Nord e Sud - anno II - n. 9 - agosto 1955

I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I. • .., ANNO II * NUMERO 9 * AGOSTO 1955 Bibloteca Gino Bianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna • • Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO ~Editoriale [3] Giuseppe Galasso Il meridionalismo di complemento [ 6] Gino Marin La polemica sulle aree sottosviluppate [ 14] n. d. r. Antonio Nitto Cesare Mannucci Leonardo Sacco Giovanni Cervigni GIORNALEA PIÙ VOCI Vischiosità del frontismo [31] Esportazioni agricole [35] Medici e coltivatori diretti [38] ll << nuovo corso>>della Confagricoltura [ 45] La legge speciale per la Calabria [ 48] DOCUMENTIE INCHIESTE Mario Arpea Opinioni sul petrolio [55] Carlo Turco L'industria della pa,;ta [77] IN CORSIVO [102] CRONACHEE MEMORIE Michele Parrella Viaggio al Nord [107] Antonio Palermo Una eopia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti a Italia annuale L. 3.300 1emeatrale L. 1.700 Eatero annuale L. 4.000 1emeatrale L. 2.200 Effettuare i •er•amenti sai c.c. P. De 3/34552 inte■tato a ...,._oWo llondaderi Eutere • Milano Bibloteca Gino Bianco LETTEREAL DIRETTORE [120] RECENSIONI Opere di Giovanni Verga [123] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71

Editoriale All'indomani del 7 giugno, e fino alla -costituzione del governo Scelha, la presenza alla Camera di 39 deputati monarchici e di 29 deputati del M.S.l. ha rappresentato una crescente tentazione: sistematicamente alimentata dalla destra economica e da certi organi di stampa, suhìta dallo stesso de Gasperi, da Pella che ne profittò largamente, da Fanfani che non la respinse, la prospettiva di una maggioranza aperta a destra era nel Parlamento itali'ano una effettiva pqssibilità. Inoltre, aperta a destra era la maggioranza nel parlamento regionale di Palermo e in numerose amministrazioni comunali' e pro·vincia/,i dei maggiori centri meridionali. Non c'è dubbio che oggi· la scena sia cambiata. Durante la recente crisi di governo si è parlato, .come alternativa al quadripartito, quasi esclusivamente di una maggi·oranza orientata a sinistra (P.S.I.): i monarchici quasi non sono stati presi in consi'derazione e la cronaca politica li ha ormai relegati in secondo piano. Le elezioni ammini'strative supplementari dal '53 in poi hanno dimwtrato che le basi meridionali dell'estrema destra si vanno sfasciando nel corso di un ampio e accelerato processo di maturazione politica del corpo elettora/,e; che la rappresentanza parlamentare conquistata dalle destre il 7·giugno non ha più riscontro nd paese;· che una maggioranza di destra sarebbe contraria a ogni indicazione di pubblica opinione. È vero che in Sardegna si' è addivenuti proprio ora ad un governo che di fatto è di centro-destra: ma si è trattato di una crisi fra grupp1:·antagonisti della D.C., e contro la fazione vincente si sono levati tutta l'opi"nione pubblica dell'Isola, i più diffusi organi di stampa, gli uomini di maggior rilievo dello stesso partito democristi'ano. Se si pensa che questa spontanea 1'eazionenon si sarebbe avuta al momento del governo Pella - o immediaBibloteca Gino Bianco

ìamente prlma o subito dopo-, cZsì rende conto del muiato clima polìtico e del discredito in cui è caduta l'apertura a destra come soluzione politica. Se nel momento in =cui.;,criviamoil nuo,vo governo sardo appare desti1iato ad una vita breve e difficile, per il nuovo governo siciliano sembra che ci sia stato il fatto nuovo. Già non è senza significato che la D.C. ( . abbia manifestato l'intenzione di non confermare la vecchia maggioranza dell' on. Restivo, anche se questa volta essa potrebbe fare a meno dell' astensione dei fascisti. Nel caso della Sicilia, reduce da una lunga esperienza di governo della .D.C. con le destre, anche la semplice intenzione di un governo monocolore come quello att.ualmeme formato nella Sardegna, reduce invece da una lunga esperienza centrista, sta ad indicare una forte diminuzione di prestigio per le destre. Malgrado certe incaute prese di posizione registrate in questi giorni, che possono più ritardarla che impedirla, l'apertura a sinistra appare sempre meglio il punto d'arrivo della Sicilia; come la Sicilia, potrebbe diventare il punto di partenza per l'apertura a sinistra in Italia, nel se1zsodi nuovi rapporti fra democratici e socialisti. Finalmente, quasi tutte le amministsrazioni locali elette nel '51-52 e fondate su maggioranze di destra o· aperte a destra sono in·.crisi, palese o latente: sono di ieri i casi di Palermo e Catania, dell'altro ieri quelli dJ Benevento e Avellino, di cui abbiamo parlato a suo tempo; ~ intanto si fa sempre più insistente la richiesta di un i1itervento nei confronti dell'amministrazione di Napoli, per la quale si parla di~inchiesta, e perfino di autorità giudiziaria. Si può ben dire che per ora la soluzione più scopertamente clericof ascista della situazione italiana è stata messa da parte. Segnamo pure tutto questo all'attivo del 1954 e di questa prima parte del 1955.,.. segnamolo magari all'attivo del Governo Scelba; possiamo anche trarne la conclusione che la situazione meridionalein particolareha fatto un passoavanti. Ma altri problemi e altre preoccupazioni si presentano ora. Noi riteniamo che il solo fatto di subordinare la pro,pria politica alla prospettiva di conseguire la maggioranza assoluta porterebbe la segreteria della D.C. in una posizione falsa e contraddittoria, paralizzerebbe governo e partito sul piano politico, malgrado ogni apparente dinamismo organizzativo del secondo e ogni formale impegno sociale del primo .. Dopo di che la maggioranza assoluta potrebbe non essere conseguita, perchè nel- /' opinione pubblica potrebbe prendere corpo una reazione di malcontento Bibloteca Gino Bianco

tale da disperdere la parte più generica, che è anche la più estesa, del corpo elettoral~ della D.C. Ma anche se si verificasse uno di quei vasti fenomeni di astensionismo non dal voto ma nel voto, come quello che ha caratteriz.iato appunto il 18 aprile 1948, anche se la maggioranza degli italiani rinunciasse a quella scelta p()/itica differenziante che un voto metlitato sottintende e votassero tutti per i dem·ocristiani, non si sarebbe f attrJ alcun passo avanti. Poichè, date le condizioni in cui si è svolto il protesso di sviluppo storico-politicodel nostro Paese, con una maggioranza assoluta democrist~·ana,ci troveremmo sempre innanzi ad una spaccatura profonda del paese, ad una singolare accentuazione dello spartiacque del guelfismo, e dunque ci troveremmo innanzi ad una situazione di sostanziale instabilità non tanto del governo, quanto delle istituzioni democratiche. Anche perciò· non si può non essere sempre più allarmati nel constatare il deterioramento elettorale e politico dei partiti di democrazia laica: ed è questo che si deve segnare al passivo del Governo Scelba. Mentre indichiamo, quindi, ancora una volta, nella responsabile condotta politica del P.R.I. le po,sizioni ideali per una politica unitaria della democrazia laica,dobbiamo rilevare con molto rammarico che sta venendo meno ai socialdemocratici e ai liberali il respiro delle impostazioni politiche, cedendo essi, gli uni come gli altri, alle lusinghei del piccolo cabotaggio di piccole clientele. È il vuoto che si apre nello schieramento politico, in conseguenza di questo deterioramento dei partiti di de1nocrazia laica, che 1'endepiù oscure le prospettive della politica democristiana e della politica socialista. Per quanto ri·guarda infine l'apertura a siniktra, in questo mese .\·i sono verificati alcuni contrasti, rilevanti ma non inattesi: l'on. Fanfani sembra ora volerne ostruire le strade, ai fini del suo 18 aprile; i comunisti, dal canto loro, fra « salti della quagli·a » e richiami frontisti, intervenendo sui punti di minore resistenza, cercano di far intendere che apertura a sinistra significa proprio quello che intendono Il Tempo e gli ambienti più tardi del padronato italiano: apertura fino ai comunisti. Ma di questo si discorre in altra parte della rivista: qui premeva indicare, sulla soglia delle vacanze ·parlamentari, il quadro generale entro il quale, dalla costituzione del Governo Segni fino alle amministrative del 1956, si determi-· neranno le prossime scelte politiche. Bibloteca Gino Bianco I [5] e

Il meridionalismo di complemento di Giuseppe Galasso / Chi volesse sintetizzare in pochi punti essenziali gli sviluppi della lotta politica nel Mezzogiorno italia110 in questi ultimi dieci anni, dovreb .. be certamente fermarsi su alcune irrefutabili constatazioni: crisi e iniziJ di liquidazione del blocco reazionario liberalnazionalista e monarchicofascista; assestamento e progressiva strutturazione in un senso ancora im-- precisato di un partito cattoiico, comunque decisamente preponderante; carenza, e anzi progressivo assottigliamento delle forze laiche di tradizione liberal-radicale e socialdemocratica; formazione ed espansione di un movimento popolare estremista sotto la guida e l'egemonia del Partito Comunista. Dieci anni, dunque, assolutamente decisivi per la storia del Mezzogiorno, come che contrassegnati da un completo rivoluzionamen .. to dei termini tradizionali della vita pubblica meridionale. Se poi questo rivoluzionamento abbia la sua ragione d'essere in un rinnovato slancio di vita delle popolazioni meridionali, risospinte sulle vie della storia dalla grande occasione di una guerra mondiale, in cui lo Stato italiano - imprescindibile quadro dei loro problemi - è stato battuto e forzatamente posto di fronte ai suoi numerosi e gravi vizi di costituzione; o se esso sia dovuto all'intensa opera di agitazione e di propaganda di gruppi politici particolarmente qualificati, è questione opinabile e per noi ora senza alcuna decisiva rilevanza. Quel che invece è decisivo, e richiede pertanto di essere immediatamente vagliato, è se un tale rivoluzionamento abbia trovato o meno le vie che più probabilmente conducono ad una soluzione non solo effettiva, ma anche auspicabile dei problemi meridionali. Non v'è ombra di dubbio che il dato di.maggior importanza al ,iguardo sia offerto dal movimento popolare organizzato intorno ai comuJlisti. E ciò non soltanto perchè esso è il più antitetico ai tradizionali orien- [6] Bibloteca Gino Bianco

tamenti del Mezzogiorno o perchè ad esso si debbono nel Mezzogiorno gli spostame11ti elettoralmente più rilevanti di questi dieci anni; ma soprattutto perchè è da esso che sembrano dover derivare le indicazioni più gravi di conseguenze verso tutta la società italiana, oltre che verso quella meridionale. L'org~ni~mo in cui si è tradotta la politica meridionalistica del P.C.I. t· il « Movimento nazionale per la Rinascita del Mezzogiorno >>, fondato nel gennaio del 1950 come prosecuzione ed ampliamento di un precedente << Fronte democratico del Mezzogiorno», fondato a Pozzuoli nel dicembre del 1947. Il << Movimento per la Rinascita » tenne a Bari nel maggio del 1951 un I° Congresso del Popolo del Mezzogiorno; e ne ha tenuto più recentemente un II0 a Napoli, nel dicembre del 1954. Di questo secondo Congresso sono stati pubblicati gli « Atti >> in un supplemento al n. 1 del 1955 di Cronache Meridional/; e il primo merito che a questa pubblicazione va riconosciuto è certo quello di aver fornito la miglior base ad una discussione come quella che in queste note abbiamo tentato di avviare (1 ). . , L'azione m.eridionalistica dei comunisti e dei loro fiancheggiatori obbedisce ancor oggi al vecchio schema gramsciano della comunanza di interessi, e perciò dell'alleanza da promuovere fra i contadini del Sud ed il proletariato industriale del Nord d'Italia. Una tale impostazione non era .~iustificata in Gramsci (nè è giustificata oggi nei suoi epigoni) da un giudizio che implicasse parità di valore storico-politico o sincera convinzione di una effettiva solidarietà fra i due elementi della dicotomìa contadiniproletari, Sud-Nord. Illazione che non vuol essere dimostrata, stante non solo il ben noto orientamento ideologico dei partiti marxisti e un'ormai più che ~rentennale esperienza di politica agraria in regime comunista fuori d'Italia, ma anche l'esperienza dei govefni italiani a partecipazione comunista tra il '44 ed il '47 e l'azione a tutt'oggi dei sindacati socialcomunisti, in cui gli interessi delle « baronie » proletarie ebbero sempre l'indiscussa precedenza sugli interessi dei lavoratorì dei campi, oltre che sugli interessi generali del Paese. L'impostazione gramsciana nasceva, dunque, da altro; e precisamente da una esigenza tattica del sovversivismo comu- ( 1 ) Per una visione più completa occorre però confrontare anche i nn. 10 e 11-12 dell'anno l0 e il n. 1 dell'anno 11° di Cronache Meridionali. Bibloteca Gino Bianco

.. nista in Italia, scaturita dalla considerazione (valevole ai tempi di Gramsci come ai nostri) che << il Mezzogiorno e le Isole costituiscono il punto più debole dello schieramento conservatore e reazionario italiano, nel senso che esso è il settore in cui più spontanea è la ribellione delle coscienze contro l'attuale sistema economico, sociale, politico>> («Atti>>, pg. 59). Considerazione che va integrata ed interpretata con la seguente e più espli~ cita form11lazione: « La lotta democratica meridionale influenza tutta la !otta nazionale per la difesa della democrazia. In un certo senso, essa somiglia ed ha i riflessi e le conseguenze della lotta di un territorio ' coloniale ' di fronte ai movimenti rinnovatori radicali nei paesi metropolitani >> (ivi, pg. 66). Quel che si persegue non è tanto lo sviluppo democratico del Mezzogiorno quanto << le consèguenze rivoluzionatrici » di esso; o meglio, << la lotta contadina e democratica dei calabresi, dei siciliani, dei lucani, dei pugliesi, dei sardi » è sollecitata in quanto « aiuta il movimento radicale del Nord a svilupparsi, ne amplifica il respiro, gli assicura forti e fedeli alleati». Per il resto, è assiomatico che << soltanto la classe operaia è in grac.iodi guidare le popolazioni del Mezzogiorno alla soluzione dei loro problemi » (ivi, pg. 219). Si tratta, insomma, di una speculazione politica; anche se è una speculazione politica di alto livello, che rientra nel quadro di una complessa visione generale. Esula da essa la convinzione di un valore autonomo della _posizionemeridionalistica, così viva in Guido Dorso; esula da essa quel pathos commisto di amaro dolore e di offesa dignità, in cui è la suggestione di una figura come Giustino Fortunato; esula da essa il senso austero dei valori civili, che fu proprio alla tradizione donde discese l'alto magistero di Benedetto Croce. È una impostazione che, nata dalla fredda e unilaterale valutazione di alcuni elementi della realtà italiana, chiede soltanto di essere accettata nella sua efficacia di formula eversiva. Il . suo frutto è un meridionalismo, per così dire, di complemento, tanto migliore quanto più irruento, alla guisa, appunto, dei movimenti dei popoli di colore. Qualcosa è tuttavia mutato dal tempo di Gramsci ad oggi. Di fronte alle difficoltà effettive della penetrazione rivoluzionaria in un mondo come quello contadino del Mezzogiorno· italiano; di fronte, oggi, ad una azione di governo che, comunque, è riuscita ad impostare in qualche modo la riforma della tradizionale struttura agraria del Mezzogiorno, il vecchio schema dell'alleanza fra operai del Nord e contadini del Sud non [8] Bibloteca Gino Bianco

basta più. D'altra parte, i comunisti sono stati pronti ad approfittare delle circostanze che ad essi ha offerto il non semplice e non sempre chiaro atteggiamento della parte che in questi anni ha tenuto in Italia le maggiori responsabilità politiche e governative. Se pertanto si conferma che « la forza deteriminante della rinascita del Mezzogiorno è la classe operaia >> si aggiunge però che << condizione indispensabile (ne è) l'alleanza ... non soltanto con i contadini poveri del Mezzogiorno e delle Isole, ma con i gtandi strati intermedi delle città e delle campagne delle nostre regioni meridionali e delle Isole e anche con quei gruppi di borghesia produttiva del Mezzogiorno che sono stati fin qui schiacciati dai gruppi monopolistici ed agrari» (ivi, pg. 219). E siamo così giunti alla trasformazione dell'originario rigido postulato classista di Gramsci nella formula frontista che ispira oggi l'azione comunista nel Mezzogiorno. Sotto questa insegna il Mezzogiorno ha cominciato a mutare politicamente fisionomia, siccl;ièoggi il Partito Comunista non è più soltanto al Nord il secondo partito d'Italia. << Ci sono i votanti, uomini e donne, e la loro coscienza, la loro educazione politica, la loro cultura nuova e moderna, e le loro organizzazioni >> (ivi, pg. 113). Si è svolto, cioè, un processo largamente positivo di emancipazione delle plebi meridionali, specie nelle campagne, dall'inerzia clerico-feudale, dall'oppressione clientelistica, dalla corruzione della paura e delle elargizioni.. Un processo, in questa sua positività, di liberalizzazione della vita pubblica meridionale. Processo, peraltro, di cui non si riesce a veder oggi alcuno sbocco, alcuna possibilità di traduzione in una formula politica avente effettive possibilità di realizzazione. Ed è qui che si svela tutta la gravità di quella che è stata definita l' << ipoteca >> comunista sul rinnovamento in atto di così. vasti strati della società meridionale. Ci riferiamo innanzitutto - come è naturale - alla sostanziale antiJemocratìcità della posizione comunista. Alla quale non si ripara con la futile obieziorie che << quando si pongono i problemi politici sul piano della ricerca dei fini intimi delle azioni, si esce dal campo della ragione, e si finisce nei campo del tribunale delle streghe, dei roghi, nel campo cioè del processo alle intenzioni, che non è certo il modo di affrontare e risolvere i problemi politici» (ivi, pg. 125).. Crederemo allora, on. De Martino, in base a questo suo asserto, che Achille Lauro spenda davvero i suoi milioni, così come egli proclama, per la pura fede monarchica di cui arde? I fini ' Bibloteca Gino Bianco

antidemocratici e illiberali del comunismo itaìiano ed internazionale son tuori dì ogni discussione ed essi costituiscono certamente la ragione limitatrice di ogni funzione storica contigentemente democratica e liberale che ; comu11ist-sii siano trovati, si trovino o si troveranno ad assolvere; e quindi anche del loro meridionalisn10. Discende del resto da questa natura antidemocratica e illiberale, che oggi si esprime nella forma concreta di dipendenza del comunismo internazionale dalle centrali cominf ormiste, la impotenza del comunismo italiano a mandare più avanti e a far passare nella fase realizzatrice il movimento meridionale da esso guidato. E si veda. La Pace e la Costituzione sono stati il leit-motiv del Congresso Napoietano del dicembre scorso. Ma che cosa è la Pace ? Che cosa è la Costituzione? Risponde al primo punto il sen. Sereni: la Pace è il Piano Molotov, è la lotta alla CED e all'UBO (ivi, pgg. 56-58). Vale a dire che la Pace sono le condizioni che hanno reso possibile l'espansionismo sovietico. Risponde al secondo punto l'on. Amendola: la Costituzione è l'Unità <<nazionale>>,rotta nel 1947 <<per l'intervento straniero e per i disegni di vecchi gruppi privilegiati >>(ivi, pg. 112). Vale a dire, il reinserimento degli uomini dell'apparato comunista nella direzione politica e nel governo della società italiana. I due punti sono evidentemente interdipendenti, e sono insieme legati alla politica della <<distensione>>della quale hanno appunto tutta la fallace validità. Poichè come non c'è <<distensione>>nel mondo senza preliminare effettiva garanzia dell'indipendenza delle nazioni libere, così non c'è «costituzionalità>> in Italia senza una incondizionata prospettiva di stabilità democratica. E come non si dà indipendenza del mondo libero senza la collaborazione d.ei paesi occidentali, così non si dà stabilità democratica ove operi l'apparato di un potente partito cominforrnista. Con il quale pertanto nessuna nuova maggioranza è possibile; e le giuste osservazioni fatte al Congresso del Popolo Meridionale in merito .al carattere politico dei problemi meridionali (ivi, passim) sono così destinate a restare innocui fiatus vocis. E si badi. ·Tutto ciò non significa partire <<dal presupposto illiberale di considerare estranee al processo di formazione e di svilupppo dello Stato democratico le masse popolari organizzate e dirette dai Partiti comunista e socialista» (Cronache Meri"dionali, a. II n. 1, pag. 22). È, al contrario, una preoccupazione sincera di assicurare il carattere democratico di una tale partecipazione delle masse; carattere democratico che la pre- . Bibloteca Gino •Bianco I

senza delrapparato comunista compromette, ai danni, in ultima analisi, di quelle stesse masse. Con tutto questo, inoltre, non si eludono i quesiti che implicitamente ed esplicitamente sono posti dalla presenza del comunismo. Abbiamo affermato che tale presenza mina la stabilità democratica del Paese e che ad essa si deve se il risveglio delle popolazio11i meridionali si trova oggi ad aver imbeccato un vicolo cieco. Ma i problemi di costume, di economia, di amministrazione, d1 direttive politiche ·che il 1 metidionalismo comunista e paracomunista dtnunzia sono ben vivi e reali; e nasce certo dalla loro indubbia autenticità la maggiore e più indelebile impressione I che nel lettore attento e spassionato suscitano gli << Atti » del II Congresso del Popolo Meridionale. E vivo e reale è il peso di una forza che controlla oltre il 300/4 dell'elettorato meridionale. È possibile, facendo astrazione da questa forza, ed anzi avendola ostile, seguire un indirizzo politico, che sappia imboccare << la via da seguire per la rinascita del Mezzogiorno>> ? << la Yia... della riforma fondiaria radicale e della riforma dei contratti agrari; di una politica di industrializzazione ... con una lotta conseguente contro i monopoli; di una politica di lavori pubblici scelti e indicati dalle popolazioni interessate ed eseguiti sotto il loro controllo>> (Atti, pag. 114)? È possibile ciò quando la parte di gran lunga maggiore dello schieramento democratico italiano (D.C.-P.L.I.) cede così spesso, per la sua eterogenea o maldefinita natura, alle tentazioni del sottogoverno, degli interessi costituiti, del clericalismo e perfino del filofascismo ? Nei tentativo di rispondere col fatto a tali interrogativi si è logorata in questi anni la sinistra democratica italiana, che ha visto scemare paurosamente la sua consistenza elettorale in tutto il Paese e soprattutto nel Mezzogiorno, dove - ha sostenuto l'on. Amendola - << tra le forze di sinistra e quelle della D. C. non c'è più nulla che politicamente conti qualche rosa>> (Cronache Meridionali/ a. II n. 1, pag. 10). Ed egli ha aggiunto: << È stata questa ... la conseguenza dell'abbandono delle posizioni democratiche unitarie da parte dei socialdemocratici, dei repubblicani, dei liberali: la loro scomparsa corne forze politiche organizza.te ... Questo è stato il prezzo pagato per l'abbandono di una linea di resistenza e di lotta meridionalista>>. Il fatto denunciato dall'on. Amendola - la progressiva defezione dell'elettorato meridionale di democrazia laica - è tanto incontestabile quanto è falsa la diagnosi da lui tracciatane. Il crollo elettorale dei cosidBibloteca Gino Bia·nco

detti << partiti minori >> trova ben più intrinseca e vera e complessa ragione nel prezzo che la politica democratica da essi avviata ha comportato; e cioè la collaborazione con quelle forze di natura eterogenea e mal definita, alle quali abbiamo accennato, e con la loro politica incerta e contraddittoria nel complesso, ma a volte (e su alcuni punti sempre) ottusamente sopraffattrice, nei riguardi degli alleati non meno che degli avversari. Comunque, non sarà certo sotto le bandiere del fronte popolare che << potrà ricrearsi nel . .__ Mezzogiorno una forza democratica, distinta da quelle organizzate nei partiti socialista e comunista >> (ivi, pag. 11). Ed è pur vero che, nella decadenza della sua forza elettorale, la democrazia laica ha conservato nel Mezzogiorno non radi quadri di. così alto livello e preparazione, che nessuna politica meridionalistica potrebbe mai prescindere, se non altro, dal concorso della loro illuminata capacità critica. Ma il problema-base oggi è diverso. Sta il fatto che la democrazia laica · ha accumulato dal 1948 ad oggi un patrimonio di realizzazioni è di indirizzi, il quale, se non è ingente, è tuttavia la maggior ricchezza politica, concreta ed attuale, di cui il Mezzogiorno disponga: europeismo, liberalizzazione degli scambi, Cassa, lotta ai t;nonopoli, riforma agraria, riforma tributaria. Il problema è di consolidare e di incrementare un tale patrimo11io.La pace e lo svolgimento degli istituti costituzionali sono indubbiamente condizioni indispensabili di questo incremento. Ma una pace che non sia lo strumento per frustrare il processo di integrazione europea dell'Italia, e specialm~nte del Mezzogiorno; uno sviluppo costituzionale che sia di completamento, di espansione e di articolazione delle strutture democratiche disegnate dal 1948 ad oggi, per merito anche, se non soprattutto, della democrazia laica. La partecipazione delle masse meridionali allo svilt1ppo dello Stato democratico è un'altra condizione indispensabile al prosieguo di una valida e coerente politica meridionalistica. Ma una partecipazione che non significhi il rientro dalla finestra di quel pericolo comunista, che la l!emocraz1a italiana ha avuto il coraggio e la forza di cacciare dalla porta. Il fatto che al Congresso del Popolo Meridionale l'azione della sinistra democratica sia stata o ignorata o gratificata di asservimento allo straniero e alla D. C. è - col già rilevato, e paralizza1Jte equivoco dell'ispirazione comunista - un altro limite obiettivo del Movimento per la Rinascita, inteso come organizzazione e come fenomeno storico. Soprattutto è mancata un'adeguata valutaziol)e di quella impostazione europeistica, che, come Bibloteca Gino Bianco

è stato ben detto, è una nuova condizione del meridionalismo dopo la seconda guerra mondiale e che, ovviamente, non ostacola, ed anzi favorisce « una politica di pace e di collaborazione fra tutti i popoli dell'Europa, dell'Est e dell'Ovest, del Nord e del Sud» ( Cron. Mer., a. II, n. 1, pag. 12). Ma forse, con gli avvenimenti degli ultimi mesi, si stanno già elaborando 1~ condizioni per un superamento di tali limiti. Il meridionalismo comunista e paracomunista ha ormai esaurito (per riconoscimento dello ~tesso on. Amendola; 1. cit., pag. 1O) il suo slancio, e rimane fermo ai confini segnati dalla intellige11zademocratica dei vituperati «minori». Da altra parte, il P.S.I. si va sempre più impegnando in un «dialogo», che presuppone l'abbandono di quella posizione di forza e di aut tf,Ut che è nella logica del fronte popolare e che, nei suoi riflessi meridionalistici, ispira la lmea degli « Atti >> del Congresso napoletano. Le recenti elezioni siciliane sono giunte a buon punto per indicare che le popolazioni del Sud cominciano ad avvedersi che la loro strada non può essere a lungo la strada del comunismo. Che il P.C.I. abbia perduto 15 mila voti e il P.S.I. ne abbia guadagnati 55 mila è un fatto che non ·conta nel suo aspetto numerico,· bensì per l'adesione data dall'Isola ad una soluzione che appariva più possibile, più reale. Conta, cioè, per l'intuizione, da parte del corpo elettorale siciliano, del fatale immobilis1no, in cui, dopo il primo grande slancio già effettuato, la direzione comunista finirebbe con l'irretire il moto meridionale, se esso persistesse nel subirla: la parola è oggi ai quadri del P.S.I. e non ci vorrà molto per vedere se essi sono pari alle responsabilità alle quali sono chiamati. Ma se ciò non sarà, la sinistra democratica potrà continuare la sua difficile, ma autentica battaglia meridionalistica. E l'avere indicato le antinomìe del « meridionalismo di complemento » non significherà aver fatto << un pasticcio >> o aver eluso i quesiti posti da una complessa realtà. Significherà soltanto aver riconosciuto che nella società italiana rimane aperto un problema politico di deci5iva importanza: il controllo, cioè, e l'avviamento democratico della rinnovata opinione pubblica meridionale. Sarà, del resto, un problema poco più arduo di quello che si potrebbero trovare a risolvere fra poco gli amici meridionalisti dell'altra sponda. Perchè, se gli operai del Nord proseguiranno nel respingere così decisamente' la direzione sindacale e la politica del comunismo, con chi si alleeranno i contadini del Sud? Bibloteca Gino Bianco

.La polemica sulle aree sottosviluppate di Gino Mario Secondo calcoli decisamente attendibili, risulta che un miliardo e seicento milìoni di uomini vivono oggi in zone economicamente sottosviluppate e che il reddito di ciascuno di essi raggiunge, a mala pena, nelle sue punte più basse, i 100 dollari annui. Questi, al1neno, i dati e le cifre racc~lti dallo Special Assistant del Presidente degli Stati Uniti nel suo interessante studio dal titolo << Report to the President on Foreign Economie Policies >.). Tali dati, tuttavia, non debbono ritenersi completi: mentre, infatti, nel suddetto Rapporto troviamo elencati, fra i territori sottosviluppati, i paesi dell'America Latina, dell'Asia e dell'Africa, in es.sonon viene fatto alcun cen110a quelle regioni del Mezzogiorno europeo (Portogallo, Spagna, Jugoslavia, Grecia, Turchia e Italia Meridionale) che la Commissione Eco11omicaper l'Europa, organo delle Nazioni Unite, classifica come tali. Questa omissione comporta, al fine di una esatta valutazione del fenomeno, la necessità di aggiungere alla ~ifra sopramenzionata altri 90 milioni di uomini, la cui quota individuale di reddito non supera, in media, i 200-250 dollari annui. Di conseguenza si può affermare che il 70% dell'intera popolazione mondiale vive oggi in condizioni di varia precarietà e ristrettezz·a. Nello stesso << Report » si specifica e si insiste, infine, e ciò soprattutto allo scopo di richiamare la particolare attenzione del Presidente sulla delicata questione, che la quasi totalità delle zone sottosviluppate è politicamente incorporata nel mondo libero, ed occupa, geograficamente, una posizione marginale al confine con il blocco sovietico. Le conclusioni cui giu11gelo Special Assistant del Presidente sono pertanto intuitive ed in armonia con il pu11toIV0 di Truman, enunciato qualche mese prima che il Rapporto venisse redatto. Di tale punto, come si legge nella lettera di presentazione diretta dal suo estensore al Capo delBibloteca Gino Bianco

ì'Amministrazione Americana, esso rappresenta, in un certo senso, la concreta realizzazione sul piano politico, in perfetto accordo con il contenuto dell'art. 2 del Patto Atlantico. Tuttavia è bene tener presente che l'esistenza di aree depresse e di zone ~ottosviluppate non è fenomeno soltanto di oggi; e che, in una certa mi- ~ura, già prima di quest'ultima guerra, in molti paesi si era tentato di elirr1inarle nell'ambito nazionale. Presso taluni di essi, però, il mito dello <<spazio vitale>>, della <<conquista» delle materie prime e di territori colo11iali,lungi dal raggiungere, sia pure parzial1nente, lo scopo voluto, portò soltanto a dispersione di forze e di mezzi. È quindi soprattutto merito dell'Amministrazione degli Stati Uniti avere impostato il problema delle zone sottosviluppate nei suoi veri termi11i, su scala mondiale, ed avere inrlicato, come unica possibile soluzione, la via della collaborazione internazionale, mettendo a disposizione del mondo intero, sotto forma di aiuti, una quota del proprio reddito nazionale. Si potrà forse insinuare - e da più d'uno è stato tenacemente sostenuto - che un siffatto programma sia stato concepito dal governo americano nel quadro e nell'atmosfera della politica di << co.ntainement >>;che mediante il sistema degli aiuti all'estero esso abbia voluto evitare, soprattutto, una crisi di sovraproduzione al proprio paese quale inevitabile conseg\lenza della conversione industriale imposta dalla fine delle ostilità. Tuttavia, pretendere che eventuali motivi contingenti, ispiratori di una soluzione dimostratasi sempre più necessaria, con il passare del tempo, possano togliere ad essa il suo obbiettivo valore, sarebbe manifestazione di pura e gratuita intenzione polemica, così come lo sarebbe ugualmente il pretendere di asserire il contrario, e cioè che soltanto un profondo spirito di umana solidarietà abbia ispirato le decisioni degli uomini politici americani nel concepire ed attuare l'UNRRA, il piano Marshall, il punto IV0 ed il Mutuai Security Aci. Bisogna comunque onestamente riconoscere cl1e negli Stati Uniti non si è mai preteso di dare a tali iniziative una interpretazione del genere e che non si è mai pensato di accreditare tale opinione all'estero; il che è provato dalla vasta documentazione esistente sulla politica degli aiuti all'Europa, ufficiale o ufficiosa che sia: in tale documentazione si trova costantemente ripetuta, infatti, l'affermazione che la costituzione di paesi economicamente sani e militarmente forti, capaci quindi di co11tenerela spinta sovietica, è uno dei preminenti interessi delBibloteca Gino Bianco

...... l'America. Tuttavia, anche negli Stati Uniti non sono mancate e non mancano aspre critiche contro una siffatta concezione dell'interesse nazionale; esse si appuntano, da una parte, contro la presunta scarsa volontà dei popoli europei di volersi effettivamente difendere; dall'altra, contro il fatto che, in mancanza di tale volontà, un flusso <li dollari non può assolutamente costituire una barriera efficiente contro la dilagante politica comunista; di qui la sconfortante visione, per costoro, della assoluta inutilità di <1ualsiasiulteriore programma di aiuto. Ancora oggi si può leggere, infatti, la relazione di minoranza presentata lo scorso anno dal Senatore Langer, membro della commissione parlamentare per gli affari esteri, contro il progetto di legge che fissa le spese per gli aiuti all'estero nell'anno fiscale 1954-55. Tale relazione contiene la più feroce critica che mai si possa immaginare contro gli europei in genere, a cominciare dagli Inglesi, ritenuti anch'essi ormai costituzionalmente incapaci di procedere ad una effettiva ed onesta politica di ricostruzione, di espansione e di sviluppo • economico. Possiamo dunque assumere il Rapporto dello Special Assistant, G9r- <lon Gray, e la Relazione Langer come i due poli estremi entro cui si dibattono e si muovono la politica e l'opinione pubblica americana nei co11fronti del problema delle aree depresse e delle zone sottosviluppate. Per il primo, ed è questo il substrato della concezione che ha ispirato ia politica del « containement >>, le zone a basso tenore di vita, in cui regnano, cioè, disoccupazione e fame, sono potenzialmente veri e propri focolai comunisti; contribuendo ad eliminarli, quindi, i paesi del mondo libero rafforzano, innegabilmente, la loro posizione difensiva. Per il senatore Langer, e per coloro che ne condividono l'opinione, invece, l'equiva- ]enza miseria-comunismo, lungi dall'essersi dimostrata esatta, viene anzi quotidianamente smentita dall'atteggiamento di molte popolazioni, sorde ad ogni penetrazione comunista, nonostante il loro riconosciuto stato di indigenza. Ora, un siffatto fondamentale contrasto di giudizio è molto più radicato nell'opinione pubblica americana di quanto generalmente non si creda; e chiunque abbia vissuto, anche per breve tempo, in tale paese, ha . potuto riportare di ciò una esperienza personale e diretta; qualsiasi avvenimento, infatti, che possa essere interpretato come una conferma dell'una o dell'altra tesi, dà luogo a polemiche interminabili fra le due parti, in Bibloteca Gino Bianco

- perpetuò còntrasto. Ne ~ un esempio recente H diverso vaiore attrihulto da fautori ed avversari della politica degli aiuti alle recenti elezioni per le commissioni interne nelle fabbriche dell'Italia settentrionale. Invero, a noi sembra che tale disparità di vedute non abbia ragione di esistere e muova piuttosto, nell'uno e nell'altro campo, non solo da un esame incompleto dei dati del problema, ma soprattutto da una insoddisfacente analisi dei risultati raggiunti in questi ultimi 5 anni dalla politica di aiuti. Che cosa significa, anzitutto, un'<<area depressa » od una « zona sottosviluppata»? Benchè sia entrato ormai nel linguaggio comune l'uso indifferenziato di tali espressioni, in ve~ità esse designano ed esprimono, rispettivamente, concetti e significati del tutto diversi. L'area depressa, infatti, è una zona in cui si è venuta cristallizzando, progressivamente, la fase di recessione di un ciclo economico; essa implica clunque una depressione di natura inizialmente congiunturale e si manifesta con fenomeni di disoccupazione, di scarso consumo, di reddito mi- . 11imo e di un quasi inesistente accumulo del risparmio. La zona sottosviluppata, invece, che pure presenta gli stessi sintomi di diffuso e prof on.do disagio, definisce lo spazio nel quale lo sviluppo della struttura economica ha subìto un arresto nella fase della agricoltur2 estensiva, con una conseguente sproporzione sempre più grave ed insanabile fra mezzi di sussistenza ed aumento della popolazione, fra disponibilità e bisogni della medesima. Tale fenomenologia si accompagna sempre, nel caso delle regioni sottosviluppate, ad una grande penuria di servizi pubblici essenziali ed alla carenza, altrettanto grave ed estesa, di opere di interesse collettivo: strade, comunicazioni in genere, centrali elettriche, acquedotti, ecc.; ~iò che rende il male più profondo, e la cura lunga, onerosa, difficile. Volendo esemplificare la distinzione ora fatta, si potrebbe dire~ con riferimento al nostro paese, che il Nord-Italia potrebbe diventare un'area depressa nel caso di una grave e perdurante recessione economica, ma non potrebbe mai divenire, sussistendo l'attuale fase di sviluppo tecnico-industriale, una zona sottosviluppata. La confusione fra le due nozioni deriva, probabilme11te, dal fatto che ogni zona sottosviluppata si può sempre considerare - e lo è intatti - economicamente depressa.; mentre, come si è visto, non è affatto vero il co11trario. In ogni modo, mentre per un'area depressa il problema essenziale conBibloteca Gino Bianco \

siste nel riattivare un circuito economico (e a tal fine possono anche dimo- ~trarsi sufficienti determinate misure di politica economica: provvedimenti fiscali, monetari e .finanziari, in genere), per una zona sottosviluppata è necessario che tali misure siano precedute da una fase di investimenti massicci, o meglio di pre-investimenti, allo scopo di creare le sicure premesse per una successiva espansione. Sono cioè indispensabili, per tali zone, investimenti in opere pubbliche di grande portata che trascendono spesso, per la loro entità, la capacità contributiva di un intero paese. Piani di sviluppo e di investimenti relativi presuppongono, quindi, scaglionamento di mezzi nel tempo, politica economica a lungo termine e stabilità politica, al fine di favorire, sia il concorso di capitali esteri, sia la concessione di aiuti o di prestiti intergovernativi, sia l'attuazione di quelle varie misure cui si è fatto cenno più sopra e che consentono di sostenere l'azio,ne principale. Ora, nessuna di queste condizioni, congiuntamente indispensabili ad assicurare lo sviluppo delle zone arretrate, è stata ancora posta in opera da parte americana e da parte europea. Per ciò che concerne la politica americana, infatti, è bene ricordare come l'ammontare degli aiuti all'estero variasse di anno in anno, secondo gli umori del Congresso; nessuna certezza, quindi, per i paesi beneficiari, nè sull'ammontare del1a quota ad essi assegnata di volta in volta, comunque insufficiente, nè sulla natura ed il tipo dell'aiuto, l'uno e l'altra suscettibili di mutare per i più diversi motivi: situazione inter11a americana, situazione internazionale, situazione politico-parlanìe11tare nei paesi interessati. Troppe variabili, quindi, in una equazione sola, perchè si potesse sperare di giun-- gere a realizzare quella certezza che è invece il presupposto indispensabile per una efficiente politica di sviluppo economico e di espansione. Nè, dimostratesi inadeguate le assegnazioni del governo americano, a iitolo di aiuto economico e di assistenza, si poteva contare su una adeguata partecipazione del capitale privato. Un recente studio sugli investimenti privati americani all'estero, pubblicato dall'OECE, ha, infatti, dimostrato esaurientemente sia la considerevole diminuzione del loro volume globale rispetto all'altro dopoguerra, sia il loro particolare orientamento. Si è visto così che petrolio, miniere, industrie meccaniche e di trasformazione assorbono la maggior parte del capitale privato esportato; e che pertanto esso tende ad investirsi, di preferenza, in zone già industrializzate o ricche di materie prime. Lungi quindi dal dirigersi verso regioni sottosviluppate, il caBibloteca Gino Bianco

pitale privato americano emigra, in ordine di preferenza, verso la Gran Bretagna, il Belgio, la Fìrancia, la Germania, i Paesi Bassi e, fuori d'Europa, il Canadà e gli stati più ricchi e più sviluppati del Sud-Amerca. Si calcola, comunque, che non più di un miliardo di dollari per anno venga investito all'estero da privati amerìcani; e ciò si spiega facilmente se si tiene presente cl1e il mercato finanziario offre, all'interno degli Stati Uniti stessi, vaste e più vantaggiose possibilità di collocamento. Su tale punto, invece, il Gray giunge a conclusioni meno sconfortanti, tanto da 5uggerire .l'adozione, da parte degli Stati interessati, di una serie di misure intese ad incoraggiare il flusso del capit~le privato. Inutile dire, !)er quanto riguarda l'Italia, che anche in questo specifico campo stiamo arrivando ultimi in quanto, soltanto ora, il gover110si è accinto ad affrontare !egislativamente il problema. Rimarrebbe - secondo le indicazioni di Gray - la possibilità di convogliare verso una determinata zona i prestiti di alcuni Istituti, quali la << Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo>>e la << ImportExport Bank >>,operante quest'ultima secondo direttive dell'Am.ministra- ~ione americana; ma operazioni del genere non hanno dato finora risultati troppo brillanti. Dati, infatti, i criteri restrittivi e prudenziali che caratterizzano l'attività di questi Istituti, il totale dei prestiti concessi da ambedue, sommati insieme, non hanno superato i 5 miliardi di dollari, e l'impiego di essi, inoltre, sembra voler seguire la stessa traiettoria preferita dal capitale privato. Infine, è bene ricordare che l'afflusso di tali mezzi è sempre anch'esso soggetto a notevoli oscillazioni di natura economica, così come la loro assegnazione è subordinata, invece (soprattutto per la Import-Export Bank), a considerazioni di natura politica contingente. In tale situazione, voler puntare sul capitale privato per finanziare quei pre-invest1menti che costituiscono la cornice indispensabile entro cui soltanto può iniziarsi il processo di sviluppo delle zone arretrate sembra anarronistico e nettamente in contrasto con i dati più recenti della realtà del momento. Si può dunque concludere affermando che, se non può essere contestato da alcuno il merito degli Stati Uniti, ed in particolare dell'Ammini- ~trazione democratica, di aver individuato nelle zone sottosviluppate il problema politico più urgente del mondo libero, non sembra tuttavia che essi abbiano successivamente operato in modo organico e coerente con tale Bibloteca Gino Bianco

premessa. Il che non esclude, e non diminuisce per nulla, la responsabilità dei paesi europei, derivante dalla loro totale mancanza di iniziativa. In queste condizioni è facile comprendere co~e i miliardi di dollari stanziati dal Congresso, anzichè venire impiegati nello sviluppo di pia11i organici e razionali nelle zone arretrate, siano serviti a tamponare dovunque, di volta in volta, secondo un criterio di emergenza la cui validità potrebbe difficilmente venir contestata, le falle più preoccupanti del sistema economico-militare del mondo libero. È avvenuto così, fatalmente, che per scopi « non militari >> - e la definizione ufficiale è troppo generica per non dover essere soggetta a cauzio,. ne, ai fini del computo degli investimenti produttivi - il Governo degli Stati Uniti abbia destinato, durante gli ultimi anni fiscali, le seguenti cifre (in milio11i di dollari): Europa Altri paesi 3.823 130 3.953 2.250 149 2.399 1.122 418 1.540 1.282 472 1.754 390 813 1.203 172 tot. 1.365· tot. 1.537 tot. 9.039 3.347 12.386 ContemporaneamenteJ gli Stati Uniti si accollavano anche 21 miliardi e mezzo di dollari per oneri militari, di cui 16 destinati all'Europa; oneri che altrimenti avrebbero finito col pesare sui diversi bilanci nazionali. Ora, :-ìggiungendo agli stanziamenti per spese << non militari>>, l'ammontare degli investimenti privati all'estero, nello stesso periodo di tempo, ed i prestiti cffettuati dalle due Banche sopramenzionate, difficilmente si arriva a superare i 22 miliardi di dollari: globalmente, quindi, comprese cioè le spes~ 1nilitari, il volume complessivo delle erogazioni non oltrepasserebbe la cifra di 43 miliardi di dollari. In verità, però non solo tale imponente complesso di mezzi è stato distribuito secondo le più immediate necessità nei vari continenti, ma si è più nel vero calcolando che, in effetti, solo un quarto di tale cifra, e cioè circa 10 miliardi di dollari sia stato realmente impiegato, produttivamente, nei vari paesi. Con questo si vuole soltanto affermare che, di fronte agli 8 miliardi di dollari necessari (secondo le valutazioni degli esperti accolte dallo stesso Gray) a coprire il fabbisogno di investimenti mondiali, solo 2 111iliardil'anno sono stati effettivamente impiegati a tale scopo; il resto degli stanziamenti è servito al rafforzamento della difesa del mondo libero e Bibloteca Gino Bianco ' I

quindi, come esplicitamente riconosce il rapporto della Commissione senatoriale degli Esteri, alla difesa diretta del Continente americano. Hanno dunque ragione gli americani quando si mostrano preoccupati per il grosso onere finanziario finora sostenuto; ma hanno torto, invece, coloro che, vo- . !endo ignorare la reale portata di tale contributo, in relazione alle effettive dimensioni del sottosviluppo, pretendono di attribuire a tali stanziamenti una funzione determinante e risolutiva nei confronti del problema. Le modeste proporzioni dell'effettivo investimento globale finora impiegato nello sviluppo delle zone arretrate, e la impossibilità, quindi, di giudicare sulla reale efficienza del programma di aiuti, è però un argomento_che assai difficilmente può venire accolto dagli epigoni dell'isolazionismo a1nericano. Di tale orientamento, contrario al sistema degli aiuti, si è fatto portavoce parlamentare il Senatore Langer; egli ha (?Sservato,infatti, che il fenomeno comunista è particolarmente intenso nell'Italia del Nord e in Francia, dove si può rilevare, cioè, un elevato tenore di vita e dove, in misura maggiore che in altri paesi, ci si è avvantaggiati dell'intervento • americano: che lo stesso fenomeno è in espansione nell'Italia Meridionale, dove è in atto uno sforzo di riforma, e nel sud-est asiatico, mentre è del tutto inesistente nelle zone del Centro e Sud-America, altrettanto povere e prive di risorse. Da ciò, a concludere che i progr~mmi di aiuto all'estero costituiscono per il cittadino americano una distruzione di ricchezza la la quale ha effetti controproducenti anche presso coloro che ne sono be- :1eficati, il passo è breve; ed infatti il senatore ed i suoi sostenitori lo compiono agilmente e con molta naturalezza. Di fronte ad una siffatta impostazione del problema, la dimostrazione della insufficienza degli investimenti produttivi, a favore delle zone sottosviluppate, valida dal punto di vista economi_co,perde effettivamente parte del suo valore e del suo significato; e ciò perchè, mentre l'isolazionismo ~embra attaccare i suoi oppositori sul terreno economico, cioè sulla improduttività dei programmi di aiuti, in realtà esso si difende e combatte su posizioni politiche e con argomentazioni che, a rigore, sono soltanto di na- · tura sociologica. Ma è bene osservare che, se i fatti dimostrano la mancanza di fondamento obbiettivo della equivalenza miseria-comunismo, come - vogliono gli avversari della politica degli aiuti, essi non possono poi pretendere che sia accettabile neppure il principio contrario, di cui invece sono Bibloteca Gino Bianco

tenaci sostenitori:· principio secondo il quale lo sforzo inteso a favorire le zone sottosviluppate porta al solo risultato di farvi lievitare, anzicl1è recedere, il comunismo. . La verità è che, su tale punto, gli equivoci e gli errori sono ugualmente numerosi da parte di coloro che sostengono sia l'una che l'altra tesi; in quanto ambedue muovono da una interpretazione esclusivamente econolnicistica dei problemi sociali. Ne consegue che, oltre a non aver saput~ sviluppare a fondo le implicazioni derivanti da tale premessa, gli anti-isolazionisti non hanno compreso come lo sforzo compiuto andasse necessariamente inquadrato in un complesso di particolari accorgimenti politicosociali, la cui applicazione avrebbe potuto impedire le gravi conseguenze delle quali vengono resi responsabili dai loro avversari isolazionisti; costoro, a loro volta, risultano essere fra i principali responsabili della situazione cl1e tanto deprecano, in quanto, sia nel Parlamento che presso l'opinione pubblica del proprio paese, non hanno mai cessato di essere gli autorevoli portavoce della generale incomprensione sulla portata esatta e sui veri terrnini del problema, contribuendo ad impedire, così, che, alle dimensioni e alla natura di esso, fossero predisposti mezzi adeguati di soluzione. Come si è detto, infatti, il problema della penetrazione comunista nelle zone sottosviluppate è, in realtà, molto più complesso di quanto si pensi . t lo si può solo affrontare facendo ricorso, non al concetto di causa, ma a quello di funzione. In base a tale concetto si può allora affermare che, se gli investimenti svolgono, nel processo economico di sviluppo delle zone arretrate, una f 1,1.n~ zione dinamica di impulso iniziale e di accelerazione successiva, le condizioni economiche che ne derivano agli individui ed ai gruppi rappresentano, a loro volta, in conseguenza della nuova situazione, l'elemento dinamico acceleratore di un diverso equilibrio sociale; sono cioè le funzioni determinanti di un nuovo sistema di rapporti sociali ed economici che tendono a disintegrare, nella direzione dello sviluppo, la struttura della veccl1ia società. In tale fase di movimento e di relativa instabilità, la propaganda e la penetrazione comunista possono inserirsi con probabilità di successo in vista del duplice scopo di giungere alla formazione di una società coliettivistica - e tale sforzo è in atto nel sud-est asiatico - oppure di guadagnare vantaggi propagandistico-elettorali secondo la tattica applicata nei Bibloteca Gino Bianco

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