fino a questo momento, un dato sia a:cquisibile, ed è la fine del milazzismo. Le votazioni che hanno visto sommersi i voti delle destre e delle sinistre e la immediata non accettazione di esse da parte del candidato delle sinistre sono state, dal quotidiano socialdemocratico, a·ssimilate, sotto la formula cc milazzismo con dimissioni », al milazzismo vero e proprio; ma si tratta 'di un'assimilazione di puro comodo centrista. In realtà, il significato e la portata· delle concentrazioni di voti verificatesi sul nome del deputato Martinez dapprima e di Corallo in seguito sono state esattamente giudicate quando sono state identificate come votazioni a dispetto o di convergenza negativa·. Voti chiaramente definiti come protestatari e volti ad impedire il verificarsi di un evento più che a porre i11essere l'evento contrario. La giunta Corallo deve essere giudicata st1 questo piano di estremo avvertimento o richiamo. Ogni realtà politica, specialmente in Sicilia•, ha più d'una faccia e di un significato; ma ci sembra di poter dire cl1e il volto domina11te dell'operazione Corallo è pur sempre quello di un durissimo, estremo richiamo alle comuni responsabilità democratiche. Occorre a questo punto avanzare un'ultima considerazione. La fine del milazzismo in Sicilia non è, come vogliono le opposte propa·gande delle estreme, il trionfo dell' anti-regione e della dittatura esercitata da Roma, bensì esattamente il contrario: è la fine e il fallimento di una serie di operazioni con,dotte in Sicilia su suggerimento e in base a piani elaborati in sede centrale. Il milazzismo fu a suo tempo presentato, e tale continua ad essere co_nsiderato da molti ancl1e di parte democratica, come l'insorgenza della' volontà autonomistica dell'isola contro le imposizioni del centro, come .una ventata o una svolta regionalistica 17 BibliotecaGino Bianco I (

pura e come l'operazione che metteva fi11almente i destini della Sicilia in mano alla Sicilia stessa·: era la soluzione «siciliana» dei problemi siciliani, la rivolta della coscienza e degli interessi locali contro, volta a volta, la burocrazia o la partitocrazia•, lo sbocco cc originale » che l'isola dava alla sua crisi. Tutto ciò servì e serve a una parte dell' opi-· nione pubblica e, ripetiamo, dello stesso ambiente democratico.. a far sospettare il cattivo, odore d'intrallazzo e di manca11za di principi che emanav~ dal pasticcio. Persino l'insorgenza di cc folklorismo » e di cc colore locale » che lo ha accompagnato, e il pittoresco dei suoi personaggi, sono in qt1alche modo serviti al milazzismo da equivoco lasciapassare. I In realtà, come il milazzismo delle origini, quello di Caltagirone, i ! fu un'operazione freddamente meditata e attuata su iniziative delle det , stre nazionali, così il milazzismo della seconda maniera, quello che / sboccò nella fondazione dell'Unione Cristiano Sociale e nel successo J elettorale, fu altrettanto apertamente un'operazione cl1e la spregiudica- ; tezza comunista volle tentare approfittando dell'autonomia, e non in t i favore di essa, e rispondente, su terreno dottrinale, addirittura a una i l impostazione che per i comu11jsti è di validità generale: la st1ggerita ' alleanza tra le classi lavoratrici e la borgl1esia nazio11alista (in questo particolare caso at1tonomista per interessi particolari) in quei paesi sot- · tosviluppati cl1e sembra possibile portare rapidamente sul terre110 della lotta di classe. Tutto ciò fa un po' ridere, in riferimento ai destini rivoluzionari dei deputati Macaluso e Majorana della Nicchiara; ma vale a ricordare che la fine del milazzismo si configt1ra in realtà come svincolamento della politica sicilia·na, se non altro, almeno dallo strumentalismo delle destre e delle sinistre di classe. Ci sembra che soltanto dopo che questa fondamentale operazione sarà condotta a termine, e nuove elezioni potran110 rivelarsi utilissime in questa direzione, la Sicilia potrà essere avviata, se11za impazienze, a un allineamento rispetto al resto d'Italia che non pl1Ò non essere, • prima ancora che p<;>litico,economico-sociale, tecnico e produttivistico; e il pensiero regionalistico, dal canto suo, avviato a trarre dall'esperienza motivi e ragioni per la sua riqualificazione in senso moderno. 18 Biblioteca Gino Bianco

• 1 punti di frizione di Federico Gozzi I cc punti di frizione » di ct1i qui si vuol parlare non sono i cc luoghi geografici » in cui l'Occide11te s'incontra e si scontra con il continente comunista. In effetti la cortina di ferro in Europa e la cortina di bambù in Asia 11011costituiscono, con la loro esistenza, una causa di tensione tra i due blocchi contrapposti; e si potrebbe dire, anzi; che la loro esistenza o, per dir meglio, il fatto di fissarle e di riconoscerle come stabili da entrambe le parti potrebbe rappresentare - ed ha in realtà rappresentato, almeno in alcuni momenti della storia degli t1ltimi quindici anni - un modo di allentare la tensione. La spartizione dell'Indocina consumata a Ginevra nel 1954, ad esempio, e la conseguente instaurazione di una linea divisoria tra1 la Repubblica Popolare Indocinese e la Repubblica del Viet-Nam del Sud, ponendo fine alla guerra 11ella penisola indocinese e stabilizzando le posizioni delle due parti i11contrasto contribuì, per un certo tempo, a scaricare la' tensione in quella regione del Sud-Est asiatico. E se oggi in tale zona v'è di nuovo un aperto conflitto (si pensi al Laos) o un conflitto latente (si pe11si alla difficile situazio,ne creata dalle infiltra•zioni delle truppe comuniste del Wiet-Min nel Viet-Nam del Sud), ciò è dovuto non al fatto fisico dell'esistenza di una barriera, della presenza intorno ad u11 connne delle due parti co11trapposte, ma alla1 volontà politica dei dirigenti comunisti di alterare a loro vantaggio la situazione stabilita a Ginevra sette anni fa, di allargare le loro conquiste e di tentare l' occupazione dell'intera penisola. E non vi è chi non veda che una simile volontà politica di sovver_sione di un certo status quo, con il conseguente aggravamento della tensione internazionale, può essere fatta· valere anche in e< luoghi geografici » dove non vi sia nessuna cortina 19 BibliotecaGino Bianco

• di ferro o q.i bambù: ad esempio, il riprodursi di situazioni di tipo cubano in altri paesi del continente latino-americano ad iniziativa dei comunisti locali e la proclamazione rumorosa e provocatoria di nuove « repubbliche socialiste » in quel co11tinente renderebbe certamente assai peggiori i rapporti tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. I punti. di frizione sono, insomma, i ·problemi politici dalla· cui soluzione dipende la stabilità o una cronica instabilità della situazione internazionale, e quindi, a lungo andare, la guerra o la pace nel nostro tempo. Ed oggi questi' problemi si chiamano: Berlino e le Na•zioni Unite. Il problema di Berlino è il primo dei punti di frizione tra i due blocchi che si presenta alla mente degli osservatori di cose politiche non soltanto perchè di tutti è quello più attuale, ma anche perchè esso appare oggi il problema sul quale i dirigenti del Cremlino sembrano determinati _a·dinsistere per saggiare le intenzioni e la capacità di resistenza degli alleati occidentali, fino ai margini del rischio supremo. E spontanea affiora, a questo punto, la domanda sulle ragioni che inducono i sovietici ad una così pericolosa esercita•zione po1itica. cc Gli ohiettivi ·di Krusciov nel sollevare la questione ·di Berlino - ha scritto l' ' Observer' - sono chiari e coerenti. Da molto tempo egli desidera consolidare la sfera d'influenza russa nell'Europa orientale, e crede ora di essere a·bbastanza forte per poter realizzare questo fine. E per fare ciò sono necessarie tre cose: fissare st1ll'Oder-Neisse la frontiera orientale della Germania; far accettare come permanente la divisione della Germania; riformare la situazione di Berlino, che insidia la bellezza di questo disegno ». L'Unione Sovietica, insomma, non tenderebbe a·d altro che a fissare ancora più stabilmente la cortina di ferro in Europa, a far accettare come legittimo lo status quo europeo da parte degli a1leati occidentali, che ne avrebbero sempre co11testato la legittimità, e finalmente a togliersi la spina. nel fianco di Berlino. E se queste sono Ie intenzioni dei dirigenti di Mosca - tale è la deduzione logica che tutti i campioni -europei del wishfull thinking traggono da questa dia- . gnosi - è evidente ·che esiste un margine per fruttuosi negoziati per gli alleati occidenta'li. Questi, in effetti, non hanno mai pensato seriamente in passato e meno ancora pensano oggi di rivoluzionare lo status quo europeo: da questo ad accettarlo formalmente in cambio di concrete garanzie per la libertà di due milioni e mezzo di a·bitanti di Berlino-Ovest il passo è breve, ed è un passo che può essere fatto senza eccessive preoccupazioni. Gli occidentali devono far intendere chiara20 BibliotecaGinoBianco· ; •

mente che essi sono disposti a difendere Berlino al rischio della guerra atomica' (t,ale è l'opinione dei circoli più o meno coerentemente neutralistici); ma devono, al tempo stesso, far comprendere ai russi che essi non difendono niente altro che la libertà dei berline~i. Si tratterebbe, l] quindi, di negoziare la libertà di Berlino co11tro un riconoscimento / della Germania di Pankow; tutto il resto: il _titolo giuridico della presenza degli alleati a Berlino (se, cioè, essi han110 diritto di starci come vincitori della seconda guerra mondiale o come garanti di un nuovo statuto, liberamente contrattato, della città), l'autorità che dovrà timbrare i passaporti ,di cl1i si reca nella città; tutto il resto non solo ' è cosa secondaria, ma addirittura non costituisce neppure un problema. i Gli occide11tali non possono e non devono far la guerra solo perchè: ad Ulbricht è venuto lo smodato ed irrefrenabile desiderio che sia: un doganiere germanico e non un sergente dell'Armata Rossa a timbrare · i passaporti di quelli che vanno nell' e;x-capitale del Reich. È facile osservare che questo è un discorso contraddittorio ed assai poco intelligente. E innanzi tutto è necessario chiarire che quando si parla di volontà sovietica di co11solidare lo status quo dell'Europa orientale, si dice t1na cosa sommamente imprecisa : poichè è un fatto difficilm.e11tediscutibile che gli alleati occidentali hanno riconosciuto . lo status quo· dell'Europa orientale e intrattengono relazioni diplomati.che con tutti i satelliti europei dell'Unione Sovietica, tranne la'. Germania di Pankow. E i dirigenti del Cremlino san110 benissimo che le 11azioni democraticl1e dell'Occidente, anche se ritengono estremamente penoso il fatto cl1e polacchi ed ungheresi e rumeni debbano essere oppressi da un regime· totalitatio, non farebbero mai la guerra per alterare questo stato di cose:· dopo tutto alla Segreteria di Stato a Wa- _, shington, al momento dell'insurrezione a Budapest e della rivolta antisovietica· in tutta l'Ungheria, v'era proprio Dulles, teorico del roll back. E, d'altro canto, gli stessi dirigenti russi sono politici troppo realisti ' per non sapere che il giorno in cui dovessero verificarsi casi simili a •quello della Jugoslavia, gli stessi alleati non potrebbero consentire., per ragioni morali prima ancora'. che politiche, un interve11to armato sovietico. Accettare formalmente l'Oder-Neisse come confine orientale della ' Germania non equivale, ovviamente, e non può equivalere ad accettare l'irrevoca·bilità del regime ,,..comu11istain Polonia, in Ungheria, in Romania o nella stessa Germania dell'Est e ad accettare che, il giorno in cui uno di questi paesi o tutti questi paesi decidessero di staccarsi dal blocco sovietico, l'Armata Rossa' avrebbe il diritto di intervenire per 21 Biblioteca Gino Bianco \ ,

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