Nord e Sud - anno VI - n. 54 - maggio 1959

.. Rivista mensile diretta da Francesco Compagna • . ANNO VI * NUMERO 54 * MAGGIO 1959 Bibliotecaginobianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobi~nco

SOMMARIO Cesare Mannu~ci Marco Cesarini Sforza Renato Giordano Editoriale [ 3] Radio e Televisione in Italia [ 6] L'Esperimento Milazzo [25] Germania senza gloria [ 40] GIORNALEA PIÙ VOCI n. d. r. · L'apertura a destra [ 66] Raffaello Franchini Equivoci gramsciani [71] Antonio Palermo Vecchi mali e nuovi rimedi [74] MIGRAZIONIE INSEDIAMENTI NELL'ITALIA MERIDIONALE Carlo Turco Movimenti di popolazione e politica economica (II) [78] INCHIESTE Nello Ajello La stampa infantile in Italia (II) [95] Giuseppe Galasso Una eopia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti a Italia annuale L. 3.300 1eme1trale L 1.700 Eatero annuale L ,.ooo 1emeetrale L. 2.200 Effettuare I •eraamend 1a I c.c.P. a. 3/34552 iateatato a Arnoldo Moadadori Editore ■ MIiano Bibliotecaginobianco RECENSIONI Storia e politica dei Paesi arabi [118] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.91S DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Amministrazione Rivista « Nord e Sud• Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Telefono 851.140

Editoriale Nelle ultime settimane i problemi di politica estera sono stati riprop-osli al paese con particolare drammaticità. La polemica sull'installazione delle rampe di missili, l'imminenza dell'incontro di Ginevra, la notizia improvvisa e inattesa della candidatura di Adenauer a/,lasuprema magistratura della Repubblica Federale Tedesca, hanno contribuito a colorire il dibattito, a dargli una vitalità e talvolta una violenza di toni come non si aveva da m-olto tempo. Ed hanno anche contribuito non poco, conviene dirlo con tutta franchezza, a rendere meno chiari i termini del dibattito. Se l'annuncio di una conferenza dei Ministri degli Esteri come prologo ad una conferenza alla sommità ha chiuso la strada alle induzioni e ai pronostici e ha fatto apparire imminente l'era dei negoziati, gli avvenimenti tedeschi sono parsi a molti segnare addirittura la fine di u12processo storico. E l'esigenza di non perdere di vista certi allineamenti di politica interna s'è aggiunta a questi fattori, accrescendo le difficoltà. Ora a noi sembra che per avere una prospettiva chiara conviene per un momento lasciare da parte le analisi della situazione russa e le previsioni sull'offensiva politica e psicologica scatenata da Mosca intorno a Berlino, lasciare da parte le speculazioni sui contrasti tra gli alleati occidentali, e riconsiderare ancora una volta le ragz·oni permanenti di una politica estera democratica. Qual'è stato negli ultimi dieci anni il concetto fondamentale della politica estera italiana ed occidentale? Quello che la sfida comunista al mondo libero non si traduceva solo· in una minaccia militare o nell'altra di una sovversione dall'interno di questo o quel paese, ma era assai più vasta e più grave, era una sfida al sistema liberal-democratico come tale. I dirigenti di Mosca, dall'alto di una visione del mondo che li garantiva della morte imminente di questo sistema o dall'alto del rango, raggiunto dal [3] Bibliotecaginobianco

loro paese, di seconda potenza mondiale, non esitavano a dare alla loro sfida la posta più elevata: l'avvenire prossimo avrebbe detto quale de,i due sistemi era destinato a sopravvivere. E, naturalmente, essi si ,preoccupavano di aiutare la storia (che, per definizione, lavorava a loro profitto) col sovvertire dove potevano le istituziorii liberali, con l'infiltrarsi e tentare di paralizzare la vita politica ed economica là dove non potevano sovvertire, col tentativo di isolare le democrazie occidentali, speculando sulle rivolte 11azion.alistichein Asia e in Africa. A tale sfida l'Occidente non poteva rispondere semplicemente con un'alleanza militare: questa sarebbe servita, e servì e serve ancora, a fronteggiare la minaccia immediata, a colmare il vuoto di potenza sul continente europeo, ad evitare le tentazioni; ma occorreva sanare altresì le cause dello squilibrio politico in Ettropa. La difesa dal comunismo ~on poteva essere meramente passiva, doveva essere una difesa attiva, che testimoniasse veramente la capacità di fronteggiare l'avvenire del sistema libera/democratico. Perciò la politica occidentale fu dominata dal tentativo di dare un contenuto di integrazione economica all'~1.lleanzaAtlantica; perciò, soprattutto, la lotta per la costruzio12edi una co1nunità economica e politica in Europa divenrie l'obiettivo f otidamentale di tutti i democratici europei. Le ragioni dello sviluppo politico ed economico del vecchio contz·nente facevano una cosa sola con l'interesse obiettivo dei singoli stati, e anche co1i la necessità di rispondere vittoriosamente alla sfida comunista. Su queste esigenze si devono misurare ancora oggi le soluzioni da dare ai maggiori problemi internazionali, così in sede di conferenza alla som- · mità come in sede di politica europea. Tutto ciò che può affievolire i vincoli atlantici o rallentare lo sforzo di costruzione europeistica deve essere risolutamente avversato, quali che siano i vantaggi immediati, poichè questi ultimi si muterebbero ben ,presto in svantaggi enormi. A che serve avere , una fascia neutrale intorno a Berlino, se per ottenerla si deve tornare all'Europa delle nazionalità, si deve, cioè, riportare in Europa quello squilibrio politico che, solo, è all'origine delle guerre? I retori del pacifismo e del disarmo non hanno ancora appreso la verità elementare che gli uomini si sono combattuti anche con le pietre e le frecce, e che dunque le guerre si eliminano non distruggendo le armi, ma eliminando le cause dei turbamenti politici. La politica estera di un Nenni è sciagurata non solo e non ta1ito quando combatte l'installazione delle rampe dei missili in Italia, ma [4] Bibliotecaginobianco

anche e soprattutto quando, in nome di un 11-eutralismobolso e retorico, i12 nome della volontà di negoziare costi quello che costi, disegna un'immaginaria carta d'Europa nella quale sono ancora delle nazioni povere e ristrette, nella quale non v'è posto per una grande comunità poiitica ed economica europea, quando disegna una carta dell'emisfero occidentale 11ellaquale l'Atlantico è di nuovo un abisso e non pi,ù un ponte fra i due . . continenti. Nè, d'altra parte, è esatto dire che un certo periodo è finito, che l'europeismo si è esaurito con questo periodo~ e che pertanto si devono cercare nuove strade. Innanzi tutto perchè ciò non è vero: c'è oggi una crisi degli ideali europeistici ed una crisi della politica europeistica; ma è almeno avventato dire che la battaglia è perduta. Vedere nella decisione di Adenauer . un sigillo definitivo ad un periodo storico è indulgere a quel costume giortialistico che fa vaticinare ogni giorno crisi e ca1 tastrofi che durano venti- . quattr'ore: le forze europeistiche nella Germania Federa/e non sono ancora tutte sconfitte. E non sono ancora tutte sconfitte le forze europeistiche in Francia, se certe affermazioni di De Gaulle sulla << Europa delle nazioni>> . possono suscitare le polemiche che hanno suscitato. La crisi c'è, e noi saremo gli ultimi a negarlo: ma essa è prodotta meno dalla decisione di Adenauer, che dalla singolare e stupefacente alleanza dei De Gaulle e dei Debré coi Mendès France, coi Bevan, coi Nenni. L'alleanza nei fatti dei nazionalisti coi socialisti, che si viene profilando, che abbiamo visto emergere tante volte da una famosa rencontre tra Parigi e Londra dalla quale dovrebbe nascere la sinistra europea, questa alleanza può veramente avere sulle resistenze nazionalistiche che ancora vi sono in Europa quell'infiuenza scatenante che la primavera ha negli ammalati di epilessia.Del resto già una volta abbiamo visto neofascisti e socialisti combattere insieme in Italia l'ali' eatiza atlantica e la costruzione europeistica; abbiamo visto in Francia sulla stessa tribuna gollisti e comunisti e mendesiani avversare la CED; abbiamo visto in Germania l'estrenia destra associarsialla socialdemocrazia contro l'Europa; e tutto ciò con le benedizioni di Bevan. Il pericolo maggiore che, grazie a una collusione di nazionalisti e socidisti, si corre oggi, è proprio il ritorno dei nazionalismi impotenti, miseri, disperati: questa è la sola alternativa all'europeismo. Ma ,pro,prioperciò il dovere degli uomini responsabili non è di attendere o di' vaticinare, ma di combattere ancora la battaglia per l'Europa. [5] Bibfiotecaginobianco ·

Radio e televisione in Italia di Cesare Mannucci Radio e televisione son.o in pieno sviluppo i11 ogni parte del mondo. Ma nè la prima, con la sua esperienza pluridecennale, nè la seconda, con una vicenda cominciata già da qualche lustro, hanno una fisionomia compiuta e definitiva. Nemmeno là dove, com'è il caso degli Stati Uniti, sembrano aver toccato il limite estremo dell'espansione fisica. Di definitivo c'è solo il loro successo. L'esser diventate istituzioni stabili, permanenti della società moderna. Ma il loro modo d'essere, la funzione, il contenuto sono soggetti a trasformazioni, giacchè esse operano in una realtà storica che è in rapido movimento. La loro importanza deriva tanto dalla loro stabilità quanto dalla cangiabilità. Ma essa va accertata e valutata muovendo dalla realtà delle cose, e non esagerata in ·base ad ipotesi astratte; ovvero, come talvolta anche si sente, sottovalutata in base ad ipotesi contrarie -e non meno astratte. Sono fenomeni che richiedono di essere studiati e giudicati in rapporto ad un periodo storico che non solo è eccezionalmente fluido e dinamico, ma anche estremamente complesso e intricato; e quindi il giudizio va cir·condato di molta cautela, e di una sana diffidenza per tutte quelle interpretazioni brillanti, vistose, e spesso perfettamente inconcludenti, che vengono proposte da qualche anno in qua, specialmente da certi sociologi. Nell'affrontare il tema di una nostra ricerca, di cui quest'articolo è il primo frutto (al quale altri due articoli seguiranno in prossimi numeri) ci siamo resi conto che esistono preconcetti, largamente diffusi, i quali ostacO:. lano una realistica e producente considerazione del fenomeno. Non siamo [6] Bibliotecaginobianco

i soli ad esser rimasti colpiti da quanto Alberto Moravia ha scritto ( 1 ) sulla coesistenza, nel nostro Paese, di due distinte Italie: l'Italia dei grandi spiriti politici, artistici, religiosi, scientifici, ecc. e la « sotto-Italia >>.La definizione ha avuto molta fortuna negli ambienti della sinistra democratica. L'abbiamo ritrovata nei discorsi di autorevoli uomini politici: non la si può considerare semplicemente una brillante boutade. L'illustre s-crittore, descrivendo la «sotto-Italia», ha spiegato che essa è « l'Italia del tifo e della prosa incredibile delle gazzette sportive; delle canzoni imbecilli di Sanremo; della televisione tanto cara alle famiglie con le sue rubriche del ' Lascia o raddoppia?', del 'Musichiere ', della 'Canzonissima ', del qualunquismo, della mafia, delle madonne che piangono e che m·uovono gli occhi, delle lotterie statali, dei neomilionari e dei neocriminali, dei fusti e delle maggiorate fisiche e di non sappiamo quante altre manifestazioni melense, viscerali, sentimentali e misteriose >>. È un'affermazione grave. Anzitutto sorprende la curiosa mescolanza: è davvero possibile mettere nello stesso calderone le famiglie che si divertono a vedere « lascia o raddoppia?>>, e la televisione in genere, gli scommettitori del Totocalcio, i lettori della <<Gazzetta dello sport» o del <<Campione», e i ,banditi di via Osoppo, gli assassini dei sindacalisti siciliani, gli imbroglioni che cercano di sfruttare a fini elettorali la devozione dei semplici? Le famiglie alle quali piace la televisione, i giocatori del Lotto e del Totocalcio, i tifosi dello sport, costituiscono, assommati, la grande maggioranza degli italiani. E se la <<sotto-Italia>>,ovvero anche, come la definisce un « Taccuino>> del «Mondo>> dedicato all'articolo di Moravia, quella <<massa invadente che manifesta i propri sottogusti, impone le proprie sot~ toesigenze » (un'Italia, viene il sospetto, sub-umana?), coin,cide con la maggioranza degli italiani, a quali conclusioni dobbiamo arrivare? Ad una, intanto, sicuramente, ed è quella che riguarda più da vicino l'oggetto di questa inchiesta: se la maggioranza degli italiani è veramente così istupidita e degradata, se le canzoni di Sanremo e i lazzi di Mario Riva hanno davvero il potere di fiaccare le energie morali di vecchie e giovani generazioni, è inutile, o quanto meno contradditorio, agitarsi per reclamare o proporre ( 1 ) Cfr. L'Espresso del 18 gennaio 1959. [7] Bibliotecaginobianco

misure legislative che aprano la radio e la televisione al dibattito politico e alla propaganda elettorale. La << sotto-Italia » - la gran parte dell'elettorato, 1 cioè - sceglierebbe i partiti peggiori, i partiti fondati sulla menzogna, sulla ciarlataneria, sullo sfruttamento dei sentimenti più irrazionali. I partiti che si appellano al buon senso, alla fiducia nella democrazia, all'aspirazione al progresso nella libertà, ne uscirebbero irreparabimente annientati. Se la << sotto-Italia >> esiste, e prevale, e viene in ciò favorita da strumenti come la radio e la televisione, sembra allora più logico fare come quelli (e ne abbiamo incontrati anche negli ambienti della sinistra socialista) che si limitano, rassegnati, a maledire l'invenzione dei nuovi strumenti di comunicazione, e a rimpiangere il tempo delle osterie, della partita a scopa, del gioco della morra. Atteggiamento che richiama alla mente, però, altri timori: quelli, ad esempio, del gerarca fascista, •checi capitò di citare in altra occasione su « Nord e Sud», il quale, invocando nuovi provvedimenti contro l'inurbamento dei contadini, auspicava che il popolo tornasse a divertirsi con « furlane e gavotte, danze caste e bonarie, certami sani e semplici al buon uso dei padri, canti modulati in lunghe cadenze, sagre villerecce e ingenue ... ». Si finisce cosi per congiungersi, inavvertitamente, con i rea- • • z1onar1. Radio e televisione ad ogni modo esistono, e sono entrate definitivamente a far parte dei cosiddetti « strumenti di comunicazione di massa». Ma che cosa significa poi, nel loro caso, « comunicazione » ? Non necessariamente arte, com'è ovvio. L'osservazione sarebbe anzi del tutto superflua, se non si dovesse constatare che in Italia molti continuano ancora a discutere di arte radiofonica e televisiva con una notevole confusione .di idee (2). « Estetistico e irrazionale - ha scritto Ragghianti a proposito della televisione (ma il discorso .può essere esteso alla radio senza difficoltà) - sareb·be l'esigere che tutta la produzione che si attua in termini d'immagine o visuali fosse arte, e solo arte, pura e continua e perenne arte ... Che il linguaggio proprio del cinema e della televisione si articoli in forme e determinazioni non artistiche o puramente espressive, ma sia strumento rispondente di tutte le altre esigenze ed attività dell'uomo (sensitive, logiche, ( 2 ) Vedere, ad es., gli Atti del Convegno interno di studi sulle trasmissioni radiofoniche e televisive, pubblicati dalla RAI nel maggio del 1958. [8] Bibliotecaginobianco

etico-politiche, psicologiche, informative, tecniche o strumentali, e via discorrendo) è cosa che non può incontrare dissenso >> ( 3 ). Ovviamente, per la stessa ragione non si può pretendere che sia sempre, o anche solo prevale11temente, cultura. L'errore, nel caso della radio e della televisione, starebbe nell' esclusivismo, o nell'unilateralità. I quali sono pericoli tutt'altro che immaginari nel nostro Paese. Se certi ambienti clericali avessero la possibilità, non già di condizionare in qualche misura, ma di controllare direttamente la produzione radiotelevisiva, certamente non esiterebbero a trasformare questi strumenti di comunicazione i11mezzi di edificazione religiosa e morale, di ricreazione da oratorio parrocchiale, di informazione edulcorata e ammaestrativa. Per fortuna il mondo cattolico è molto più vario e complesso: c'è tuttavia da augurarsi che il numero dei cattolici del tutto affrancati dalle suggestioni del paternalismo e dall'unzione pedagogica (sempre meno necessari alle fortune del cattolicesimo) cresca rapidamente. Le inclinazioni « integralistiche» non sono però prerogativa di questo solo settore. Che cosa sarebbero radio e televisione se la loro produzione fosse ispirata dai comunisti? Strumenti non meno didascalici, politicizzati all'estremo, opprimenti in pari misura. Altra specie di esclusivismo, ma egualmente insofferente della libertà altrui. Radio e televisione sono mezzi di •comunicazione che possono aprirsi a tutti gli interessi umani: e poichè possono, debbono. La pluraìità dei servizi e la varietà degli stimoli debbono essere la loro regola. E la proporzione va fondata sull'accertamento dei concreti bisogni della società, del pubblico. Ma il pubblico, si dice, è costituito dalla massa. E la massa è anch'essa esclusivista, perchè chiede solo « circenses >>,svago, evasione; trattenimenti volgari. Questa sarebbe la malasorte di tutti i mezzi di comunicazione di massa. Dice bene l'americano Strausz-Hupè quando osserva che la stessa parola « massa » è carica di dinamite ideologica: « dimmi che intendi per ' massa ' e ti dirò chi sei politicamente >>(4 ). Dal suo canto, egli ritiene che la massa che oggi conta è la massa i~ senso psi_cologico, << l'anonimo informe>> co~- ( 3 ) Cfr. << La televisione come fatto artistico », nel fascicolo speciale de Il Mercurio: Rapporto sulla televi·sione, 13-20 agosto 1955; poi ripubblicato come capitolo di C1:ne1na arte figurativa, Torino, 1957. ( 4 ) Robert Strausz-Hupé, La zona dell'indifferenza, Milano, 1958. [9] Bibliotecaginobianco

trapposto alla « società integrata». In sostanza, è la perdita dell'identità individuale; l'affievolirsi delle energie intellettuali e morali a vantaggio degli istinti e delle emozioni. La massa, infatti, è << eticamente e intellettualmente neutra; nè buona nè cattiva; è come le macchine, come i meccanismi che la divertono e la dominano». Si tratta di un modo di vedere largamente condiviso dagli intellettuali di quel Paese; nella pubblicistica e nella letteratura politica e sociologica americana si può trovare una miriade di simili definizioni. Ma in questo stesso ordine di idee si muove, sia pur con signifìcati\re differenze, anche una parte considerevole della cultura italiana. Ci è sembrata particolarmente indicativa, nella pubblicistica più recente, una discussione svoltasi. sulla rivista « Tempo presente >> ( 5 ) intorno alla questione della massa, con specifico riferimento ai -moderni mezzi di comunicazione. L'opinione di Elémire Zolla, brillante studioso dei fenomeni di massa, è che questa sia non già creata arbitrariamente dal ceto e dal censo dell' << eletto», o di chi tale si reputa, ma dalla qualità del sentire degli uomini, che, potendo, non scelgono di sollevarsi da una condizione passiva e ottusa. E, per quanto riguarda l'arte, fa l'esempio degli italiani, i quali, pur non mancando di erudizione musicale, scelgono deliberatamente la cattiva musica ii1vecedella musica dei padri, il melodramma ottocentesco, per nessun'altra ragione che un cedimento qualitativo. Nicola Chiaromonte, altro autorevole interlocutore, non si limita al giudizio morale, e fornisce una spiegazione più circostanziata. Per lui non si tratta, come per Zolla, di opporre l'eletto, depositario cosciente dei puri valori culturali, al profanum vulgus: « Tanto il fenomeno sociale di massa quanto la volontà di portare a fondo tali esperimenti (di manipolazione delle masse) hanno le loro scaturigini in una serie di eventi culturali, sociali ed economici che s'inizia col Rinascimento». Ma poi lo scrittore precisa: la massa è il prodotto necessario di un nuovo modo di funzionamento delle istituzioni - dallo Stato alla fabbrica, dall'esercito al partito - della società, sempre più costrittive e meccaniche. È, insomma, il prodotto della società trasformata dalla rivoluzione industriale, dal progresso smisurato ( 5 ) << Massa e valori di cultura », nei numeri di agosto, settembre-ottobre e no• vembre 1958. [10] Bibliotecaginobianco

.della tecnica. L'uomo-massa non è un individuo, ma una struttura di comportamenti stereotipi in cui si esprime la tendenza, o piuttosto, ~ l'inerzia della società contemporanea». Al fatto storico della massa corrisponde un << concetto operativo '> in base al quale si governano gli Stati, si organizzano i partiti, si fa la propaganda, si vendono le merci, e tra queste anche i « prodotti» della cultura. C'è un calcolo per cui si agisce come se gli individui avessero tutti gli stessi bisogni e la stessa capacità di sopportazione. Ciò che sgomenta è il fatto che il conto basato su questa equivalenza torna: il gran numero si comporta effettivamente secondo le previsioni. L'esperimento della massa non ha dunque, almeno apparentemente, altro limite che la sua propria accelerazione. La meccanicità del mondo contemporaneo ha, per Chiaromonte, la sua più vistosa dimostrazione nella qualità dei suoi svaghi, necessitati e costretti come il lavoro e le altre attività. In nessuna epoca il divertimento ha avuto così pochi rapporti con la cultura genuina e con la spontaneità del gioco: è stato, cioè, così utilitario e obbligato nelle sue forme. Esso non è più un'occasione festiva, ma un bisogno quotidiano, e come bisogno fa parte delle funzioni sociali utili, non di quelle libere. Le funzioni sottoposte alla disciplina dell'utile sono, dal canto loro, dominate dal conformismo. La televisione, la radio, il cinema sono mezzi di comunicazione conformisti per essenza e non per accidente, in quanto la natura stessa del loro linguaggio li obbliga a rivolgersi a tutti in generale e a nessuno in particolare. E questa necessità di sottostare ad un'esigenza media esclude di per sè l'uso di tali strumenti a scopo di gioco libero, ossia di vera creazione culturale e sociale. Opporre alla civiltà di massa la buona cultura, continua Chiaromonte, è una mossa inadeguata: il proprio della civiltà di massa è di diffondere indi.fferentemente la buona e la cattiva cultura. E la buona cultura, in questa situazione, non civilizza, non dà i suoi frutti genuini. Sicchè l'intellettuale, da parte sua, sperimenta in sè la separazione dell'uomo di cultura dall'uomo sociale, l'uomo sociale essendo in lui naturalmente soggetto alle condizioni della massa. Non è detto che nella civiltà di massa aumenti la proporzione numerica degli stolti e degli sciagurati; quello che aumenta di certo è il peso della stoltezza e della sciagurataggine nell'esistenza di tutti. Chiaromonte fa molte altre osservazioni interessanti, che tuttavia non [11] Bibliotecaginobianco

attenuano, ma semmai aggravano questa desolata visione della società con.. temporanea in corso di « massificazione >>;al termine della quale non sembra di poter scorgere altro che l'uomo-robot. È una visione, però, che non ci pare tenere in sufficiente conto il senso più autentico della vicenda storica di quei gruppi sociali che oggi offrono materia, per l'appunto, alla problematica della massa. Per dirla qui sinteticamente, la « massa» nasce con il moto ascensionale del « Quarto Stato>>, con il formarsi della coscienza di classe, con la richiesta dell'eguaglianza giuridica, con la lotta per l' emancipazione politica e il miglioramento delle condizioni di vita. La massa nasce con la democrazia. Nessuna considerazione sulla massa come stato psicologico, morale o intellettuale, sulla meccanicità e l'inerzia del mondo contemporaneo, può prescindere da questo processo storico fondamentale: l'ascesa delle << classi subalterne». I fenomeni cosiddetti di massa fanno tutt'uno con quel processo. Moravia, nell'articolo citato, ha anche scritto che il nostro Paese è « un'Italia di eterni emigranti, come se gli italiani non ci fossero nati in Italia, ma ci fossero venuti nella stiva dei bastimenti lasciando in un'altra patria tutto il bagaglio della loro antica cultura. Un'Italia senza storia, più inalterabile e più immobile delle caste dell'India ... Questa sotto-Italia apparentemente così rumorosa in realtà è immersa in un profondo silenzio ... (ed) è davvero un mistero, almeno per noi che siamo in grado sì di vederla e descriverla, non di ricostruirne con precisione gli ineffabili meccanismi mentali>>. Ma al di sotto dell'immagine letterariamente suggestiva, che percezione c'è della realtà in cui viviamo e di cui siamo partecipi? Che lume ci viene offerto per un migliore, più largo intendimento di una congiuntura così complessa com'è quella in cui si trova oggi la società italiana? Purtroppo nessuno, perchè il senso di estraneità alla vita delle « masse >>si fa così acuto da convertirsi fatalmente in un'accorata rinunzia a comprendere. Non ci sembra comunque ammissibile ritagliare dal contesto storico, caratterizzato nel nostro tempo da un grandioso sforzo di liberazione umana, che ha per principali protagoniste le cosiddette masse, una serie di fa~ti che si giudicano deprecabili a tal punto da comportare una condanna di tutta la società prodotta da quello sforzo, da quella vicenda storica. Non vi sono due ordini di fatti, che si svolgano indipendentemente l'uno [12] Bibliotecaginobianco

dall'altro ma un unico processo, con le sue luci e le sue ombre, in cui ogni fatto è in relazione con tutti gli altri. Anche il menzionato studioso americano, autore de La zona dell'indifferenza, definisce i fenomeni di massa « manifestazioni dell'anonimo che possiamo capire solo per intuizione, semmai possiamo capirle». Ma questa inesplicabile massa - e quella americana è considerata la massa per antonomasia - da chi è formata? Sarà pure formata, come scrive Marya Mannes, -critico televisivo della rivista « The, Reporter>>, (6 ) dall'insieme di coloro che non hanno dimestichezza con i libri, la buona musica, il teatro, l'arte: <lal qual fatto c'è ,chi si crede autorizzato a dedurre non già una condizione di ingenuità speculativa ed estetica, ma senz'altro uno stato di passività mo... rale e di irrazionalità. Ma sotto l'aspetto storico la massa americana è composta dalle decine di milioni di immigrati, e loro discendenti, che negli ultimi cent'anni sono stati protagonisti di uno dei più grandi e drammatici episodi della storia moderna. Sono coloro che hanno cercato, e conquistato, in quel Paese, non solo un benessere materiale senza precedenti, ma anche la libertà politica e l'eguaglianza dei diritti; sono coloro ai quali non la inerzia morale, ma un' obiettiva necessità di inserimento e di fusione ha imposto duri conformismi, che tuttavia debbono misurarsi -consituazioni sempre nuove, con sviluppi imprevedibili. Se questa massa fosse davvero una accozzaglia di individui privi di ideali e di discernimento, incapaci di rea- ·zioni morali e di ripensamenti, gli Stati Uniti non sarebbero riusciti a superare la più grave crisi interna di questo dopoguerra, il tentativo di sovversione compiuto da McCarthy. E l'ironia della sorte ha voluto che proprio dal più potente strumento di « massificazione » e « ottundimento morale >>, la televisione, venissero i più efficaci stimoli a comprendere e a condannare la montatura demagogica: con la semplice, apparentemente neutrale (ma .il costume liberale e l'obiettività non sono mai neutrali) presentazione dei pazzeschi interrogatori e delle ridicole accuse del senatore del Wisconsin, _per l'innanzi conosciuto solo attraverso i resoconti della stampa .. Massa, a nostro avviso, è un termine e un concetto -che gli uomini di ,cultura, e gli spiriti liberali in genere, farebbero meglio a non usare. Poichè, ( 6 ) Cfr., ad es., l'articolo The TV Pattern: Signs of Revolt, nel numero del 2 maggio 1957. [13] Bibliotecaginobianco

come dice giustamente Chiaromonte, non si tratta di un concetto puro, ma di un concetto «operativo», cioè di una formula ideologièa, si deve non già stabilirne la verità, ma valutarne l'utilità, la legittimità, l'efficacia in termini di promozione della libertà. Proprio da questo punto di vista ci sembra un pericoloso concetto, e un pericoloso termine: un termine che nulla vieta di usare metaforicamente, applicato a determinate e circoscritte situazioni, ma che quando viene adoperato per tutte le manifestazioni de.Ila società e della vita contemporanea, e considerato addirittura la sua chiave interpretativa, può giocare brutti scherzi. In verità, quando qualificati ambienti culturali e acuti critici politici accreditano questo concetto senza avanzare alcuna riserva, forniscono le migliori armi proprio a quei manipolatori della opinione pubblica dei quali ,constatano con sgomento le gesta: e, per quel che riguarda i moderni strumenti di comunicazione, in certo senso finiscono per autorizzare il peggior uso. I « persuasori » occulti e palesi non chiedono di meglio che questo gratuito lasciapassare. Carlo Antoni, nella discussione su «Tempo presente», ricorda opportunamente che il termine « massa» è stato per la prima volta applicato agli uomini da S. Agostino, nella sua superba coscienza di eletto della Grazia, e che quindi la parola esprime un determinato atteggiamento di chi si sente partecipe di una superiore umanità di fronte ad una materia inerte e opaca, priva di luce spirituale. La massa è sempre massa damnata (7). L'impulso alla manipolazione della massa si fonda su questa gratuita convinzione di appartenete ad un'élite. Se accettiamo come un dato di fatto che la civiltà moderna vada fatalmente ·creando l'uomo-massa, ogni speranza liberale è perduta, e diamo partita vinta a dittature e totalitarismi. Giacchè il concetto di massa è il miglior ausiliario delle dittature, le richiede e le giustifica, chè l'uomo-massa, · privo di iniziativa, non può essere governato altrimenti. Quanto all'affermazione di Chiaromonte, che l'uomo-massa sia una struttura di comportamenti stereotipi, Antoni osserva con ragione che questo non è un prodotto della società moderna, che atteggiamenti stereotipi o conformisti ve ne sono ( 7 ) Sono d'altronde ben note le relazioni tra il puritanesimo, che ha influenzato largamente la cultura americana, e il pensiero di S. Agostino. Il che_può parzialmente spiegare gli atteggiamenti di certi studiosi di quel Paese ai· quali sopra si accennava. [14] BibliotecaGino Bianco

sempre stati, e che ai nostri tempi mcxle,gerghi e convenzionalità si trovano più facilmente in certi ambienti intellettuali che tra le cosiddette masse. In tutti i tempi, comunque, ci sono state moltitudini ottuse, facilmente fanatizzabili, moti di folle, suggestioni collettive: non è una prerogativa della nostra società. (È certo che oggi quella che gli anglossassoni chiamano « the curse of bigness » ingigantisce la scala di ogni fenomeno collettivo). La meccanicità di molti aspetti della società attuale è un fatto incontestabile, ma sarebbe opportuno « rivedere il giudizio sulla condizione dell'individuo nel mondo contemporaneo », quale gli è stata creata dalla civiltà industriale, dalla rivoluzione tecnologica. Gli «ozi» e i «giochi>>hanno acquistato una funzione sociale e vitale, ma la loro diffusione e il ìoro incremento rappresentano un progresso, in quanto sottraggono l'individuo alla fatica bruta. (In un'antologia sociologica americana, dedicata al tempo libero (1 ), si disserta intorno al fatto che « nell'antichità e nell'età di mezzo le festività erano normalmente, nel corso di un anno, 115», e che « sotto le leggi del1' ancien règime la Chiesa garantiva al lavoratore 90 giorni di riposo, 52 domeniche e 38 festività, dura_ntele quali gli era severamente proibito di lavorare». Dal canto nostro, siamo invece propensi a credere che nel corso dei secoli la maggioranza degli uomini sia stata costretta a lavorare pressochè ininterrottamente all'unico scopo di sopravvivere, e che di tempo libero, come fatto socialmente rilevante, si possa cominciare a parlare solo 4 partire dai nostri tempi. La riduzione dell'orario di lavoro è uno degli aspetti più importanti della rivoluzione sociale contemporanea: eµ è alla base del successodei -moderni mezzi di comunicazione). Proprio l'impersonalità e la rigidità - continua Antoni - della funzione che, in fabbrica o in ufficio, il mondo attuale assegna all'individuo, hanno come contropartita una mai prima conosciuta possibilità di muoversi, di vedere, di apprendere quanto fino a poco tempo fa era concessoa _pochissimi.Questa è una liberazione, un prodigioso arricchimento degli spiriti. Si tratta, per le «masse», dell'apertura di orizzonti nuovi, della conquista di terre ignote, del godimento di beni insospettati. Non è vero, d'altronde, che radio, televisione, cinema siano confor- ( 8 ) Mass Leisure, a cura di Eric Larrabee e Rolf Meyersohn. [15] Biblioteca.Gino Bianco

misti per essenza, e cioè per la loro stessa organizzazione tecnica e per la vastità del loro pubblico: << Se uno strumento impone le sue esigenze tecniche, la qualità della musica dipende da chi la suona>>. Più che ai gusti del pubblico, le pacchianerie si debbono proprio al pregiudizio della massa e delle sue «esigenze». L'arte, la poesia, la scienza non hanno nulla da temere per la loro integrità da queste nuove tecniche. Antoni dice un'altra cosa importante: e cioè di non sentire affatto i11 sè la separazione dell'uomo di cultura dall'uomo sociale. Ritiene anzi di provare, attraverso i moderni mezzi di comunicazione, un maggior senso di partecipazione alla vita del nostro tempo, una maggior comprensione di ciò che il mond<?,in bene e in male, è oggi. Il senso di distacco, e la rassegnazione che in definitiva vi si •congiunge, creano una mentalità da << anime belle>>,e sono quindi un errore e una colpa: « Per non diventare oggi una 'anima bella', occorre, anzitutto, liberarsi dagli slogans sulla 'civiltà di massa ' e sulla ' cultura di massa '; e saper vedere negli altri delle vive individualità, delle anime, con cui comunicare senza ingiustificate pretese <li superiorità morali o intellettuali, senza la sufficienza dell'iniziato». Scriveva Egidio Reale (9 ) che << la radio - ma in modo maggiore - cinematografo e televisione costituiscono senza dubbio uno strumento straordinariamente efficace per diffondere, con rapidità, la conoscenza di quanto avviene nel mondo, per avvicinare a vaste masse, in modo semplice, le cognizioni più diverse_,per far ,conoscere scoperte, per diffondere idee, persino per modificare le condizioni della vita e i costumi. Basta pensare alla rivoluzione intellettuale, spirituale e persino sociale che quelle scoperte hanno prodotto in popolazioni che la scuola, il libro, la stampa raggiungevano difficilmente ed in modo limitato e scarsamente efficace. Centinaia di milioni di persone, che non avevano mai letto un giornale o sfogliato un libro, oggi, in ogni continente ed in ogni contrada, ascoltano la radio o assistono a proiezioni cinematografiche o televisive ». Da questa realtà gli uomini di cultura dovrebbero muovere, ed in questa realtà dovrebbero sforzarsi di inserirsi, per svolgervi quèlla funzione critica o creativa, sempre illuminante e costruttiva, che è il loro specifico ( 9 ) In La libertà della cultura e -la cultura di massa, edito dall'Associazione italiana per la libertà della cultura. [16] Bibliotecaginobianco

contributo alla vita comune. Ci si sgomenta del successodi << Canzonissima >> o del << Musichiere », o del Festival di Sanremo (ma che poi il pubblico degli spettacoli di varietà televisivi sia tutto e sempre in attonita ammirazione, o non vi sia piuttosto in molti un atteggiamento assai più distaccato, smaliziato e incline al bonario dileggio, è cosa .che dovrebbe essere dimostrata). Ma ecco, per fare un esempio, che quella stessa televisione italiana che aveva presentato, nelle serate dedicate al Festival di Sanremo, i divi della canzonetta in una luce quasi mitica, con cerimonie ridicole e sussiego spropositato, ti fa riapparire, dopo poche settimane, quegli stessi divi attorno ad un tavolo, permette che essi parlino liberamente, lasciando emergere tutto il loro squallore, la loro povera umanità da un susseguirsi di frasi sconnesse, di balbettii, di confessioni pietose, tali da muovere al riso e allo scherno una larga parte del pu·bblico che in precedenza aveva dato l'impressione di sopravvalutarli. Ecco un invito al giudizio, al discernimento, al riproporzionamento delle cose, •cheprobabilmente è riuscito più efficace di tante sdegnate condanne. Merito, si dice, di un intelligente uomo di teatro. Ma anche, secondo noi, dimostrazione che nemmeno in Italia, e nemmeno negli spettacoli di varietà, che è tutto dire, le porte della televisione sono davvero sbarrate all'intelligenza intraprendente. Certamente la collaborazione non è senza spine; e i tabù sono ancora troppi e irritanti, come altri episodi di quella stessa fortunatissima serie di spettacoli hanno dimostrato. E tuttavia, se proprio da quegli episodi una lezione si può trarre, è che il misurarsi direttamente con le fobìe e gli opportunismi dei censori profitta alla lunga, di fronte ali'opinione pubblica, assai più che non potrebbe u11 atteggiamento di rigoristica rinunzia. L'ultima cosa che gli uomini di cultura dovrebbero fare è quella di çomportarsi come << esiliati in Patria », di chiudersi in un sentimento di disprezzo per il prossimo, in un orgoglioso senso di superiorità. Non dovrebbero farlo proprio perchè la loro funzione è, oggi, più importante che mai, proprio perchè questi nuovi mezzi di •comunicazione offrono loro un' opportu- _nitàdi influenza, di contatto con il pubblico mai prima sospettata. Quando ci si liberi da questi preconcetti e da queste idiosincrasie, radio e televisione appaiono come un vasto mondo in gran parte ancora da esplo- ·rare. Ed è solo attraverso un obbiettivo e spregiudicato esame di questa realtà che è possibile individuare ciò che merita di esser conservato e ciò [17] Bibliotecaginobianco

che va rinnovato, le linee generali di una riforma, i mezzi e i modi per proporla efficacemente. L'ente radiotelevisivo italiano ha origini e precedenti che peggiori non si riuscirebbe a immaginare. Creato proprio all'inizio del regime fascista (1924), ne ha accompagnato ed echeggiato le vicende fino alla catastrofe finale. Si può dire che non v'è stato un solo settore della sua attività che non abbia fedelmente rispecchiato l'ignoranza, la prepotenza, l'immoralità del fascismo. Dalla propaganda politica - stupida e asfissiante - ai programmi ricreativi, di infimo livello; dalle trasmissioni artistiche, viziate da un gretto nazionalismo, ai notiziari, menzogneri dalla prima all'ultima parola: tutta l'esperienza dell'EIAR rappresenta, per chi voglia giudicare delle cose della radiotelevisione, il punto di riferimento più basso e negativo. È vero che l'ascolto della radio era molto meno diffuso di oggi. Ancora all'inizio della seconda guerra mondiale gli abbonati superavano appena il milione; oggi sopravanzano i sette milioni, e, in più, c'è oltre un milione di abbonati alla televisione. Non va dimenticato che per creare il debito entusiasmo in occasione dei discorsi del dittatore, si doveva ricorrere all'installazione di altoparlanti nelle piazze, e riempire queste di gente convocata con la cartolina, e inquadrata militarmente. Ma questa relativa esiguità degli ascoltatori abituali non poteva certamente rappresentare un contrappeso, in un Paese totalmente dominato e inquinato dalla dittatura. Del resto, lo stesso antidoto dell'as-coltodelle radio straniere è stato tale solo per un numero limitato di persone. In realtà, in un Paese soggetto a coercizioni di ogni genere, che cominciavano e finivano con la violenza fisica, poco importa sapere quale sia stato il peso specificodella radio; e non è poi neanche veramente possibile distinguere retrospettivamente la voce della radio dalle cento altre che in ogni momento, in ogni luogo aggredivano l'italiano, con- . fondendolo, ingannandolo, minacciandolo. Quale_che sia stata la sua reale importanza in una società così sovvertita, l'ente radiofonico fascista non deve essere dimenticato. Il fascismo non è stato una « parentesi », ma una fase « necessaria » della storia italiana: per giudicare il presente, non basta guardare a dove vorremmo arri:.. . . vare, ma anche al punto da dove siamo partiti. Chi giudica l'attuale ente radiotelevisivo in rapporto a quello di una società compiutamente liberale e democratica - e viene subito in mente [18] BibliotecaGino Bianco

l'esempio dell'inglese BBC - non può non constatare serie insufficienze, che sono poi le stesse constatabili in tutta la vita del Paese, nella classe dirigente come nelle cosiddette masse, in chi detiene il potere come nelle forze dell'opposizione. Ma se lo si giudica in rapporto a quello che è stato in Italia per molti anni, occorre riconoscere che è profondamente mutato in meglio. Constatazione che può apparire di assai modesta consolazione a chi ha sperato nella palingenesi totale, nel salto dall'Italia totalitaria a un'Italia perfettamente e compiutamente democratica. Generose e necessarie illusioni, che a suo tempo hanno fatto muovere le montagne, -mache prolungate oltre la loro stagione rischiano di rendere inoperanti proprio quegli ideali liberali che costituivano la loro più intima ispirazione. Poichè se la creazione delle istituzioni democratiche può essere impresa relativamente rapida, la formazione della coscienza è del costume liberali e democratici sono sempre opera lunga e faticosissima, accidentata; che non può essere imposta illuminatamente, ma solo favorita o non favorita, consentita o non consentita; che richiede lotta instancabile, ma anche comprensione instancabile della realtà in cui si agisce. Ogni ente radiotelevisivo, proprio per la vastità e la continuità della sua produzione, è in larga misura uno specchio del proprio Paese. E a chi guarda il nostro, appariranno in definitiva gli stessi difetti e pregi del nostro Paese, com'è oggi. Non è vero, intanto, che_la radio e la televisione italiane si rivolgano prevalentemente ad un pubblico indifferenziato, a quella che Chiaromonte chiama un'« esigenza media ». Certamente assai più della metà dei loro programmi mira a soddisfare esigenze particolari e definite, di settori più o meno vasti del pubblico, più o meno evoluti; ma comunque di settori, e non di una generalità astrattamente, e cioè statisticamente, determinata. Per ciò che riguarda_la cultura, il consuntivo di un anno mostra un ilumero di opere teatrali, musicali, ecc., di eccellente o buona levatura e degnamente eseguite, tutt'altro che trascurabile. Tre programmi radiofonici normali, un canale televisivo, un programma musicale, in parte classico, per filodiffusione, più i programmi ad onde corte, forniscono ogni giorno, insieme al resto, un volume veramente considerevole di servizi culturali. C'è senza dubbio, soprattutto nel campo della letteratura e del teatro di prosa. una deplorevole mancanza di spregiudicatezza, a-Imenonei program- [19] BibliotecaGino Bianco

mi normali, e una pruderie spesso grottesca, dovuta al timore delle censure, ecclesiastiche o no; e c'è anche il solito timore illiberale per il difficoltoso dischiudersi di un Paese per troppo tempo soffocato in un angusto ambito provinciale, folcloristico, ad orizzonti più ampi, ad esperienze nuove. Così il meglio, dal punto di vista -culturale, viene condensato nel progra1f1ma culturale per antonomasia, il Terzo, ma con una rassegnazione per la supposta inadeguatezza del maggior numero, che a volte sembra veramente eccessiva. Facciamo un solo esempio: alcune piacevolissime commedie dél teatro inglese postelisabettiano, trasmesse dal Terzo Programma, sarebbero state probabilmente godute e apprezzate da un pubblico assai più vasto di quello che generalmente segue questo programma, per quel vigore popo• laresco e quello. schietto umore satirico che non hanno bisogno, per essere intesi, di alcuna eticl1etta specificamente culturale. A scorrere l'elenco dei collaboratori del Terzo Programma, ci si rende conto cl1e il concorso degli uomini della cultura laica è già oggi considerevole. Il guaio è però che queste collaborazioni si concentrano nel Terzo, creando una specie di isolotto aristocratico, per iniziati. Ma il problema no11 è solo italiano. Il nostro Terzo e stato ricalcato sul Terzo Programma della BBC, che è per ora soggetto ai medesimi limiti e, per quel che ci risulta, alle medesime critiche. Resta però vero che da noi ancora troppi uomini d1 cultura guardano alla radio e alla televisione con un certo disdegno, e, se collaborano, lo fanno quasi con un senso di imbarazzo, e un po' clandesti- . namente. È certo che la collaborazione di personalità vive e aperte della cultura e 1 dell'arte rappresenta una delle condizioni necessarie del miglioramento della produzione radiotelevisiva normale. I precedenti - non molti, ma probanti - dovrebbero ormai fugare ogni perplessità. Il settore ricreativo, che occupa una cospicua parte della produzione radiotelevisiva, è di livello alquanto discontinuo. C'è dentro un po' di tutto, ed è quello che più risente, in taluni programmi, del pregiudizio della stoltezza del pubblico. La maggior parte degli individui ha, in queste cose, una larga tolleranza, che ammette vari livelli: se le viene imposto un basso livello, tende ad adattarsi a questo; ma non già perchè sia l'unico ad essa accessibile. D'altronde, trattandosi di svago, sono pochi coloro che, normalmente, ritengono di doversene fare un problema. Qui è chiara la responsabilità dell'ente radiotelevisivo, che non deve [20] Bibliotecaginobianco .

adagiarsi sulle presunzioni di grossolanità (il sondaggio delle opinioni può offrire indicazioni sui generi preferiti, non sul livello), ma puntare sempre sul meglio. Il successo non prova nulla, e può essere sempre intelligentemente sfidato, tanto più che almeno l'ascolto della radio è entrato nelle consuetudini della maggioranza degli italiani, ed anche a voler essere pessimisti ad ogni costo è improbabile che uno sforzo qualitativamente più impegnativo possa determinare apprezzabili flessioni nel numero degli abbonamenti. Noi anzi 110nlo crediamo affatto. Quanto all'imperversare delle canzonette, non è un fenomeno di cui ci si debba rallegrare, certamente. Dal canto nostro abbiamo l'impressione che si tratti di una manifestazione che appartiene assai più all'ordine dei fatti fisici che a quello dei fatti morali: ne sarebbe indicazione la circostanza che i maggiori << consumatori » di canzonette sono giovanissimi e giovani. Non ci sembra particolarmente preoccupante il fatto che le canzonette siano per la massima parte stupide e banali - e non lo sono sicuramente più di quanto non lo fossero ve11tio trent'anni fa-; uno sfogo fisico non è necessario che sia intelligente. Preoccupante è che siano così tante, aggressive, fragorose, invadenti: anche se la radio vi dedicasse meno tempo, ci sarebbero pur sempre i juke-boxes, gli editori, i fabbricanti, i venditori di dischi, o che altro si vuole, a riversare addosso a tutti fiumi di canzonette. Senza tirare in ballo, Dio ne guardi, la ricerca motivazionale, a noi sembra che in questa esasperata ricerca di uno sfogo clamoroso entri una componente nevrotica, dovuta al sentimento, che tutti abbiamo, e che nessuno lascia indenne, di vivere in un mor1do su cui incombe una catastrofica minaccia di distruzione. Non è necessario, insomma, ricorrere alle « masse>>,alle loro « emozioni elementari>> e alle loro << sottoesigenze »: viviamo in un periodo difficile, e tutti lo sanno, o lo sentono. La canzonetta è, per la verità, un' assai esile valvola di sicurezza: non è certo in grado di far din;ienticare alla maggioranza degli italiani la loro realtà quotidiana, che è fatta di bassi salari, di sottoccupazione, di pensioni misere, di bisogno insoddisfatto di istruzione, di ansia di miglioramento umano. I servizi di informazione non strettamente politica rispecchiano, tutto sommato, quello che è un tratto i~portante della mentalità degli italia11i contemporanei: la crescente curiosità per la vita degli altri Paesi, un forte bisogno di uscire dal provincialismo del passato. Il tempo dedicato a notizie, [21] Bibl"otecaginobianco

del più vario genere, dall'estero, a collegamenti con altri enti radiofonici e televisivi, a opere teatrali e letterarie straniere, è già considerevole. Si possono discutere i singoli programmi, ma la tendenza è rilevante e positiva. C'è da augurarsi, e da pretendere, che si rafforzi sempre più, e che assuma più precisi e meditati co11torniper quel che riguarda le cose europeistiche. La radio e la televisione possono dare in questo •campo un contributo inestimabile. Insoddisfacente è l'informazione politica. Pur non essendo i notiziari attuali nemmeno lontanamente paragonabili a quelli del ventennio, la scelta delle notizie è troppo spesso tendenziosa; ma ancora più per quello che esclude che per quello che include. In occasione del già citato convegno della RAI sulle trasn1issioni radiofoniche e televisive, c'è stata una discussione sul tema dell'imparzialità nell'informazione; qualcuno è partito addirittura dalla parzialità di Tucidide, per arrivare alla conclusione che << per attingere l'obbiettività e l'imparzialità in assoluto bisognerebbe che la storia, come le sue singole notizie, non fosse scritta dagli uomini>>. Con buona pace di quei funzionari, il problema è molto più semplice: non l'imparzialità in assoluto interessa, ma che l'informazione sulla vita pu·bblica interna dia un quadro completo delle opinioni -che ogni giorno, sui più importanti problemi, vengono a confronto nel Paese. È questo quadro che manca oggi nei notiziari radiofonici e televisivi. Così come manca praticamente del tutto il dibattito politico. Si potrà obbiettare che la situazione politica italiana è anormale, perchè ci sono una destra e una sinistra anticostituzionali che accettano la democrazia e la libertà solo come mezzi per perseguire fini con esse incompatibili, e che quindi le forze democratiche sono tuttora in una posizione di difesa. Tuttavia, questo fatto, che è incontestabile, può dar solo l'idea della distanza che politicamente ci separa da quei Paesi - in prima linea Inghilterra e Stati Uniti - nei quali non solo non esistono partiti antidemocratici, ma dove tutta la vita pubblica, poggiando sul sistema bipartitico, ha ben altra chiarezza e sostanza. Non può essere una giustificazione per tener fuori dalla radio e dalla televisione la discussione e la libera competizione delle idee e degli uomini. Non è sufficiente lasciar parlare di tanto in tanto un alleato attuale o virtuale del partito di maggioranza, e, ogni morte di papa, un esponente [22] Bibliotecaginobianco

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