Nord e Sud - anno III - n. 17 - aprile 1956

• Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO Ili * NUMERO 17 * APRILE 1956 Bibloteca Gino Bianco

r L Bibloteca Gino Bianco È la piccola macchina per l'ufficio e per lo studio privato. Fornisce un lavoro di qualità elevata e costante. Unisce le caratteristiche di stabilità e di robusta struttura dei modelli maggiori alla mobilità ed eleganza della portatile. Olivetti Studio 44 ., .J

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] Francesco Compagna La ,civiltà politica [7] Giuseppe De Meo Sulla·· pressione tributaria nel Nord e nel Sud [23] GIORNAl,E A PIÙ VOCI N.d.R. La «via» di Togliatti [33] Mario Unnia Universitari e professori: due strade parallele [37] Carlo Turco Marxisti involontari [ 44] Francesco Compagna 200 aule al giorno [ 48] ' ' DOCUMENTIE INCHIESTE Carlo Turco L'industria dell'olio [51] CRONACHEE MEMORIE Nicola Pierri &leggendo « L'A,cropoli » [78] LETTERE AL DIRETTORE [ 110] Una copia L. 300 • Estero L. 360 DmEZIONE E REDAZIONE: Abbonamentia Italia annuale L. 3.300 eemestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero » L. 7.500 Effettuare i ver,aamenti sai C. C. P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadorl Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12.71

Editoriale .. La necessità di dedicare tutte le pagine del N. 16 di Nord e Sud a/,la inchiesta sul Partito Socialista Italiano nelle provincie 1neridionali ( e nel prossimo numero ci ripromettiamo di tornare sul!'argomento, per rispondere ai commenti che l'inchiesta ha suscitato) non ci ha consentito di mettere in rilievo due significativi documenti che valgono a chiarire le posizioni della sinistra democratica: Non è mai troppo tardi, e non esritiwno quindi a richiamare l'attenzione dei nostri lettori sul discorso pronunciato da Ugo La Malf a nel dibattito di politica economico-finanziaria conclusosi · alla Camera negli ultimi giorni di febbraio e sull'intervento di Leo Valiani al primo Consiglio Naziona/,e del Partito Radicale. La Ma/,fa è ritornato sul suo tema delle « due Italie », << una Itali·a che . si avvia o rasenta le soglie di una civiltà moderna e un~ Italia che non arriverà mai nelle presenti condizioni, e senza un grande sforzo,· a sentire i benefici economici e sociali di una moderna civiltà democratica »; e ha indicato nel bilancio stata/,e lo stru1nento che, ne1la sua parte investimenti, deve essere impiegato per affrontare i grandi problemi di struttura che abbiamo ereditato dal passato. L' attua/,e situazione economica ci lascerebbe relativamente tranquilli se i nostri problemi fossero di ordine congiunturtde; ma essi sono di carattere strutturale e richiedono perciò una politica produttivistica, la qua/,e non può fondarsi che su « enormi sacrifici» da parte di tutti, e sopratutto dei ceti che l'opposizione di destra rappre.;ienta. Non solo l'opposizione di destra, aggiungiamo noi, ma anche certi settori · della D.C., presenti pure nel Governo Segni (si pensi alla contrapposizione Andreotti-Tlanoni sottolineata da un editoriale dell'Espresso). E naturalmente si pensi al P.L.l., al discorso di Mcilagodi nello stesso dibattito alla [3] Bibloteca Gino Bianco

' _ .... Camera; del quale discorso}anzi} quello di La Malfa} a no·me di tutta la sinistra democratica}ha rappresentato proprio l'antitesi; mentre certe assonanze si sono dovute riconoscere fra le posizioni di La Malfa, che .echeggiaval'impostazione di Vanoni, e quelle di Lombardi, il quale però non ci sembra rappresentaretutto il P.S.l., nelle cui fila vi è anche, come abbiamo accennato altre volte} chi sposa a proposito del piano Vanoni le tesi dell'on. Amendola. Il problema del bilancio italiano è stato riassunto da La Malfa sulla basedi una rigorosae documentata dimostrazione del fatto che, nel sistema · .della spesa}so.1iodiminuiti in percentuale gli investimenti produttivi (dcd 24,7 del 1950-51 al 18,1 del 1955-56) e so110aumentati i costi dei servizi _generalidello Stato (la voce di bilancio « oneri diversi» è salita dal 7,4% del 1950-51 al 14,1% del 1955-56); nel sistema delle entrate, d'a/,traparte, le z·mpostedirette restano molto al di sotto della percentucdeche esse raggiungono nei paesi nioderni. << Cosa dobbiamo pensare>>si è domandato La Malfa} « di uno Stato in cui i servizi generali raddoppiano di costo nel giro di qualche anno, mentre i servizi produttivi diminuiscono di peso ,percentuale? » Il piano Vanoni d'altra parte presenta una grave lacuna: poichè non si possono affrontare i problemi delle << due Italie » con la sola iniziativa privata, «l'avvenire della nostra economia sta anche in una grande e responsabile iniziativa dello Stato»; ed in questo senso c'è una parte del <<piano» che non è stata ancora scritta, non sono stati indicati cioè i sacrifici necessari per sostenere un adeguato impegno pubblico nella politica produttivistica. La quale non co-nsistenecessariamente nelljingrossamento della .spesapubblica, ma nell'allargaregli investimenti produttivi e nell'imporre al paese qitella politica di austerità clie interessa in particolare le popolazioni dell'Italia 1neridionale,tutti i ceti dell'Italia meridionale, ma che non trova la stampa, i partiti, la classe dirigetite meridionale risoluta a sostenerla; anzi, incontra magari proprio nella stampa meridiona/,e una inte- .ressatasordità; e la stessa interessatasordità incontra nei partiti di sinistra. J1llaprinia e ai secondi si addicono i passi del discorso di La Malfa che . . . .qui rzportzanio: << ••• abbiamo costruito un bilancio come se fossimo un paese di piena ,occupazione, mentre non siamo un paese di piena occupazione e dovremo costruire un bilancio per la disoccupazione e la sottoccupazione. [4] • Bibloteca Gino Bianco

Ma ciò mi induce, colleghi dell'estrema sinistra, ad esaminare un altro problema. La nostra economia presenta due circolazioni: da una parte la circolazione di un'economia di quasi benessere, dall'altra la circolazione di un'economia estremamente povera, di disoccupazione e di sottoccupazione. E la nostra contraddizione sta in questo: che noi alcune volte - troppe volte - badiamo all'economia di quasi benessere e dimentichiamo le esigenze di un'economia povera, di disoccupazione e di sottoccupazione. Su questo appunto sorge la polemica con le forze di sinistra. L'economia di quasi benessere non soltanto è l'economia di quasi benessere dei ceti capitalistici, ma trascina con sè un certo benessere delle masse di lavoratori che lavorano in quell'economia. La economia di sottoccupazione e di depressione è, invece, nel Mezzogiorno e in altre zone, economia di depressione di piccoli ceti capitalistici. E noi abbiamo quindi queste due economie che sembrano vivere come due economie separate, come se avessimo due mondi differenti, quello che io dico, ,due Italie. » In questo senso, in base a questo necessario punto di riferimento - l'economia di sottoccupazione e depressione - la sinistra democratica afferma che nè il liberismo nè il classismo sono sufficienti ad interpretare e a risolvere le necessità della nostra politica economica. E in . qitesto senso è più che mai valido il nostro consueto riferimento, ideologico e politico, alle esperienze dei paesi anglosassoni, al new-deal e cd laburismo. Dal canto suo, nel primo Consiglio Nazionale del Partito Radiccile, Leo Valiani ha parlato con molta passione delle « leggi di libertà», che sono più che mai necessarie per ridare prestigio allo Stato, per costruire lo Stato di diritto; e anche, naturalmente, perchè la realtà economica si presenti come << casa di vetro». Così, gettando un fascio di luce - << leggi di pubblicità finanziaria obbligatoria>> - sulla vita delle società anonime, delle gestioni statali, parastatali, fuori bilancio e via dicendo, saranno create le « premesse della vittoria sui monopoli». E per chi si fosse allarmato del nos~ro precedente riferimento al laburismo, valgano questi giudizi di Valiani: quello che è rimasto intatto della rivoluzione laburista in Inghilterra non è dopotutto la socializzazione di questa industria e quella miniera, ma « la pubblicità obbligatoria degli atti finanziari interni delle società anonime e attraverso di essa la legislazione fiscale modellata sulla riforma finanziaria e fiscale americana introdotta da Roosevelt». Rieccoci dunque al riferimento di prima, al newdealismo e al laburismo. Su questi temi, gli investimenti produttivi, ?'austerità, il piano Vano,ni, [5] Bibloteca Gino Bianco '

., i monopoli, la « casa di vetro», ritorneremo più diffusamente. Qui si è voluto soltanto indicare posizioni della sinistra democratica che sollecitano , nuove e ampie convergenze politiche; e precisano un «programma» che .. troppo spesso ci vien chiesto in che cosa consista: ecco, i citati argomenti~ di La Ma/,fa e Vali.ani rappresentano, in sede di politica economica e finanziaria, e non soltanto in questa sede, una indicazione e una caratterizzazione del <<programma» della sinistra democratz'ca, un test per l'opinione · pubblz'ca e gli altri partiti. . . . . ' . : .... ' . . .. ' . [6] BiblotecaGino Bianco

' DIECI ANNI DI CULTURA IN ITALIA La critica politica di Francesco Compagna ' 1 Ci ritrovammo, nel 1943a Napoli, nel 1944 a Roma e nel 1945 a Mi- , lano, ancora una volta di fronte al problema della s~mpa, della sua inso- . stituibile funzione, del rinnovamento dei suoi criteri informatori e dei suoi quadri. La stampa italiana era appena uscita da un lungo periodo di umiliazione e di asservimento; e i quadri del nostro giornalismo avevano della libertà di stampa solo un lontano ricordo; o neanc.he quello, se si pensa alla generazione che aveva meno di 20 anni all'avvento del regime e quasi 40 anni alla data della Liberazione. Man mano che questa si estendeva ad altre regioni del paese, dal Sud al Centro e infine al Nord, risorgeva fiorente la stampa di partito, e si diffondeva: una traccia di sè l'hanno lasciata Il Risorgimento Liberale soprattutto, e L'Avanti! di Roma del 1944-45; si dovrà ricordare anche L'Italia Libera del Partito d'Azione per la ricchezza delle collaborazioni; ma più di essa lascerà una traccia molto signifìcativ,ala sua legittima erede di qualche anno dop<?,del '47-'48, L'Italia Socialista di Garosci. Non era difficile immaginare però che la stampa di partito sarebbe stata presto ricondotta a più ristrette dimensioni (non così ristrette, comunque, come quelle cui poi, a parte l'Unità, si è purtroppo effettivamente ridotta) sia di pubblico sia di quadri. Nè era difficile prevedere che il « f.oglio di notizie », il giornale << indipendente >> al servizio del pubblico, con un suo indirizzo ma non con una sua etichetta, avrebbe presto potuto riprendere il suo posto, sia sul mercato dove si reclutano i collaboratori, sia su quello dove si conquistano i lettori. Grave danno derivò e al « foglio di partito >> e al << foglio di notizie >> dal non aver posto proprio allora i problemi che l'esperienza politica e pubblicistica suggerivano: ma forse di esperienza ce n'era troppo poca in gir.o dui:ante quegli anni. E così fu [7] Bibloteca Gino Bianco

lasciato passare il momento più propizio alle grandi revisioni, quel momento di vacanza di tutte le istituzioni, in cui si sarebbe dovuto pensare appunto alla qualità del prodotto, per difficile che fosse l'impresa di ~reare, quasi dal nulla, giornali capaci di assolvere la funzione istituzionale che della stampa è propria nelle democrazie moderne. Quasi dal nulla, ~bbiamo detto. Perchè infatti in Italia la pubblicistica politica non ha raggiunto mai alti e stabili livelli quando ha cercato di varcare il confine che separa il periodico specializz1atodal quotidiano d'informazione, il ristretto pubblico qualificato dal grande pubblico indiff erenziato. Tuttavia, più o meno consapevoli che fossero di questa deficienza, gli spiriti più alti dell',antifascismo avevano appassionatamente auspicato il ridestarsi nella stampa italiana di quelle sia pur fragili tradizioni che nei primi decenni del secolo avevano cercato di innalzare il quotidiano italiano - politicamente non meno che tecnicamente - ai più alti livelli . europei. Luigi Einaudi, anzi, era sceso in campo proprio per rivendicare il valore di queste tradizioni: l'importanza, cioè, che avevano acquistato, nella storia d'Italia d,al 1871 al 1915, i « fogli di notizie», venuti a integrare, ai fini di un mercato sempre più vasto, quei << fogli d'idee » che a loro volta si erano venuti trasfiormando in fogli di partito, ai fini di un mercato più ristretto e più specifico. E, del giornale << indipendente» in I~alia, Luigi Einaudi aveva voluto diffondere, prop,rio nel 1945, una poco conosciuta sua << analisi storico-critica>>, scritta a suo tempo, nel 1928, ma rimasta « pressocchè inedita>>. Questa analisi, quasi un'appendice della recensione pubblicata su << La riforma sociale» alla Storia d'Italia di Croce, si concludeva appunto in un pieno riconoscimento della funzione tutta positiva esercitata dal giornale indipendente dei primi due decenni del secolo: un giornale che « bandiva nuove campagne, poneva nuovi problemi». Il riconoscimento peraltro si estendeva alla forza e alla stabilità del quotidiano d'informazioni dell'Italia prefascista, poichè la sua « condizione assoluta perentoria di vita era il rendere servizio al pubblico di notizie varie, di avvisi utili e di discussioni indipendenti » (1 ). Il citato giudizio di Einaudi, ci pare, tendeva a generalizzare l'elogio ( 1 ) Luigi Einaudi: << Il giornalismo italiano fino al 1915 », in Nuova Antologia. luglio 1945; ripubblicato in Il Buongoverno, Bari (Laterza), 1954, pagg. 559-570. [8] Bibloteca Gino Bianco

che si può e si deve tessere di qualche esemplare quotid~no di quel tempo, tempo propizio del resto ai progressi di molti altri settori della yita ita• liana. Non si può dire, cioè, che Einaudi tenesse conto di tutto il quadro della stampa quotidiana italian.a quale allora si venne configurando, a Napoli e a Roma non meno che a Milano e Torino. Se è vero ,che a Milan'-> sorge allora l'egemonia di un grande Corrieredella Sera, non è meno vero che a Roma sorge allora l'egemonia di un Giornale d'Italia di cui certo non si può dire che fu grande; e a Napoli, nella Napoli i cui« fogli d'idee» negli anni ot~nta del secolo precedente erano stati firmati anche da Spaventa Bonghi e De Sanctis, il « foglio di notizie » dei nuovi tempi giornalistici portò la firma di Scarfoglio. Ora, se la stampa di Napoli e di . Roma risultò per la gran parte impermeaibile iall'influenza di quella, assai migliore, di Milano e di Torino, possiamo pure valutare, molti anni dopo, quale delle due ha costituito più o meno la tradizione e quale più o meno l'eccezione. Il « foglio di notizie » di cui Einaudi tesseva giustamente l'elogio er~, nella storia d'Italia dal 1871 al 1915, il Corrieredella Sera di Albertini; e anche, naturalmente, in modi diversi, magari politicamente più aperti, La Stampa di Frassati, giolittiana. Si deve pure citare, per la durata della s~a breve vita, in un tempo successivo, Il Mondo di Giovanni Amendola: da collocarsi in una zona intermed~ tra il « foglio d'idee» e quello «di notizie»,' la zona ideale, forse, di una stampa moderna di una democrazia progredita. Altri potrebbe ricordare, e non senza ragioni, certi momenti del Carlino di Missiroli e Il Tempo di Tilgher e di Slalvatorelli; o la nuova stagione de La Stampa con lo stesso Salvatorelli: siamo semp,re nel campo di giornali che vanno acquistando caratteri più seri e moderni, una certa autorità, nuovi lettori e nuovi ,collaboratori; che vanno perdendo, chi più e chi meno, il tono provinciale. È il momento migliore certo per la stampa italiana, negli anni immediatamente precedenti e immediatamente successivi alla guerra, un momento carico di promesse. Fu allora che certi giornali italiani fecero pensare a Gr~msci che essi rappresentassero quasi altrettanti partiti. Tali certo non furono, ma gruppi organici di pressione politica sì, come appunto dovrebbero essere. Ma quando si volge lo sguardo altrove è appunto il tono provinc~le che a11corapredomina. E quando si pensa per esempio al Mattino <:legliScarfoglio e al Giornaled'Jta/,ia di Bergamini, non si può fare a meno, tenuto conto della influenza avu4a da [9] Bibloteca Gino Bianco

• .... impronta scarfogliana, mentre quella albertiniana-amendoliana veniv~ brutalmente cancellata. In quella impronta, scarfogliana, ha potuto poi tranquillamente modellarsi la nuova formula, sostanzialmente non diversa da quella già descritta, in quanto nemica della critica p.olitica e ne~atrice di essa. Formalmente appare più scanzonata, a qualcuno può sem1 brare perfino raffinata. In realtà si tratta di un rigurgito di vecchi accenti posti su nuove parole. La si potrebbe chiamare, sempre con la solita approssimazione, longane-- siana: con riferimento a come ci appare oggi più che a come poteva sembrare alle sue prime formulazioni. Ibrida mistura di Scarfoglio appunto e di Prezzolini ultima maniera, un po' degli schemi del peggiore Oriani, un po' della cortigianeria di Oietti, tutte le note del dilettantism.o vociano; fotografie disegni slogans mordaci e dissolventi, molte brillanti battute e pochissime idee originali; un superficiale cinismo che natur,almente sottintende -un piatto sentimentalismo e una tenace avversione per tutto ciò che proviene da una autentica e forte ispirazione liberale: questa è la for- • mula longanesiana che pur era nata quasi come diretta protesta contro il fascismo plebeo della regia di Starace e contro gli orpelli dannunziani. Questa formula fiorì sui settimanali a rotocalco nel secondo decennio fascista e fu accreditata anche perchè, in dittatura, quei toni scanzonati sembrarono esprimere una fronda di· inquieti giovani intellettuali; si è poi diffusa sui quotidiani nel primo decennio della democrazia (insidiando anche la cittadella albertiniana e contribuendo ad impedirle di riassumere la sua funzione di critica p.olitica).C'è stata è vero una scissione dei quadri longanesiani, un'ala dei quali si è risolutamente orientata verso un responsarbileliberalismo; ma con questa scissio_r:iea,mmesso che lo fossero stati una volta, gli esponenti di quest'ala cessavano di essere longanesiani, si qualificavano proprio come l'antitesi della formula longanesiana (anche se, inconsiapevolmente, non mai del tutto guariti, alcuni fra essi, di certi vizi contratti durante la loro prima esperienza). Il fatto è che, in democrazia, quei toni che erano di fronda in dittatura si sono definitivamente risolti, come non potevano non risolversi, in un corrosivo qualunquismo. E così, mentre gli uomini dalla sensibilità civile più avvertita p~ssavano dalla fronda antifascista alla critica politica liberale, traendone tutte le conseguenze, affluivano alle redazioni reclute longanesiane ed epigoni scarfogliani. Tutti costoro hanno mirabilmente galleggiato e con~inuano a gal- • [12] Bibloteca Gino Bianco

leggiare sulle acque stagnanti della stamp,a italiana da essi « qualunqui- . stizzata >>; è andato a fond.o proprio l'ingenuo e grottesco Gianninj; forse perchè d'impulsi più generosi. E gli stessi longanesiani e scarfogliani, brillanti, magari, gli uni e irrimediabilmente vuoti gli altri, ma accomunati dalla mancanza totale di sensibilità politica e civile, hanno infestato anche le pagine dei settimanali di varietà, la cui diffusione è venuta ,acquistando nuove e più ampie dimensioni. La critica politica, dunque, di cui come si è detto gli spiriti più alti dell'antifascismo avevano invocato una più ricca e feconda s~gione, è rimasta bandita dai giornali quotidiani: quando, ~ome in alcuni giornali della capi~ale e in tutti quelli del Sud, sostituita dalla tradizionale superficialità dei direttori che tFascurano la compilazione di tutto il giornale per volgere le proprie cure a scrivere polemici << articoli di fond.o », di politica estera . e c;lipolitica interna, di economia e di finanza, di industria e di agricoltura} di sindaCialismomagari e di costume, con tanta approssimazione, come se nel giornale moderno non fosse indispensabile la specializzazione dei columnists ma soltanto la solita « bella penna » dello Scarfoglio di turno; quando, come nei quotidiani del Nord e nei settimanali a grande tir,atura, sopraffatta dal dilagare di << inviati speciali » che vanno scoprendo per il mondo i caratteri dei vari popoli e li definiscono con poche battute e moita sicumera (la serietà dei Piovene e degli Emanuelli costituisce una rara eccezione); o dal moltiplicarsi di << servizi » su quegli angoli della vita italiana che meglio si prestano a suggerire considerazioni qualunquistiche. Ma non sono soltanto il qualunquismo più o meno scanzonato dei 1onganesiani e-quello più o meno gross.olano degli epigoni scarfogliani a · deprimere il tono della stampa quotidiana italiana: v'è la carenza delle notizie (2 ) e la tendenziosità dei commenti, nella quale la stampa di partito . dell'estrema sinistr,a (tecnicamente però pregevole) e la stampa meridionale (tecnicamente a1 bbastanza pregevole) si contendono un non invidiabile primato. Metodi ereditati dal periodo fascista hanno consentito a una generazione di giornalisti, formatisi appunto in quel periodo, di inserirsi produt- ( 2 ) Ctr., al proposito, una delle << schede sulla stampa italiana~ di Sam Carcano, nel numero di Comunità del novembre scorso - già commentata in questa rivista - in cui si tratta dei << canali d'informazione », dai quali sono alimentati i nostri quotidiani, e della inettitudine di questi ultimi a fornire un panorama ricco ed obiettivo .di notizie, specie nel settore internazionale. [13] Biblotèca Gino Bianco I

• impronta scarfogliana, mentre quella albertiniana-amendoliana veniv~ brutalmente cancellata. In quella impronta, scarfogliana, ha potuto poi tranquillamente modellarsi la nuova formula, sostanzialmente non diversa da quella già descritta, in quanto nemica della critica p.olitica e ne~atrice di essa. Formalmente appare più scanzonata, a qualcuno può sem'bràre perfino raffinata. In realtà si tratta di un rigurgito di vecchi accenti posti su nuove parole. La si potrebbe chiamare, sempr~ con la solita approssimazione, longane-- siana: con riferimento a come ci appare oggi più che a come poteva sembrare alle sue prime formulazioni. Ibrida mistura di Scarfoglio appunto e di Prezzolini ultima maniera, un po' degli schemi del peggiore Oriani, un po' della cortigianeria di Oietti, tutte le note del dilettantism.o vociano; f otografìe disegni slogans mordaci e dissolventi, molte brillanti battute e pochissime idee originali; un superficiale cinismo che natur~lmente sottintende -un piatto sentimentalismo e una tenace avversione per tutto ciò che proviene da una autentica e forte ispirazione liberale: questa è la for- , mula longanesiana che pur era nata quasi come diretta protesta contro il fascismo plebeo della regia di Starace e contro gli orpelli dannunziani. Questa formula fiorì sui settimanali a rotocalco nel secondo decennio fascista e fu accreditata anche perchè, in dittatura, quei toni scanzonati sembrarono esprimere una fronda di· inquieti giovani intellettuali; si è poi diffusa sui quotidiani nel primo decennio della democrazia (insidiando anche la cittadella albertiniana e contribuendo ad impedirle di riassumere la sua funzione di critica p.olitica). C'è stata è vero una scissione dei quadri longanesiani, un'ala dei quali si è risolutamente orientata verso un responsa'bile liberalismo; ma con questa scissio~e, ammesso che lo fossero stati una volta, gli esponenti di quest'ala cessavano di essere longanesiani, si qualificavano proprio come l'antitesi della formula longanesiana (anche se, inconslapevolmente, non mai del tutto guariti, alcuni fra essi, di certi vizi contratti durante la loro prima esperienza). Il fatto è che, in democrazia, quei toni che erano di fronda in dittatura si sono definitivamente risolti, come non potevano non risolversi, in un corrosivo qualunquismo. E così, mentre gli uomini dalla sensibilità civile più avvertita p~ssavano dalla fronda antifascista alla critica politica liberale, traendone tutte le conseguenze, affluivano alle redazioni reclute longanesiane ed epigoni scarfogliani. Tutti costoro hanno mirabilmente galleggiato e con~inuano a gal- [12] Bibloteca Gino Bianco

leggiare sulle acque stagnanti della stamp,a italiana da essi <<qualunqui-- . stizzata >>; è andato a fond.o proprio l'ingenuo e grottesco Giannin~; forse perchè d'impulsi più generosi. E gli stessi longanesiani e scarfogliani, brillanti, magari, gli uni e irrimediabilmente vuoti gli altri, ma accomunati dalla mancanza totale di sensibilità politica e civile, hanno infestato anche le pagine dei settimanali di varietà, la cui diffusione è venuta ~cquistando nuove e più ampie dimensioni. La critica politica, dunque, di cui come si è detto gli spiriti più alti dell'antifascismo avevano invocato una più ricca e feconda s~agione, è rimasta bandita dai giornali quotidiani: quando, ~ome in alcuni giornali della capi~le e in tutti quelli del Sud, sostituita dalla tradizionale superficialità dei direttori che tFascurano la compilazione di tutto il giornale per volgere le proprie cure a scrivere polemici « articoli di fondo», di politica estera e di politica interna, di economia e di finanza, di industria e di agricoltura,. di sindaeialismomagari e di costume, con tanta approssimazione, come se nel giornale moderno non fosse indispensabile la specializzazione dei columnists ma soltanto la solita << bella penna » dello Scarfoglio di turno; quando, come nei quotidiani del Nord e nei settimanali a grande tir,atura, sopraffatta dal dilagare di << inviati speciali >> che vanno scoprendo per il mondo i caratteri dei vari popoli e li definiscono con poche battute e moita sicumera (la serietà dei Piovene e degli Emanuelli costituisce una rara eccezione); o dal moltiplicarsi di <<servizi»su quegli angoli della vita italiana che meglio si prestano a suggerire considerazioni qualunquistiche. Ma non sono soltanto il qualunquismo più o meno scanzonato dei longanesiani e-quello più o meno grossolano degli epigoni scariogliani a · deprimere il tono della stampa quotidiana italiana: v'è la carenza delle notizie (2J e la tendenziosità dei commenti, nella quale la stampa di partito , dell'estrema sinistr~ (tecnicamente però pregevole) e la stampa meridionale (tecnicamente abbastanza pregevole) si contendono un non invidiabile primato. Metodi ereditati dal periodo fascista hanno consentito a una generazione di giornalisti, formatisi appunto in quel periodo, di inserirsi produt- ( 2 ) Ctr., al proposito, una delle << schede sulla stampa italiana» di Sam Carcano, nel numero di Comunità del novembre scorso - già commentata in questa rivista - in cui si tratta dei << canali d'informazione», dai quali sono alimentati i nostri quotidiani, e della inettitudine di questi ultimi a fornire un panorama ricco ed obiettivo <li notizie, specie nel settore internazionale. [13] Biblotèca Gino Bianco J

' tiv~mente nelle redazioni della stampa più tendenziosa, continuando ad essere, con questo o quel colore, niente altro che « imbonitori » di quella «propaganda» contro la quale Adolfo Omodeo nel 1945 (3 ) esortava << quanti si sentono afflitti da questa mortificante procedura d'imbonimento, che li tratta da gregge stupido di fiera», non ,a reagire con « atteggiamenti apolitici e antipolitici », qualunquistici insomma, ma « a formarsi una riflessa opinione dei problemi>>, a diventare << un elemento della vivente opinione pubblica » (4 ). ·. Italiani vi esorto alla critica p.olitica, suonava foscolianamente l'appello di Omodeo nel 1945: << critica politica ci occorre... la riflessione approfondita, l'analisi acuta di atteggiamenti e di concetti potranno risolvere presso la sfiduciata opinione dei molti l'attività del cittadino che vuole elevarsi a coscienza della patria, dell'ambizioso che vuole legare il suo nome a qualcosa di grande: la critica ridarà prestigio alla politica ». Queste parole erano scritte all'indomani della Liberazione, prima ancora che si manifestasse esplicitamente la reazione q~lunquistica. Ad ascoltare oggi, dieci anni dopo, sui treni o nei salotti, nei circoli o nei caffè, gli sbrigativi rif erimenti a cose della vita pubblica da parte di persone che leggono i giornali più diffusi, non si potrà negare che persistono « imbonimento » ie « propaga~da »; e la piena maturazione dei loro frutti, tanto malefici per la coscienza pubblica e per la critica, lungi dal << ridare prestigio alla politica», ha finito col paralizzare le stesse classi dirigenti, tanto male informate e orient,ate dai « fogli di notizie ». È dunque tutto passivo, tra ·corrosivo qualunquismo zelante conformismo tendenziosa propaganda, il bilancio della pubblicistica politica italiana in questi dieci anni? Certo qualunquismo conformismo propaganda sono frutti del fascismo, che la democrazia ha ereditato. E questi frutti sono ora abbastanza marciti. Forse già si intravvede un principio di maturazione dei frutti della democrazia, se si pensa a certe nuove firme e a certe nuove testate, di pubblicazioni però non quotidiane, di « fogli di idee » ancora, non già di « fogli di notizie >>. Comunque, il bilancio della pubblicistica po- ( 3 ) Per l'attività pubblicistica di Adolfo O:modeo - del quale proprio in questi giorni ricorre il decimo anniversario della morte - in questo periodo, si veda più avanti - in << Cronache e memorie » - l'articolo di Nicola Pierri. ( 4 ) << L'Acropoli »: a. I, pag. 132. [14] Bibloteca Gino Bianco

litica italiana nel trascorso decennio va formulato con la massima sincerita, proprio al fine di consentire la liquidazione dei frutti del fascis~o e la piena maturazione dei frutti della democrazia. Citeremo, anzitutto, una « tetra pittura» che di questo bilancio fa Lo SpettatoreItaliano, in una nota del febbraio 1955; es~ vale a far misurare, tra l'altro, la lunghezza e le difficoltà della strada che si deve percorrere per conseguire il fine descritto: << La mancanza di una vera pubblicistica è all'origine dell'abisso che si è oggi aperto fra le analisi della moderna scienza economica e la visione economica dei nostri uomini politici, così come, anche se la relazione non è altrettanto immediata, dell'impermeabilità della odierna cultura politica a quelle che sono le conquiste della più recente st9riografia, che pure dalla passiòne politica ha in questi anni tratto così profondi impulsi. Mentre, d'altra parte nella vita degli studi - e degli studi più seri - proprio in reazione alla inaccettabile richiesta di strumentalità della cultura avanzata dalle forze economiche e politiche, è in corso un nuovo ripiegamento accademico che già sta facendo sentire i suoi aspetti deprimenti >>. Non si può non consentire con questo giudizio, salvo ad aggiungere, per la seconda parte di esso, che non sempre la « richiesta di strumentalità della cultura», fosse essa avanzata dai comunisti nei confronti ·di studiosi già seri e provati, o da gruppi confindustriali nei confronti di economisti, è stata respinta come <<inaccettabile »; e che spesso il « ripiegamento accademico »_ è stato determinato da preoccup.azioni altrettanto e soltanto « accademiche>>. Comunque Lo Spettatore Italiano coglie nel giusto anche quando afferm,a che era naturale vedersi in questi anni allentare il contatto che dur~nte . il fascismo si era stabilito <<fra gli uomini di pensiero e il Paese, o almeno quanto nel Paese resisteva al fascismo »; che certi libri, letti nei tempi eccezionali <<coll'aviditàcon cui si legge la stampa politica», non potevano che riprendere « la loro veste di opere di pensiero, che richiedono più meditate letture di quanto non consenta l'immediato interesse .. politico»; che infine l'allentamento di quel contatto no~ avrebbe rappresentato in sè <<un vero impoverimento», se non fosse venuta meno, tra l'indifferenza della nostra classe dirigente, quella funzione pubblicistica che « non può non essere anticonformistica ed .anche, in certo senso, prepartitica », e cioè, << se ad esso avesse corrisposto come naturale reazione la rinascita di una pubblicistica degna di questo nome: organo di attivo ricam~ bio e mediazione fra cultura e politica, che servisse come forza di choa [15] Bibloteoa Gino Bianco I ,

contro i compartimenti-stagni che andavano sempre più innalzandosi per le necessità dell'organizzazione sia industriale che politica attuale>> (5 ). Bilancio passivo dunque per la pu'bblicistica politica i~aliana di q~esto decennio: per la critica politica, ancora una volta respinta sulle pagine della rivista; per i << fogli di notizie», che non hanno saputo o voluto assolvere ,alla funzione di << organo di attivo ricambio fra cultura e politica», si sono lasciati assorbire « nella categoria meramente tecnica di quelli che si dicono i mezzi di cultura di massa », non hanno contribuito a formare << una riflessa opinione dei problemi». Nè è privo di significato il fptto che alcune esperienze di moderna critica politica, Risorgimento Liberale e Italia Socialista per esempio, non hanno potuto prolungarsi oltre un certo limite. Erano « fogli di idee » e non « di notizie >>s, i può obiettare; ma da essi i << fogli di notizie» potevano trarre il meglio: non l'hanno fatto. Altro discorso si dovrebbe tenere per la critica politica esercitata dalle pubblicazioni periodiche più o meno specializzate, dai soliti « fogli di avanguardia», da agguerrite riviste mensili e da accreditati settimanali. L.a mente corre, per le riviste, a quelle del Partito Comunista da un lato, a Il Mulino, per esempio, a Comunità e a lo stesso Spettatore !tediano, da un altro lato; per i settimanali, si pensa anzitutto a Il Mondo naturalmente; ma anche a Mondo Economico e al Mercurio. Qui si intende però rimanere in un campo il più possibile delimitato dai r,apporti fra la pubblicistica politica e quei giornali quotidiani che dovrebber,o - per rifarsi ancora alle parole di Einaudi - « rendere servizio al pubblico di notizie varie, di avvisi utili e di discussioni indipendenti >>; e dovrebbero anche, nelle forme proprie, portare la critica politic,a a contatto di pubblici più vasti, presso i quali è necessario « ridare prestigio alla politica >>; senza rinunziare d'altra parte ad << agire sugli uomini politici per farli determinare a questa o quella azione concreta>>. Qui la mente si trova in difficoltà se vuole correre ad esempi italiani, mentre numerosi si affollano gli esempi inglesi francesi svizzeri. Si può consentire o dissentire per es_empip con la linea politica tracciata da un giornale come Le Monde: ma quella linea, elaborata da una moderna e responsabile équipe, è arrivata al Parlamento e al Governo, ha determinato ( 5 ) Lo Spettatore lta/1:ano: a. VIII, n. 2. [16] Bibloteca Gino Bianco

fondamentali orientatnenti della classepolitica, dei partiti e deli'opinione pubblica, ha lasciato una sua traccia nella vita francese ed europea del . trascorso decennio. Forse che Il Corrieredella Sera può vantare altrettanti titoli di presenza e di influenza politica? Eppure il Corriere della Sera rappresenta ancora il vertice ,araldico della stampa italiana. Gioverà perciò considerare certi aspetti della sua funzione che è tr,oppo importante per essere sottovaluta~a come da alcuni oggi si pretende. Premesso che, sul piano della politica interna, massim~ preoccupazione del Corriere sembra che stia effettivamente diventando quella di non scoprirsi mai troppo, avviene spesso che gli scrittori di cose politiche e morali, o economiche, una vol~ che arrivano a dare in esclusiva la propria firma al quotidiano milanese, perdono di mordente e non suscitano più interesse; restano come schiacciati dalla grande macchina, si adeguano a un tono in cui il commento politico si stempera a volte in un grigiore senza rimedio. Il Corriere resta però il migliore quotidiano italiano, grazie a una tradizione, e ai molti mezzi di cui dispone; e sia pure dalla finestra un soffio di critica politica riesce ad entr,are e a circolare per le sue classiche colonne. Ci riferiamo soprattutto all'opera svolta da ottimi corrispondenti fissi nelle capitali, a Stille Bartoli, Sanza Ottone (e come dimenticare il Piovene corrispondente da Parigi!). Peccato che non ci si decida a commettere loro frequenti editoriali politici, saltuari e opportuni complementi del quotidiano << servizio », necessariamente stirato dal tempo e dallo spazio, troppo legato alle notizie del giorno per consentire al commento e alla critica tutto quel respiro che i corrispo11denti sarebbero capaci di infon~ c.lere (si vedano le note settimanali siglate u. st. su L'Espresso.) e da cui la opinione pubblica trarrebbe gran giovamento. Nè si devono dimenticare certe note da Roma di Airoldi, relegate in quinta pagina, purtroppo, serie e illuminanti su quegli aspetti della vita dei partiti e delle loro organizzazioni che vengono di solito assai poco .osservati e commentati dai frettolosi corrispondenti politici nostrani. • Esempi, cui forse altri se ne potrebbero ,aggiungere, traendoli dal Corriere o da altri quotidiani, specialmente del Nord; esempi di una pubblicistica politica viva e moderna, che non trova però tutto lo spazio e il rilievo che meriterebbe; che anzi passa spesso inosservata, schiacciatp. come è tra il longanesimo degli « inviati speciali >> e il grigiore delle note uffi- [17] Bibloteca Gino Bianco

' ciose. Se poi dal Corriere volgiamo lo sguardo agli altri « fogli di notizie>>, troviamo che, quanto al livello della collaborazione, il primo ha finito col depauperare notevolmente i secondi, ma non fino al punto da non aver opportunamente stimolato, proprio perciò, una più coraggiosa ricerca di nuove firme; e quanto alla critica p.olitica, essa si ritrova sì qua e là anche a buoni livelli, ma sempre come il frutto dell'intelligenza o dell'esperienza di q11alche columnist (Salvatorelli in primissimo luogo, naturalmente) o corrispondente (vogliamo fare un solo esempio, uscito proprio dal nostro gruppo: Michele Tito da Parigi per Il Messaggero); 11\ai come risultato perseguito tenacemente da una equilibrata e coordinata équipe. Non parliamo dei quotidiani dell'Italia meridionale cui questa rivista ha dedic,ato numerose note e una estesa inchiesta; ma di critica politica è povera anche la più progredita stamp.a quotidiana dell'Italia centro-settentrionale, se per critica politica si deve intendere, come dicevamo, quel lievito che ha promosso a salda istituzione civile la stampa dei P1aesi liberi. Questo non vuole essere nè uno studio sui quotidiani italiani, nè una rassegna di tutte le form.e della critica politica e di tutte le sue manifestazioni; ma, come dicevamo, soltanto un sommario bilancio dei rapporti fra critica politica - intesa come << anticonformistica ed anche, in un certo senso, prepartitica » - e stampa d'informazione. Tuttavia si deve dire che la critica politica italiana può vantare al suo attiv.o alcune pubblicazioni specializzate di un certo valore. Si è già accennato a qualche esempio di rivista o di settimanale. Si vuole aggiungere che non sempre però queste pu1 bblicazioni sono << prepartitiche >>: si pensi ai periodici comunisti, Rinascita e Società, e agli organi di corrente ,della Democrazia Cristiana. Inoltre la critica politica può vantare una presenza continuativa su vecchie e nuove riviste effettivamente sciolte da impegni o legami di partito, ma che presentano a volte il difetto opposto, di essere troppo antologiche, anche se nel senso più ricco delLa parola: si pensi alle riviste che sono le ultime trincee azioniste, al Ponte e a Nuovi Argomenti per esempio, e le si confronti all'Acropoli di Omodeo o alla Nuova Europa di Salvatorelli. Infine vi sono firme autorevolissime - queste, si deve riconoscerlo, per gran parte di provenienza politica azionista - che alla critic.a politica italiana hanno conferito decoro in questi dieci anni. E qualcosa si deve poi pur aggiungere ,sui rapporti fra critica politica e quei settimanali a grande tiratura che, nel decennio preso in considera-- [18] Bibloteca Gino Bianco

zione, sono venuti a integrare la funzione informa tiva dei quotidiani, imponendo a questi ultimi anche uno scambio di colla1 borazioni. Anche qui però il bilancio è piuttosto p,assivo per la critica politica: e lo dimostra il fatto che un settimanale di più recente fondazione, L'Espresso, proprio perchè esplicitamente manifesta intenzioni di presenza e pressione politica, dichiara di ra,ppresentare una formula « nuova » 1diversada tutte le precedenti: il che è vero, p~accia.o non piaccia il colore che esso si è dato. Ma certo, quando sono venuti meno alla funzione della critica politica i quotidiani d'informazione, non si poteva pretendere che essa venisse assunta dai settimanali di varietà. Nè questo avrebbe colmat~ il vuoto determinato dalla diserzio,ne dei giornali quotidiani: è questo vuoto che deve essere iscritto al passivo e della critica politica e della stampa quotidiana. È certo un segno grave che non si sia riusciti a creare un solo giornale d'équipe, sciolto da ogni legame di partito ma niente affatto antologico; che non si sia saputo trovare la formula attraverso cui consentire ~lla critica di pervenire a un pu1 bblico nuovo e più vasto, per « ridare prestigio alla politica>>; che si sia quasi rinunciato a imporre in Italia i modelli più evoluti dei Paesi più progrediti. Qui conviene allora p.orre risolutamente, ~ fianco del problema generale, di tono di indipendenza di quadri, della critica politica italiana, alcuni problemi specifici, la cui influenza è stata forse· sottovalutata. Il primo è qt1ello della sede tipografica della critica politica italiana: è proprio necessario, anche quando non dovesse più ,assumere le forme dilettantesche del gigionismo scarfogliano, l'articolo di fondo, la scena madre alla cui recitazione i giornalisti italiani arrivati sembrano così tenacemente legati? Non sarebbe assai più pertinente, ai fini dello svolgimento e dello sviluppo della critica politica quotidiana, la tecnica delle brevi note editoriali, firmate o siglate, possibilmente collocate, con l'adeguato riliev.o tipografico, in una pagina interna? Il secondo problema particolare è quello della esclusività delle firme, visto nelle sue effettive conseguenze. Non quelle di accaparramento delle firme migliori, che è legittimo frutto di legittima vittoriosa concorrenza; e se può provocare il depauperamento di tutti a vantaggio di uno, ciò deriverebbe sempre dalla riluttanz,a a ricorrere alla qualificazione di quadri di ricambio e soprattutto dal fatto che questi quadri non si aggruppano in équipes selezionate dalla scelta e dagli orientamenti politici. Le [19] Bibloteca Gino Bianco

è:ònseguehze delia esclusivit~ da prendere qui in consider~zione sono piuttosto quelle che si riferiscono alla vitalità intellettuale del pubblicista reclutato fin dalla giovane età per la stampa quotidiana: questa vitalità subi-- rebbe un fiero colpo ove la esclusività si estendesse ~ quelle pubblicazioni non quotidiane in cui il pubblicista che non vuole inaridirsi in una attività tutta di mestiere potrebbe, di tanto in tanto, dare sfogo alla propria ispirazione e alle proprie riflessioni, con articoli lunghi, senza le preoccupazioni di spazio e di stile che so~o indissolubili d1 alle note e dai servizi per il giornale quotidiano. Ci dicono di alcuni casi in cui si sarebbe cominciato a estendere l'esclusività fino a questo punto. Il rispetto per la cultura che tutto il mondo giornalistico dovrebbe tutelare deve impedire e di accettare e di imporre condizioni di esclusività (specie ai giovani che sono poi quelli più costretti a subirle), tali da ridurre al minimo l'attività degli scrittori di cose politiche e civili. Infine, il terzo problema particolare che deve essere una buona volta posto è quello degli albi. Tali albi si vogliono giustificare con lo specioso argomento della « tutela di categoria>>, ma da essi deriva il risul~ato di far deperire la categoria <<tutelata>>,di impedire cioè la formazione e la promozione di nuovi quadri. <<Non esiste un albo di poeti, non può esistere un ,albo di giornalisti», scriveva Luigi Einaudi. Quando l'albo comporta la « chiusura dell'ordine», e perfino una specie di « tribunale di pari» che deve giudicare dell'idoneità alla professione, quando esso implica un danno per chi non v'è ammesso e un privilegio per gli iscritti, esso è <<null'altro che uno strumento fazioso per impedire agli avversari, agli ,antipatici, ai giovani, agli sconosciuti l'espressione libera del pensiero; null'altro che un mezzo per ripetere, forse inconsapevolmente, l'eterno tentativo di limitare il numero degli iscritti alla professione nell'ingenua persuasione che ciò valga a dar più lavoro agli arrivati>>. Che è poi una persuasione « ingent1ia>>fino a un certo punto, se si pensa che, con la limitazione dell'albo, si riesce a rallentare se non a impedire il ricambio dei quadri redazionali. Le norme corporative connesse all'albo disonorano il giornalismo italiano: ma questo è un punto ~ssai poco sentito, se è vero che vige su esso una congiura del silenzio cui aderiscono destra, centro e sinistra. Rivedere quelle norme è indispensabile: perchè « l'albo dei giornalisti diventerà una cosa tollerabile e potrà anzi diventare una fonte d'onore, quando la iscrizione, aperta a tutti, sia fatta volontaria- [20] Bibloteca Gino Bianco

mente e quando la non iscrizione non produca alcuno, benchè minimo, effetto legale. Fuori di lì, l'albo dei giornalisti è, tecnicamente, un istituto assurdo e ridicolo, moralmente uno strumento di schiavitù, un indice infallibile di tirannia >>(6 ). Questo tema, assai poco discusso, non interessa naturalmente in modo diretto la critica politica, ma tutta l'attività giornalistica; più quella dei gradi medi e inferiori, anzi, che quella dei gradi più alti, della critic,a politica appunto, i quali, albo o non albo, riescono comunque a qualificarsi; e se il loro insediamento diventa difficile, non dipende tanto dal1',albo quanto da altre ragioni. Dall'altr.o grande tema, per esempio, sempre molto discusso, dei rapporti fra proprietà e redazioni dei giornali. Indubbiamente questi rapporti tendono ad interferire con la indipendenza della critica politica. A questo punto però il discorso uscirebbe dai limiti che qui ci siamo prefissi, di bilancio della pubblicistica politica italiana in questi anni, per affro11tare complessi problemi ,di struttura come si tSuol dire, della nostra società politica e civile. Non si può tacere però dello zelo servile di certe redazioni che spesso è di più grave impedimento alla libera critic,a politica che non determinate pretese di certi ambienti proprietari. Basti pensare al quotidiano economico 24 Ore: non mancano qui significative aperture di critica politica, che certo risentono della proprietà assai definita del giornale, ma almeno volgono lo sguardo in maniera niente affatto provinciale alle cose del mondo e dell'Italia, con editoriali brevi e centrati che fanno contrasto naturalmente con certe note ufficiose di palese ispirazione confindustriale. Eppure 24 Ore p.ppartiene alla Confindustria, come gli assai scadenti Il Globo e Il Gz·ornaie d'lta/1:a. La grande differenza fra il primo e i secondi fa pensare appunto che, qUiando alla proprietà corrisponde una buona redazione, il giornale è più intelligente, se non più libero, di quanto non lo sia il confratello in cui, a una proprietà magari meno esigente, corrisponde una mediocre redazione, animata peraltro da zelanti sentimenti di servilismo. La critica politica dunque deve trovare la sua sede anche e soprattutto sui fogli quotidiani. Il quotidiano d'informazione capace di essere una forza a sè nella vita pub1 blica del Paese, con una équipe che bandisca « nuove campagne» e ponga << nuovi problemi>>, capace di << agire sugli ( 6 ) Luigi Einaudi: Il Buongoverno, cit. pagg. 592-597. (21] Bibloteca Gino Bianco

uomini politici>> per spingerli << a questo o ,a quella azione concreta>>, potrebbe e dovrebbe riprendere quel moto di rinnovamento che fu represso dal fascismo. Un rinnovamento e arricchimento dei quadri della pub- . blicistica politica è attuabile attingendo i quotidiani soprattutto dalle già selezionate firme delle pubblicazioni specializz.ate; e in questo senso il ricambio fra gli uni e le altre deve essere reso più attivo e organico. La liquidazione della formula scarf ogliano-longanesiana, in tutte le sue implicazioni variazioni derivazioni, è infine una necessità pregiudiziale perchè la pubblicistica politica italiana e tutto il giornalismo italiano si sollevino al livello di serietà dei migliori esempi eur.opei. Queste, oltre quanto abbiamo detto su certi problemi specifici, come quello, importantissimo, degli albi, sono le conclusioni cui ci adduce il sommario bilancio della pubblicistica politica italiana in questi dieci anni. E da esse si ricava quanto siano andate deluse le speranze di un Omodeo all'indomani della Liberazione; qt1anto siano state trascurate le indicazioni di un Einaudi sul modello esemplare dell'indipendente << foglio di notizie »; quanto infine siano state poco seguite le lezioni di un Albertini e di un Amendola, che a suo temp,o si erano ispirati ai grandi esempi anglosassoni e alla propria civile passione politica. M.a i frutti del fascismo, dicevamo, sono marciti. Che si avvicini l'ora della maturazione dei frutti della democrazia non è poi speranza senz.a qualche fondamento. I [22 J ' Bibloteca Gino Bianco

Sulla pressione tributaria nel Nord e nel Sud di Giuseppe De Meo In uno studio pubblicato alcuni mesi ,or sono (1 ) - del quale detti un breve riassunto anche su questa rivista (2 ) - feci un primo tentativo di valutare l'effettiva incidenza del carico fiscale sulle singole regioni it,aliane nell'esercizio 1952--'53.Quasi contemporaneamente alla pubblicazione del mio studio, il prof. Gaetano Stammati, Direttore Generale delle Imposte indirette presso il Minister.o delle Finanze, pubblicavp. uno scritto (3 ) nel quale, dopo aver accennato ai « lodevoli tentativi fatti anche recentemente per correggere la ri,partizione fra le varie regioni dei tributi risc01Ssi » (4 ), affrontava il medesimo problema non senza far precedere la trattazione da una rassegna storica della questione come io stess.oavevo fatto nel mio lavoro. Nel suo studio, il prof. Stammati, partendo da criteri per la maggior I ! • ( 1) G. DE MEo, Un tentativo di determinazione deJ carico tributario nelle regioni italiane, in: << Moneta e Credito>>, Rivista della Banca Nazionale del Lavoro, n. 29-30, Roma 1955. ( 2 ) G. DE MEo, La ripartzzzone territori·a/.e del carico tributario in << Nord e Sud>>, n. 10 del sctt. 1955, p. 20. ( 3 ) G. Sl'AMMATI, Pressione tributaria del Nfezzogiorno d'Italia in: << Prospettive Meridionali~, agosto--settembre 1955, p. 7-13. ( 4 ) Questo accenno si riferisce ovviamente al mio lavoro pubblicato sulla rivista ,~Moneta e Credito>>. Infatti, il prof. Stan1mati, come lui stesso afferma (Pressi·one tributaria ecc. cit., poscritto), era in possesso del manoscritto del mio lavoro quando scriveva il suo articolo. Con1e risulta altresì dalle dichiarazioni dello stesso ·A. (op. loco cit.) egli non credette citare il mio nome perchè il mio studio era ancora inedito nel periodo nel quale il lavoro dello Stammati veniva compilato. [23] Bibloteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==