Nord e Sud - anno III - n. 24 - novembre 1956

. • , Rivista mensile 4iretta da F rarlcesco Compagna ANNO III * NUMERO 24 * NOVEMBRE i956 • Bibloteca Gino Bianco \ ..

Nella Lexikon Elettrica l'intero complesso scrivente, il ritorno, l'interlinea, il dispositivo maiuscolo - minuscolo, sono comandati -elettricamente. Il maggior numero di copie, che la battuta elettrica rende costantemente uniformi, e le velocità molto più elevate che si possono normalmente ottenere. assicurano un rendimento di gran lun. ga superiore a quello delle macchine manuali. Prezzo per contanti: L. 225.000 Bibloteca Gino Bianco Si scrive componendo su di un quadro comandi

• . , . Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ' ✓ I • Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Federico Gozzi Vincenzo Apicella N.d.R. Carlo Turco Salvatore Onufrio Franco Ciarnelli Maria 11archi Editoriale [ 3] · Suez e l'Occidente [9] Lo sviluppo economico del Mezzogiorno [21 J GIORNAT,EA PIÙ VOCI Europa e Gran Bretagna [29] Licenze di commercio e<<utilità sociale>> [37] Cronaca di una crisi regionale [ 43] Proteziotiismo aeronautico [ 49] Appunti in niargine alla situazione edilizia meridionale [51] DOCUMENTIE INCHIESTE Carlo Turco Sa/,arie sviluppo econo,mico [55] ' NOTIZIARIOBIBLIOGRAFICO [75] PAESI E CITTÀ Fabio Fabbri Dagli Appennini alla «bassa>> [85] CRONACHEE MEMQRIE Michele Parrella Taccuino segreto: Pionieri e filologi ' Vittorio de Caprariis Tarcisio Amato Unn copia L. '300 • Estero L. 360 Abbonamenti s Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero » L. 7.500 Effettuare i versamenti BUI c. c. P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondaclori Editore • Mileno Bibloteca Gino Bianco del Sud [103] LETTERE AL DIRETTORE [108] RECENSIONI Le cattolicisme politique en Allemagne [ 121 J La rivolta contro il formalismo [ 123] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71

Editoriale Quest'anno, il 1956, come lo scorso anno, il 1955, è stato un anno di celebrazioni decenna/,i. Quello, il 1955, ha celebrato1 il decennale della Liberazione; questo, il 1956, ha celebrato il decennale dellia Repubblica, di quel 2 giugno 1946, quando il popolo italiano, rompendo con una tradizione pur antica e gloriosa della sua storia, decise che lo spartiacque tra il pas ,s,ato e l'avvenire si esprimesse anche nelle forme istituzionali entro, cui si sar ebbe st)o/ta la sua vita democratiro. D'abitudine, siffatte ricorrenze servono per consentire agli uomini di fermarsi per un istante, di considerare il passato con ·s~ntimenti ottimis tici - di .qurll' ottimismo 1 che si ha di solito nelle celebrazioni -, di percorrere con sguardo ,orgoglioso, il già fatto e di volgersi cd futuro con fiduciosa :.speranza. Pure, questa volta vi è stata una ragione di più per tutto ciò: poiché il decenna/,~ della Repubblica ha coinciso, giorno più gio rno meno - e n1on-p,o-Aevaesserci veramente migliore e più esemplare coincidenza -, con una delle più alte manifestazioni di libertà che si diano in democrazia, col libero voto del popolo chiamiato ad eleggere i suoi ammi-- nistratori nei oomuni e nelle provincie. E profmo· i risultati del 27 mag gio 1956, co,me già avemmo occasione di· constatare, han.no consentito di va/,utare quanto cammino si sia percorso in dieci anni ed hanno aperto uffic ia/,- mente l'evoluzione in corso nella realtà politica italiana. Quel voto ha denunciato una crisi serz'a dell'estrema destra e l'ha aggravata al punto che oggi si assiste alla disgregazione di quei partiti che nel '52-'53, proclamandosi « forze niazionali », sembravano1 .recare dal Sud una seria mz·naccia alle istituzioni riepubblicane: si vedano ora le ulti me vicende del neo-fascismo, Lauro degradato a fen.omeno folcloristico (u mi- [3] Bibloteca Gino Bianco I

liante per noi napoletani, velleitario, ma càto non minaccioso -per il paese), il P.N.M. debilitato anche nella sua roccaforte siciliana; e si veda soprattutto come suonano stanche le esortazioni a costituire quella « grande destra» che sembra esserepiù l'ultima risorsa del/'arsetiale nia,zionalafscista del Tempo e del Giornale d'Italia che il primo passo verso la impossibile costituzionalizzazz·otJedel neofascismo, del qualunquismo, del legittimismo. Quel voto del 27 maggio poi ha annunciato anche una crisi, nella estrema sinz'stra,del partito comunista; e, ponendo sulla cresta dell'onda entrambi i partiti socialisti, ha additato nella costituzione di un grande pt11rtitosocialista unificato e democratz'co, di un partito italiano simile a quelli dei più progrediti paesi d'Europa, un problema fondamentale la cui soluzione è richz·estada gran parte dell'elettorato socialista. E sono bastati pochi mesi, dopo quel voto, perchè verso qu~sta soluzione si facesseroa/,cuni · decisivi passi avanti. Ciò significa, peraltro, che la crisi del partito comunista, annunciata dal 27 maggio, si è anch'essa aggravata, non come quella dell'estrema destra, ma pur sempre z·n modo sensibile. Chi pensi alla miniacciosaapparizione del fronte popolare nel '48 e alla maggioranza democristiana che ne derivò, al ritorno di fiamma della destra fra il '51 - e il '53 e al preoccupante espansionismo del P.C.l. negli stessi anni, si renderà dunque agevolmente conto di come il 27 maggio abbia rappresentato una prezz·osaindicazio11edi stabilità democratica: non nel senso del rafforzamento di questa o quella formula di governo, ma nel senso di u'nmovimento da u1iequilibrio parlamentarieprecario verso un equilibrio polz.tico·più s~a.bile,anche se f andato su forze in parte nuove e su 11,uovi . . incontri. La situazione politica italiana è oggi e sarà ancora per parecchi anni caratterizzata dai movimenti che i risultati delle ultime elezioni amministrative hanno indicato. Si è detto della crisi dei partiti nazionalf ascisti, dell'isolame1ito comunista, delle prime operazioni che avvz·sai11a,oll'unità socialista: dati della situazione politica attuale, alla cui origine sono appunto quei movimenti, indicati dal 27 maggio, profondi e non superficiali, che gli osservatori più attenti avevano z·n qualche modo previsto e che sono frutto, per la massima parte, non già di avvenimenti della ultima ora, ma di una lenta preparazione. Resta ora da dire della D.C., del suo recente congresso, da mettersi anch'esso in rapporto al 27 maggio e ai movimenti che le « amministrative» hanno indicato. [4] BiblotecaGino Bianco •

QUtdcuno ha affermato, non senza verità, che abbiamo assistito con il 27 maggio alla vittoria postuma di De· Gasperi: e in effetti la politica della resistenza alle o·ndate estremiste, accompagnaUIJa/ ,l'intervento e al tentativo· di soluzione di alcuni vecchi problemi naziona li, ha finfto col dimostrarsi pagante. La crisi della destra monarchioa. e neofascista è una crisi dell'infantilismo politico; quella del P.C.l., l'abbiamo detto e lo ripetiamo, n·on è solo conseguenza del processo di destalinizzazione, ma anc he e sopra:tutto di fatti autonomi della classe operaia italiana, s tanca e frustrata da un decennio di sterile opposizione; e quanto all 7unità socialista isi vorrà. ben dire, se lo ha detto lo stesso·Nenni, che la socialdemoc razia ha assolto nel quadro della politica degasperiana, una funzione fondamentale, positiva (per noi tutta positiva, perchè riteniamo che, per dei democ ratici le opzioni di regime devono avere la prevalenza su ogni altra conside razione). Si dev~ anche osservare, però, che, se la politica di De Gasperi v ince, la formula di De Gasperi tramonta nel moniento stesso di questa v ittoria; se vince il centrismo, cioè, tramonta il quadripartito; e nuovi ,pro blemi di schieramento politico si pongono a più o meno breve scadenza. Non si può affermare che il congresso di Trento, sia pure circondandosi di talune anche spiegabili· cautele, non sia stato costrett o, dal ritmo con cui la situazione evolve, a tener 'conto di questi nuovi pro blemi. Nei co,nfronti dei quali l'o·n. Fanfani sembrava ostinatamente ch iuso. dopo il 27 maggio (e perciò non gli lesinammo in questa sede aspre cri.tiche); meno dopo Pralognan, e ora a Trento. Ivi si è parlato, sia pure non esplicitamente, delle soluzioni (ii governo che sarebbe poisibile a ttuare ove non venisse raggiunta quella maggioranza assoluta sulla quale i democristiani stessi, a parte l'oratoria ufficia/,e, non possono fare esclusiv o, e forse nemmeno eccessivo affidiamiento. Certo, da Trento non sono venute indicazioni di grande rilievo; ma non si può negare che, rispet to a/,la presa di posizione precongressua/,e dell'Osservatore Romano, il possibilismo democristiano di Trento segna un passo avant1:.Sembra anzi c he in Vaticano, a giudicare dalla condotta dell'Osservatore Romano sulla questione di Suez -prima, sui rapporti far cattolici e socialisti poi, si sia disp erso il seme di antiche e vantate tradizioni di realismo politico. A Trento, invece, la realtà ita/,iana quale si è profilata dopo il 27 maggio non è stata negata, e nem- . meno sottova/,utata; da taluni ~<iniziativisti», Colombo Mcdfatti Zaccagnini Salizzoni, come da Gonella, Sullo e Cassiani, se ne è data anche una [5] • Bibloteca Gino Bianco

, efficace interpretazione; quanto a Fanfani, il quale sa che la D.C. può recuperare voti a destra e non a sinistra, egli non si è fatto attirare questa volta sui pt'ani inclinati delle polemiche preclusive, riteriute congeniali al suo temperamento, ma è sembrato più consapevole del solito del difficile compito di conciliare le due opposte esigenze della D.C., recuperare voti a destra e non tagliare i ponti a sinistra. Tuttavia, questa consapevolezza 110n senibra ancora ta1ito maura da rassicurare del tutto contro evetztuali ritorni di fiamma integralistici. Peraltro) le n'ttmerose aperture a destra che la proporzionale ha determinato nelle amministrazioni meridionali, (è stata questa la parte passiva dei risultati del 27 maggio) e di cui si diceva nell'ultimo 11,umerod· i Nord e Sud, non hanno consentito che il congresso di Trento ripetesse quella chiusura a destra che fu pronunziata al congresso· di Napoli e che recentemente è stata violata in numerosi e significativi casi. È vero che della destra si può oggi dire che essa non potJe più i gravi problemi che poneva ancora nel '53; e tuttaviia i rapporti con la destra restano,, dopo il congresso, la ,principale zona d'ombra della D.C., specialmente per quanto riguarda il Mezzogiorno. Sitl problenia dei rapporti con i socialisti, invece, è stato realisticamente imperniato l'ordine del giorno di maggioranza votato a Trento. La condizione che tale ordine del giorno ha posto ai socialz.sti è la stessa avanzata da Saragat; e francamente - come ha osservato Salvatore/li nel più lucido comm~nto che ci è accaduto di leggere sulla stampa quotidianq a proposito del co·ngresso democristiano (La Stampa del 21 ottobre) - non se ne potrebbe prescindere. Se tale condizione non venisse adempiuta, noi per i primi esorteremmo al, quadripartito, il quale n•aturalmente riacquisterebbe vitcdz.tàe valore di fronte ad una ostinazio·ne del P.S.I. su posizioni analoghe a quelle del trascorso decennio. Ma se, come sembra, il P.S.I., uniformandosi alla volontà del suo stesso elettorato, sostanzialmente aderirà alla unz.fz·cazionesulla piattaforma di tutto il socialismo europeo, li{JUiderà gli impegni di consulta:zione coi comunisti, si batterà per il Piano Vanoni e voterà per l'Euratom, allora potremmo e dovremmo pervenire prima o poi ad una soluzione di governo democristiano-socialista. Dopo un ric~rsoal corpoelettorale,sem·prebeninte~oche no,nsi verifichino nuovi 18 aprile, la D.C., stando alle indicazioni del Congresso di Trento, non ha escluso questa soluzione. Anzi, h-arespinto la tesi dell' o~. Andreotti, << l' emz·nenza isolata del congressoi », il sol,o che abbia escluso in ogni caso [6] Bibloteca Gino Bianco

• la collaborazione con un partito socialista unificato, e che abbia chiesto di porre subito un aut-aut <ill'on. Saragat; del qua/,e invece, saggiamente, la maggioranza democristiana di Trento non ha voluto indebolire, con una intempestiva crisi di governo, la posizione (nel qual caso si, sarebbe. indebolita anche la posizione di Nenni rispetto ai Vecchietti' e ·ai Pertini; e non si comprende perchè un giornale democra'Aico, come t'Espres~, abbia chiesto, in sede di commento al congresso di Trento, le dimissioni di Saragat, fiancheggiando così e L1ndreotti e Pertini). - A questo punto dobbiamo dire che noi consideriamo valevole l' unificazione socialista come operazz·o1iedi consolidamento e di sviluppo democratico soprattutto nella prospettiva di un governo democristianosocialista. E cogliamo qui l'occasione per espr_imere il nostro consenso rispetto ad una recente nota del Mulino - « Il pericolo, laico>>, n. 58, pag. 546 - che ci è parsa centrata e rrieditata e che indirettamente chiamava in causa anche noi. Ci limiteremmo a sostituire l'aggettivo del titolo che precedeva la nota del Mulino: il pericolo anticlericale. Per il resto vorremmo che tutta la << pubblicistica di convinzione democratica>>si adoperasse int_elligentemente - sulla linea. suggerita dal Mulino, che è anche quella di Nord e Sud - a facilitare la convergenza fra democristiani e socialisti, aiutando gli uni e gli altri « ad essere ragionevoli ». Al punto in cui sono le cose ci sembra che « se i socialisti noti sapranno o non potranno trovare la via della collaborazione con i cattolici », e viceversa, « si saranno create le condizi'oni migliori per avere un aumento di conservatorismo e di clericalismo nelle forze del go-verno e un aumento del prestigio comunista all'opposizione; esattamente la spirale che tutti i sinceri fautori della democrazia si augurano ci sia evitata>>. Abbiamo quindi molto apprezzato la lettera del/' on. Lombardi all'on.le Gonella. Apprezziamo anche certe responsabili affermazioni di Nenni sul problema del laz'cismo.A chi cerca di spingere l'unificazione socialista sul piatzo di una pugnace ca1ididatura all) << alternativa laica >> di· governo rispetto atla D.C., e quindi sul piano di una << g·rande battaglia antidemocristiana », si deve ricordare anzitutto che la D.C. difficilmente potrebbe scendere ' sotto i 9-10 milioni di voti e che il socialismo, altrettanto difficilmente potrebbe salire oltre gli 8 milioni di voti (ipotesi-limite); e siccome la candidatura all'alternativa di governo implica sempre una gara quantitativa, ecco· che in tal caso si reintrodurrebbero nel gioco (esasperato da una battaglia elet- [7] Bibloteca Gino Bianco

torale che f oisse inasprita dall'aspirazione a vincere questa gara in, modo da tagliar fuori l'avversario) da un lato i nazionalf ascisti, dall'altro i comunisti. Ed i fautori dell'unificazio1ie socialista intesa in questo modo, non , solo non sembrano rendersi conto del soistegno,che recano con le loro tesi agli Andreotti e ai Bonomi, all'·Osservatore Romano e alla Confintesa, ma non sembrano aver nemnieno rettamente inteso le ragioni laiche, che non sono certo le ragioni anticlericali, nè sul piano contitigente tiè sul piano, permanente. Dalle due parti dello << storico st~ccato >>, nuovamente ricostruito1secondo le esortazioni di certi ambienti, ci sarebbe fatalmente una D.C. rimpolpata da alleanze sanfedistiche o arricchita da un nuovo 18 aprile (e naturalmente un 18 aprile con Fanfani, sarebbe molto diverro dal 18 aprile con D·e Gasperi) ed una lega di sterile massimalismo anti- . clericale a regìa comunista. Il problema di oggi non è du1ique quello di un << blocco laico>>contro• il << pericolo clericale>>,di un fascio di forze ghibelline contro il prepotere dei guelfi, ma è qu·ello della penetrazione dei valori laici presso i quadri e le masse cattoliche. Una nuova incursione di anticlericalismo vecchio stile comporterebbe la riduzi·one della grande rivoluzio1ie dei tempi moderni ad una setta piccola e rissosa. O il laicismo si pone come dottrina dei valori . moderni, come dottri1ia dello Stato di libertà, oppure esso si snaturerà completamente, annullerà i valori morali di citi è portavoce e sarà in definitiva sconfitto._E poco conta se sarà responsabilità degli integralisti o dei laici aver in tal caso fatto risorgere quel f u1iesto « storico steccato >> che Togliatti ha sempre sognato nelle sue ore di ottimismo, che De Gasperi .;i era sforzato, per quanto fosse in lui, di abbattere, e che una volta risorto. · aprz"rebbeuna nuova crisi delle libertà democratiche nel nostro Paese, o per lo meno arresterebbe l'evoluzione in corso. [81 BiblotecaGino Bianco ' .

Suez e l'Occidente di Federico Gozzi Quella di Suez è stata ed e la più grave crisi internazionale dopo l'estate « coreana »: l'equilibrio instabile - quasi una pausa tra due guerre fredde - che pareva raggiunto, si è spezzato. I~e acque del Mediterraneo si sono a~cora una volta increspate sotto il vento delle ingiurie, delle follie e delle inutili vanterie di un apprendista-dittatore; l'intero Medio Oriente, le sue strutture statali approssimative, la sua pace precaria, sono state travolte da un soffio devastatore. Ed è stato nella ,prima fase di tale crisi, altres1, che si sono appalesate le incertezze, le approssimazioni, i falsi calcoli, le contraddizioni, di molti settori della classe dirigente del nostro paese; è stato in questa prima fase che si è verificata la più g1ravecrisi di direzione della politica estera italiana dal 1944 ad oggi. Abbiamo visto tornare certe fdbie, certi complessi, che avevamo sperato distrutti per sempre. Il mito della mediterraneità, dell'Italia, potenza mediterranea per volere della provvidenza divina e ponte tra Oriente ed Occidente per situazione geografica e vocazione; il mito della latinità civilizzatrice e fìlo-arab,a che con l'Italia al centro includerebbe la Grecia e la Spagna (e, perchè no?, anche le repub·bliche dell'America Latina ) ; il falso realismo, il machiavellismo da frequentatori q.i retrobottega di farmacie di provincia (sia detto senza offesa per questi pacifici personaggi): tutto questo non già tra i cosiddetti uomini della strada, ma proprio tra i dirigenti politici, tra uomini che avevano responsabilità della direzione della cosa pubblica, dentro e fuori il Governo. Solo l'incompetenza è stata pari ,alla leggerezza: e si è giunti così al paradosso (edificante, del resto) di giornali abitudinariamente governativi, solitamente pronti ad appoggiare il partito di maggioranza relativa, di giornali che si us.a chiamare << benpensanti >>, che non hanno potuto f.are a meno di attaccare governo e partito di maggioranza relativa, di denunciare gli erro- [9] Bibloteca Gino Bianco

ri grossolani e gli atteggiamenti irresponsabili con una vivacità ed una fermezza che ci hanno rallegrati e confortati, e di cui dobbiamo dare atto agli Spadolini e ai Perrone, come di una seria manifestazione della loro sensibilità democratica. Che la destra monarchico-fascista obbedisse al richiamo delLa foresta (anche se questa foresta è un deserto) e, nostalgica di non so più quale spada brandita da non so più quale rumoroso e rovinoso personaggio di casa nostra, si schierasse compatta a sostegno dei violatori di t,rattati internazionali e dei perturbatori della pace - .degli uomini, cioè, nei quali più volentieri essa si riconosce - era abbastanza ·comprensibile. Troppe co,sela spingevano a ciò: innanzitutto la tradizionale irresponsabilità dei nazionalisti nostrani; in secondo luogo il forsennato odio anti-inglese e antifrancese doppiato dal selvaggio godimento di ved~re francesi e inglesi soffrire gli stessi soprusi e gli stessi guai ch,e essi avrebbero fatto s.offrire a noi; e poi appunto quei miti a cui si accennava sopra, quella paccottiglia <la istituto di cultura fascista, che costituisce il solo bagaglio di cognizioni di tutta la classe dirig,ente monarchica e fascista. Ed era perfino comprensibile che qualche editorialista del Tempo, incoraggiato dalle incertezze del governo e d,alle .dichiarazioni ambigue di dirigenti democristiani, se non addirittura sicuro di più alte 1 benev,olenze, si spingesse a ripercorrere ' le vecchie strade, a ris,polverare un più vecchi.o dizionario politico, per tanti anni miesso da parte: a questo modo· si pagava un tributo alle più care memorie. E poi chissà, da cosa nasce cos.a: dalla crisi di Suez poteva anche venir fu,ori, come sottoprodotto, una nuova union sacrée, per rin- . verdire le glorie africane del paese. Anche comprensibile era che il P.C.I. si schierasse risolutamente al fianco del fascismo egiziano. Non aveva importanz,a che la costituzione . egiziana fosse peggiore perfino di quella nazista; che il partito comunista egiziano fosse stato sciolto e che dovesse tenere i suoi congressi all'estero, · che i comunisti fossero perseguitati, imprigionati, impiccati in Egitto. La diplomazia sovieti1caveniva facendo un gioco semplice e chiaro, niente affatto misterioso, veniva perseguendo gli obiettivi naturali della sua politica di potenza: il rovesciamento della presenza occidentale nel Medio Orie.qte, l'insediamento di punte avanzatè filo-russe nel grande disegno di accerchiamento dell'Occidente. Il P.C~I. non poteva fare altro che secondare tale politica sovietica: avrebbe guadagnato tra l'altro che l'attenzione [10] " , Bibloteca Gino Bianco

dell'opinione pubblica si sarebbe spostata dalle difficoltà dei comunisti, dalla loro crisi, dalle conseguenze del rapporto Kruscev e dalla destalinizzazione (non si sospettavano neppure i fatti di Polonia e di Ungheria), per concentrarsi tutta sulle sponde del canale conteso. Togliatti avrebbe potuto così continuare indisturbato il lavoro di repressione delle velleità di eresia in seno al suo partito, ristabilire la disciplina, dimostrare che Stalin non era nè un accidente nè una sostanza e che quindi non era mai esistito, e ripristinare il culto della vecchia direzione collettiva. Il fascismo egiziano e tutto il resto non aveva importanza: poichè vi sarebbe sempre stato qualche filosofo disoccupato, qualche letterato reduce dalle ser:ate di i San Leni11grado » o di << San Pechino», pronto a dimostrare, con la più raffinata dialettica, che i più loschi tirannelli costiruiscono una forza obiettivamente liberale e pr.ogressista. . Molto meno comprensibile erd. invece che cedessero alle seduzioni di una siffatta dialettica uomini pel centro sinistra laico, di forti e veementi tr,adizioni antifasciste. Certi cedimenti nel settore di Unità Popol?re, ad esempio, hanno mostrato quanto ancora sia operante la suggestione di un . generico sinistrismo, come ancora non siano stati interpretati, pur da chi se ne occupa quindicinalmente, tutti i dati reali della situazione internazionale, come ancora si sia nel vago, nell'astratto, e spesso sopratutto nel poco informato quando si parla delle rivoluzioni << nazionali>> del nostro secolo. Nè valeva tentare di mettere in pace la coscienza accomunando in una stessa condanna il fascismo di Nasser e la politica fr,anco-inglese: poichè queste sono piccole ipocrisie, che non riescono neppure a celare l'inquietudine di cl1i le avanza sapendo di giuocare a nascon,dersi magari con una propria più intima vocazione. Quegli uomini di Unità Popolare che tra agosto ed ottob,re hanno ceduto alle lusinghe della dialettica comunista o che hanno obbedito al richiamo di chissà quali am•bizioseoperazioni politiche non hanno compreso che in questa assurda estate 1956 il canale di Suez non univa soltanto il Mediterraneo al Mar Rosso, ma separava anche, almeno in Italia, i democratici dagli antidemocratici. E si deve pur dire che i gruppi di centro-sinistra, appunto qualche esponente di Unità Popolare, hanno reagito, come dovevano reagire, ponendosi in prima linea sul fronte antinasseriano. Quasi del tutto incomprensibile riesce finalmente l'atteggiamento dei liberali e di larghissimi settori della Democrazia C,ristiana. E se anche si [Il] Bibloteca Gino Bianco

volesse dare Pi primi l'attenuante delle forti pressioni subite da parte del partito di maggioranza, resta tuttavia il fatto éhe in situazioni difficili e • lt gravi come quella creata dalla crisi di. Suez, dalle vicende della nazionalizzazio11ee dalle confuse conferenze di Londra, v'era sempre l'alternativa delle dimissioni. Ma dov1e si sono rivelate le più gravi ed anche le meno spiegabiJi reazioni è stato app1 unto negli ambienti democristiani. Qualouno ha sottolineato, non senza verità, una tradizionale sordità dei cattolici a certi temi di politica estera e sopratutto a certe impostazioni fermamente occidentalistiche. Altri ha messo avanti gli interessi delta Chie~a, la preoccupazione -del Vatican.o che lo sforzo missionario nel mon.do arabo avesse a soffrire da una radicalizzazione della situazione nel Medio Oriente che sfociass-ein 11nasorta di << guerra santa » contro i 1 bianchi. Altri ancora ha sottolineato gli interessi italiani in Egitto ·e ha ricordato i sette miliardi investiti dall'E.N.I. {ma l'E.N.I. non deve investire in E.gitto, ma in Italia,. nell'Italia meridionale). E a questi motivi altri ancora se ne potreb1 bero aggiungere: l'illusione di un allineamento dell'Italia sull'atteggiamento statunitense; soprattutto quell'informazione superficiale sui problemi di politica estera, l'accennata paccottiglia da istituto di cultura fascista che, insieme al ricordo delle missioni in partibus infidelium, fa sì che in taluni ambienti del partito di maggioranza relativa si parli così spesso e con tanta serietà di missione latina, dell'Italia civilizzatrice del mondo arabo, di penetrazione e autonoma presenza italiana nel Medio Oriente. Pure, nessuno di questi argomenti, e neanche tutti insieme, .Potrebbero riuscire a dare un colore di ragionevolezza alle incertezze, agli sbandamenti, agli errori commessi da molti dirig~nti democristiani. - Poichè appunto negli ultimi dieci anni, ad .opera tra gli altri di De Gasperi, si era venuta perseguendo una coerente politica estera che relegava nel retrobottega questa paccottiglia, una politic.a che aveva operato certe opzioni fondamentali e riportato definitivamente il paese nella famiglia delle grandi democrazie occidentali. Questa era l'eredità più valid~,. forse, di De Gasperi; certamente la meno discussa e la meno discutibile: rompendo per la seconda volta nel giro di tre anni con essa, m-olti uomini dirigenti del partito cattolico hanno dimostrato P-dir poco uno scarso discernimento degli· interessi reali del paese. Ed hanno dimostrato altresì quan- [12] I Bibloteca Gino Bianco

to poco essi avessero assimilato il vero insegnamento di De Gasperi, che · anche in questo, anche nel tagliar corto a certe titubanze, per non dire ;i certe tendenze profondamente radicate nel mondo cattolico, aveva voluto come segnare la fine del complesso dello «steccato». Perchè tale conce~ zione, la concezione, cioè, di un'Italia europea è anche l'eredità di Sforza: e non è certo un caso che i soli partiti che nella crisi di Suez abbiano preso un atteggiamento conseguente e legittimo siano stati il partito repubblicano e il partito radicale. Solo repubblicani e radicali, infatti, hanno avuto piena e sicura coscienza dell'avvenimento storico, hanno inteso le ragioni della necessità della solidarietà occidentale e non hanno sottovalutato i pericoli che le incertezze e le divergenze di atteggiamento degli Stati Uniti o dell'Italia aggravavano. Poichè la politica sarà pure il regno dell'utile, ma essa chiede innanzitutto che nei momenti decisivi gli uomini si tengano stretti a questo soltanto, alle ragioni della libertà e della giustizia. Fa male al cuore· doverlo osservare, ma sono 'Stati in pochi, sono stati i soli autentici eredi delle tradizioni laiche e liberali a rappresentare nei mesi appena trascorsi, nel nostro pìaese, la coscienza civile di un'Italia europea. Non era molto difficile sulla fine del luglio e all'inizio dell:agosto '56 i11tendere qual veramente fosse la situazione nel Medio Oriente, quali sarebbero state le conseguenze, a scadenza neppure tanto lontana, del gesto di Nasser. « Si può dire che quel che caratterizza oggi la situazione medio-orientale - scrivevamo nel numero di giugno di Nord e Sud - ' e la rende così diversa ·anche solo da un anno fa, è l'intrecciarsi di due ambizioni: quella egiziana e quella sovietica. Più scoperta e ingenua, se si vuole, la seconda, ma anche più difficile da arginare e controllare; più nascosta, più ricca di sfumature, la prima, ma anche p,Ssaimeno pericolosa di quel che sembra a prima vista. Si potrebbe dire addirittura che malgrado i sogni dei dirigenti del Cairo, malgrado le loro pose gladiatorie e le loro raffinate furbizie, o intenzioni di furbizia, l'am1 bizione egiziana, considerata in una prospettiva a lunga scadenza, fuori dei successi effimeri di prestigio, è condiziona~a a quella sovietica con :scarsissime possibilità di condizionarla a sua volta.~.I dirigenti comunisti fanno una politica assai più scaltra e lungimirante di quel che i dirigenti arabi sospettino; una politica in cui la Lega k,aba può al momento opportuno essere degra- [13] Bibloteca Gino Bianco •

data dal ruolo di protagonista a quello tradizionale della vecchia commedia francese: Les ittilités ». Era questo il dato fondamentale di cui occorreva, prendere coscienz.a nell'ultima settimana di luglio: considerato da questo punto di vista il gesto di Nasser appariva solo come il gesto irresponsabile di un apprendista..;stregoneche faceva scat~are un meccanismo di cui avrebbe perso in poco tempo ogni controllo. Ed era altresì su questo dàto che occorreva mis·urare la reazione americana. Poichè quella reazione non può avere che due spiegazioni, e due soltanto: che i dirigenti del Dipartimento di Stato avessero perfettamente inteso ciò, e che volessero giuocare una grande partita a due, sulle spalle dell'Inghilterra e della Francia, o che almeno volessero mantenersi una porta aperta qualsiasi dietro di sè. Era un calcolo estreman1ente rischioso ed anche, diciam<?loschiettamente, di rara irresponsabilità: in questo caso i nostri dirigenti avevano il dovere elementare di ricordarsi che il nostro paese va a fondo o resta a galla col resto dell'Europa. Oppure che gli americani, per incertezze e contrasti (il caso Byroade doveva essere abbastanza illuminante), per necessità di -politica elettorale non avessero valutato esattamente i termini della questione: << non pare che si possa dire - scrivevamo appunto m giugno - che il Dipartimento di Stato abbia precisato una politica a lungo termine per il Medio Oriente: ed è certo che u11 a siffatta politica non vedrà mai il giorno fìnchè i dirigenti di Washington continueranno a blandire l'Egitto e ad alimentare così una nuova guisa di neutralismo, fatto di ricatti e di minacce di vendersi al migliore offerente». Ed in questo caso no11bisognava seguire Washington in una politica erro- , nea, le cui conseguenze erano allora agevoli da prevedere come sono oggi facili da constatare. Ma nell'ultima setti1nana di luglio occorreva altresì rendersi conto delle ragioni politiche profonde dell'atteggiamento franco-inglese, sopratutto dell'.atteggiamento inglese; .occorreva li1 berarsi del facile machiavellismo di sospettare che la f'rancia volesse liquidare Nasser per avere partita vinta in 1\lgeria, di sospettare -che l'Inghilterra volesse liquidare Nasser per riacquistare prestigio nel Medio Oriente; occorreva rifiutarsi di cedere alla facile tentazione di pensare che a Londra avessero perso la testa e si dessero a folli improvvisazioni. In realtà, .prestigio o no, l'Inghilterra misurava il su. o atteggiamento su tutta la sua politica precedente, su quella stessa che aveva portato al patto di Ba·gdad. L'ipotesi che quella della Lega Araba fosse [14] B~blotecaGino· Bianco

un'llilità fittizia e sempre sul momento di franare, che fra i paesi arabi dietro le proteste formali di solid,arietà vi fosse nel f.ondo una viva preoccupazione per le pretese dell'Egitto e perfino un risentimento anti-egiziano, questa ipotesi, che era stata alla base della politica ·britannica nel· Medio Oriente fino al luglio, era anche alla base dell',atteggiamento di fermezza assunto dall'Inghilterra subito dopo l'annuncio della nazionalizzazione del canale. Se si può rimproverare alla Gran Bretagn.a di non aver perseguito con coerenza t~le linea; si deve rimproverare agli Stati Uniti di non averla co~presa o di non averla voluta comprenrdere. I dirigentÌ americani, col loro atteggiamento possibilista hanno virtualmente distrutto la sola corrente politica occidentale del Medio Oriente. Su cosa poteva con~re l'Italia per inserirsi all'improvviso, e senza preparazione alcuna, jn tale situazione? Su nulla, esattamente. O, se si pref trisce, sul mito di una tradizionale a1nicizia italo-araba, il cui ricordo più recente risaliv~ al '40-'43, al p~riodo in cui il fascismo reclutava qualche screditato capo-banda e lo faceva parlare dalle nostre stazioni-radio per eccitare l'odio antinglese e antifrancese, in realtà la xenofobia nelle masse n1usulmane. E magari anche su qt1alche miliardo investito qua e là. Ma si guardi alla Germania occidentale, al paese cioè che veramente ha compiuto una poderosa penetrazione economica in quelle zone e che veramente avrebbe· la capacità, per ~apitali ed attrezzature, di una presenza economica massiccia: ebbene, la diplomazia di Bonn è stata assai più cauta, più intelligente e conseguente di quella italiana. E si è servita dell;t crisi di Suez per un rilancio in grande stile della su~ politica estera. La verità è che in Italia si pensa ancora che il fatto di essere più vicini di altri paesi iagli stati arabi ci dia dei vantaggi decisivi; la verità è rche nel .secoloventesimo vi I sono ancora dirigenti politici che pensano all'espansione economica. come se fossimo ai tempi delle repubbliche marinare. È stato co,sì che proprio nei mesi in cui cominciava a scricchiolare l'asse anglo-americano dell'alleanza atlantica, il nostro paese si è assunta la grave responsabilità di dislocare ulteriormente la solidarietà occidentale. Ed era evidente che una volta perse di vista le opzioni pregiudiziali, ci si sarebbe messi su una china scivolosa, dove le goffaggini, gli errori, le impennate, si sarebbero seguite l'una all'altra, si sarebbero intrecciate. In che cosa tutto ciò è stato mutato pei gravi, drammatici, avvenimenti degli ultimi giorni di ottobre, per l'improvviso acutizzarsi del conflitto tra (15] Bibloteca Gino Bianco·

Egitto ed Israele, per il deciso intervento anglo-francese? Al momento in cui scriviamo, mentre l'esercito israeliano accerchia le truppe egiziane nel Sinai; mentre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunitasi in una delle ore più tese della sua storia, decide la costituzione di un << corpo spe- , ciale di polizia», incaricato di realizzare la sospensio11edel fuoco tra Egitto ed Israele, e mentre i paracadutisti inglesi e francesi, in attesa della costituzione di tale « corpo speciale>>,continuano ad atterrare sul suolo egiziano; 1nentre l'opinione pubblica del nostro paese sembra percossa di stupore e t.r oppo corriva a facili condanne, e a volte, perfino a ridicoli paragoni tra i << due imperialismi » ( quello anglo-francese e quello sovietico) non si possono non ricordare alcuni fatti fondamentali, dai quali soprattutto dipende il giudizio. Il primo di questi fatti è che il dittatore egiziano è.. colui che ha rotto l'assetto internazionale e l'equilibrio politico del Medio Oriente; che egli è -il più grave ostacolo ad una pacifica soluzione dei problemi mediorientali. Prima ancora di nazio.nalizzare il Canale di Suez, Nasser aveva scatenato il risentimento anti-israeliano, l'odio antioccidentale, la xenofobia; aveva _sollecitatole forze più oscure del mondo arabo. Prima ancora di nazionalizzare il Canale, egli aveva acquistato armi nell'U r1ione Sovietica, aveva I dato inizio a.cluna politica a lunga scadenza che avrebbe dovuto far saltare ·uno dei cardini dello schieramento occidentale e che avrebbe condotto ine- .sorabilmente al predominio sovietico nel Medio-Oriente. Walter Lipmann ha scritto che << il vero amico delle Nazioni Unite <leveammettere che Nasser - con le sue incursioni nel territorio di Israele, il suo intervento in Algeria, i suoi intrighi nella Giordania e nella Siria - ha creato problemi di sicurezze che le Nazioni Unite non sono state capaci di risolvere. Sarebbe un colpo mortale per le Nazioni Unite la constatazione •che la conseguenza pratica dell'esistenza 1 dell' organizzazione è la garanzia dell'impunità a un aggressore come Nasser >>D. ob·biamo confessare, perciò, che non abbiamo letto senza un sentimento di smarrimento degli sforzi laburisti ai Comuni per far proclamare Israele: « Stato aggressore >>.A tenersi al formalismo di sforzi del genere suppongono, la Russia comunista non è mai intervenuta negli affari jnterni della Polonia, della Cecoslovacchia, della Bulgaria, e, last bt1t. non least, dell'Ungheria. Se vi è oggi una forza di eversione, <li turbamento, se vi è una causa di guerra nel Med~o Oriente, questa è l'Egitto del colonnello Nasser. [16] · Bibloteca Gino Bianco

L"altro fatto da non dimenticare, ai fini di un esatto apprezzamento clella situazione, è la grave responsabilità che si sono assunti gli Stati Uniti fin dalla fine del l11giioscorso. Già si è ricordato di sopra in quali forme ciò sia accaduto: aggiungeremo soltanto che allora, appunto, per ragioni che in q11esta sede non ci interessano, i dirigenti di Washington spezzarono per primi, nella sostanza, la solidarietà occidentale. Sarebbe troppo lungo ricordare qui tutte le contraddizioni del Dipartimento di Stato tra l'atto egiziano di nazionalizzazione del Canale e la prima conferenza di Londra; tra questa e la seconda conferenza di Londra; sarebbe troppo lungo ricordare le mezze promesse, le reticenti affermazioni, l'ignoranza sistematica delle necessità inglesi e delle ragioni delle loro opzioni politiche: tutte cose che richiamano alla memoria lo sciagurato aprile '54, la crisi indocinese cioè, e la rara attitudine alla contraddittorietà di cui diede prova allora l'}\mministrazione repubblicana. Degli osservatori non sospetti, i fratelli Alsop del N. Y. Herald Tribt,1,ne, dell'orga110 cioè che ha sempre sostenuto il partito repubblicano e l'Amministrazione di Eisenhower, hanno potuto scrivere: << Vi fu un momento in .cui le massime at1torità americane contemplarono la stupefacente idea di -inviare la sesta flotta americana a impedire gli sbarchi anglo-francesi in Egitto. Più calmo consiglio finì col prevalere. Oltre ad unirsi all'Unione Sovietica contro i nostri vecchi alleati, l'Amministrazione ha dimostrato la sua ira in altri modi. Dulles, ad esempio, ha chiamato l'ambasciatore francese, Alphand, e gli ha fatto una predica da maestro di scuola a delinque11teminorile ... La crisi di Suez è nata a Washington, dall'arrogante bru .. tale negazione degli aiuti per la diga di Assuan, e dal sabotaggio di ogni misura alleata contro l'Egitto ». La solidarietà occidentale si è incrinata allora: noi riteniam.o questo fatto una sciagura gravissima, ma esso è un fatto appunto e bisogna te1!erne conto. Se il prologo in cielo della crisi di oggi è anche negli errori occidentali tra il '50 e il '55, nella loro mancanza di coerenza; se la causa dete1minante è l'atteggiamento egiziano; una parte non piccola di responsa-- bilità è da rintracciar~ nella politica americana. Mentre Eisenhower e Poster Dulles si indugiava.no a discutere del modo di salvare << quel campione della democrazia che è Nasser >> - ha osservato con ironica amarezza Augusto Guerriero sul Corriere della Sera del 3 novembre scorso - il governo sovietico giocava con i patrioti ungheresi come il gatto col topo; li illudeva e [17] Bi loteca Gino Bianco

seduceva per giorni e giorni, li sopraffaceva pqi a tradimento. Nel momento m cui congediamo questo articolo, siamo appena da poche ore sotto 'l'incubo della finale, atroce tragedia dell'Ungheria: la presentazione all'Assemblea dell'O.N.U., da parte degli Stati Uniti, di una mozione di condanna della ferocia sovietica - contenente altresì un invito alla Russia a ritirare le sue truppe dall'Ungheria - rappresenta, al punto in cui sono giunte le cose,_ solo un troppo tardivo pentimento. Per tutto questo, innanzi agli avvenimenti degli ultimi giorni nel me-• LiioOriente, pensiamo che si debbano rifiutare le facili e semplicissime condanne. E, comunque, nessuna considerazione, anzi la più severa critica ci sembrava meritare !;argomento cl1eera già stato posto innanzi da più parti, che cioè la Gran Bretagna e la Francia facevano figura di ·aggressori nei mo-- mento in cui l'Unione Sovietica sembrava voler cedere agli insorti ungheresi .. Perchè questo è un volgare sofisma: non si possono mettere sullo stesso pia-- 110gli uomini di governo francesi ed inglesi, dai quali ci possono separare d.clle divergenze di valutazioni, ma a cui ci unisce qualcosa che supera ogni divergenza particolare, la comune fede liberale, e i dirigenti russi, i dirigenti della più colossale dittatura dei tempi moderni. Non si possono met-- tere sullo stesso piano gli insorti ungheresi, che hanno dimostrato ad un mondo attonito che si può e si deve ancora morire per la libertà e la dignità umana, e il goffo dittatore del Cairo. Qui la distinzione (a parte la riprova,, fornita clamorosa1nente dai fatti, della dittatoriale perfidia sovietica) era già.di per sè elementare: ed il dimenticarla dimostrava soltanto fino a qual punto le tecniche propagandistiche, di cui i comunisti sono maestri, riescanoa speg11ereil sano giudizio. In Italia appunto questa distinzione elementare è stata dimenticata: e l'on. Segretario del partito democristiano ha parlato senza troppo sfoggio, di sfumature, com'è suo costume, di Unione Sovietica che pareva impartir· lezioni di democrazia e dei franco-inglesi che parevano ridotti a rancurosi e incorreggibili imperialisti. E si sono altresì dimenticati i fatti fondamentali della crisi di Suez, ci si è abbandonati ad una ondata di ingiustificato risen-- timento, si è sbrigativamente giudicato e condannato. E finalmente il Go-- verno ha dato incarico al delegato italiano all'ONU di votar contro la Fran-- cia e la Gran Bretagna. Qualcuno ha detto ironicamente che abbiamo perso un'ottima occasione di star zitti: la verità è che abbiamo infranto ancora. una volta la solidarietà dell'Europa occidentale. Sappiamo bene che si dirà, .. [18] Bib'loteca Gino Bianco

, che già si dice, che l'Inghilterra è stata sempre la grande avversaria dell'europeismo, che la Francia è appunto il paese che ha affondato la CED. Ora nessuno vorrà dubitare dell'europeismo di questa rivista o della nostra stima dell'alleanza americana: è un fatto però che le opzioni fon1amen~ali restano quelle continentali. L'Italia resta a galla o va a fondo con la Francia e la Gran Bretagna: perciò l'Italia che all'ONU vota contro Francia ed Inghilterra mentre l'Olanda e il Belgio si astengono è l'Italia che non com-- batte una battaglia democratica ma che dà un altro colpo di scure al tronco dell'europeismo. . La verità è che già da tempo abbiamo notato una viva inquietudine, un generico desiderio di innovare in molti ambienti dirigenti italiani, sop•rattutto del partito di maggioranza relativa: sarebbe da augurarsi che la crisi di Suez, tra le tante c~lamità che ci ha procurato, portasse almeno a questo, ad un profondo esame di coscienza e ad una chiarificazione definitiva. Abbiamo sentito, ad esempio, dire più volte sottovoce da eminenti democristiani (e qualche discorso dell'on. Fanfani sembra confermarlo) che la D.C. si dovrebbe porre risolutamente come programma di politica estera la priorità dell'amicizia italo-americana su ogni altra politica. Lasciamo pure da parte la considerazione che il momento non sembra ~l più opportuno; e chiediamoci cosa può voler significare una simile politica fuori della solidarietà occidentale e della iniziativa europeistica. Essa vuol dire appunto i11politica estera isolare l'Italia dall'Europa; degradarla a Spagna; in politica interna sostituire uno schema astratto e prefabbricato alla evoluzione delie cose, se non addirittura creare una nuova e fittizia frattura sui temi della politica internazionale con l'opposizione socialista. L'evoluzione politica delle grandi democrazie occidentali mostra che sui dati permanenti della politica estera governi e opposizioni democratiche sono d'accordo, poichè negli attuali rapporti di potenza una certa politica estera è addirittura problema di fondo del regime democratico e il suo rifiuto può equivalere al rifiuto delle regole del gioco democratico. Ove mai anche nel nostro paese fosse in corso un'evoluzione del genere, non v'è dubbio che un progetto come quello che s'è accennato la ostacolerèbbe, se non la renderebbe addirittura impossibile. Francamente, già il discorso dell'on. Fanfani al Congresso di Trento non sembrava dei più rassicuranti. Co~a voleva dire, infatti, che il nostro paese non può assistere << indifferente » a ciò che accade in Asia o in Aftica? Che [19] Bibloteca Gino Bianco

forse la fedeltà atlantica -- che il Segretario della D.C. ha pur ribadit a - sot- ~ .. tinten,de un arbitrium indzfferentiae? No certo: perchè politica atlantica se intesa rettamente vuol dire appunto visione globale della cong iuntura internazionale e aggiustamento su questa delle politiche nazionali. È contraddittorio dire che l'Italia non può essere << indifferente >>e proclamare insieme la nostra fedeltà alle alleanze. Il solo modo coerente di mettere assieme questi due propositi sarebbe di patrocinare all'interno del1' alleanza atlantica una certa presa di posizione piuttosto che un'al tra sui proble1ni del Medio Oriente. Ma può il nostro paese sostenere i n buona coscienza di aver fatto ciò? Non sembra, se si deve giudicare dal f atto che alla riunione del Consiglio Atlantico tenuto ai primi di settembre appunto sul problema di Suez, nè il ministro degli esteri nè alcuno dei sotto segretari si era recato! Non ci si rende conto, intanto, che, proprio segnando u na dicotomia .tra la « fedeltà alle alleanze>>e l'interesse italiano per il Medio Oriente, si degrada ulteriormente la N.A.T.O. ad un'alleanza tradiziona le, la si svuota, si esula definitivamente dall'impostazione della solidarietà con le democrazie occidentali come problema di regime per la democrazia italiana. E ciò proprio nel momento in cui si segna un tale principio come pietra di paragone della democraticità del P.S.I. ! Il discorso dello stesso on. Fanfani all'ultimo Consiglio Nazionale della D.C. ha ulteriorme11te a ggravato la situazione e il voto italiano all'O.N.U. l'ha forse definitivamente compromessa. Altri potrà forse consolar~i con la massima dell'Oxerstiense; quanto a noi riteniamo che non basta rifl,ettere amaramente sulla poca sapie nza che regge il mondo, e non ci stancheremo mai di ripetere che con idee s iffatte si conduce il paese alla rovina morale e materiale. La politica di solidarietà occidentale e s.opratutto la politica di co struzione europea devono restare i dati permanenti della politica estera italiana: come scrivev,amo nel giugno scorso, come questa rivista ha ripetuto numerose volte, « noi non abbiamo da sub.ordinare nulla a nulla: ma dobbiamo continuare per la nostra strada, che è la stessa delle grandi democrazie ,occidentali». Francamente, non sembra che sia possibile fare ciò lastricando ,questa strada di dubbi, di pentimenti, di esitazioni; lastricandola di << discorsi del Campidoglio», o << di Castiglioncello >>,di velleitarie mediazioni, di voti sbagliati alle Nazioni_ Unite, di baratri scavati tra il nostro paese e le grandi democrazie dell'Europa occidentale, di calamitosi allineamenti sugli errori americani. [20] Bibloteca Gino Bianco

Lo sviluppo economico del Mezzogiorno di Vincenzo Apicella 1. Chi volesse trattare questo tema con specifico riferimento a ciò che è stato finora compiuto ed a ciò che costituisce il pr.ogramma per l'immediato futuro, non può prescindere dalla considerazione che lo squilibrio derivante dai forti scarti rilevabili tra i livelli di sviluppo raggiunti nelle due grandi parti del Paese non sia stato finora, non si dice corretto, ma nemmeno attenuato; e che, anzi, il diverso ritmo di progresso accertabile nelle due zone tenda ad accentuare questi scarti. La p,rima domanda da farsi è dunque quella del perchè l'azione intrapresa ormai da più di un quinquennio dal Governo - e che pur si è dispiegata con una intensità ed una organicità mai prima raggiunta - abbia sortito effetti tanto limitati. E la risposta che molti di color? che si occupano di tale problema danno è che le caratteristiche degli interventi attuati attraverso la Cassa per il Mezzogiorno hanno avuto essenzialmente un carattere preparatorio: essendo il compito di gran lunga prevalente di tale organismo quello di creare nell'Italia Meridionale certe opere p·ubbliche e di pubblica utilità che costituiscono le infrastrutture di un sistema economico funzionante, ed essendosi ormai raggiunto in tale campo un complesso di risultati che 1aprononuove ampie possibilità, è ora giunto il momento di passare a quello che si è appunto chiamato il << secondo tempo» dell'oper.a di risollevamento del Mezzogiorno, e cioè alla fase dell'industrializzazione, fonte permanente di reddito e di occupazione. Ciò spiega, si dice, la modestia dei risultati raggiunti finora. Gli incentivi, che pur già esistevano, a favore della creazione nel Mezzogiorno di nuove attività industriali hanno provocato un flusso di investimenti insufficiente perchè l'ambiente meridionale non era ancora così favorevole ad [21] Biblotec~ Gino Bianco •

essi, prop,rio per la mancanza di infrastrutture; e perchè le provvidenze già attuate per favorire l'industrializzazione non erano tali da rovesciare i termini della convenienza priva~a ad investire nel Nord piuttosto che nel Sud. E mentre alla p·rima « strozzatura >> ha provveduto e continuerà a provvedere l'opera della Cassa, al secondo inconveniente si cercherà di ovviare con quel compless.o di provvidenze e di incentivi che il recente disegno di legge che prolunga la vita della C.assavuol porre in essere. Una tale impostazione del problema, che può suggerire un'astratta successione di << fasi >> per la sua soluzione (prima le opere pubbliche e poi l'industrializzazione), fa perdere di vista, a mio p,arere, le vere caratteristiche del problema stesso, e quindi impedisce che la. soluzione relativa sia ricercata nella giusta direzione. · Nè vale dire che l'azione fin qui svolta non ha obbedito a tale astratta successione temporale: il problema dell'industrializzazione del Sud essendosi posto sin dlall'inizio della vita della Cassa. Ciò che conta è che il Governo abbia, in effetti, scelto la strada che conduceva ad incentrare la sua azione nella effettuazione di opere pubbliche. Con il risultato che queste ultime sono state. viste, per così dire, per se stesse; e la loro effettuazione ha finito col rispondere alla necessità di m,antenere per un periodo di tempo il più lurig.o possibile un certo livello di occupazione _piuttosto che alle esigenze di un'azione coordinata che organicamente prevedesse lo sviluppo economico di singole zone e di determinati centri; di modo che l'opera pubblica di cui si fosse previs~a l'effettuazione fosse legata a con- , crete prospettive di sviluppo e avesse proprio quelle caratteristiche che -le previste iniziative nei settori produttivi avessero richiesto. Il fatto è che l'op·era intrapresa dal Govèrno ha finora considerato separatamente da una p,arte il settore delle opere pubbliche, nel quale vi è stato un impegno di carattere conti11uativo e diretto, e dall'altra quello delle iniziative industriali, nel quale il Governo stesso ha rinunciato ad intervenire direttamente, limitandosi ad escogitare provvidenze ed incentivi, per di più di modesta entità. 2. Un'azione di tal genere incontra un limite dovuto al fatto che le caratteristiche che definiscono la « depressione » meridionale, per essere I di carattere strtttturale, non sono modificabili mediante l'attuazione di quelle, misure di intervento, diretto e indiretto, che sono normalmente I ~<lottate nei sistemi economici sviluppati nei periodi di depressione o nelle [22] Bibloteca Gino Bianco

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