Nord e Sud - anno II - n. 10 - settembre 1955

I I . , ,# ' Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I , • • I ANNO Il * NUMERO 10 * SETTEMBRE 1955 Bibloteca Gino Bianco

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Rivista lllensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [ 3] / Francesco Compagna Nuovi quadri democristiani [7] Giuseppe De Meo La ripartizione territoriale del carico tribu-, tario [20] GIORNAT,EA PIÙ VOCI , n. d. r. Le inquietudini dei comunisti [31] Alessandro D'Aquino· Industrie <<dinamiche>e>provvedimenti di « tipo britannico» [37] Nello Ajello I manoscritti nella bottiglia [ 44] Federico Orlando Tra Isernia e Campobasso [ 46] / Francesco Compagna Meridionalismo liberale [51] / Manlio Rossi - Doria Giulio Salvi DOCUMENTIE INCHIESTE L'educazione dei contadini [58] Turismo sui « due golfi>> [72] IN CORSIVO [104] l CRONACHEE MEMORIE Francesco Nitti Matera 1902 [110] Vittorio de Caprariis Una eopla L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti a Italia annuale L. 3.300 aemeatrale L. 1.700 E.tero annuale L. 4.000 eemeatrale L. 2.200 Effettuare i Tenamenti sai C. C. P. n. 3/34552 intestato a .6.moltlo Menda clori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco LETTEREAL DffiETTORE [122] RECENSIONI Secondo Risorgimento [ 125] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71

Editoriale ' La rivista ufficia/,e del Partito Comunista dedica, nel numero di giugno, una nota di replica alla « posizione espressa e difesa, negli organi dirigenti del Partito Repubblicano e pubblicamente, da Ugo La Malfa » (Rinascita, giugno 1955, pagg. 395-396). Tale nota, intitolata <<'Laici' e 'non laici'», è firmata dall'on. Togliatti; e indirettamente .riflette anch'essa quella inquietudine dei comunisti di cui isi parla pi·ù avanti in . . questa rivista. . . La «posizione>>dell'amico La Malfa cui l'on. Togliatti si rifer1:sce lza preso rilievo da articoli pubblicati, poco prima e durante l'ultima crisi di governo, su Il Mondo, la Stampa, L'Europeo; ma fu poi~da La Malfa illustrata e approfondita nel n° 7 di Nord e Sud. lvi infatti· si tentava anzitutto di redigere un bilancio più analiti·codella collaborazione fra cattolici t· laici, consule De Gasperi; e ne risultava, tra l'altro, come posta attiva , di questo bilancio, il limite risolutamente posto dalla isinistrademocrati·ca, e «laica>>a, lla strategia dei fronti popolari a direzione comu1iista, nella consapevolezza che la politica <<finalistica>d>el P.C.I. fosse~come è, « incompatibile con gli ideali ed i principi della democrazia». Fu appunto la consapevolezza di questa <<incompatibilità»;in un momento in cui le possibilità di spinta eversiva da parte dei comunisti, comunque camuffate, erano tutt'altro che <<panzane»,come afferma ora l'on. Togliatti, :a far decidere la sinistra democratica, e <<laica»,alla immediata accettazione di tutte le responsabilità che la collabora?ione al g·overnocon i cattolici implicava,-<e ciò, naturalmente, tutt'altro che « ,!enza discussione>>m, a sulla base di una va/,utazionedi fondo che ha allineato tutti i democratici europei dal 1947 in poi: la finea più esposta della difesa Bibloteca Gino Bianco • ,

\ «laica», specialmente in Italia, era quella minacciata d'aggiramento dai I comunisti. Si può dire ora che, sia pure a costo di molti equivoci e di gravi sacrifici, questa linea è stata risolutamente difesa. Ma si può dire anche che la minaccia di aggiramento persiste; che << il clima di distensione» non -significache essa perde di attualità e di mordente; che esso anzi la rende per certi aspetti più insidiosa; che_infine i dati nuovi della situazione ita~ liana, le incognite della segreteria Fanfani come le incognite della nuova -politicadel P.S.l., richiedono più- che mai atteggiamenti fermi e ri1soluti ... da parte dei democratici «laici», una consapevole·zza dei nuovi termini ' della situazione politica, una audacia di prospettive ,che finora è per vari aspetti mancata. Ma questa audacia diventerebbe incoscienza, abdicazione, diserzione, ove si spingesse fino all'accettazione delle solite lunsinghe implicite nel ragionamento dell' on. Togliatti. ·Tutto questo suo ragionamento è viziato dal fatto: che l'on. To·gliatti non può tener conto di certe considerazioni f onda1nentali: che, per i democratici «laici», i comunisti appartengono ai « non laici»; che «laici» sono i regimi della democrazia anglosassone e scandinava, le tradizioni dell'Italia moderna, e della Francia moderna, non i regimi della « democrazia progressiva» nell'Europa orientale; che l'aver contribuito, nel settore più sensibile dello schieramento politico itcdianoJ allrisolamento· dei comunisti, in modo tale che ora fSene avvertono le conseguenze nel settore socialista, significa appunto aver fatto politica «laica>>.Quando perciò l' on. Togliatti . afferma che « almeno per il momento, l'uso del termine «laico» per designare i tre partiti alleati della democrazia cristiana non è appropriato»; che << si tratta di un puro qualificativo formale, di como,do, cui non corrisponde un contenuto tale che possa dare una impronta ben differenziata a un qualsiasi blocco politico»; che la distinzione fra «laici» e « non laici» può servire più che altro ad << intorbidare le acque, nel momento in cui incombono problemi reali e di· governo, ben diversi e ben più gravi di quelli che solleva il dibattito attorno al laicismo »: quando afferma tutto ciò l'on. Togliatti esprime un giudizi·o che non è affatto << valido in pieno», perchè 11,ontiene conto dei veri confini che passano fra il << laico » 1 e il « non laico » nel mondo contemporaneo; perchè chiama « visione apocalittica dello scontro fatale con i partiti democratici di 'Sinistra>>un elementare e permffe nente problema di difesa <<laica»contro i comunisti, perchè giudica lo sforzo di De Gasperi per superare << lo storico steccato » nient'altro che il BiblotecaGino Bianco

reclutamento fra i «laici» di « semplici ausiliarisubordinati», proprio come le frangie <<indipendenti»dei fronti popolari. Tutto ciò non significa che non formuliamo alcune rilevanti riserve nei confronti del rapporto attuale fra partiti <<laici>> e D.C., specialmente per quanto si riferisce alle ultime vicende di liberati·e socialdemocratici: sono appunto le ri·serveche si· pot~ono leggere nel citatoiarticolo di Ugo La Malfa sul n° 7 di Nord e Sud e nell'editoriale del n° 8. Riteniamo superfluo ripeterle, come non riteniamo di' dover aggiungere una sola parola a quanto è venuto scrivendo Il Mondo sull'i1iterpretazionedata ora dal!'on. Togliatti al voto comunista sul Concordato. C'è i'nvecequalcosa da aggiungere alla affermazione dell'on. Togliatti che la questione del laicismo << non può diventare la pi'etradi paragone della qualifica politica >>. Secondo l'on. Togliatti, questa pietra di paragone « sta nel rispetto della Costituzione, nel programma economico e sociale e nella attuazione ,di et.,so ». Ma non c'è affatto contrapposizione, e nemmeno gerarchia fra queste cose; perchè rispetto della Costituzione e attuazi'one di un programma di democrazia economica e sociale sono appunto obiettivi che si possono realizzare in Italia solo in un equilibrato rapporto di forze fra democrazz·alaica e democrezia cattolica, nel quadro delle tradizioni dell'Italia moderna e con riferimento alle esperienze anglosassoni di redistribuzione del reddito e di sollevamento delle zone geografiche e dei settori fOciali depressi. Ma queste esperienze sono negate dai comunisti e a quelle trad1:zionii comunisti · sono estranei: si tratta per essi di esperienze «borghesi», di tradi"zioni «borghesi». L'on. Togliatti può obiettare che non tutti i «laici» sono favorevoli ad esperienze di redistribuzione del reddito come quelle anglosas;oni (leggi Malagodi); non per nulla noi abbiamo cercatodi individuare costoro come corpi estranei (leggi Malagodi); ma possiamo aggiungere che, se ai margini dello schieramento << laico >> vi sono zone d'ombra, nelle quali operano appunto elementi che agiscono « in nome delle claMi dirigenti capitalistiche», ai margini dello schieramento cattolico VtJ sono altre zone d'ombra, nelle quali operano elementi che applaudono Togliatti tutte le volte che. tjuesti cerca di liquidare le tradizioni e le posizioni << laiche >> ( cfr. Dibattito politico, n° 17 e 18), da essi appunto inte./e come tradizioni e posizioni «borghesi», « pro-prietarie >>. Non sono costoro, però, e tanto meno l'on. Malagodi, a determinare le effettive dimensioni e a fissare i veri termini [sJ Bibloteca Gino Bianco

I del problema d"equilibrio dello schieramento democratico italiano: « un equilibrio che, rotto col Risorgimento a danno dei cattolici, minaccia di essererotto oggi a danno dei laici>>e;, forse, a favore~non tanto dei << non laici» cattolici}quanto dei « non laici>>comunisti. Nel che è l'effettivo interesse che muove l'on. Togliatti alla polemica, con tanto maggior accanimento, quanto maggiore è oggi la « inquietudine dei comunisti»; la quale è alimentata da certi segni1 di crisi della loro strategia front4,ta che ha in definitiva urtato proprio contro la risolutezza e il senso di respon- . sabilità dei <<laici>P>e.r cui si può dire effettivamente che « il sacrificio dei laici ha avuto almeno questa virtù, di durare fino al momento in cui è stato possibileal Partito Socialistadi discutere della necessitàdi una sua più attiva presenza nella vita e nel governo· dello Stato democratico ». Il grave passivo elettorale dei «laici>>noni si risolve dunque tutto in passivo politico; purchè, naturalmente, essi sappiano prontamente orientarsi e riorganizzarsi, offrire nuove indicazioni politiche, espellere i corpi estranei, far sentire il loro peso come indispensabile ai fini dell'equilibrio de- • mocratico. BiblotecaGino Bianco

• Nuovi quadri democristiani di Francesco Compagna Sono noti i termini dell'autocritica democristiana nel Congresso di Napoli. Tale autocritica investì essenzialmente la condotta politica ed orga- . nizzativa d~l partito di maggioranza nel Mezzogiorno. Risuonarono nuovi accenti: polemica contro le clientele che si sovrappongono al partito, contraddicendo, negli atteggiamenti locali, gli indirizzi nazionali; riaffermazione della riforma agraria come strumento di rottura di antiche incrostazioni reazionarie; rivendicazione dei risultati già conseguiti dalla riforma; difesa di essa dalle insidie annidate anche all'interno del partito; esigenza di un radicale rinnovamento del personale dirigente, urgenza di l1na politica organizzativa moderna, e perfino liquidazione del fallimentare sottogoverno. Nuovi quadri proponevano insomma un << nuovo corso». Intanto, gli esponenti dei vecchi ceti trasformistici, con i quali la D·.C. aveva imbottito fra il 1948 e il 1953 le proprie liste elettorali nelle circoscrizioni meridionali, non fecero proprio sentire la loro voce: la politica delle alleanze con le destre, tipo Castellammare, non fu difesa da costoro quando . fu energicamente ripudiata dai nuovi quadri, per considerazioni di ordine civile, prima ancora che per quelle di ordine politico che derivavano dal1' ormai evidente declino elettorale del nazionalfascismo meridionale. Dal Congresso di Napoli è trascorso un anno. Troppo breve periodo, forse, per tentare un vero e proprio bilancio; ma periodo abbastanza lungo, e soprattutto abbastanza denso di avvenimenti, per poter esprimere un primo giudizio su quella politica organizzativa della nuova maggioranza democristiana che, affermatasi nel Congresso di Napoli, ha condotto il partito ai risultati delle elezioni in Sicilia. << Ufficio centrale per le zone depresse>>; << convegno di esperti sullo [7] Bibloteca Gino Bianco

sviluppo delle zone depresse»; « sottoscrizione nazionale per il potenziamento del partito nelle zone depresse »; << giornata nazionale per lo svi1uppo delle zone politicamente depresse»; << mostra artistica per le zone depresse»: queste le prime manifestazioni organizzative, fra il luglio e il dicembre del 1954, della Segreteria Fanfani, al fine di « accompagnare nelle zone depresse l'elevazione economica con l'elevazione politica » ; per creare, cioè, secondo le parole dello stesso on. Fanfani (al citato << convegno di esperti per lo sviluppo delle zone depresse») « una D.C. straordinariamente attiva, capace di svolgere in ogni luogo un'intensa azione; una D.C. con sedi aperte, con sezioni funzionanti, con dirigenti attivi, con propagandisti preparati, con amministratori e parlamentari continuamente a contatto con il corpo elettorale ». Si confrontino però queste parole dell'on. Fanfani con quelle che si possono leggere sul noto periodico milanese, colpito nel luglio dai provvedimenti disciplinari della Segreteria, senza dimenticare che tale periodico era l'organo ufficiale della corrente denominata << La Base », che, nel Congresso di Napoli, si qualificò come l'ala sinistra della maggioranza di « Iniziativa democratica >>. << Val di più fare un investimento di fiducia su quei gruppi di giovani e di intellettuali che per aver letto Dorso e Gramsci si trovano in minoranza nei comitati provinciali del Partito e sono comunque destinati ad espandersi con vivacità sulla linea del progresso storico della società meridio11ale, oppure su quelle maggioranze cariche di interessi e di privilegi che non riusciranno ad impedire la loro disgregazione nemmeno se hanno sostituito alle tradizionali 'mense gratuite per gli elettori ' la moderna sede del Partito, attrezzata convenientemente di televisori e biliardino? Noi rite11iamo che non sia possibile promuovere una politica di sviluppo delle zone depresse qualora si eviti di rispondere ad un simile interrogativo, e questo perchè muoversi in una direzione vuol dire illudersi di essere forti, ma incamminarsi nel vicolo cieco di un'alleanza tra debolezze cl1e portano a Castellammare di Stabia; mentre scegliere diversamente vuol dire correre il rischio di apparire deboli, m~ uscire dall'immobilismo e rendersi protagonisti di quel risveglio politico e civile che è necessario determinare nelle comu11ità sottosviluppate per conquistare nuova forza tra le classi popolari ... Le conclusioni sono ormai chiare. Per affrontare realmente e al di fuori di ogni illusione riformista ed organizzativa il problema dello sviluppo politico delle ' aree depresse ' è oggi necessario correre il rischio di una coraggiosa esclusione di ogni compromesso con le destre, di ogni utilizzo dentro e fuori i1 Partito delle vecchie [8] Bibloteca Gino Bianco

clientele locali, di ogni ritorno all'empirismo del 'caso per caso' e lanciare nel Sud, parallelamente a questo salutare intervento chirurgico, dell~ linee politiche ed ideologiche che siano potenzialmente rivoluzionarie nei confronti di una depressione che è strutturale: per favorire e incoraggiare sia la formazione di nuove ' élites ' dirigenti, come lo svilupparsi tra le ma~se di iniziative che possano testimoniare una concreta volontà di ripresa politica». (<<La campagna per le zone depresse>> di Luigi Granelli su Prospettive) anno II, n. 4, 25 marzo 1955). Non si può non dedurre da queste parole la conferma dei dubbi che ancora avvolgono l'efficienza democratica del « nuovo corso>>democristiano nel Mezzogiorno. Ed é significativo che l'inquieto gruppo democristiano milanese ha posto l'.accento sulle stesse preoccupazioni da noi altre volte manifestate: in un articolo su Il Mondo del 1° febbraio, per esempio, in sede di valutazione generale di questo « nuovo corso »: <<In questo primo semestre di segreteria Fanfani, la D.C., come dicevamo, si è dedicata nel Mezzogiorno a compiti organizzativi, pii1 volte riprendendo pubblicamente il motivo anticlientelistico del Congresso di Napoli. Molte direzioni provinciali sono ora sotto il controllo di 'Iniziativa democratica'; il movimento era già in corso prin1a del Congresso; se ne è accentuato il rit~o dopo, sotto la spinta organizzativa della nuova segreteria. Ma qui sorge un dubbio: è ancora un movimento di nuovi quadri? Certamente, questi sono più qualificati politicamente di quelli che controllano gli organi provinciali e regionali a favore di clientele personali. Ma i nuovi quadri sono un dato recente della D.C. nel Mezzogiorno e non ancora tanto numerosi da poter fornire tutto il telaio organizzativo e politico del partito. Perciò nel momento stesso in cui 'Iniziativa democratica' cerca di conquistare il partito nel Mezzogiorno, essa si trova a11che esposta a tutte le infiltrazioni e trasformazio11i.C'è il rischio che, i11un a11no di segreteria Fanfani, i vecchi esponenti della D.C. meridionale che non si siano irrimediabilmente compromessi su altre posizioni - ed i non compromessi sono certo i più numerosi - si ritrovino a militare tutti nelle file di 'Iniziativa democratica'. Dopo di che a quest'ultima sarebbe semplicemente accaduto di non essere più 'Iniziativa democratica': le clientele avrebbero aggirato l'avversario, i nuovi quadri si ritroverebbero ai margini, in una più deludente posiz~one di minoranza; , il tradizionate trasformismo avrebbe vinto la sua ennesima battaglia. Oggi l'azione della segreteria Fanfani nel Mezzogiorno si trova appunto a questo bivio: salvaguardare la minoranza di nuovi quadri, investendo essi; e soltanto essi, della sua fiducia; oppure, nella illusione di rafforzarsi, imbarcare tutti. Nel primo caso, deve rassegnarsi a durare ancora per qualche anno [9] Bibloteca Gino Bianco \ '

_ .. come minoranza, a un costo politico che è attenuato dalla forza che le deriva di essere maggioranza in Italia. Nel secondo caso, il 'nuovo corso' organizzativo fallirebbe rapidamente, per la impossibilità di dar luogo a un 'nuovo corso ' politico >>. E ancora, in sede di valutazione particolare del << nuovo corso» demo-, cristiano, a proposito delle secessioni dal Partito Comunista in Calabria studiate da Giovanni Cervigni (Nord e Sud, a. II, n. 6), avemmo occasione di osservare che: <<••• le vecchie clientele ebbero buon gioco ad improvvisarsi ' iniziativiste ' e ' fanfaniane ' fra le quinte del Congresso di Napoli. D'altra parte, esse accoglievano di buon grado la frustata attivistica, che forniva loro l'occasione di rivestire una dignità di partito moderno e di accingersi ad utilizzare i nuovi strumenti organizzativi, per consolidare, o ristabilire, situazioni trasformistiche di nuova forma ma di vecchio contenuto». C' é da ritenere, quindi, che il « nuovo corso >> democristiano nel Mezzogiorno, a parte i risultati immediati del maggiore impegno organizzativo, denunci alcune gravi incertezze - prevedibili cfel resto - di carattere politico; e rischi di risolversi in velleitario attivismo ove non lo si voglia fermamente condizionare all'esigenza di insediare, fra le posizioni chiave del partito nelle provincie meridionali, nuovi, efficienti e consapevoli quadri dirigenti. Certamente Gullotti rappresenta un progresso rispetto ad Aldisio e Mattarella, dal punto di vista di una impostazione più moderna della lotta politica; mentre non rappresentano certo un progresso i molti Mattarella che si sono camuffati opportunisticamente da Gullotti, dopo il Congresso di Napoli. C'è però da chiedersi, anzitutto - al di là delle impostazioni più o meno moderne, o più o meno personalistiche, della lotta politica - quali siano gli obiettivi immediati e le prospettive a lunga scadenza che i nuovi quadri si propongono. Perchè, se per questi nuovi q-uadri l'obiettivo immediato si riassumesse nella vaga e vana aspirazione di un nuovo 18 aprile, ne risulterebbe evidente che essi non potranno tener nessun conto delle preoccupazioni avanzate, per esempio, nel citato articolo dei giovani democristiani milanesi. E così, a proposto di questi ultimi, e di loro amici meridionali, c'è da rilevare che, se le loro prospettive a lunga scadenza derivas- . sero effettivamente dall' << aver letto Dorso e Gramsci>>, di fronte a questo [10] Bibloteca Gino Bianco

ennesimo accostamento di due nomi che indicano, piaccia o non piaccia ai · teorici del frontismo comunista, posizioni diverse, e spesso opposte, devono essere ben chiariti i punti di partenza ideologici e i punti d'arrivo politici del << nuovo corso >> come essi lo intendono; vale la pena, cioè, di riproporre, ai giovani democristiani, dissidenti o no, che aspirano comunque a diventare i nuovi quadri del partito, non solo il problema dell'inserzione delle masse nello Stato, come si suol dire, ma il problema dello Stato stesso, come Stato liberale moderno; e della questione meridionale come esigenza di sempre maggiore << occidentalizzazione >> del paese. E' intorno a questo aspetto della realtà democristiana che vogliamo tentare qui un discorso più approfondito di quello accennato in altre occa-- sioni. Con la generazione di Colombo e quella di Malfatti un grosso passo avanti è stato fatto dai democristiani nell'approfondimento dei termini della questione meridionale: dopo Sturzo c'era più o meno il vuoto, ora ci sono posizioni che, dal punto di vista economico e sociale, sono indubbiamente assai più avanzate, ruotando tutte intorno ad un atteggiamento radicale rispetto alle vecchie strutture agrarie del paese; merito anche di De Gasperi e Segni; indubbiamente, però, i nuovi quadri democristiani hanno elaborato alcuni motivi originali. Ma, dal punto di vista, ideologico prima e politico poi, dietro queste posizioni dei nuovi quadri democristiani, sembra annidarsi ancora l'insidia di uno slittamento verso l'integralismo, e di qui verso il clericalismo; e ciò malgrado che spesso, proprio essi, cerchino di battere in breccia la più scoperta pressione clericale. Da che deriva questa 1 incertezza, contraddizione, confusione? Come mai coloro che si spingono su posizioni avanzate di riformismo sociale, decisi a liquidare le strutture reazionarie della società agraria e a resistere contro i tradizionali pericoli d'involuzione clerico-fascista, o soltanto clerico-moderata, della situazione politica, sono poi gli stessi che, non sapendo impedire che il proprio riformismo si risolva in invadente paternalismo (come nel caso degli Enti di Riforma dopo il 7 giugno), rischiano di contribuire alla creazione di una realtà agraria tutt'altro che moderna e di una realtà politica in cui le pressioni clericali sarebbero tutt'altro che spente? Queste domande rappresentano gravi' incognite, specialmente per quanto concerne le prospettive della situazione meridionale; si riferiscono ai Colombo e ai Malfatti, non meno che ai Ciccardini e ai Marchetti; diventano tanto più .importanti, quanto [11] Bibloteca Gino Bianco

più avanzano il lavorio ideologico e il fermento politico che presiedono alla formazione e alla stabilizzazione dei nuovi qu·adri democristiani. Ecco più o meno i termini entro cui avanzano il lavorio ideologico e .il fermento politico dei nuovi quadri democristiani: l'esperienza dossettiana si é risolta nel tatticismo e nell'attivismo fanfaniano da un lato, in alcuni interessanti fenomeni di avanguardismo sociologico dall'altro lato; per rigorosa che sia la critica che il secondo esercita sul primo, il rapporto fra attivismo fanfaniano e avanguardismo.sociologico é assai più d'integrazione che non di opposizione, ad onta di certe insofferenze che qua e là si manifestano; intanto, il centrismo, nel partito di maggioranza e nel paese, sembra consumarsi in esperienze logoranti di governo, che paiono a taluni denunciare una progressiva e fatale decadenza di esso, dopo la scomp.arsa dell'uomo di Stato che n~ fu il più convinto ass.ertore; d'altra parte la pres- · sione dei Gedda e dei padre Lombardi sembra aver subito un fiero colpo d'arresto; sia fra gli ambienti giovanili organizzati dall'Azione Cattolica, sia fra quelli inquadrati nella D.C., agiscono sempre nuove suggestioni, che denunciano l'allontanamento da una tradizionale prassi di .«disciplina» e la liberazione di una serie di influenze non più comprimibili. E' evidente , che dal 1948 molta acqua è passata sotto i ponti, e specialmente sotto i ponti che collegano l'una all'altra le pur mutevoli tendenze che percorrono il mondo cattolico italiano. Se questo è il quadro, quali sono le immagini che esso riflette? La questione contadina e la questione meridionale stanno più che mai in primo piano. E sono esse che stimolano maggiormente il lavorìo ideologico e il fermento politico delle nuove leve democristiane. Ricollegandosi a tutta una tradizione del pensiero politico cattolico nei confronti della realtà contadina, i giovani della Di.C. cercano di identificare nell'ambito di questa realtà « forze autoctone », retaggio vergine di una civiltà grecocristiana, altrove violata dal mondo moderno: sono- queste le forze che dovrebbero essere politicamente risvegliate, per essere poi fatte valere ai fini di una espansione della vita civile sociale politica in senso democratico; ma si dice anche esplicitamente, sempre più spesso, che esse devono essere indirizzate al superamento dello « Stato liberale». La polemica contro lo << Stato liberale » è il punto debole di tutte le posizioni delle varie sinistre democristiane, da quella gronchiana a quella fanfaniana, da quella giovanile ufficiale a quella giovanile dissidente. Tale Bibloteca Gino Bianco

polemica mutua anche i termini di certa critica politica di parte r~dicale (da Dorso a Levi) contro l'ordinamento storico italiano; ma ne altera le effettive finalità, indirizzandosi, al di là delle insufficienze di questo ordinamento, contro tutta la civiltà moderna, <<da Galileo a Croce», che viene volta a volta chiamata, con intenzione negativa, civiltà liberale o industriale, borghese o proprietaria, figlia della Riforma o dell'Illuminismo . . E' così che, sul terreno della discussione meridionalista, la polemica dorsiana viene portata alle sue estreme conseguenze, per investire, non il complesso delle forze parassitarie che Dorso riassumeva nella formula dello « stato storico >>, ma le istituzioni dello <<Stato liberale »; ed è così che, con discutibile artificio, vengono fatti collimare i confini clàssisti della borghesia con i confini ideologici del liberalismo; e Gramsci diventa un ulteriore punto d'appoggio per elaborare un meridionalismo d'avanguardia democristiano, gravido di sottintesi an~iliberali, d'ispirazione antirisorgimentale, formalmente democratico, sostanzialmente integralista. Si potrebbe dire, si licet parva componere magnis, che da queste premesse deriva una specie di volterianesimo rovesciato: per cui, come in certa polemica illuministica la religione cattolica veniva degradata a escogitazione della « furberia di monaci», nell'integralismo di questi giovani democristiani, «meridionalisti» e <<sociali», il liberalismo viene degradato ad un'astuzia della borghesia. Di tutto ciò si è già fatto cenno su questa rivista, commentando una inchiesta su Orgosolo (Nord e Sud, a. II, n. 3) e vagliando la diffidenza che si risveglia in ogni militante politico cattolico, di tendenza integralista, tutte le volte che si sente parlare di modelli liberali della democrazia nordica (<< les democraties du bonheur », dicono _sprezzantemente gli scrittori della rivista Esprit, pur considerata il portabandiera del cattolicesimo <<di sinistra >>), <<che sembrano portar con sè chi sa quale odore di prote- . stantesimo » (Nord e Sud, a. II, n. 5). Ma non si creda che questi atteggia- , menti siano propri soltanto di quei giovani che si agitano insofferenti ai ' margini del partito: si tratta di atteggiamenti molto diffusi, sociologici e integralisti, che sono propri di molti ambienti democristiani, non esclusi certamente quelli che si muovono nell'orbita della corrente di maggioranza, .<I<niziativa democratica »; si tratta di atteggiamenti che dalle riviste di gruppo, Terza Generazione o Prospettive, Dibattito Politico o Il Ribelle e il Conformista, rimbalzano sul settimanale ufficiale La Discussione o sulla Bibloteca Gino· Bianco

terza pagina del Popolo, sia pure apparendo qui più diluiti; si tratta, in.fine di atteggiamenti fedelmente riecheggiati da coloro che vivono esperienze di politica organizzativa, di assistenza sociale, di impegno tecnico o burocratico, in particolare negli Enti di Riforma. Il meridionalismo della D.C. presenta quindi alcune gravi e preoccupanti contraddizioni, inerenti a una generale insufficienza di formazione politica e ideologica, anche quando si manifestano nel corso di un generoso impegno sociale. Certe premesse ideologiche sono molto insidiose. Le tesi di alcuni meridionalisti democratici, militanti nella letteratura più che nella vita politica, cioè che una parte cospicua della « società civile », e precisamente il mondo contadino meridionale, abbia vissuto << al di fuori della storia», diventa, per i democristiani che la fanno propria, una spinta sul piano inclinato che porta alla repulsa tout court dello Stato moderno. L'incontro della polemica antiborghese con la polemica marxista per certi aspetti e con la polemica reazionaria per altri aspetti, è comunque da intendersi in senso antiliberale; ma diventa fatale quando ci si smarrisce come gran parte del cattolicesimo di sinistra nella caccia alla cosiddetta << formula proprietaria», presentata come l'unica ragione e radice dello << Stato liberale». Sul piano poi delle interpretazioni storico-politiche, è significativo che lo << Stato liberale >> venga considerato dalle sinistre democristiane come la matrice dello « stato fascista »; e che la Resistenza venga interpretata perfino come antirisorgimento, invece che come ripresa della tradizione risorgimentale. Si ricordino a questo proposito i giudizi dell'organo dossettiano, Cronache sociali, la sua definizione della Resistenza come << moto spontaneo sorto sulla base di una solidarietà d'interessi tra i vari . partiti popolari, sulla base di una convergenza d'idealità democratiche di tutte quelle forze sociali che eran~ state escluse dal processo di formazione unitaria dello Stato risorgimentale »: il che sta forse a significare, sul piano dell'integralismo, apertura al socialismo; ma certamente significa chiusura al liberalismo. Falso punto di partenza, questo, che porta lontano nel lavorio ideologico e nel fermento politico che stiamo esaminando. E non si può non condividere le riserve avanzate a questo proposito da uno studioso che pur dimostra sensibilità, e spesso inclinazione per la sinistra cattolica: << Purtroppo la parzialità e drasticità di giudizio delle Cronache sociali sul vecchio personale pre-fascista, anche di quello di spirito liberaldemocraBibloteca Gino Bianco'

tico, ebbe qualche influenza negativa an.ni più tardi su altri giovani cattolici che da essa passarono a conclusioni catastrofiche: che fallimentare fosse non solo il personale prefascista, ma tutta la borghesia risorgimentale e infine tutta la civiltà borgl1ese; che del passato poco o nulla vi fosse da salvare e che occorreva creare dei punti di leva, per la costrt1zione di una civiltà 'sana', nelle masse contadine, depositarie di valori sapienziali misconosciuti e soffocati dalla cosiddetta rivoluzione liberale ». (Gabriele De Rosa, in Dieoi anni dop10. Laterza, 1955, p. 255). Se queste sono le premesse, è facile dedurne che la sensibilità sociale dei nuovi quadri democristiani si può risolvere a detrimento della loro maturità politica. Perciò sorge una certa diffidenza di fronte ai larghi consensi che presso alcuni di essi trova la formula dell'apertura a sinistra: la quale appare intesa come un concordato fra cattolici e socialisti sulla base di espresse e sottintese formulazioni ideologiche e politiche antiliberali e antirisorgimentali. Si tolga ad esempio un altro periodico milanese, organo di un altro gruppo giovanile democristiano, quello disposto a maggiori audacie degli altri sulla strada dell'apertura a sinistra: ivi si poteva leggere, in un paragone con la situazione francese, nel momento di Mendès France, una perentoria domanda sulle prospettive della democrazia in Italia: « si tratta di domandarsi se le strutture liberal-borghesi, su •cui si fondano la società e lo stato italiani, possano consentire un ulteriore processo d' espansione; o se invece non sia necessario, ai fini di un qualsiasi sviluppo, porsi il problema del superamento di tali strutture e quindi, sul piano politico, del passaggio da una composizione di forze che rimane interna al ·sistema ad un'altra composizione che consenta di uscire da esso » (« Mendès : una illusione in Italia>>di Antonio Santaquirica, su Il Ri.belle e il Conformista, a. I, n. 1, gennaio 1955). È appena necessario dire che chi pone così la domanda propende per la seconda risposta. Ma, queste espressioni, « dentro il sistema » o << fuori del sistema », non possono non sollecitare la no- . stra diffidenza, perchè, dietro di esse, vediamo appunto profilarsi la confusione fra istituzioni liberali ed interessi del cosidetto << blocco proprietario » ; confusione che, non saremo noi a negarlo, è improvvidamente alimentata dagli atteggiamenti del liberalismo ufficiale; sappiamo però che da tale confusione può nascere una politica audace di sinistra economica nel quadro di una pesante politica di destra morale. E qui si avverte . anche il limite del meridionalismo di tutte le correnti, più o meno avanzate, che alimentano la formazione dei nuovi quadri democristiani; alla Bibloteca Gino Bianco

base di questo meridionalismo resta, più o meno scoperta, la ricerca nel Sud di una formula ideologica e di una forza politica, che, nel contrapporsi allo « Stato liberale » e alla civiltà moderna, non possono che ~are • • alla fine una risultante reaz1onar1a. Per noi liberali, di fronte al lavorio ideologico e al fermento politico dei nuovi quadri democristiani, rimane sempre ferma la contestazione che fu risolutamente mossa da Federico Mancini e Nicola Matteucci (Il Mulino, n. 29, marzo 1954) a coloro che avanzavano solennemente « la richiesta di una nuova coscienza della nazione italiana, adeguata alla vocazione della realtà umana totale del nostro popolo», perchè << occorre salvare l'anima antica del nostro Paese coi suoi perenni contrasti, con la sua lucente dolcezza meridionale ed il suo duro mistero» (Terza Generazione, n. 1, gennaio 1954).E' chiaro che, se i loro autori osassero spingere fino in I fondo, alle sue estreme conseguenze, questa tesi, non si giungerebbe certo alla realizzazione di una Italia civile, scrivevano Mancini e Matteucci, ma piuttosto all'elogio inconsapevole di un immobilismo reazionario: « La loro Italia altro non sarebbe che l'antica Italia provinciale dei contadini, l'Italia senza storia che ad Eboli trova i suoi confini ideali. E mentre Gramsci affidava alle 1nasse di questa Italia un compito storico nazionale sottraendole alla loro millenaria a11goscia teogonica, essi non si pongono questo problema; non intendo110 fondare lo Stato moderno, ma appunto salvare l'anim~ antica del nostro Paese. Tali propositi - è ovvio - non compaiono a chiare lettere sulle pagine della rivista; ma noi avvertiti come siamo della cultura cattolica e 'contadina' da cui provengono i redattori di Terza Generazione (una cultura che è sempre vissuta fuori dallo Stato storico), noi scorgiamo tutti i rischi cui essi possono andare incontro, anche laddove non siano consci delle implicazioni inter11e al loro discorso. Tra tali implicazioni, lo si è visto, v'è la retorica dell'Italia misteriosa e imprevedibile, solare e mediterranea, l'Italia dei due soldi di speranza; ma allora, retorica per retorica, noi dicl1iariamo di preferire un'Italia monotona, con molta nebbia, con molte case eguali ed una civiltà che non si fondi su mille atteggiamenti irripetibili, bensi su di una tradizione istituzionale, europea ». Questa posizione, rispetto alla quale condividiamo app,unto la replica del Mulino, non ·appartiene soltanto al piccolo animoso gruppo cui faceva capo la rivista quasi dissidente, Terza Generazione; nè può ritenersi l'exploit ideologico di un momento, che si esaurisce in un articolo, che passa senza lasciare tracce rilevanti. Noi la ritroviamo, per esempio, più recenBibloteca Gino Bianco

temente, echeggiata con fedeltà su Impegno giovanile, rivista ufficiale della gioventù democristiana, là dove si parla di << ripensamento di tutte le posizioni meridionaliste » come fondamentale esperienza del movimento gio- • vanile democristiano; il quale « compiva ·un utilè lavoro di assorbimento delle varie posizioni meridionalistiche classiche, con indubbie preferenze per la triade Sturzo, Gobetti, Dorso, e poi per Gramsci >>; mentre « bisogna · riconoscere» che « Sonnino, Villari, Colaianni, Fortunato, Salvemini, Zanotti Bianco rimasero un pò fuori>> da questo lavoro. E su Impegno giovanile si riprende il discorso intorno alla civiltà contadina, per << portare il Sud al livello tecnico moderno senza appiattirne i valori umani tradizionali ». Un'eco di questi motivi si raccoglie anche nell'autocritica democristiana alla riforma agraria, quando si dichiara che la riforma, nei primi anni, ha guardato con miope occhio tecnico alla «terra», trascurando «l'uomo». Così, chi avesse assistito al convegno di Matera nell'aprile ul- , timo, organizzato dai gruppi giovanili per discutere della politica agraria come strumento di azione meridionalista e democratica, e per riesaminare le proprie più recenti impostazioni politiche alla luce delle esperienze compiute negli Enti di Riforma, o in altri settori dell'apparato governativo, chi avesse assistito a questo convegno, pur in un clima di grande serietà avrebbe rilevato, a parte l'arricchimento di nozioni tecniche e l'acquisizione di una certa maturità nel trattare di determinati problemi di governo, la presenza operante dei motivi ideologici e politici che siamo venuti app,untando. Lo stesso si può dire per il successivo convegno di Catanzaro che raccoglieva i giovani assegnatari. Ma è anche doveroso rilevare che nei lavori di Matera e Catanzaro si è sentita affiorare, con i migliori interventi, una prima presa di coscienza dei limiti di certe premesse ideologiche: non rigettate, ma corrette e integrate con alcuni motivi di revisionismo liberale. Per esempio, proprio dalle cronache del convegno di Matera, si devono ri-, conoscere responsabili prese di posizione che val la pena di riassumere: ' critica al paternalismo degli Enti, i quali, con una « concezione burocra .. tica della riforma>>, hanno assolto a una « funzione di uffici di collocamento»; consapevolezza della dannosa presenza dei monopoli che sfruttano la nostra agricoltura attraverso lo strumento dei Consorzi agrari; denuncia delle piccole clientele formatesi intorno a certi dirigenti, alimentando la diffusa sensazione che << l'Ente sia prodotto esclusivo del partito Bibloteca Gino Bianco

democristiano; esortazione alla scelta di dirigenti « più seri invece che più democristiani» (qui è il direttore di Terza Generazione che parla); ripudio di ogni tentazione alla discriminazione politica; franco riconoscimento del fatto << che proprio il partito della D.C. con certo vecchio personale non sempre è stato all'altezza della situazione» (qui è l'on. Colombo che parla). D'altra parte, non fu bene accolta dal Convegno l'imprudente e discutibile affermazione del prof. Rama doro, Presidente dell'Ente di Riforma per le Puglie, Basilicata e Molise, a proposito delle assegnazioni definitive di terra: che cioè << queste ultime sono fatte con molta pru,denza, dopo aver vagliato dal punto di vista morale e sociale che il contratto stesso sia meritato »; e ch•e « non sono stati confermati quegli assegnatari che non av,e- , vano compreso lo spi,ritodella riforma e che si erano introdotti per sabotare e sobillare>> (Basilicata, 10 aprile 1955). Questi, contro la degenerazione paternalistica degli Enti di Riforma, i monopoli, le clientele, le discriminazioni politiche, ecc., sono appunto motivi liberali, che, come vedremo, devono rianimare la politica riformistica e che non possono essere trascurati come lo sono stati negli anni trascorsi; sono motivi, altresì, che non hanno nulla a che fare con le teorie sul1' « anima antica» da salvare e sui « valori tradizionali da non appiattire>>, ma rappresentano elementari criteri del <<buongoverno>>. Inoltre, al di là del convegno cui abbiamo fatto riferimento, c'è da prendere atto del rilevante contributo recato da coloro che sono impegnati nello studio concreto delle aree depresse; studio che, bongré malgré, riecheggia esperienze di una civiltà che non è di certo quella greco-cristiana del vergine mondo contadino. Nè si può dire che questo contributo tende a definire quelle « ipotesi culturali di tipo nuovo» di cui si è letto su Impegno Giovanile, ambiziosamente indicate come << tali da superare da una parte la posizione marxista e gramsciana dell'alleanza dei contadini del Sud con gli operai (lel Nord e dall'altra la teoria delle aree depresse di derivazione americana». Queste <<ipotesi culturali di tipo nuovo» restano altrettanto oscure e indefinite, altrettanto rischiose, delle tesi, << contadine >>,di Terza Generazione; mentre quei democristiani che sono impegnati nello studio concreto delle aree depjresse si muovono necessariamente sul piano delle più' moderne elaborazioni, laburiste e newdealiste, del pensiero economico anglosassone. L-a yerità è che il limite sostanziale della politica riformistica, in Italia Bibloteca Gino Bianco

e nel Mezzogiorno, non consiste, come a volte intendono coloro che pur sono fra i più inte\ligenti e coscienziosi democristiani, nel fatto che questa politica « si limita ad essere soltanto un fatto giuridico che non muta i rapporti umani esistenti» dato che si esplica << all'interno del sistema», nel quadro dello « stato borghese » : al di fuori del quale, dobbiamo ricordare, non si sono poste nè l'esperienza laburista nè quella newdealista; cioè, piaccia o non piaccia, le due rivoluzioni democratiche del mondo moderno. Ma il limite della politica riformistica italiana consiste appunto negli atteggiamenti paternalistici, denunciati nel convegno di Matera; i quali pe_rò derivano appunto anche dalle impostazioni dottrinarie che non sono permeate da una moderna sensibilità liberale. Tanto per fare un esempio, si pensi all'iniziativa dei cosiddetti << gruppi d'inchiesta», sui quali si dovrebbero permanentemente· articolare nelle zone di riforma agraria le sezioni giovanili locali della D.C.: -iniziativa promettente, anche se ancora incerta; ma c'è il pericolo che essa si risolva, ·come già quella dell'assistenza sociale, in una generica e petulante attività di sottogoverno, sia pure verniciata da una facciata di << ipotesi culturali di tipo nuovo», sia pure ispirata dall'intenzione di « salvare l'anima antica>>dei contadini. Quanto all'insofferenza per « le teorie delle aree depresse di derivazione americana», può darsi che, applicate, esse appanneranno la « lucente dolcezza meridionale>> e dissolveranno il suo << duro mistero>>; noi ce ne rallegreremo, se, con la << dolcezza >>e il << mistero >>,perderemo il meno dolce e meno misterioso costume del sottogoverno. Si può infatti concludere questo lungo discorso ai nuovi quadri democristiani - un discorso che vuol essere anche un richiamo a più piccole, ma più tangibili realtà - ricordando che l'invadenza politica degli Enti di. Riforma, la diffusa corruttela locale, le discriminazioni, il clima da « opere del regime >>, il clientelismo riadagiatosi in più attuali ed ampie strutture, sono gli obiettivi da abbattere per una gioventù democratica, consapevole dei suoi compiti. Il loro abbattimento rappresenta il passaggio obbligato per consentire alla questione contadina e alla questione mer~dionale di fare un effettivo passo avanti verso ·una soluzione civile; ma non si dimentichi che tutti i fenomeni di sottogoverno sono anche conseguenza di impostazioni ideologiche che, sorde di fronte ai problemi dello Stato moderno, .spingono anche una parte fondamentale di quella gioventù a disertare suo malgrado il fronte delle pubbliche libertà. Bibloteca Gino Bianco ( •

... La ripartizione territoriale del carico tributario di Giuseppe De Meo I. N1el 1891, per la pirima·volta in Italra, Maffeo Pantaleoni (1 ) affron-- tava il problema del carico tributario delle singole regioni in rapporto alla loro ricchezza, e perveniva alla conclusione che << mentre l'Alta Italia possiede il 48 % di ricchezza essa non sopporta che meno del 40 % del carico tributario; mentre l'Italia media possiede soltanto il 25 % di ricchezza, essa paga il 28,5 % del carico totale; e mentre l'Italia Meridionale possiede solo il 27 % della ricchezza nazionale essa paga il 32,25 % del carico tribu-- tario ». Anche il Nitti (2 ) pochi anni dopo, basandosi sui dati degli esercizi 1 dal .1893/94 al 1897/98 affermò che le regioni meridionali sopportavano un onere tributario eccessivo rispetto alla loro ricchezza, mentre il contrario si verificava per l'Italia Settentrionale: conclusione, questa, alla quale aderì sostanzialmente L. Einaudi (3 ) in un articolo del giugno 1900, nel quale peraltro egli additava le cause che avevano determinato questo stato di cose nel primo quarantennio di vita unitaria. Nè le critiche mosse al Pantaleoni e al Nitti da altri autori (Gini, Zingali, Ber11ardino) riuscirono a modificare sostanzialmente la conclusione stessa, per lo meno relativamente al periodo che va fino alla vigilia della prima guerra mondiale. ' ( 1) M. PANTALEONI, Delle regi·oni·d'Itali·a in ardi.ne alla loro ricchezza ed al loro carico tributario, in << Giornale degli Economisti», gennaio 1891, ripubblicato in << Studi di Finanza e di Statistica>>, Zanichelli, 1938, pp. 216-272.. ( 2 ) F. S. N1TTI, Il bi.lancio dello Stato dal 1862 al 1896-97. Prime linee di una inchiesta sulla riparti.zione territoriale delle entrate e delle .spese pubbliche 1:nItalia, Napoli, 1900. ( 3 ) Nell'articolo: << La parola di un Settentrionale» del 23 giugno 1900 (Confrontare L. E1NA unr, Il Buon governo. Ed. La terza, p. 147-151). BiblotecaGino Bianco

La determinazione del carico tributario delle varie regioni era eseguita, · dai ricordati Autori, con esclusione delle cosiddette « entrate non ripartibili » ( dazi e diritti doganali, imposte di fabbricazione, ricchezza mobile di Cat. C2 ecc.), le quali, pur essendo incassate dallo Stato prevalentemente in taluni capiluoghi di provincia, gravano in realtà sul reddito di tutte le regioni. Tale esclusione era giustificata sopratutto dal fatto che i detti cespiti rappresentavano una frazione non troppo alta delle entrate com- . . plessive dello Stato. · Attualmente, però, una valutazione del carico tributario basata sugli stessi criteri, non risulterebbe accettabile per varie ragioni. Anzitutto, a causa del notevole aumento, in questi ultimi anni, dell'importanza relativa delle imposte indirette, l'esclusione dal computo delle << entrate non ripartibili» farebbe trascurare una parte troppo considerevole delle entrate complessive. In secondo luogo, la più intensa circolazione fra le varie regioni di merci gravate da imposte indirette ha reso più frequenti che nel passato i fenomeni di traslazione delle imposte fra cittadini di regioni diverse. Inoltre, col crescere delle dimensioni delle Imprese, è andato sempre più intensificandosi il fenomeno (già posto in evidenza dagli Autori citati) relativo ai versamenti per ricchezza mobile di cat. C2 ( 4 ) eseguiti in talune città dai grandi organismi industriali e finanziari, anche per conto di dipendenti che dimorano in tutte le regioni italiane. Infine, se è vero che quando scrivevano i ricordati autori non era possibile risolvere, coi dati allora disponibili, alcuni dei problemi di cui qui si tratta, è ancl1.evero che oggi i dati a nostra disposizione - sebbene ancora scarsi rispetto alle esigenze - sono molto più abbondanti; di guisa che si possono ora eseguire ' stime che nel passato non sarebbe stato possibile neppur tentare. L'attuale maggiore importanza relativa delle imposte indirette, mentre da ui:ia parte impone che esse siano prese in considerazione nel computo (4) Com'è noto, l'imposta di R. M. di categoria C2 colpisce i redditi da lavoro alle dipendenze altrui. Essa viene trattenuta sugli emolumenti e poi versata allo Stato dai datori di lavoro. Bibloteca Gino Bianco

del carico tributario regionale, fa sorgere, d'altra parte, l'esigenza di tener conto anche dei fenomeni di traslazione. Infatti, traslazioni di imposte possono avvenire non soltanto fra i contribuenti della regione nella quale i pagamenti vengono effettuati (nel qual caso esse risulterebbero irrilevanti ai fini della valutazione del carico tributario regionale), ma anche fra i contribuenti di regioni diverse. Ai fini della ricerca che qui interessa, sarebbe quindi necessario prendere in esame tutti quei casi di traslazione nei quali si può ragionevolmente presumere che un certo numero di contribuenti incisi appartenga a regioni diverse da quelle nelle quali ha luogo il pagamento dell'imposta. Ad esempio, per le imposte sui terreni e sui fabbricati, si può ragionevolmente ammettere, almeno in prima approssimazione, che tanto i contribuenti percossi ( cioè che pagano materialmente l'imposta, vale a dire, nel caso specifico, i proprietari di terreni e di case), quanto i contribuenti incisi (come fittavoli, inquilini ecc.), sui quali viene riversata in maggiore o minor misura l'imposta, appartengano, nella maggioranza dei casi, alle stesse regioni nelle quali vengono effettuati i relativi pagamenti. Dal chè consegue che, per tali imposte, i fenomeni di traslazione - in quanto esistano - possono essere considerati irrilevanti ai fini che ci interessano. Per altri tributi, invece, che certamente dànno luogo a traslazione - come i dazi, l'imposta generale sull'entrata, le imposte di fabbricazione ecc. - si deve al contrario ritenere che non tutti i contribuenti incis1: - essenzialmente costituiti dai consumatori - risiedano nella stessa regione nella quale si concentrano i contribuenti percossi, prevalentemente costituiti da importatori, industriali ecc. Ed è appunto in questi casi che si rende necessario aver nozione quantitativa del fenomeno della traslazione. Così, -·- per valutare l'incidenza dei dazi, occorrerebbe conoscere quanta parte dei diritti doganali materialmente pagati dagli importatori in Liguria, Lombardia, ecc. viene in realtà ad incidere .sui consumatori delle varie regioni, allorquando essi acquistano i relativi prodotti, a prezzi nei quali risulta incorporata un'aliquota più o meno notevole dell'imposta percepita dallo Stato al confine. E la stessa osservazione andrebbe ripetuta per le imposte di fabbricazione e per l'imposta generale sull'entrata. Ma, per effettuare tali valutazioni, occorrerebbe conoscere non solo l'esatta distribuzione geo.. grafica del consumo dei vari generi nei cui prezzi sono andate ad incorBiblotecaGino Bianco

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