Nord e Sud - anno II - n. 8 - luglio 1955

I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO II * NUMERO 8 * LUGLIO 195S Bibloteca Gino Bianco

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I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO -- v&1Editoriale [ 3] Leone Cattani Brunello Vigezzi N.d.R. Renato Urga Laura Sasso Calogero Salvatore Rea Giuseppe Galasso Un piano territoriale interregionale [ 6] Liberali e integrdisti nelle V niversità [ 13] GIORNAI,E A PIÙ VOCI Sardegna troppo lo.ntana [28] Il piano Cortese [31] Cultura popolare: cose semplici .e cose semplificate [35] L'altalena emigratoria [38] CISL e VIL [ 42] DOCUMENTIE INCHIESTE Gabriele Gaetani Situazione demografica ed agricoltura nel Mezzogiorno [ 47] IN CORSIVO [81] CRONACHEE MEMORIE Nello Ajello Storia e antologia della Napoli proletaria [86] Mario Del Treppo Una copia L. 300 • Estero L. 360 Ahboaamecti 1 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Eatero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i Yersamenti sul C. C. P. n. 3134552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco LETTERE AL DffiETTORE [119] RECENSIONI La Cultura delle città [ 131] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71

Editoriale Ricostituire il quadripartito, o meglio il tripartito, non significava ricostituire i dati politici che dettero origine nel febbraio 1954 al Gabinetto- ,~celba,in un clima di speranze o, se si preferisce, di illusioni, che ne accompagnarono e rischi'lttono i P,imi passi. Per questo l'on. Scelba è fallito nel suo scopo. Noi abbiamo dato da tempo un giudizio sulla crisi della coalizione· democratica. Non eravamo più in ,presenza di un governo di coalizione ) da quando il P.L.I. aveva costretto tutto il fronte democratico ad una vana ginnastica di negoziati. Eravamo soltanto in presenza di un governo di compromesso, nell'ambito del qual.e i partiti cosiddetti minori, per dirla con Mario Paggi (Il Mondo del 21 giugno), si ponevano come << qualificatori >> delle correnti democristiane e non come « portatori di volontà politiche generali diverse, e in molti punti opposte, a quella del partito dominante»; colpevoli di aver voluto darsi una esclusiva problematica di destra e sinistra economica, eludendo i problemi di destra e sint:stra eticopolitica, dove appunto consiste la diversificazione e l'opposizione tra partiti risorgimentali e democrazia cristiana; forse troppo deboli ormai per riproporre questi problemi all'interno della maggioranza di governo. Non si deve dimenticare che la D.C.) mentre è divisa fra correnti più o meno liberiste e correnti più o meno nazionalizzatrici (e, sulla base di questa divisione, essa pone innanzi tutto a sè stessa il dilemma fra apertura a destra e apertura a sinistra), è poi saldamente unita nel .fUO attacco allo Stato moderno, figlio della rivoluzione liberale. Di qui l'esclusivismo ideologico democristiano, che ha messo in gravi difficoltà i partiti minori, falcidiandone le basi elettorali, insorgenti volta a volta contrò Scalfaro o Bibloteca Gino Bianco

contro il sottogoverno locale, per l'applicazione della Costituzione o per la causa dei prof essori in quanto causa della scuola. In presenza di tutto ciò, l'on. Malagodi aveva inàsprito le posi.zioni e le differenziazioni economistzche, con la inopportuna invenzione di una democrazia liberale da contrapporsi a una democrazia sociale, a danno dell'esigenza di fondare l'efficienza della coalizione democratica su un rinnovato equilibrio fra democrazia laica e democrazia cattolica. Si vuol dire cioè che sarebbe stato possibile, forse, un governo di coalizione; ma non tanto un quadripartito, dai liberali ai socialdemocratici, rquanto un bipartito fra democrazia laica e democrazia cattolica. E ta/,e Jembrava dovesse essere agli inizi il Gabinetto Scelba: ma avrebbe dovuto almeno conservare l'on. Martino alla Pubblica Istruzione e non avrebbe dovuto dar via libera agli Scalf aro. Senonchè l'abbandono della Pubblica Istruzione, come il lassismo di liberali e socialdemocratici di fronte ai ,problemi di destra e sinistra etico-politica, diventavano la conseguenza della tensione creata dall'on. Malagodi su altri problemi, per porre, a nome del _padronato italiano, un rigido freno a tutte le giuste cause, dai patti agrari a/,le leggi fiscali, dall'l.R.l. agli idrocarburi. Malagodi, insomma, ha messo zn crisi il Gabinetto Scelba, provocando il clima che ha disperso la maggioranza del febbraio '54, dai repubblicani 1 a/,la sinistra socialdemocratica, alla sinistra liberale, che ha potenziato le ambizioni delle correnti democristiane riunite sotto la formula di « concentrazione». Poi è andato a raccogliere in Sicilia i cospicui frutti della sua inettitudine politica; e, dopo aver messo in crisi il governo, la maggioranza del governo, il suo partito, la gioventù del suo partito, non ha nemmeno guadagnato quei voti che riteneva potessero affiuire numerosi a/, grido di « viva il latifondo ». Si può obiettare che nelle vicende ultime della << chiarificazione » l'on. Mcdagodi, da spavaldo che era nel marzo, si era fatto assai docile; che aveva subìto tutto il « minimo non rinunciabile>> di Fanfani, riforma ·agraria, I.R.l., idrocarburi compresi; e che perciò, una volta ristabiliti i termini formtdi della coalizione, il governo avrebbe potuto rimettersi al, lavoro. Il tempo si sarebbe incaricato di dimostrare se l'antica spavalderia era solo inconsistente megal.omania; oppure se la nuova arrendevolezza celava l'effettivo proposito di boicottare dall'1:nterno i «programmi» concordati. Ma i termini della coalizione non erano stati affatto ristalnliti, so,prattutto nel senso che dicevamo, di coalizione fra democrazia laica e demoBibloteca Gino Bianco

crazia cattolica. L' on. Scelba aveva potuto solo metter su un compromesso assai precario, con la <<'concentrazione>in>agguato, il P.L.I. più che mai · su posizioni a/,ternativea quelle dei socialdemocratici, lo << scalfarismo >> in auge, i contrasti di fondo a/,l'interno della D.C. mascherati come contrasti dei «minori>>, i problemi della Stato liberale moderno elusi per far litogo a fittizie giustapposizioni di «programmi>>economici. Con questo di peggio, che non si prevedeva nessuna politica dei <<laici>v>erso l'inquetudine 9 manifestatasi nelle file del fronte della sinistra, verso Nenni che è in movimento e verso Togliatti che sembra in crisi. Riteniamo ancora che questo è il momento per la D.C. della << nobile solitudine >> al governo; mentre nel paese la sinistra laica è sempre più innstentemente chiamata ad una grande battaglia di opposizione, ove non vi siano reali prospettive di ristabilire, non i termini del quadripartito dai liberali ai socialdemocratici, ma quelli del bipartito fra democrazia laica e democrazia cattolica; aperto verso sinistra, per approfondire il processo di crisi del <<frontismo»,e per vagliare le possibilità di nuovi apporti allo schieramento della sinistra democratica, a danno della sinistra totalitaria. Ma tutto ciò, sembra ancoracondizionato dalla situazione dei liberali.Questo, e non altro si può dire mentre si attendono gli sviluppi della crisi ufficiale. Che perciò alla battaglia della democrazia laica, in seguito alla fatale ' rivelazione di tutti i termini della precarietàdei tentati compro1nessi,possa partecipare il partito liberale ufficiale, o che vi possano partecipare solo quei liberali ,che già da più di un anno hanno dichiarato all'attuale Segretario del P.L.l. una guerra di legittimità, è questione che ci sta molto a cuore; ma di essa sono più che mai investiti gli on.'l.iVillabruna, Martino, Cortese, e quanti altri dei loro amici ritengono che la loro biografia politica non possa concludersi con la qualifica di agenti parlamentari o elettorali del padronato. ) [s] Bibloteca Gino Bianco

Un piano territoriale interregionale di Leone Cattani \ La lunga polemica meridionalistica, condotta, già dai primi decen11i dell'unità, con tanto vivida intelligenza da studiosi eminenti ed appassionati, ha influito decisamente a indirizzare secondo i suoi postulati la elaborazione della maggior parte delle statistiche italiane. Ciò ha indubbiamente contribuito a mettere in evidenza lo scarto notevole che si verifica ogni volta che l'indagine varca i confini dell'antico Regno delle Due Sicilie; l1a facilitato, concentrando l'esame su un territorio che per secoli aveva subìto le stesse vicende, l'individuazione di alcune cause remote e profonde di certi fenomeni; ha suscitato nuove combattive energie tra gli studiosi del Mezzogiorno; ha infine aperto la via a riforme, provvidenze e interventi statali, che sono apparsi necessari e improrogabili, per la stridente disparità tra le condizioni di vita e le possibilità di iniziativa del complesso delle regioni centro-settentrionali e quelle del complesso delle regioni meridionali ed insulari. Non si vuol perciò negare che questa impostazione storico-geografica, in parte realistica, in parte anche artificiosa, abbia prodotto in ogni caso notevoli vantaggi; ma piuttosto rilevare che non ne va tratta la falsa opinione che l'Unità abbia nuociuto al Mezzogiorno (chè anzi, nei primi àecenni, questo vide incrementata la sua produzione, i suoi redditi, i suoi traffici); e si vuole inoltre mettere in evidenza che i fenomeni di depressione che sogliono denunciarsi come il problema del Mezzogiorno, nè in passato nè oggi si presentano delimitati dai rigidi confini storici del Regno di Napoli. L'eccezione non riguarda soltanto la Sardegna; uno sguardo retro- ~pettivo alle condizioni d'Italia al momento dell'Unità consente di con- [6] Bibloteca Gino Bianco

statare, in grandissima parte del territorio dello Stato Pontificio, condizioni di arretratezza e di miseria che nulla hanno da invidiare alle regioni meridionali. L'analfabetismo, la malaria, la deficienza di attrezzature civili, la primitività dei mezzi di produzione in cui quei territori furono tenuti per secoli, hanno lasciato tracce ancora ben visibili fino alle porte di Roma. Ancora oggi intiere provincie del Lazio sono in penosissime condizioni di arretratezza e di miseria, che impressionano il visitatore, ma sfuggono all'osservatore superficiale di statistiche regionali, in cui le medie dei redditi e dei consumi per abitante si formano sommando i dati (lell'Alto Reatino o di certe zone di Ciociaria con quelli della popola- • z1one romana. Anche nel resto d'Italia le cifre globali regionali che segnano generalmente un graduale progresso generale, nascondono le vicende che in quasi un secolo di vita unitaria hanno fatto sviluppare ,e progredire alcune provincie o parti di esse e ne hanno lasciato indietro altre; così che appare oggi consigliabile ricercare i confini topografici oltrechè i confini storici o geografici delle zone depresse. Questa ricerca va fatta comunque se si vogliono comprendere le ragioni più profonde del disagio meridionale e inquadrarle in un fenomeno più vasto che affligge tanta parte d'Italia e di altri paesi d'Europa; se ne gioverà la polemica meridionalistica perdendo quel tono di asprezza e di risentimento che talvolta affiora verso il resto d'Italia e spesso si esaurisce r1elle tesi del doveroso indennizzo. Giustino Fortunato aveva previsto che il maggior problema della vita unitaria sarebbe stato appunto << nell'equilibrio tra le forze economiche dell'alta con quelle ,della bassa Italia>>. Quell'equilibrio si è rotto, ma non già per colpa dell'Unità o. di una volontà di sopraffazione del Nord, ma piuttosto come conseguenza di un più vasto fenomeno .sociale dovuto alla fase della rivoluzione industriale che ha caratterizzato il nostro tempo: cioè, alla rottura dell'equilibrio tra -città e campagna. Le grandi attività manifatturiere hanno chiesto per decenni (è una fase che va avviandosi al superamento) il concentramento ,di masse sempre più ingenti di lavoratori accanto alle fabbriche. Ne è derivata una improvvisa e anormale espansione delle città industriali a scapito delle campagne. Le guerre e le svalutazioni monetarie, che han distrutto i piccoli suBibloteca Gino Bianco

dati risparmi e le precarie fortune di contingenza, han sospinto gli uomini dei campi e della borghesia rurale alla ricerca di un reddito maggiore, apparentemente più facile e più stabile, nelle città ove maggiori erano le attrattive offerte dal progresso e più numerose le opportunità offerte dal concorso di tanta gente industriosa. I I centri che attiravano gli insediamenti industriali è ovvio che fossero quelli più vicini alle più economiche fonti d'energia, o comunque meglio situati, o tecnicamente meglio organizzati per ricevere e trasformare le materie prime e diffondere i prodotti. Queste condizioni, nei passati decenni, si sono trovate più facilmente riunite nel triangolo Genova-Torino-Milano; ed è naturale che quella zona venisse prescelta dai complessi industriali che si andavano creando spontaneamente o per effetto di una politica protezionistica; inevitabile che essa divenisse perciò sempre più il centro d'attrazione delle principali ' iniziative. Per alcuni decenni lo sviluppo del nostro paese si è verificato secondo linee di caratterizzazione in senso sempre più industriale per determinate zone ed in senso sempre più agricolo per altre zone. Il fattore demografico ha inoltre influito ulteriormente ad accentuare questa caratterizzazione. Il forte incremento naturale della popolazione nelle zone agricole e soprattutto nel Sud, per la mancanza di uno sviluppo industriale capace di adeguare le possibilità di occupazione alle capacità lavorative disponibili, si risolse in una generale tendenza all'emigrazione. Oltre il limite delle possibilità di sostentamento, quando non funziona il correttivo della riduzione dell'incremento naturale, entra in gioco, come un ver sacrum delle antiche stirpi, il. fenomeno dell'emigrazione. L'eccedenza di popolazione del Meridione ha cercato lavoro oltremare o si è riversata nel Nord. L'apparente armonia di sviluppo che le ) statistiche denunciano nei loro dati (come il solito complessivi e riassuntivi) nasconde, dietro le quasi identiche cifre di aumento della popolazione dal 1861 al 1951 (82% nel Nord e 83% nel Sud), non solo l'imponente e, in un certo modo, al di là delle personali sofferenze, vitale e gioioso rivolgimento sociale di masse di emigranti meridionali riversatesi 1 a colmare le deficienze demografiche delle regioni settentrionali, ma anche_il dramma del decadimento delle restanti popolazioni selezionate in senso peggiorativo dalla eliminazione sistematica dei più intraprendenti e dei più attivi. [8] Bibloteca Gino Bianco

... In sostanza il dramma del Meridione è quello di aver sofferto in mi5ura assai più vasta, per più lunga durata e per quasi tutto il suo territorio, i danni ovunque in varia mist1ra provocati da uno sviluppo industriale ,:erificatosi senza un razionale e meditato piano urbanistico, sollecito di mantenere una certa equilibrata armonia tra regione e regione, tra provincie e provincie e tra le città e la campagna. Se le industrie non vanno nelle provincie e nelle campagne, prima o poi gli uomini dei campi e della provincia sono obbligati a trasferirsi nelle metropoli. I progressi agricoli non sono sufficienti da soli ad arrestare il fenomeno se l'eccedenza di popolazione non trova il suo impiego e sufficienti ragioni di attrazione da un parallelo sviluppo delle industrie nella zona. Occorre anzi rendersi conto per tempo che nessuna seria garanzia di stabile progresso agricolo potrà aversi senza che, attraverso un'intelaiatura di attività industriali locali, si provveda a correggere la sistematica frana demografica che, attraverso l'emigrazione, elimina il miglior humus umano e rende la vita provinciale sempre più povera e sterile di iniziative e· di possibilità. La stessa riforma agraria rischia di risolversi in un immane fallimento se non accompagnata, e per tempo, da una serie di iniziative industriali che ne integrino e consolidino gli effetti. Vi sono freni inammissibili allo spostamento delle popolazioni (leggi contro l'urbanesimo) che impediscono lo sviluppo di sani processi emigratori dalle affollate zone agrarie del Sud; ma nulla si e fatto per restituire fiducia alla borghesia di provincia. L'esodo sistematico della borghesia (e il termine è inteso nel suo significato liberale, di ceto intelligente e intraprendente, e capace di sollevarsi dall'immediato suo interesse individuale a visioni che si conciliino con l'interesse generale) dalle provincie agricole è uno dei momenti caratteristici della crisi che avvilisce l'Italia ed altri paesi europei ed è uno degli aspetti più preoccupanti delle difficoltà del Mezzogiorno. Immiserita e avvilita dalle guerre e dalle inflazioni, la piccola e media borghesia provinciale perde il gusto del vivere liberale; l'attrazione delle zone industriali ove si accentrano energie e ricchezze, mentre le zone agricole sembrano nel confronto languire e addirittura peggiorare, ne spinge una parte all'emigrazione. Ma l'altra parte, rapidamente proleBibloteca Gino Bianco

tarizzata, perde la possibilità e la volontà di iniziativa, avvilisce le sue qualità migliori e la sua capacità direttiva nella lunga e spesso vana ricerca di un impiego, finchè s'adatta alla pietosa àlternativa del tempo: il curato o il capolega. . Il Mezzogiorno non è sfuggito a questo processo di emigrazione e proletarizzazione del ceto medio. Scomparse dalla scena politica le grandi figure che avevano mantenuto vivo il ricordo di una tradizione liberale, il Mezzogiorno ha manifestato il suo disagio con l'improvviso -dilagare dèlla organizzazione comunista, che solo in parte può ottimisticamente interpretarsi come prima espressione politica di un sottoproletariato che, uscendo dall'analfabetismo e dalla miseria, si eleva - sia pure in rudimentali forme di rivolta - a coscienza civica. In realtà (e lo provano la rapidità stessa con cui il fenomeno si è verificato in questo dopoguerra e le statistiche che denunciano in questi dieci anni un ulteriore arricchimento del Nord e un ulteriore impoverimento del Sud e delle Isole) l'avanzata comunista nel Mezzogiorno è soprattutto dovuta all'esasperazione cupa della piccola e media borghesia scaduta a proletariato e che cerca altre vie, in un nuovo assetto sociale, per riacquistare una dignità e una libertà che, nella disoccupazione senza speranza, han perduto l'antico significato. La via che è stata intrapresa con la riforma agraria, con il programma di investimenti, con la liberalizzazione degli scambi, va proseguita, ma va anche integrata. L'intervento massiccio dello Stato si sta verificando non solo nel momento in cui appare indispensabile ad arrestare un processo di graduale cedimento dell'agricoltura meridionale rispetto a que.lla settentrionale, ( non solo in un momento in cui è evidente la necessità di migliorare le condizioni di vita e la capacità di reddito di quelle popolazioni; ma, fortunatamente, in coincidenza con un periodo di progresso tecnico che offre davvero nuove e insperate possibilità, attraverso i più efficienti mezzi di bonifica, l'introduzione dei silos per foraggi, la meccanizzazione, la facilità dei trasporti e l'elettrificazione. Grandi risultati possono essere ottenuti per l'agricoltura e al tempo stesso - secondo i proponimenti espressi - per preparare l'ambiente alle iniziative industriali. Anche in questa direzione la congiuntura appare particolarmente favorevole, per le insperate opportunità offerte dai reperimenti di idrocarburi e per il risveglio Bibloteca Gino Bianco

dei paesi del Mediterraneo e per la crescente importanza di quest~ mare per il traffico con i mercati d'Oriente. Tutto ciò autorizza a sperare che si potrà passivamente attendere che la spinta autonoma delle forze economiche provochi l'auspicato processo di industrializzazione? Anche con la più grande fiducia nel liberismo, non si può coltivare una tale illusione. Le industrie tendono a insediarsi accanto alle industrie; e, senza aiuti eccezionali che assistano sul nascere i primi centri di irradiazione, c'è rischio che, nella migliore delle ipotesi, nuovi squilibri locali vengano determinati dal concentrarsi di ogni iniziativa in qualche provincia a scapito di tutte le altre. Occorre dunque passare dai programmi di larga massima, con i quali si è sperato di contribuire genericamente a una pre-industrializzazione dell'ambiente, e dalla fase delle provvidenze creditizie per l'industria, a programmi più organici e più specifici. Bisogna (tenendo presenti i pareri di esperti di larghe vedute, e gli interessi delle categorie e delle popolazioni) individuare per tempo i centri più adatti per le varie attività trasformatrici ed ivi avviare capitali e imprenditori con facilitazioni tali da coprire i rischi iniziali. E di questi centri bisognerà tenere il dovuto conto nel disporre i pubblici investimenti, sia di carattere pubblico che privatistico, secondo un piano urbanistico che non può essere ulteriormente dilazionato. Il Ministero dei LL.PP., con Aldisio, incoraggiò lo studio di alcuni piani regionali; tale indirizzo non dovrebbe essere abbandonato; ma per il Mezzogiorno, in rapporto agli ingenti interventi straordinari in corso e ai risultati che si vorrebbe conseguire, il Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno dovrebbe promuovere o disporre al più presto lo studio di un piano territoriale interregionale che costituisca la base del necessario coordinamento delle previste iniziative pubbliche e private. Qui non si tratta soltanto di ricordare l'importanza delle grandi opere stradali per la scelta degli insediamenti umani e per le correnti di traf.. fico e per la felice ubicazione delle industrie; non si tratta soltanto di preservare o valorizzare certe ricchezze naturali o archeologiche che offrono al Mezzogiorno prospettive turistiche ineguagliabili ed economicamente preziose. Si tratta soprattutto di collegare intelligentemente tra loro le varie iniziative in modo da stabilire una vera e propria circolazione san- [11] Bibloteca Gino Bianco

guigna che, irrorando tutte le provincie, risvegli dalla parèsi le zone sottosviluppate e ristabilisca quell'equilibrio città-campagna di cui s'è denunciata la rottura. Un piano di questo genere - inutile dirlo - è opera politica, come politica, nel senso più serio della parola, è l'urbanistica. Deve perciò essere predisposto da uomini che abbiano sviluppato maturo lungimirante senso politico, assistiti da esperti dei vari campi, ma forniti anch'essi di larghezza di visioni e ricchi di capacità coordinatrice. La Cassa del Mezzogiorno, ·Ia Svimez, l'Isveimer, l'Irgis e altri enti che da tempo studiano ed operano, ed hanno accumulato esperienze preziose, sono in grado di unire le loro forze e predisporre in tempo un ben impostato piano organico che non pretenda soluzioni artificiose, ma cerchi piuttosto di individuare e rivelare le più naturali e fruttuose linee di sviluppo, avviando su di esse gli sforzi principali, per evitare errori e di- . . spers1on1. E la chiarezza di prospettive che ne risulterà sarà un elemento psicologico non trascurabile: di fiducia per i capitali italiani e per quelli esteri, che si vogliono richiamare; e di concreta speranza per le popolazioni. Bibloteca Gino Bianco

Liberali e integralisti nelle Università di Brunello Vigezzi La storia degli universitari italiani, con i suoi particolari caratteri, dei quali in questa sede si è già altra volta parlato (1 ), continua a svolgersi con una promettente sicurezza. Ne deriva un susseguirsi di fatti ed episodi che colpiscono spesso per la loro singolarità gli osservatori esterni (come ad es. in que~ti ultimi tempi lo scioglimento dell'or anizzazio11e universitaria co- - munista), e una circo azione elle idee più vivace di quella che si svolge ~e (come testimonia ad es. la polemica fra laici e cattolici). Questa situazione fortunata trova la sua garanzia nella definizione soddisfac~nte delle competenze degli organismi comuni che raccolgono tutti gli studenti (Organismi Rappresentativi e U.N.U.R.I.); la quale definizione è stata raggiunta attraverso anni di sforzi faticosi, per volontà delle Associazioni goliardiche, e comporta un avveduto senso dei limiti, ma anche una valorizzazione massima della particolare condizio11e del giovane che vive nell'università. Sottraendo la rappresentanza generale degli studenti alla tentazione di un immediato e superficiale interessamento alle grandi questioni nazionali, opponendosi d'altra parte all'isterilimento che potrebbe derivare da un arido sindacalismo universitario, e indirizzandola alla soluzione del problema della riforma della scuola, si venivano infatti a condizionare gli atteggiamenti di tutti i gruppi universitari, anche di quelli più propepsi a subire nocive influenze esterne. Il sesto congresso dell'U.N.U.R.I., tenuto a Grado ai primi di maggio con la partecipazione di delegati di quasi tutte le sedi universitarie, assumeva perciò un'importanza del tutto particolare, poichè si avvertiva da molteplici segni che l'iniziativa degli universitari, svoltasi dalla liberazione ( 1 ) Si veda Nord e Sud, n° 2, << L'Unione Goliardica Italiana». eibloteca Gino Bianco

, ad oggi - proprio per i suoi caratteri - in un relativo isolamento e all'interno del mondo accademico, veniva a contatto diretto con la vita nazionale. Il problema della riforma della scuola, così come era trattato e discusso dall'U.N.U.R.I., giungeva ad interessare e impegnare anche le diverse forze politiche e culturali del paese. Molte delle iniziative prese negli ultimi tempi confermavano questo orientamento: dai convegni delle facoltà di chimica a Bologna e di architettura a Roma, che avevano visto la partecipazione numerosa di professori e di esponenti del mondo culturale e dell'industria, al convegno universitario sardo che aveva interessato (e preoccupato) tutto il mondo politico e culturale dell'isola, sì che suqito la Regione aveva cominciato a soddisfare le richieste prospettate dagli studenti; dal secondo convegno di Roma cl1e aveva impostato in modo chiarissimo la questione della partecipazione degli studenti agli organi di governo dell'Università (consigli di Amministrazione, di Facoltà, Senato accademico) al convegno generale sulle facoltà di Firenze che, sulla base di l1na ricostruzione della storia dell'università italiana dall'Unità ad oggi, aveva portato assai innanzi il discorso sulla riforma della scuola, così da trarne concrete e impegnative richieste politiche. Il progetto di riconoscimento giuridico della rappresentanza, da poco presentato al Parlamento, dava infine, per così dire, una sanzione esplicita a questa aperta partecipazione degli universitari alla vita nazionale. E si trattava di una partecipazione vissuta non solo con appassionata serietà, ma anche con criteri politici veramente moderni. L'azione dell'U.N.U.R.I., negli anni passati, si era risolta nella creazione di molteplici organizzazioni, solidamente collegate, che coprivano tutto lo spazio universitario. La questione della riforma della scuola era perciò impostata nei suoi aspetti più diversi e com- _plementari; e vi corrispondeva inoltre una forza reale di pressione politica. La costituzione di una comunità stude!}tesca, variamente articolata, che era il risultato di un compito tenacemente perseguito di formazione eticopolitica, permetteva infatti di impostare il problema del rinnovamento dell'istituto universitario con la intensa partecipazione di tutti gli interessati. Ma il più scoperto tradursi dell'U.N.U.R.I. i11forza politica organizzata, sia pur rigorosamente autonoma e ben radicata nel concreto e limitato terreno della scuola, che il congresso doveva sanzionare, costituiva pur sempre un momento estremamente significativo e delicato nella storia del movimento studentesco. E poneva i diversi gruppi universitari di fronte a impegni e difficoltà, nuovi e più gravi. Bibloteca Gino Bianco

L'indicazione che si poteva trarre dalla comune responsabilità di governo nell'U.N.U.R.I. dei due gruppi di maggioranza, della U.G.I. e dell'Intesa, alla quale avevano pur corrisposto le iniziative cui si è già acce11nato, non appariva sufficiente. Non solo occorreva comunque una convalida congressuale che, sulla base di un'ampia discussione e di una approf ondita verifica dei risultati conseguiti, avrebbe certamente aggiunto elementi nuovi e non prevedibili; ma l'atteggiamento stesso dei due gruppi r1ell'ambito della collaborazione era sostanzialmente diverso. Confluivano . in esso le due storie così differenti dell'U.G.I. e dell'Intesa; e se la prima trovava nel programma dell'U.N.U.R.I., in via di attuazione, l'espressione coerente e progressiva di una lotta intransigente condotta da anni per attribuire alla rappresentanza universitaria quei compiti e quegli ideali, la seconda si manteneva per lo meno incerta, se non proprio discorde. L'Intesa consentiva ormai nell'idea di una riforma della scuola impostata senza restrizione alcuna; ma trovava ragioni di resistenza e di riserva di fronte all'impegno politico, così franco e deciso, proposto dall'U.G.I. Tutt'e due le principali tendenze, che nell'ambito dell'Intesa stessa erano spesso portate a divergere: quella dei giovani democristiani e quella dei fucini, si potevano in questo ritrovare concordi. Propensi i primi a vedere la crisi dell'Università in un distacco dalla realtà nazionale e popolare e in una sua estraneità alla problematica della società italiana; inclini i secondi a identificarla con la crisi della cultura contemporanea, priva del senso della trascendenza: accettavano entrambi a malincuore una iniziativa ri11novatrice, che si muoveva sul piano della chiarezza laica e dell'azione politica, sorretta unicamente da un'interpretazione storica del passato, la più rigo1 osa possibile e non disposta a snaturare in alcun modo la funzione propria dell'Università. I termini del contrasto, ancora velati e impliciti, potevano mostrarsi esplicitamente in sede congressuale. Portava a questo anche la storia più recente della rappresentanza, ricca di contrasti e polemiche non sopite fra goliardi e cattolici: l'Intesa infatti aveva pubblicamente sostenuto le sue tesi per la prima volta nel precedente congresso dell'U.N.U.R.1.,. a Montecatini, nel marzo del '53, e proprio su questa base aveva rivendicato una sua funzione di guida della democrazia universitaria. L'inattuaiità di tale impostazione si era ·andata poi rivelando: ne era seguito un periodo di crisi per gli organismi rappresentativi e per l'U.N.U.R.I., superato• solo riallacciandosi pazientemente alla storia reale della rappresentanza ed elaborando un'iniziativa che, pur tenendo conto di quel che c'era di realizBibloteca Gino Bianco

zabile nelle proposte dell'Intesa, ne differiva però sostanzialmente. Il gruppo cattolico, accettando le responsabilità di governo, aveva in parte sanzionato questo fatto, ma non senza difficoltà e diffidenze. Ora i11 sede con- • gressuale si presentava all'Intesa l'alternativa di riconoscersi pienamente nella rappresentanza, di partecipare veramente alla storia di tutti gli universitari, di portare il suo contributo al proseguime11to di un'iniziativa poli-. tica che era già del resto comune, o di isolarsi di nuovo, ritrovando al dr: juori della comunità studentesca le sue ragioni di vita. In questo secondo caso la polemica dei goliardi nei confronti dell'Intesa, e dell'unità dei cattolici che ad essa corrispondeva, avrebbe assunto inevitabilmente maggior vigore e un tono di maggiore intransigenza, perchè, nel sottrarsi alle comuni responsabilità democratiche, riviveva apertamente una delle passività tradizionali del cattolicesimo politico itafiano. Spettava comunque all'Intesa, attraverso la relazione della Presidenza dell'U.N.U.R.I., la responsabilità di orientare e determinare il congresso; e le si offriva anche così l'occasione per assumere l'iniziativa all'interno della rappresentanza. ~a anzichè cercar di interpretare le diverse posizioni, e di mediarle, o superarle, con una nuova impostazione, l'Intesa sceglieva decisamente la via più semplicistica della pesante affermazione di gruppo. La relazione della presidenza (Intesa) trascurava completamente le ultime iniziative della U.N.U.R.I.; attribuiva la mancata att11azione delle confuse formulazioni di Montecatini non a un'intrinseca impossibilità) ma a un preteso sabotaggio dell'U.G.I.; e cercava perciò di riproporre al congresso tutta la tematica già avanzata in passato e ancor più appesantita e complicata da un vano sforzo di approfondimento. Negando il valore e la possibilità di un'iniziativa politica basata su concrete riforme della scuola, l'Intesa si preoccupava piuttosto di mostrare l'ampiezza della <<crisi>>della 11ostra università. Ma, nel rifiuto di ogni concretezza storica, tale denuncia finiva per mancare di chiarezza e di utilità. Invece di parlare della Unij versità italiana, si usavano le più indeterminate espressioni di « Università borghese >> o <<contemporanea »; e non ci si accorgeva di sostituire in tal ·modo, a realtà ben determinate, fantasmi retorici. Diversi ordini di problemi venivano così malamente confusi: e per « rinnovamento democratico >> dell'Università s'intendeva volta a volta l'accesso a elementi di classi sociali oggi ancora esclusi, o la radicale trasformazione di un presunto « strumento pedagogico sostenuto dal gruppo borghese». Il problema degli stlldenti di provincia veniva stravolto quando si auspicava che quegli stuBibloteca Gino Bianco

denti portassero nei seminari universitari << il frutto delle loro osservazioni di ambiente ..., del loro incontro con le esperienz~ umane più diverse ». L' << adeguamento dell'università alla società », in cui si assommavano le richieste dell'Intesa, avrebbe dovuto poi basarsi sulla ricerca spregiudicata dei << nuovi contenuti della realtà culturale e popolare oggi esclusi dalla vita accademica»; e occorreva immettere nell'Università « la problematica della società italiana >>,pena il suo inaridirsi e venir meno. La cultura universitaria doveva ~innovarsi; se ne auspicava (un po' contraddittoriamente) il suo « sviluppo autonomo>>; al fine di creare << intellettuali organici», << professionisti dirigenti», << profondamente inseriti nella vita del paese>>. E tale rinnovamento doveva avvenire non solo mediante un contatto più profondo con la società, ma anche mediante una miglior fondazione delle singole scienze, alla luce di un'unitaria impostazione ideologica. Quest'ultima richiesta, cui s'accompagnava fortunatamente un'affermazione del valore della libera ricerca e un tentativo, purtroppo non approfondito, di distinguere fra l'Università e i suoi problemi da un lato, e lo svolgersi della cultura nel suo complesso dall'altro, rimaneva però in sott'ordine. Ed era _ questo un segno del prevalere, nell'ambito dell'Intesa, dei gruppi giovanili D.C. rispetto alla F.U.C.I.; e del conseguente accentuarsi della preoccu- • pazione <<sociale». I giovani cattolici inseguivano così il loro sogno di una << Università nuova »; ma, se era possibile avvertire al di là delle loro formulazioni un genuino senso di disagio per l'attuale condizione dell'Università, un bisogno giustificato di intendere il legame corrente tra gli studi e i diversi impegni concreti cui essi si trovavano di fronte, tt1tto era poi travestito e soffocato da uno schematismo dottrinario, privo di ogni vivacità e profondità, di ogni freschezza e di ogni chiarezza. Le conseguenze che derivavano sul piano congressuale da un simile atteggiamento si potevano poi veramente dire disastrose. Non solo l'Intesa si sottraeva alla concreta storia della rappresentanza, ma era portata dalla sua impostazione massimalistica a svalutare ogni problema imminente, per grave che fosse. Infatti la preoccupazione sociale, espressa in termini così generici, si concludeva non a caso con la richiesta di un lavoro « culturale » come compito pre- · cipuo della rappresentanza. Mentre si proclamava che occorreva impostare un'iniziativa veramente rinnovatrice dell'Università e della società italiana, questa proposta dell'Intesa, che era poi priva di ogni riferitnento ,concreto, di ogni esempio illuminante, di ogni senso della realtà, rischiava di traBibloteca Gino Bianco

dursi, senza che i cattolici se ne rendessero conto, nella più pericolosa (e verbosa) inattività. L'impostazione dei goliardi appariva, per contro, profondamente legata ad una ricostruzione delle vicende dell'Università italiana; e si manteneva aderente alle caratteristiche proprie degli organismi rappresentativi e dell'U.N.U.R.I .. La constatazione delle deficienze dell'Università diveniva per i goliardi tutt'uno con la riscoperta di una reale continuità storica: si acquistava un senso vivo dei problemi, nasceva l'incentivo ad operare. Già nell'Italia prefascista si coglieva il porsi delle maggiori questioni: al diffondersi di un insegnamento troppo specialistico, quale s'attuava nelle «facoltà», sempre più numerose e disorganiche, si accompagnava nelle Università un'unità burocratico-amministrativa, esteriore e inefficiente. Ma già si andava delineando, sia pur lentamente, fra i professori, un movimento di riforma, che si preoccupava di rivendicare l'unitaria funzione forma tiva, o etico-politica, propria degli studi universitari, senza che vi contrastasse la contemporanea richiesta di una piena autonomia didattica ai fini di una più libera e articolata organizzazione del lavoro scientifico. Tale movirpento era alla base anche della riforma Gentile, i cui aspetti liberali e moderni venivano però decisamente combattuti dal fascismo. All'accentramento che ne seguì, all'aggravarsi di un'esteriore uniformità burocratica, corrispose il prevalere dell'accademia e della retorica, o il rifugio negli studi specialistici. L'opposizione antifascista ebbe poi, per breve periodo dopo la Liberazione, l'occasione per un'azione risanatrice (e furono Rettori allora Einaudi, Marchesi, Omodeo, De Ruggiero, Russo, Calamandrei), ma per molteplici ragioni mancò uno sforzo deciso, organico e continuo, per dare vita e prestigio al mondo accademico italiano, per imporre veramente al paese l'Università come grande e moderna istitt1zione culturale. Nè dal '45 ad oggi la situazione appare mutata: e resta sensibile nelle nostre Università la mancanza di una salda coesione, di un'approfon- , dita e generale convinzione delle responsabilità che ad esse spettano. Come organizzazione, come corpo unitario, l'Università deperisce. La direzione della vita universitaria è spesso avocata per troppa parte alla burocrazia. Le organizzazioni stesse che dovrebbero raccogliere le forze più interessate alla vita dell'Università (come l'A.M.P.U.R., Associazione Nazionale Professori Universitari, o l'U.N.A.U., Unione Nazionale Assistenti Universitari), si mostrano pigre e restie di fronte a un severo sforzo di riforma. Rischiano di prevalere così pressioni esterne che tendono ad aggravare [18] Bibloteca Gino Bianco

ancor di più l'involuzione in corso. Si vanno diffondendo scuole specialistiche che tolgono ogni residuo carattere largamente formativo agli studi, perchè concepite a sè stanti e non come vive articolazioni di un tutto organico (come i recenti progetti di facoltà di scienze coloniali o di scienze dell'emigrazione; o l'idea di uno sdoppiamento delle facoltà di chimica - secondata da certa grande industria - in corsi di tre e di cinque anni). LO\ studio universitario tende a configurarsi sempre più apprendimento di nozioni particolari in vista di una sistemazione sociale preordinata; e l'illusione di modernità che accompagna questi progetti rende ancor più grave il pericolo. Nella mancanza di una presenza diretta dell'Università nella discussione dei suoi problemi si impongono visioni parziali, angustamente , tecniche o scopertamente retrive. Così, il problema dell'esame di stato appare distorto in svariate prospettive parziali: per il Ministro prevale la preoccupazione semplicistica di un ripristino dell'ordine dopo gli anni della guerra; per gli Ordini professionali la difesa da una troppo aperta concorrenza di situazioni privilegiate; nel mondo accademico si ricorre spesso a mal poste questioni di prestigio; e nessuno abbina il problema a quello di una riforma organica della scuola. E via via si pretende, con soluzioni provvisorie o conservatrici, di risolvere ogni difficoltà: e all' aume11tato numero di studenti, che è indice di progresso e che corrisponde al moltiplicarsi delle funzioni dirigenti proprie di una democrazia moderna, risponde l'espediente reazionario del << numero chiuso>>. Il finanziamento delle t Università, la riorganizzazione degli istituti e dei laboratori, il1 ripristino di I U:norganico efficiente, sia per gli insegnanti di ruolo che per assistenti, il potenziamento dell'assistenza allo studio, l'accesso di nuove classi oggi escluse dagli studi superiori; tutto è ignorato o accantonato o affrontato con rimedi illusori. L'azione degli studenti si deve necessariamente inserire in questo qua- i.2.f,. dro. Alla sua base è la fiducia in un'autonoma capacità di ripresa delle forze che son presenti nel mondo della scuola e che è necessario si organizzino ed operino come moderne forze etico-politiche. La presenza degli studenti, con il loro accentuato spirito d'associazione, è in questo senso significativa; e si esprime già nei loro organismi rappresentativi unitari l'in~ tenzione esplicita di contrastare decisamente i tentativi di disgregazione del mondo universitario. Così la richiesta di partecipazione agli organi di governo delrUniversità è intimamente legata allo stesso sforzo di difesa della scuola, nel desiderio di una collaborazione fra tutte le forze interesBibloteca Gino Bianco ,

sate. Le organizzazioni di facoltà in cui è già normale un comune lavoro fra professori e studenti rappresentano gli strumenti più idonei per impostare con efficacia il problema della riforma della scuola. L'idea di un'orJ ganizzazione nazionale delle Opere Universitarie (cioè del massimo organo assistenziale dell'Università, in cui già collaborano professori e studenti) obbedisce alla volontà di costituire il mondo universitario come un fatto i unitario della società nazionale, impostando anche su basi adeguate il problema dell'assistenza allo studio. Questa risposta dell'U.G.I. alla relazione della Presidenza finiva con l'assumere, nell'atmosfera congressuale, un valore di netta e completa antitesi alle generiche proposte dell'Intesa: ciascuno dei due gruppi di maggioranza era obbligato così a ridiscutere a fondo il proprio atteggiamento, a verificare i presupposti stessi del proprio programma, a mettere alla prova la propria consistenza ideale e pratica, allargando al massimo i termini della polemica. L'Intesa, nel far questo, legava il giudizio che aveva espresso sull'Università a una presa di posizione generale sulla storia e sulla società italiana, servendosi di una serie di formulazioni da tempo in uso nel mondo giovanile cattolico italiano. Ma finiva così con l'irrigidire ulteriormente il suo atteggiamento in una problematica povera e astratta. Alla base di tutto restava pur sempre un netto e sbrigativo rifiuto della << società borghese >> ·che, se non era più combattuta come dalle vecchie generazioni cattoliche, veniva però considerata com-e ormai superata, come storicamente e definitivamente realizzata. Ne derivava un atteggiamento di sufficienza per le « libertà borghesi », giudicate se~plicemente come l'utile eredità di una ~ocietà completamente finita: il liberalismo stesso aveva terminato il suo ciclo; all'interno del regime borghese ogni «riformismo>> si rivelava impossibile; era necessario un atteggiamento rivoluzionario. Ma se si indul- ~·eva perciò al marxismo, ammirandone la denuncia implacabile dei mali ·della società borghese, si negava al tempo stesso che il marxismo potesse offrire le soluzioni adeguate per guarirli; e si dichiarava che tali soluzioni si dovevano trovare invece in una nuova cultura, capace di collegare tutti i dati della realtà sociale. In questo si concludeva il rivoluzionarismo teorico dei giovani cattolici, in cui si insinuava addirittura la nota del vecchio integralismo, non certo celata dal frasario progressista di indubbia origine 'gramsciana, ma a_ppesantito, e reso astratto e fumoso, perchè sottratto al concreto tempo politico. E nulla aggiungeva l'aperta preferenza per un Bibloteca Gino Bianco

tipo di cultura «impegnata>>, che, con assurda semplificazione, veniva confusa con la stessa cultura moderna ( << noi abbiamo fatto i conti con la cultura moderna: abbiamo letto e Gramsci e Dorso e Marx >)>. Inadeguata risultava perciò l'interpretazione della storia italiana; e, in particolare, quando si applicavano ad ess~ tali formule, si finiva con il dare alla Resistenza un valore assoluto e preminente, perchè, immettendo nella vita nazionale le nuove forze popolari, essa avrebbe determinato la fine della società borghese e l'aprirsi di un altro processo storico. E nell'interpretazione di questa nuova realtà sociale si sarebbe dovuta formare la nuova cultura, in vista della quale si nutrivano tante preoccupazioni per le sorti dell'Università italiana. Ma, nel giustificare così le origini delle sue proposte di riforma della - scuola, l'Intesa non si liberava dall'astrattismo, e confermava piuttosto, senza possibilità di dubbio, la sua mancanza di autonomia: le sue soluzioni si rivelavano mutuate passivamente dall'esterno, le sue proposte d'azione denunciavano sempre meglio la loro origine intellettualistica, il loro distacco da ogni esame approfondito della situazione vera e drammatica dell Università italiana di oggi. Le sue prese di posizione acquistavano così l'unico valore di una diretta testimonianza dei pericoli ai quali resta esposto oggi il cattolicesimo politico italiano e dell'ostilità, o al1neno dell' estraneità, che permane, nelle sue nuove generazioni, rispetto alle più schiette tradizioni laiche e liberali. E nel complesso tale impostazione rivelava i suoi vizi di fondo in una visione meccanicistica e povera della storia, ridotta a successione di epoche malamente e sbrigativamente individuate e qualificate, e per di più artificiosamente contrapposte fra loro; nella completa dimenticanza e ignoranza ·di una tradizione laica di pensiero e di. civiltà, che non solo non appariva superata, ma neppure conosciuta e meditata; in una concezione volontaristica della cultura, ridotta, proprio quando se ne esaltava il valore, a strumento di un'antiquata idealizzazione della realtà « nazional-popolare >>. L'Università vedeva compromessa da questa impostazione in modo irrimediabile la sua funzione: essa era posta al servizio di una ideologia falsamente progressiva e s'impoveriva e appiattiva ·nell'auspicato adeguamento alla società. Lo studio cessava di essere conoscenza e libero approfondimento di una tradizione, ed era posto direttamente in contatto, per rinnovarsi, con una realtà sociale che esso poi doveva interpretare non si sa su quali basi e con quale serietà. I giovani cattolici, nell'impazienza di conciliare studio e attività politica, li comprometBibloteca Gino Bianco I I

tevano entrambi, e toglievano al primo il respiro, ìo spazio, anche le difficoltà che gli son proprie; e non riuscivan poi nemmeno a ritrovare e porre le condizioni sufficienti per un libero impegno politico e sociale. Restavano in attesa di una nuova cultura e rifiutavano intanto l'azione. Le proposte dei goliardi venivano così respinte, senza che se ne discutesse il merito, solo perchè continuavano a muoversi sul piano della « Università borghese», a proporre contingenti soluzioni, che, « per la loro incapacità di incidere sulla realtà strutturale dell'Università Italiana, per non derivare la loro giustificazione dalla realtà sociale del paese, si risolvono u11icamente sul piano delle discussioni accademiche o delle soluzioni insignificanti al1' opera alla quale noi vogliamo tendere ». In questo modo, anche nella polemica verso l'U.G.I. si ritrovavano gli stessi pesanti schematismi, che le toglievano ogni mordente e ogni senso della realtà. Tutto veniva infatti interpretato attraverso rigidi criteri e artificiosamente dedotto da mal poste premesse. Si contrapponeva astrattamente una linea <<culturale » a una linea « politicistica », e si accusavano perciò i goliardi di adeguarsi a un riformismo ormai superato; si sosteneva che ogni iniziativa <<politica», non fondata su una nuova ideologia, non solo era vana, ma sfociava inevitabilmente nel comunismo; e perciò già si prevedeva la sudditanza dell'U.G.I. al C.U.D.I.; si riaffermava che compito principale della rappresentanza era la ricerca di nuovi contenuti da introdurre nella vecchia « Università borghese>>, e perciò l'U.G.I., in quanto sosteneva il suo programma di riforma della scuola, veniva indicata come forza non studentesca, e priva ormai di qualsiasi originalità. Il movimento goliardico aveva rinunciato, secondo i giovani cattolici, a esercitare la sua funzione rinnovatrice, per tentare un'operazione politica, in corrispondenza al fallu11ento dei partiti minori nel paese: e se ne citavano le prove nell'Associazione laureati, nell'organizzazione degli studenti medi, nella stessa impostazione data all'attività dell' U.N.U.R.I .. La polemica delle Associazioni goliardiche contro le organizzazioni comuniste e cattoliche, e la loro mancanza di a11tonomia, era ricondotta anch'essa a fini esterni; e la si giudicava controproducente e reazionaria pe~chè distruggeva la comunità universitaria che doveva invece necessariamente basarsi sullo articolato gioco delle correnti cult11rali, in vista di una nuova elaborazione dottrinale. L'11nità dei giovani cattolici si rivelava da questo punto di vista insostituibile, e l'Intesa era perciò al tempo stesso fattore di progresso e custode della democrazia nelle Università. Ogni cosa, anche la più assurda, trovava così la sua giustifiBibloteca Gino Bianco

cazione e dimostrazione nelle teorie dei giovani cattolici; ma essi no11s'accorgevano dell'enorme pericolo che comportava taìe modo di procedere: la logica astratta, posta alla base del giudizio politico, lo tramutava ir1 un forzato processo alle intenzioni, in analisi formalistica, in sistemazione vacua e dottrinaria. Ne può nascere l'isolame11to,non tanto e solo nel corso di un congresso, quanto nel corso della propria storia, nel forzato abbandono di un dialogo comune, nella rin~ncia ad una partecipazione fruttuosa alla vita complessa del mondo giovanile italiano. Di fronte alle pretese di un totale rinnovamento avanzate dai giovani cattolici, di fronte alla loro paura di contaminarsi nel diretto rapporto con la storia e l'azione concreta, l'U.G.I. riaffermava senza sottintesi la sua fiducia ben radicata nelle possibilità e nel valore di un'iniziativa più propriamente « politica » che contribuisse al rinnovamento dell'Università italiana. Naturalmente si operava, così facendo, all'interno di una società ben determinata, com'è proprio di ogni azione politica, e per ciò stesso si modificava, si rinnovava, si migliorava tale società. La novità vera, quella che si doveva e si poteva richiedere, consisteva in una miglior giustificazione dell'azione politica, in un suo diretto collegamento con l'ispirazione morale e con la consapevolezza della storia passata. Ma l'assurdo stava nel presupporre un astratto schema sociologico, quale qt1ello di una « società borghese >> nella quale fosse inutile o addirittura pericoloso muoversi, così come era ugualmente assurda la pretesa di risolvere anticipatamente ogni contraddizione in sede culturale. S'annullava nell'angusto dottrinarismo dei cattolici ogni spazio per l'azione; la si·rinviava inseguendo il desiderio vano di una pacificazione esteriore di ogni contrasto; la si voleva dedurre, passivamente, da una sistemazione ideologica totale. Nell'impostazione dei goliardi prendeva perciò tutto il suo giusto rilievo il richiamo alla storia d'Italia: da lì si traevano le premesse per l'azione. Si riaffermava così, contro ogni integralismo cattolico, comunque travestito, il valore dell'opera risorgimentale e l'evidente progresso compiuto dall'Italia unita; e ci si opponeva ad ogni moralistico astio « antiborghese ». Le deficienze ed i· timiti della società prefascista erano ugualmente additati con dura intransigenza, ma senza velenosa antipatia; e si faceva anche notare la gravità della crisi fascista, sottovalutata, al fondo, dai giovani cattolici. La Resistenza, tanto citata, era reinserita nel corso storico: se ne intendeva meglio j{ preciso ideale antifascista, liberale, che le dava concretezza e nobiltà; se ne contrastava l'ipotetico valore eversivo attribuitole dai giovani -cattolici. Bibloteca Gino Bianco

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