Nord e Sud - anno VI - n. 56 - luglio 1959

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO VI * NUMERO 5G * LUGLIO 1959 _Bibliotecaginobianco

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:Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Giuseppe Ciranna Renato Giordano Editoriale [ 3] Da un congresso all'altro [ 6] La difficile strada per l'Europa [19] GIORNALEA PIÙ VOCI N.d.R. Caso La Cavera, Confindustria, Partito Liberale [32] Raffaello Franchini · Educazione civica e storia patria [35] Mario Durissimi Elezioni universitarie e minoranze etniche a Trieste [37] INCHIESTE Nello Ajello La stampa infantile in Italia (III) [ 42] MIGRAZIONIE INSEDIAMENTI NELL'ITALIAMERIDIONALE Corrado Beguinot Movimenti di popolazione e problemi urbanistici (Il) [65] RASSEGNE Alessandro Fantoli Sulla soglia del MEC [97] LETTERE AL DIRETTORE Guido Botta Il gattopardo [115] Una copia L. 300 • Eotero L. 360 Abbonamenti 1 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C.C..P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo M.ondadori Editore • Mi~ano Bibliotecaginobianco CRONACA LIBRARIA [ 121] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918. DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Amministrazione Rivista « Nord e Sud » Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Telefono 851.140

Editoriale Siamo sulle soglie dell'estate e il momento è forse quanto mai propizio per gli esami di coscienza degli uomini e dei partiti che delle nuove condizioni politiche in cui versa l'Europa occidentale sono direttamente o indirettamente responsabili. Nuove sono infatti le condizioni politiche europee se le confrontiamo a quelle del 1956; e due sono i dati che emergono a prima vista quando si guarda, sia pure panoramicamente, alle cose italiane o a quelle francesi, e alle cose europee in genere: 1) il processo di integrazione eco1iomica non è stato liquidato, ma non è neanche potuto andare avanti, non diciamo verso l'auspicata integrazione politica, ma almeno verso un consolidamento dei risultati acquisiti; 2) si è delineata in Italia e in Francia una ripresa dei partiti comunisti che stanno per uscire dall'isolamento, essendosi slargate le prospettive frontiste, essendosi più che mai . in Italia e in Francia ristabilito quel clima fascistoide in cui il frontismo . . comunista riesce sempre a prosperare. Siamo in presenza, come si vede, d{ due dati politici che sono stretta1nente interdipendenti, l'uno e l'altro connessi al fatto che nel 1958 e nel 1959 determinate soluzioni di destra sono prevalse in Francia prima ed in, Italia poi, facendo peraltro più o meno fondatarrJente temere che soluzioni no_1idiverse stiano maturando in un prossimo avvenire per la Germania e per il Belgio. E mentre le ombre del nazionalismo, da un lato, e quelle del frontismo, da un altro lato, si proiettano sull'Europa occidentale, vi è stato chi, al di qua e al di là dell'Atlantico, ha fatto circolare voci, o ha preso addirittura iniziative, relativamente a un ingresso di Franco nel Patto Atlantico. La democrazia disarma, verrebbe fatto di dire quando ci si trova in presenza di voci e di iniziative del genere: perchè l'arma fondamentale [3] Bibliotecaginobianco

dell'Alleanza Atlantica _____, piaccia o non piaccia al Cardinale Ruffini ed ai fautori italiani, francesi o americani della cooptazione di Franco da parte della NATO - consiste nell'essere questa alleanza fondata su principi che risalgonoalla proclamazione dei diritti dell'uomo e alla dichiarazione d'indipendenza: su principii che tagliano fuori Franco e qualificano tutte le soluzioni più o meno tinte di fascismo, di nazionalismo, di clericalismo, come malattie assaigravi, che da questo o quel paese, dove avesseroa manifestarsi, possono dilatarsi a tutto l'organismo politico dell'Occidente, possono indebolirlo fino al punto in cui la « coesistenza competitiva >> sarebbe per l'Occidente una partita perduta. Il fatto che in Francia abbia prevalso una formazione politica eterogenea ed ambigua da tutti i punti di vista, tranne che da quello della gretta demagogia nazio_nalisticasulla quale fonda le proprie fortune, produce ora i suoi effetti; e sono effetti t9ssici per l'Alleanza atlantica, manifestazioni di grettezza nazionalistica, appunto, che non indeboliscono l'Alleanza soltanto sul piano militare ( il caso della flotta francese e quello degli aeroporti della NATO sul territorio della Quinta Repubblica), ma anche sul piano politico ( battute d'arresto dell'europeismo, cedimenti dello spirito comunitario, sedimentazione di rancori nazionalistici, ecc.). Non solo: nel clima politico della V Repubblica, i comunisti - 1 che dalla IV Repubblica erano stati condannati a un logorante isolamento e che nel 1956, dopo i fatti d'Ungheria, avevano perduto ogni mordente politico e cominciavano a dar segni di flessione anche sul piano elettorale ~ hanno potuto uscire dall'isolamento, giustificare le ragioni della propria oppo- . sizione, aprire il processo alla socialdemocrazia, rilanciare le formule del fronte popolare e riallacciareanche i primi legami frontisti. Queste considerazioni relative al rilancio del frontismo valgono anche per l'Italia. Anche in Italia nel 1956 i comunisti erano « a terra >>: perdevano voti e subivano secessioni. Oggi, invece, guadagnano voti ( ne hanno guadagnati nelle recenti elezioni locali, spesso a danno dei socialisti, a volte richiamandone da tutti i settori dello schieramento politico) e reclutano nuove adesioni, profittando delle numerose occasioniche hanno creato per loro i fautori dell'apertura a destra. Ma i cardinali come Ruffini, ed i sagrestani co1ne ·Cioccetti, quando assumono certi atteggiamenti, quando intervengono a proposito di certe questioni, quando esprimono certe preferenze politiche, non possono capire quanto quei loro atteggiamenti, in- [4] Bjbliotecaginobianco

terventi, preferenze giovino ai comunisti. E perciò dovrebbero essere messi in condizione di non nuocere da chi, in Vaticano o nella DC, sia dotato di un maggior senso di responsabilità politica, di una maggiore disposizione a interpretare la lezione delle cose. E' intorno a questa lezione delle cose che ci viene dall'esperienza francese e dall'esperienza italiana degli ultimi anni; è intorno alle ragioni per cui il comunismo ha potuto riprendere quota dopo il novembre del 1956; è intorno allo indebolimento dei nessi e dei principi stessi dell'Alleanza Atlantica, e quindi intorno al rischio di un indebolimento della sua capacità di fare fronte alle esigenze ideali e politiche della « coesistenza competitiva )): è intorno a questi elementi del paesaggio politico occidentale, quale si presenta sulle soglie di questa estate del 1959, che, al di qua e al di là dell'Atlantico, è necessario un « angoscioso riesame )) della situazione politica generale, ed in particolare degli affari interni della Comunità Atlantica. Oggi si ripropone il problema della democrazia che non deve disarmare, e che, al totalitarismo, deve poter contrapporre, in ogni luogo ed in ogni momento, sempre nuovi avanzamenti, e mai un cedimento, sul terreno del liberalismo. E perciò quei cedimenti che in questo senso si sono avuti, o che soltanto si minacciano, in Francia ed in Italia, sono un affare interno, e di non irrilevante peso politico, di tutta la Comunità atlantica. [5] Bibliotecaginobianco

Da un congresso ali' altro di Giuseppe Ciranna Sono anr1i che si è costretti all'attesa di nuovi schieramenti politici e di nuove maggioranze che facciano fare dei passi avanti alla democrazia nel nostro Paese; sono anni che gli ambienti della sinistra democratica - dai repubblicani, ai radicali, ai « socialisti senza tessera )), a certi gruppi culturali - continuano a guardare con fiducia a talune correnti del partito cattolico e agli autonomisti del Partito socialista come alle forze politiche che sole potrebbero determinare, se lo volessero e se fossero animate da un coerente impegno di lotta sui due fronti, una prospettiva di sviluppo democratico, uri.a nuova e diversa situazione politico-parlamentare, in altri termini un'alternativa di centro-sinistra. Sono anni, purtroppo, che questa attesa e questa fiducia vengono puntualmente deluse, che le scelte più impegnative vengono regolarmente rinviate da un congresso all'altro, mentre si continua a dire o a scrivere che i partiti democratici devono precisare, e senza equivoci, le proprie vocazioni, porre termine all'equivoco gioco dei rinvii che sta caratterizzando, a tutti i livelli e in tutte le sedi, la condotta delle dirigenze politiche. Oggi siamo alla vigilia di un altro congresso, di quello del maggiore partito italiano. E' lecito quindi ritenere che le maggiori responsabilità spettino, da questo momento, ai democristiani, i quali dovranno decidere se intendono allargare a sinistra la base del governo, cioè fornire una piattaforma per una politica di centro-sinistra, o accettare anche in futuro il condizionamento filofascista e clericale, o infine se ritengono di dover insistere in formule inattuali e superate, nell'illusione di poter far rivivere, anche dopo l'avvenuta usurpazione del Partito liberale da parte dei ceti padronali, la tradizione degasperiana delle alleanze e dei governi di concentrazione democratica. Ma poichè in regime democratico [6] Bibliotecaginobianco ·

le responsabilità sono solidali, e nessun gruppo o partito politico, per piccolo che sia, può permettersi, come è stato giustamente detto, il lusso dell' evasione, ecco quindi che anche i partiti della sinistra democratica e il Partito socialista sono di nuovo di fronte alla necessità di precisare la propria condottà politica e i propri programmi, di trarre meditata e realistica conclusione dalle discussioni e dalle polemiche dei mesi scorsi, soprattutto di trarre dagli avvenimenti degli ultimi mesi un qualche insegnamento. Alcuni recenti articoli de La, Vace Repubblicana hanno efficacemente posto il problema della condotta delle forze laiche e socialiste rispetto alle posizioni che si stanno delineando in questa fase del dibattito precongressuale democristiano, ed hanno lasciato intendere qual'è la direzione in cui intendono muoversi i repubblicani, quale è il tipo di scelta che intendono fare. Può dirsi altrettanto degli altri gruppi della sinistra democratica e del Partito socialista? Può dirsi che tutti questi ambienti si rendono oramai conto del fatto che le insidie reazionarie insite nella presente situazione italiana li pongono dinanzi ad esigenze e responsabilità nuove, cui non è più lecito sottrarsi? E d'altra parte la politica di « apertura )), che sembra proporre l'organo del P.R.I. a democristiani e socialisti, trova davvero concordi, non diciamo i socialisti, ma anche taluni ambienti della sinistra democra- . tica (si confronti, per esempio, un editoriale dell'Espresso, pubblicato il 21 giugno: « La vera chiusura )))? E, quanto ai socialisti autonomisti, sono disposti a considerare il dialogo con i cattolici per una politica di « apertura a sinistra >) l'unica alternativa possibile a quel « nullismo >) politico di cui li accusa la corrente di Valori e Vecchietti? V'è, infine, una politica della sinistra democratica, di tutta la sinistra democratica, nei confronti del P.S.I., ove si prescinda dalle propensioni di simpatia di questo_o quel gruppo, di questo o quell'esponente più o meno autorevole? Si dovrà pur rispondere a questi interrogativi. Dal canto nostro, come interlocutori in un dialogo che interessa tutti i gruppi e tutti i settori della sinistra democratica, riteniamo che sia per chiunque doveroso recare il proprio contributo all'esatta intelligenza dei problemi di schieramento e di scelte programmatiche che ci stanno dinanzi, e quindi alla loro soluzione; tanto più quando si è convinti che, come già in occasione della crisi Fanfani, anche in futuro (ma per quanto tempo ancora?) l'atteggiamento dei partiti della sinistra laica giocherà un ruolo non secondario, sia che essi vorranno favorire l'incontro tra forze cattoliche, laiche e socialiste su [7] Bibliotecaginobianco

di un terreno di franca intesa democratica, in altri termini una soluzione di centro-sinistra al problema della maggioranza politico-parlamentare, sia che preferiranno invece fornire alibi tanto ai socialisti che ai democristianio Alla vigilia del Congresso del Partito socialista questa rivista, prendendo in esame i dati della situazione italiana e le posizioni che si potevano riscontrare nel campo della sinistra democratica, ebbe modo di osservare che quest'ultima si presentava divisa non tanto per ciò che concerneva l'atteggiamento da tenere rispetto al governo allora in carica (quello risultante dall'alleanza Fanfani-Saragat su di una formula di centro-sinistra), quanto rispetto alla strategia di fondo, al dilemma che stava dinanzi: la sinistra democratica doveva decidere se considerare possibile e auspicabile l'alleanza tra cattolici e socialisti, o invece se ritenersi disponibile per l' avvento di una maggioranza di socialisti; doveva in altri termini scegliere tra la politica di « _apertura a sinistra )>, propugnata da alcuni, e la politica di « alternativa democratica >) o « 1i potere ))' difesa con pari accanimento e convinzione da altri. Dicemmo anche che a nostro parere non si poteva fare scelta diversa da quella dell'apertura, di una politica cioè che consentisse l'allargamento a sinistra della base della maggioranza di governo, l'alleanza tra i cattolici e le forze della sinistra democratica e socialista. Respingere questa politica, scegliere invece la formula più suggestiva, ma anche meno chiara e piena di incognite, dell'alternativa avrebbe potuto lasciare libero il campo alla controffensiva conservatrice, o peggio ancora reazionaria, spingere i cattolici a destra, indebolire quelle correnti moderne e sinceramente democratiche che pure militano nel partito democristiano. Aggiungevamo che questo era un modo realistico di porre il problema dello sviluppo democratico del Paese, perchè la nostra indicazione teneva conto della realtà delle forze e degli interessi in gioco. L'insistere sulla formula dell'alternativa, a breve o a lunga scadenza poco importa, avrebbe sottratto le forze politiche democratiche non cattoliche alle responsabilità attuali, le avrebbe rese indifferenti ai problemi della direzione dello Stato: in sostanza avrebbe giovato ai comunisti, che perseguono logicamente una opposizione di regime, e alle forze reazionarie e clericali, alla destra democristiana che le rappresenta nello schieramento di maggioranza, e che dava chiari segni sin d'allora di voler provocare, con la caduta del governo Fanfani-Saragat, un'inversione di rotta negli orientamenti della D.C. (erano già entrati in attività i « franchi tiratori >>) • . [8] Bibliotecaginobianco

Era questa, come si vede, una tesi che cercava di restare aderente ai dati della situazione politica come si presentava nel dicembre dello scorso anno; d'altra parte, una posizione come la nostra si giustificava anche con la preoccupazione, chiaramente sottintesa, che la sinistra democratica non avesse, con il lasciare ad altri l'iniziativa delle scelte, a subire, più che a determinare, il corso degli eventi politici. Ma ci venne obiettato, sia allora che dopo il Congresso socialista, che noi badavamo più alle formule che alla sostanza di una politica di centro-sinistra; e che se, da questo punto di vista, il nostro modo di ragionare era corretto, e le nostre preocc11pazioni apparivano legittime, tanto da pot~r essere in gran parte condivise, noi d'altronde mostravamo di ignorare che la Democrazia cristiana era un partito il quale, ancorchè diretto da Fanfani, non dava affidamento di sincerità democratica e di correttezza politica. E ci fu, sempre nel campo della sinistra democratica, chi fece notare che l' cc alternativa )> era una esigenza di fondo che lievitava nella coscienza delle masse, stanche del1 'egemonia democristiana, e dei governi centristi, quadripartiti, bipartiti, ecc.; era una prospettiva politica che le fortune crescenti del P.S.I. rendevano consistente e reale. Nessun dubbio quindi che il P.S.I. meritasse completa fiducia, soprattutto dopo il Congresso di Napoli che ha visto la vittoria degli autonomisti, e con il quale i socialisti si sarebbero pronunciati per il perseguimento di quella politica di « alternativa » che dovrebbe quanto prima restituire allo schieramento socialista e democratico di sinistra la leadership del Paese. E ci fu chi, pur mantenendo qualche riserva sul programma dei socialisti, sostenne che non si doveva, comunque, con l'offrire una collaborazione alla D.C. odierna ·fino alle elezioni, rinunciare alla speranza di costituire un vasto movimento di opinione intorno al Partito socialista; e che bene avrebbe fatto la sinistra laica a schierarsi tutta da una parte, a mettere i democristiani alla pròva, ad elaborare dall'opposizione una << reale politica di sinistra, che interessi non solo i laici, ma i democratici cristiani che tale politica intendano e vogliano: una politica, per l'appunto, di 'alternativa' rispetto a quella finora seguita dalla D.C. )) (cfr. A.Bt. su La, Voce Repubblicana del 20 marzo) . . Presentate così le due posizioni su cui si è divisa l'opinione della sinistra democratica, val la pena di avvertire che alle stesse tesi erano e continuano ad essere parimenti interessati, pro o contro, larghi settori del partito democristiano, il partito socialdemocratico, il partito socialista, cioè alcuni . [9] Bibliotecaginobianco

dei maggiori e diretti protagonisti della politica italiana. Porre il dilemma tra politica di « apertura a sinistra )) e politica di « alternativa )), e sottolineare l'urgenza di una scelta, non significava quindi invitare a discutere in astratto sulla superiorità di questa o di quella formula (e del resto, il dibattito politico non si svolgeva appunto su queste formule?), bensì scegliere tra le prospettive che concretamente si offrivano all'una o all'altra politica che le formule sottintendevano e compendiavano. Era evidente che le due posizioni - l'una fedele alla continuità della politica di centrosinistra che sembrava accettata dalla maggioranza democristiana dopo le elezioni del 25 maggio 1958, l'altra che invece respingeva ogni forma di collaborazione diretta e anche indiretta con la D.C. da parte di radicali, repubblicani, socialisti, socialdemocratici - implicavano le possibilità dei futuri schieramenti, in una parola le possibilità future della politica italiana. Si poteva factlmente prevedere che in difetto di una scelta tempestiva, o soltanto con l'allineamento dei partiti del centro-sinistra sulla tesi socialista dell'« alternativa)), il precario equilibrio su cui si manteneva la posizione dell 'on. Fanfani sia alla segreteria del partito democristiano sia al governo si sarebbe alterato, con conseguenze gravi e largamente imprevedibili. Infatti, dopo il Congresso socialista di Napoli c'è stata la crisi del governo dell'on. Fanfani e il ritiro di quest'ultimo dalla segreteria del partito democristiano; abbiamo assistito alla rivolta dei « notabili )) di Iniziativa democratica; abbiamo visto il partito di maggioranza relativa digerire, con estrema disinvoltura, una reale apertura a destra voluta da Segni e dai suoi alleati. Non staremo ad indagare perchè questi fatti, che · hanno mutato profondamente i termini della lotta politica, rimescolato e sconvolto posizioni di gruppi e di correnti, siano potuti accadere. Nè ricorderemo la querelle delle responsabilità in cui si trovarono implicati alcuni settori della sinistra laica, e precisamente quelli che hanno rappresentanti propri in Parlamento, come il Partito repubblicano, che respinsero l'accusa di aver provocato essi la caduta di Fanfani e della formula di centrosinistra. La questione è irrilevante quando si pensi che la posizione del governo, già difficile, era diventata addirittura insostenibile dopo il Congresso socialista, e soprattutto dopo che s'era potuto constatare che nel campo dei partiti della sinistra democratica si plaudiva alle scelte di quel congresso. Giova però avvertire che la crisi del governo Fanfani e della · [10] Bibliotecaginobianco •

formula di centro-sinistra era già il risultato di una scelta, di un giudizio negativo su quel governo e su quella formula implicito nell'atteggiamento tenuto nei riguardi del Partito socialista dagli ambienti della sinistra democratica e da una frazione degli stessi socialdemocratici; giova ricordare che da _questoatteggiamento ha tratto conforto l'operazione M.U.I.S., l'iniziativa dei Zagari e dei Matteotti, che uscendo dalla maggioranza parlamentare hanno consacrato ufficialmente l'impossibilità di sopravvivenza dell'alleanza Fanfani-Saragat. E' accaduto infatti che tutta la sinistra democratica, bloccata dalle decisioni del Congresso socialista, pur continuando a discutere sul senso delle decisioni prese degli autonomisti, s'è comportata come se non vi fosse altra prospettiva che quella di secondare i disegni del P.S.I. emersi confusamente dal congresso stesso. Questo ha fornito uno sche~ ma delle ragioni ideologiche della lotta dei socialisti ed ha fissato delle mete finalistiche secondo una tradizione che è propria dei convegni socialisti, non ha fornito invece un programma attuale di azione politica. Per convincersi di ciò basta considerare quante e diverse possibilità interpretative sono implicite nella formula dell'alternativa, risultata, a Napoli, comune a tutti le correnti. Bloccata, dunque, da queste decisioni socialiste, la sinistra laica e i secessionisti socialdemocratici - ma alcuni anche perchè affascinati da un miraggio di rovesciamento totale delle realtà politiche, che sembra accompagnarsi al vagheggiamento della formula dell'alternativa di potere - hanno lasciato intendere che facevano propria l'interpretazione letterale dello schema con cui gli autonomisti socialisti 0' alari e Vecchietti, coerenti nel loro programma frontista, sono fuori causa), avevano vinto a Napoli; hanno mostrato cioè di credere nella possibilità di provocare una crisi nella D.C. (un processo di chiarificazione, come si usa dire), rendendole difficile ogni collaborazione a sinistra, e sperando d'altra parte nella reazione della base democratica e antifascista qualora i dirigenti demo- -cristiani si fossero visti costretti a rivolgersi a destra. Senonchè a questo punto si potrebbe osservare che l'atteggiamento della sinistra democratica laica risultava gratuito, perchè subalterno e perciò privo di quelle ragioni che potevano almeno in parte giustificare il comportamento dei socialisti. Questi ultimi avevano ed hanno problemi di equilibri interni, devono conciliare l'inconciliabile, devono dire « alternativa >> anche quando alcuni di loro preferirebbero dire il contrario. Il P.S..I., d'altronde, come organizzatore di massa che ha posizioni e inte- [11] Bibliotecaginobianco

ressi da conservare nei sindacati, nelle cooperative, nelle amministrazioni locali, nei collegi elettorali, ha sempre un problema di consolidamento delle sue strutture e della sua base di partito, cui può dedicarsi anche in difetto di una cl1iara visione dei compiti politici posti dalla realtà del Paese; e su di un tale programma possono trovarsi facilmente d'accordo· tanto gli autonon1isti che i filocomunisti. Anche l'immobilità, anzi soprattutto l'immobilità cui sembra condannarlo la maggioranza di Napoli, può fruttare elettoralmente in una situazione come quella attuale, tanto più quando elogi e lusinghe piovono d'ogni parte e il P.S.I. può sperare di cogliere i frutti della crisi socialdemocratica e del disorientamento dei partiti laici. Ma la sinistra democratica avrebbe dovuto invece avere interesse ad una politica di movimento, avrebbe dovuto porsi il problema di far avanzare oggi, e non domani, l'intero schieramento democratico in modo da determinare una situazione che consenta di sottrarre alle forze conservatrici la direzione della cosa pubblica. Un interesse qt1indi che non coincide con gli egoismi elettorali del Partito socialista, e che non può identificarsi affatto con una situazione di involuzione conservatrice del partito cattolico. Tutto questo abbiamo premesso non per mero gusto polemico, e non staremo perciò a ricordare come i fatti abbiano confermata la tesi sostenuta spesso su questa rivista, essere cioè difficile evitare, una volta che la sinistra democratica si è rifiutata di stabilire un dialogo con i cattolici in posizione di centro-sinistra, lo scivolamento progressivo della Democrazia cristiana su posizioni di destra conservatrice, verso nuove alleanze che potrebbero rivelarsi alla prova dei fatti molto più gravi di quanto non si creda comunemente. Ma il problema di oggi è appunto questo, del pericolo che le forze conservatrici della D.C.) messe in moto dalla crisi del governo Fanfani, abbiano il definitivo sopravvento. E' un pericolo che è scaturito dalle vicende dei mesi scorsi, dal momento cioè in cui la sinistra laica e socialista, posta di fronte al dovere di scegliere tra una prospettiva di collaborazione con Fanfani e con i socialdemocratici o il rifiuto di una tale collaborazione per seguire invece una politica di « alternativa democratica )>, mostrò di preferire questa seconda soluzione, raccomandata dall'ultimo congresso socialista. Gli ambienti della sinistra democratica hanno sempre fatto scarso conto di una verità elementare: che è nella logica dei corpi politici, quando convoglino interessi cospicui e raggiungano le dimensioni che ha {12] Bibliotecaginobianco

raggiunto il partito democristiano, anzi l'intero schieramento cattolico nel Paese, che essi cerchino altrove, in questo caso a destra, quegli alleati che non riescono a trovare, come vorrebbero, a sinistra. I moderni partiti di massa, in quanto corpi sociali, hanno una loro fisiologia: anche per essi vale il primum vivere. Invece tutta la sostanza del ragionamento di chi contrapponeva, qualche mese fa, la superiorità della politica di alternativa democratica a quella di apertura a sinistra a breve scadenza, si reggeva su di una premessa, accettata come reale, anzi fatta valere con l'evidenza di un assioma: non v'è alcun pericolo, sostenevano e sostengono ancora alcuni fautori laici della politica di « alternativa >>, che si stabilizzi, dopo la crisi che ha costretto Fanfani alle dimissioni, un'alleanza della Democrazia cristiana con le destre; quando la Democrazia cristiana si scopre a destra, maturano i tempi per la scissione della sua ala progressista e anti_fascista.C'è quindi un limite alla possibilità di involuzione conservatrice della D.C., che non può rischiare di mettere in pericolo la propria unità. D'altra parte il partito di maggioranza, come forza che ha la responsabilità della direzione della cosa pubblica, avrà modo di accorgersi che non potrà fare impunemente una politica economica di destra. Che cosa bisognava dunque dedurre da questa premessa? V'erano e vi sono alcuni, i quali fermi all'interpretazione letterale della formula socialista dell' « alternativa >>, prevedevano e prevedono una lunga serie di crisi le quali dovrebbero .fiaccare la capacità di resisten-:- za del partito democristiano, portarlo prima o poi alla sconfitta elettorale. Vi sono altri, invece, specialmente tra i democratici laici, i quali non arrivano fino a tanto, riconoscono che esiste un problema dei rapporti tra cattolici e sinistra laica e socialista, ma che tuttavia non resta, oggi, alla sinistra democratica e socialista che da spingere la D.C., svolgendo un ruolo di opposizione intransigente, fino al limite delle sue contraddizioni interne, le quali non potranno non manifestarsi in 1naniera drammatica se il partito di maggioranza insisterà nelle alleanze occulte o palesi con la destra politica ed economica, in modo che sia facilitata un'inversione dia.. lettica della situazione, la rivincita della sinistra democristiana e l'inizio di un nuovo corso che potrebbe ancora. prendere nome dall'on. Fanfani (lo stesso on. Fanfani che non fu sostenuto quando ve n'era necessità). Ne consegue, naturalmente, il bisogno di un'alleanza sempre più stretta fra sinistra laica e partito socialista, svi,ncolatoquest'ultimo, per essere in grado [13] Bibliotecaginobianco

di porre più facilmente la propria candidatura per un'alternativa di potere, da ogni solidarietà di tipo frontista con i comunisti. Questa seconda posizione, che abbiamo vista sostenuta anche recentemente su alcuni giornali della sinistra democratica, è per noi di particolare interesse, perchè vorrebbe porsi come superamento del dilemma tra le due formule, tra le due politiche (apertura-alternativa) che ha diviso la sinistra democratica, dilemma ritenuto non più attuale; essa tuttavia, a nostro giudizio reca in sè un duplice errore di valutazione: sottovaluta le possibilità di consolidamento dell'attuale orientamento della Democrazia cristiana, la quale potrebbe trarre proprio dagli eventi la forza e la capacità di resistere; fa ancora credito al Partito socialista di poter stabilire i tempi delle operazioni politiche. Non tiene conto infine del fatto che la politica del P.S.I. sta attraversando una fase di involuzione, che questo partito sta man mano sottraendosi al dialogo tra le forze democratiche. Esaminiamo infatti il primo punto. La Democrazia cristiana, malgrado le crisi da cui è costantemente travagliata, e malgrado le sue attuali alleanze di governo, ha retto alla prova delle recenti cons11ltazioni elettorali, che hanno certamente un valore sintomatico (si è votato in Val D'Aosta, nella provincia di Ravenna, in Sicilia, in sedici grossi cotnuni del Mezzogiorno, in numerosi altri piccoli comuni). La D.C. quindi costituisce un blocco che riscuote fiducia malgrado le prove di malgoverno e di malcostume fornite abbondantemente negli anni scorsi, e, malgrado gli incerti orientamenti ideologici, è un punto di riferimento sicuro per una parte cospicua dell'elettorato. Le divisioni interne, l'aspra lotta delle correnti, non sembrano preoccupare gli elettori; l'apertura a destra, anzichè indebolire il partito di maggioranza, gli ha fatto assorbire gran parte dell'elettorato monarchico, specie in Sicilia e nei comuni del Mezzogiorno (nei comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti ha ottenuto il 45,6% dei suffragi). Emerge qui11di, da questa prova, il dato della capacità di resistenza del partito cattolico, tanto più significativo in quanto risulta da una consultazione amministrativa, da un tipo di elezioni che di solito l'hanno visto negli anni scorsi perdere voti rispetto a quelle politiche. Non ci pare inutile osservare che questo dato contraddice alla speranza di quanti contavano appunto sull'indebolimento del partito di maggioranza sia per il rilancio di una politica di « alternativa )), sia per l'inversione di indirizzo che sarebbe scaturita come reazione necessaria e come rimedio all'alto costo del- [14] Bibliotecaginobianco

l'alleanza parlamentare con le destre. E' evidente infatti, che il coinpito dell' on. Fanfani e dei suoi amici politici, impegnati nella battaglia precongressuale, si fa ora più difficile; e si profila come tutt'altro che improbabile l'eventualità che la D.C. trovi comodo restare dov'è ora, e si acconci all'idea di giocare, quanto prima, la carta della maggioranza assoluta, soprattutto ora che ha sperimentato che si possono ancora guadagnare voti a destra. Vi sono interessi formidabili, economici e ideologici, che potrebbero spingerla in questo senso, interessi che non vanno sottovalutati; senza contare infine che la Democrazia cristiana non può assorbire voti a destra senza subirne modificazioni e alterazioni di ordine politico e psicologico. Il secondo punto, il secondo errore di valutazione di certi nostri amici della sinistra democratica, cui accennavamo più sopra, riguarda la politica e le possibilità del P.S.I. Come non abbiamo mai creduto che il Partito socialista potesse da solo coprire lo spazio di una vera sinistra democratica, così non siamo convinti che la politica da esso svolta dal Congresso di Napoli in poi abbia contribuito concretamente e realisticamente a far avanzare la situazione italiana. Anzi, giacchè il pericolo del congelamento della situazione attuale è più presente che mai, la responsabilità di quel che è accaduto e di quel che sta accadendo spetta in gran parte al P.S.I., al fatto che gli autonomisti continuano a pagare un tributo altissimo ai miti del classismo e alla demagogia socialista, al mito dell'unità della classe operaia e all'altro dell'unità del partito. Non basta invero riportare, ogni tanto, qualche parziale successo elettorale, o assorbire qualche frangia socialdemocratica, del resto poco gradita a metà del partito, per dimostrare di avere aperto una prospettiva politica. Più delle parole e delle intenzioni, più delle abilità dialettiche e delle formule brillanti, sono i fatti, i concreti atteggiamenti assunti volta per volta nel concreto operare politico a testimoniare della validità di una posizione e della strategia di un partito. Le attuali sfere dirigenti del P.S.I., dopo Napoli, hanno spesso autorizzato a credere che non bisogna interpretare alla lettera la loro formula dell' « alternativa >>, e che essi, in fondo, perseguono una politica di « apertura a lungo termine >>; bisogna quindi far loro credito al di là di ogni esperienza e di ogni passato frontista. Intanto però il partito rifiuta a Ravenna la proposta repubblicana di uno schieramento di sinistra laica e socialista, perchè trova più comodo allearsi con i comunisti; pone a Bari, dove si vota per le comunali, condizioni assurde a repubblicani e radicali che accetterebbero di en- [15] Bibliotecaginobianco

trare in una lista comune; non riesce a proporre una posizione autonoma in Sicilia, dove è stato con Milazzo prima e ora, indipendentemente da considerazioni aritmetiche sulla maggioranza, vuole l'unità delle forze antifasciste e popolari, in altre parole l'alleanza con i comunisti. Se il problema di fondo per una politica progressista in Italia resta quello di guadagnare voti a sinistra ad un socialismo democratico, la recente tornata elettorale ha provato che la presa comunista sull'elettorato di sinistra è più forte che mai, che quindi quel problema resta insoluto, nè si vede come possa essere affrontato con successo dal P.S.I. Il Partito comunista trae vantaggi indubbiamente (e questo era facile prevederlo) dall'apertura a destra consumata da Segni, ma ancor più dall'apporto di fiducia che gli viene dall'avallo del P.S.I., laddove quest'ultimo non riesce o non vuole distinguere in maniera netta la propria posizione. Quel travaso di voti dal P.C.I. al P.S.I. che dovrebbe costituire la condizione primaria perchè si consolidi la posizione degli autonomisti c'è s~atonel 1956 e nel 1958, non c'è stato nelle ultime elezioni; abbiamo assistito invece ad un riflusso della base socialista verso sinistra, se è vero che sette degli undici deputati regionali eletti in Sicilia nelle liste del P.S.I. appartengono alla corrente di Valori e di Vecchietti. L'alternativa democratica rischia dunque di diventare l'alternativa con i comunisti: la sinistra filocomunista del P.S.I. può contare ora su nuove armi per combattere efficacemente la sua battaglia interna, che si aggiungono a quelle dell'unità sindacale nella C.G.I.L., della presenza a stretto contatto di gomito con i comunisti nelle organizzazioni di massa, delle alleanze amministrative nelle grandi e nelle piccole città del Nord. Che cosa concludere a questo punto? Che dopo il rifiuto della formula Fanfani-Saragat di centro sinistra siamo dunque al di là di quanto i fautori laici della politica di « alternativa >) prevedevano, siamo al blocco dei moderati cattolici, alleatisi con le destre monarchiche e fasciste, a cui non si può non rispondere con il blocco delle forze avversarie? Noi non crediamo che le cose siano giunte a tanto, e soprattutto non lo vogliamo; ci sono ancora nella D.C. uomini e correnti politiche che si stanno adoperando per una revisione critica degli attuali indirizzi del partito di maggioranza; e la data del congresso democristiano è ormai vicina. V'è però da prendere atto che questi uomini e queste correnti sono state finora poste in difficoltà dalla politica del Partito socialista. Ancora una volta il settore di maggiore [16] Bibliotecaginobianco ·

debolezza e confusione dello schieramento democratico italiano è q~ello occupato dal Partito socialista; e non si può negare che la sinistra laica ha commesso taluni errori di valutazione, quando per non creare difficoltà agli autonomisti, ha rinunciato a denunciarne le equivoche posizioni là dove si sono manifestate e le ancora più equivoche alleanze là dove si sono realizzate. Ai fini di una politica della sinistra laica non si deve solo contribuire a ingrossare le clientele locali socialiste, sibbene si deve facilitare l'avvento di nuovi equilibri e di nuove maggioranze. Ha giovato a questo scopo l'indulgenza che la sinistra laica ha dimostrato per i secessionisti socialdemocratici? Ha giovato la crisi della U.I.L.? In verità il P.S.I. è fermo con le sue inquietudini, diviso tra un'ala autonomista e un'ala frontista; e se qualche passo ha fatto, esso l'ha fatto proprio nella direzione opposta a quella che la sinistra laica si augurava che facesse, nella direzione cioè indicata ,dai Valori e dai Vecchietti. Nessun democratico di sinistra, crediamo, si illude di poter contare domani tra i propri alleati politici anche i Valori e i Vecchietti; ma allora bisognava non farsi, come un qualsiasi militante socialista di base, un feticcio dell'unità del P.S.I.; non bisognava mostrarsi comprensivi delle esigenze di equilibri interni di questo partito al punto da far tacere le proprie esigenze politiche e programmatiche; non bisognava partecipare alla campagna di denigrazione .della socialdemocrazia italiana, campagna che non può giovare a nessuno, e tanto meno agli altri partiti della sinistra democratica. Nel numero di dicembre di questa rivista ci parve di avvertire i pericoli impliciti in una posizione di puro fiancheggiamento della politica del Partito socialista, quando scrivemmo che « la sinistra democratica deve inco... raggiare i socialisti a venire subito su posizioni chiare e precise, su posizioni di fronte repubblicano, se si vuole, magari per indurre i vasti settori popolari della D.C. a fare anch'essi subito la loro scelta e a dare quelle garanzie di lealtà repubblicana e di fedeltà allo Stato e a tutte le sue leggi, che finora i Gedda e i circoli clericali hanno procurato ad ogni modo di impedire )). ·Oggi1 trascorsi alcuni mesi in cui il P.S.I. ha potuto godere di tutto il credito possibile, quella posizione conserva intatta la sua validità, se abbiamo potuto leggere, nel citato editoriale de La Voce Repubblicana, esortazioni come queste: « Se l'on. Andreotti p1:1òguardare con simpatia all'esperimento romano o al possibile esperimento siciliano di destra e l'on. Scelba farà ogni tentativo, del resto legittimo, per ricostituire la coalizione qua- [17] Bibliotecaginobianco

dripartita, non solo Granelli e la sinistra di Base, ma l'on. Fanfani stesso,, con tutti i suoi, deve porsi il problema dell'apertura a sinistra e del dialogo con le forze che vadano dai repubblicani ai socialisti. Ma, rovesciando i termini, anche il Partito socialista si troverà, prima o dopo, a fare scelte ben decise e a non barcamenarsi ulteriormente fra la politica voluta o auspicata dagli autonomisti e la politica fermamente voluta dai frontisti. Non si può accusare la D.C. di essere estremamente possibilista nelle sue alleanze, e praticare la stessa politica o seguire il partito comunista in uguali disinvolte esercitazioni )). Che altro significato dare a queste proposizioni se non quello che da alcuni partiti laici viene posto finalmente, e in termini attuali e politicamente responsabili, il problema della nuova maggioranza e di conseguenza il problema immediato della condotta della sinistra democratica nei riguardi del Partito socialista, condotta che non può essere di mero fiancheggiamento e tanto meno di abdicazione programmatica? Alla vigilia del congresso del Partito democristiano, in cui ci auguriamo che possano maturare decisioni importanti per la futura politica italiana, il compito della sinistra democratica è proprio questo. [18] Bibliotecaginobianco

La difficile strada per l'Europa di Renato Giordano Una conseguenza naturale dello scarso peso che l'Italia ha sulla bi-- lancia internazionale consiste nel fatto che il nostro paese in generale non: inizia nuove politiche, ma piuttosto registra, reagisce e si adegua ai ri-- pensamenti, ai rivolgimenti ed alle ondate che vengono da oltre frontiera .. Non c'è quindi da essere sorpresi se l'estate ,del 1959 trova alcuni settori dello schieramento politico italiano in una fase di riflessione e di critica rispetto al processo integrativo europeo. In realtà, sebbene l'Unione Sovietica continui con coerenza e con . decisione lo sforzo per il consolidamento delle sue posizioni in Europa e per l'ulteriore penetrazione nei paesi afro-asiatici, la coalizione occidentale attraversa un periodo di gravi difficoltà. Di fronte all'offensiva po_litico-diplomatica russa - che si è concretata nella superiorità in campo nucleare, nel lancio della sfida competitiva, nella penetrazione nel Medio Oriente· e nella minaccia a Berlino - nel seno della coalizione occidentale l1an-· no ripreso forza i nazionalismi, che esercitano un'azione erosiva e centrifuga rispetto alle esigenze unitarie del sistema atlantico. Mentre lo sforzo,, che ebbe inizio dieci anni fa, di costruire l'unità europea al riparo delloscudo atlantico corre quindi pericolo di naufragio sugli scogli dei riemergenti nazionalismi europei; e mentre, sotto la pressione inglese, le· potenze occidentali sono impegnate alla ricerca di un'impossibile intesa con il Cremlino (o possibile, beninte~o, se dovesse risolversi in una partita di pura perdita per le democrazie), ci sembra opportuno fare il tentativo, di guardare panoramicamente alla scena europea, quale si è configurata negli ultimi mesi, collocandosi in una prospettiva italiana . . [19] Bibliotecaginobianco

Il punto cruciale della situazione è ancora a Parigi. La Francia, dopo aver liquidato la CED, nonostante l'adesione al Mercato Comune ed all'Euratom, è stata sempre più dominata, prima e dopo l'avvento di De Gaulle, dal problema algerino e dal sentimento di un'imma11ente precarietà del suo stesso sistema politico e di tutti i suoi accordi internazionali. Il Piano Schuman ed il Piano Pleven furono il compromesso trovato dalla -classedirigente europeistica francese tra l'esigenza d'integrare l'Europa e la resistenza di molti settori d.el paese all'idea di una rinuncia alla sovranità nazionale, da delegare ad una Federazione europea. La CECA e la CED - a differenza dell'OECE o ,del Consiglio d'Europa, che non uscivano dal quadro tradizionale di accordi tra Governi - dovevano servire ad aggirare le resistenze nazionali, creando le premesse strutturali di una Comunità politica europea di tipo federale. E' bene dunque fissare subito questo dato essenziale: e cioè che fin dall'inizio del processo integrativo, nella fase di massima tensione della guerra fredda, durante il conflitto di Corea, ci fu il rifiuto francese di rinunciare all'autonomia della politica estera. D'altra parte, però, intorno al '50, l'autonomia francese in politica estera aveva un valore limitato, poichè la dipendenza del Quai d'Orsay dagli Stati Uniti era assoluta. I francesi potevano criticare l'ingenuità o la « puerilità » americana, potevano recalcitrare di fronte al presunto oltranzismo di certe posizioni del Dipartimento di Stato nei rapporti con l'URSS o con la Cina, ma non riuscivano ad avere la forza sufficiente per proporre una loro politica, effettivamente indipendente da quella dell'alleanza atlantica. Ma poi, mano a mano che gli aiuti economici e militari americani andavano cessando, e .mano a mano che la rivolta algerina è venuta assumen,do proporzioni sempre più allarmanti, mentre il Cremlino iniziava << l'operazione sorriso>>, e sembrava mettere l'accento sulla sfida competitiva piuttosto che sulla espansione armata, i francesi si sono vent1ti persuadendo che le esigenze squisitamente nazionali, affrontate con risorse nazionali, occupavano il primo posto; e che il sistema atlantico era lungi dall'esaurire i problemi della politica difensiva del paese. De Gaulle è tornato al poter.e sull'onda montante di questo sentimento nazionale, di cui la liquidazione della CED, il 30 agosto 1954, era stato il primo sintomo clamoroso. Il Mercato Comune, l'Euratom, faticosamente affiancati nel frattempo l20J Bibliotecaginobianco

alla CECA, concepiti come forze di aggiramento e di rottura nei confronti degli stati nazionali, si sono trasformati così in cittadelle assediate di fronte alla massiccia realtà della politica nazionale della Va Repubblica. In questa situazione, mentre Mac Millan con il suo << viaggio esplorativo » a Mosca rompeva la solidarietà dello schieramento occidentale di fronte ai russi, seguendo una linea di condotta tutta inglese sui problemi vitali esistenti fra Est ed Ovest, mentre in Germania A,denauer annunciava le sue dimissioni da Cancelliere e Poster Dulles usciva dalla scena del mondo, si è parlato in molti ambienti della « fine di un'epoca >>: l'epoca dell'Europa a sei, della CECA e del Mercato Comune, l'epoca di De Gasperi e degli Adenauer, ,dei Monnet, degli Spaak e degli Schumann. Si è affermato che le pressioni inglesi ed il probabile avvento d'Erhard spingono verso la liquidazione dell'istituzionalismo tipo CECA e verso la ripresa dalle forme di collaborazione nazionale, tipo OECE, nella tradizione del libero-scambismo. E, a completare il quadro, è sopraggiunto la decisione del Consiglio dei Ministri della CECA, contraria alle proposte formulate dall'Alta Autorità per risolvere la crisi carbonifera, una decisione che è sembrata confermare clamorosamente l'attuale tendenza dei Governi europei a depotenziare le istituzioni dotate di carattere sopranazionale. Quali sono, dunque, oggi, le prospettive dell'integrazione europea? C'è un punto pregiudiziale da riaffermare: le ragioni di fondo, che spingono verso l'unità europea, non sono mutate. Non è ,diminuita la minaccia sovietica, non è cambiato il carattere bipolare della scena militare mondiale, gli stati europei non sono in condizione di provvedere da soli alla propria difesa. E' più che mai vero quindi che la balcanizzazione del.. l'Europa costituisce un pericolo per la pace e che soltanto una federazione europea verrebbe a costituire un fattore di stabilità dell'ordine internazionale. Questo significa che, se il processo d'integrazione subisce battute di arresto, rimane tuttavia inalterata la necessità di ricominciare a tessere la trama unitaria; e che, il giorno in cui si dovesse ammettere l'impossibilità di realizzare la federazione, le prospettive di sicurezza occidentale e di pace mondiale sarebbero gravemente compromesse. Allo stato, c'è - come si diceva - una sorta di sfasatura tra le Comunità economiche europee di Bruxelles e di Lussemburgo e la realtà degli stati nazionali. C'è come una gara di velocità: si cerca da una parte di costituire strutture economiche comuni, solidarietà d'interessi al di sopra [21] Biblicitecaginobianco

.delle frontiere, per potere, grazie a tali strutture e a tali solidarietà, creare le premesse di fatto, da cui dovrebbe poi scaturire l'unità politica; ma, dall'altra parte, intanto, le forze nazionali esercitano una spinta centrifuga, minacciando di far crollare da un momento all'altro l'impalcatura euro- :pea che sorge intorno al Mercato Comune. . In verità, la critica che si rivolge dagli europeisti più radicali ai sostenitori dell'istituzionalismo tipo CECA è di essere vittime •di una mentalità prettamente economicistica: e cioè di credere nel meccanismo della derivazione di una federazione politica dalle intese economiche, ignorando che un'élite rivoluzionaria consapevole - assente in questa fase del processo d'integrazione europea - è invece la condizione indispensabile, lo elemento-chiave, per il successo di una simile impresa politica. Questa critica, però, ha il difetto di ignorare da una parte l'esistenza di una volontà decis~ente europeistica di alcune minoranze che operano al livello di classe dirigente nei sei :Paesi, e dall'altra parte di sottovalutare -.che i meccanismi messi in moto dagli accordi comunitari non investono ·solo i settori economici, ma si riflettono anche in sede politica. Si esamini, ·in proposito, l'esempio francese. Il crollo della IV Repubblica e l'avvento di De Gat1lle, se rappresentano una delle ragioni di maggiore preoccupazione per l'avvenire del processo di integrazione, stanno anche, paradossalmente, fornendo una conferma della validità profonda dell'esigenza europeistica, al ,di là degli sconvolgimenti e delle crisi che investono successivamente questo o quel paese della Comunità a sei. Quando il Generale ascese al potere, si temettero infatti essenzialmente due orientamenti: la ripresa dei tentativi di intesa franco-sovietica, sulla scia degli accordi di Mosca del 1944, e la denuncia delle Comunità Europee, contemporaneamente alla ricerca di una collaborazione più intima con la Gran Bretagna. A distanza di un anno dall'avvento di De Gaulk, si può dire con tranquillità che quelle previsioni erano radicalmente sbagliate. Non c'è stato nemmeno un accenno che giustificasse l'ipotesi del « giro di valzer» con Mosca; e mai nel dopoguerra i rapporti franco-inglesi erano stati, per adoperare un'espressione ottimi .. stica, tiepidi come in questi mesi. Si parla invece di un « asse » Parigi - Bonn, e non c'è dubbio che Francia e Germania occidentale hanno marciato d'accordo su tutti i principali problemi di politica estera, ed in particolare sui due problemi più importanti della scena internazionale nello ·[22] Bibliotecaginobianco

anno '58-'59: la Zona di Libero Scambio e l'ultimatum sovietico per Berlino. ~lon è questa la sede per esaminare nei particolari le laboriose trattative svoltesi per concludere un accordo sulla Zona di Libero Scambio, e le ragioni del loro fallimento. E' importante però sottolineare che la fermezza con cui il Quai d'Orsay difese il Mercato Comune dagli attacchi inglesi è tanto più, sorprendente in quanto le trattative del Comitato Maudling avvenivano nei mesi in cui le Cancellerie occidentali eran? in allarme proprio a causa delle richieste di De Gaulle per un Direttorio a Tre (anglo-franco-americano) nell'ambito della NATO. Gli ambienti dirigenti inglesi non facevano mistero della loro speranza di vincere la partita allo Chateau de la Muette, proprio perchè ritenevano che il Generale, costretto a scegliere tra un vantaggio eminentemente politico - il Direttorio a Tre - ed una posizione di principio relativa all'integrazione economica, non avrebbe esitato a cedere agli inglesi sulla Z L S pur di avere il loro appoggio nella questione NATO. Accadde invece il contrario. Il Generale (sul cui presunto disinteresse per le questioni economiche il mondo degli esperti e dei giornalisti non aveva mancato di fare commenti non privi di sarcasmo) rinunciò a premere per il Direttorio a Tre; e sposò senza riserve la tesi che il Sig. W ormser, direttore Generale degli Affari Economici del Quai d'Orsay, andava sostenendo da mesi con abilità e con tenacia. Couve de Mourville, nel suo viaggio a Londra, disse al Foreign Office che il Governo francese non accettava alcuna connessione tra la questione relativa al triumvirato NATO e la Zona di Libero Scambio. Gli inglesi dovettero constatare che i francesi, dopo aver respinto la CED proprio perchè l'assenza degli inglesi li avrebbe costretti al téte-à téte con la Germania, resistevano ora alle pressioni di Londra e chiedevano di essere lasciati tranquilli nello sforzo di creare il Mercato Comune insieme ai tedeschi. Ma la frattura tra la Gran Bretagna e il Continente si approfondì dopo l'ultimatum sovietico per Berlino. Quando, infatti, Adenauer chiese di incontrare Mac Millan per discutere di tale ultimatum, il Premier inglese gli rispose che la questione di Berlino era meno urgente delle trattative per la Zona di Libero Scambio.· Era quindi evidente l'intenzione di premere sul Cancelliere ed ottenere l'appoggio tedesco sulla Z L S in cambio dell'accordo inglese sul problema di Berlino. Ancora una volta, [23] Bibliotecaginobianco

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