Lettere ai Lavoratori - anno II - n. 4 - lug.-ago. 1953

.. I I ' ere· a1 avora -ori ♦ Signihcato di Pella ♦ La grande riforma • ♦ I cattolici e i « consigli di gestione > ♦ I tre capitalismi ♦ Gerarchie sindacali ♦ La politica estera dei e: sindacati USA » ♦ La crisi francese ♦ I bilanci dei disoccupati ♦ Il regno della Fiat ♦ Contadini e cooperative ♦ Le idee del Conte Marzotto ♦ Esperienze dell'Ente Maremma ♦ Scuola ed addestramento professionale ♦ Le associazioni operaie torinesi ♦ Cronache Bolctti ; Borasio / Detraz " Diamante / Ferrarotti ; Formentini Guglielmo ~ Luda " Luppi / M arzotto / Parlagreco / Ra pelli Zerbi / Zingale 4 ROMA • LUGLIO , AGOSTO 1953 Biblioteca Gino Bianco

fZettereaiLavorato0 dirette da GIUSEPPE RAPELLI • Usciranno ogni bimestre in f a11 scicoli di 112 pagine • A hhonamento annuo L. 1000 - ,, semestr. ,, 5000 gni fascicolo ,, 200 - Estero il doppio • indirizzo postale : LETTERE Al LAVORATORI Casella Postale 328 ROMA • Versamenti per abbonamenti sul e/ e postale n. 1 / 21927 intestato a ''Lettere ai lavoratori,, nelrufl' licio dei conti correnti di Roma Rt!1ponaa6ile: PIERO RANZI Autor. Trib. di Roma n. 252~ del !lS"'!"'!S! } StaL. Tip, UESISA ,, Roma ,, 195/ Biblioteca Gino Bianco

LettearieLavoratori Anno II - N. 4 Luglio-Agosto 1963 SIGNIFICATO DI.PELLA Giuseppe Pella ha posto termine, per incar~co del Presidente della Repubblica, alla crisi governativa sv~luppa· • tasi dopo il 7 giugno, riuscendo ad otten~re la maggioran~a nei due rami del Parlamento. Pella non ha acquistato una personalità politica di rilievo prima del fascismo, per il se1nplice fatto eh' era allora troppo giovane. Ma le sue esperienz,e nella scuola, nelle aziende, nella vita amministrativa, sono ugualmente vcilide. E' un democratico per istinto e per educazione. Non ha la mentalità dei gerarchi in ritardo, che, doppiogiochisti, trasf o~m_isti, clientelisti, intriganti, pullulano, infestandola, nella vita pubblica odierna. La sua è stata, come per altri, la faticosa ca_rriera del figlio del po polo, che avanza per merito, non corrompendosi e non corrompendo. V~nuto da una famiglia di contadini-operai, come tante ve ne sono nel Biellese, è nella famiglia che ha trovato il primo addestram~nto politico, che gli ha inse· ,J. 337 Biblioteca Gino Bianco

gnato a difendere la fatica dei poveri, il frutto del lavoro che si tramuta nel salario e nel risparmio. Sa, per esperienza, le necessità dei lavoratori, siano di campagna eh.e di fabbrica. Il maggior significat.o di Pella è che egli conosce non solo i bilanci dello Stato, 1na delle famiglie. Di quei bilanci che si reggono su una sola voce d'entrata: la busta paga che contiene le poche lire. P,er questo ha difeso la lira, come difenderà la Patria nel suo valore intrinseco di comunità, che tutti comprende, nessuno respinge. Non gli manca chiarezza d'idee: lo Stato regolatore del bene comune, che pr~nde da chi ha per dare a chi non ha, lo Stato amministratore giusto e severo, sollecito promotore del progresso economico e sociale, difensore dei deboli e dei poveri. I lavoratori hanno avuto ed hanno in lui uno che capisce i loro problemi, un antidemagogo che non li ha ingannati, nè li ingannerà. Chiamato a servire il popolo, come capo del Governo, porta in questo alto incarico intelligenza, onestà e tenacia. Com~ tutti coloro che riescono a costruire è stato e sarà combattuto, calunniato, insidiato: non deve spaventarsi perchè avrà con se la parte 1nigliore degli italiani. La prova del suo Governo transitorio sarà, . malgrado le << cricche >> eh~ gli sono contro, dentro e fuori dei partiti e del Parlamento, il modello di quello che potrebbe essere un Governo definitivo. B 338 8 . 8 . .a 1no 1anco

c5e Pella d11ra ... LA GI~ANDE RIFORMA Nella prefazione ad un lihro di Malvestiti, di qualche anno fa, Giuseppe Pella ha scritto: << La grande rìf orina predicata dalla nostra dottrina sociale non può essere la affrettata opera di un frettoloso legislatore. E' opera a vasto respiro e a lenta maturazione che dovrà, in ogni caso, fare salva la 1nolla dcl1' iniziati Ya privata. Non credo che debba riposare preYalenten1ente sulle leggi, che rlebba essere i1nposta dall'alto: essa non sarebbe vitale ». La grande riforn1a a cui nccenna Pella, è quella che in primo luogo riguarda la impresa nella quale il lavoratore deve avere una maggiore partecipazione, un n1aggior interesse, e Pella non ha timore di accennare esplicitamente, allo spirito degli articoli 46 e 47 della Costituzione. E aggiunge: << Il punto di partenza dovrebbe es~ere costituito dalle grandi imprese: principalmente da quelle Biblioteca Gino Bianco in cui lo Stato è ùìretta1nente partecipe ». L'I.R.I per esempio e di cui anche nelle recenti discussioni sulle co1nunicazioni del nuovo Governo si è abbondanten1ente parlato. Quello della collaboraiiune aziendale è perciò un problema vecchio che ogni tanto torna, e chi scrive, lo a veva tra gli altri, richian1ato all'attenzione della precedenle Can1era, nel 1950 a proposito delle vicende della << Daln1ine », e nel 1951 con un ordine del giorno, approvato all'unanirnità dalJa Ca1nera stessa, perchè il (ioYerno provvedesse ad eseguir-e il decreto del ì\ilinistro Togni del novembre 1947, che ordinava una Commissione di studio per arrivare a concrete proposte sulla materia. Certo la f,orte del lavoratore moderno è legata a quella dell'azienda, e per questo 1notivo egli deve essere con- .sapevole e compartecipe. Pio XI dipinge, nella Qua339

dragesimo Anno, la situazione di aziende che non possono più corrispondere un giusto salario ai lavoratori, e be anzi devono licenziare, cd invita operai e padroni ad una << unione d1 forza e di· mente per vincere tutti gli ostacoli» ed invoca << una sapiente provvidenza dei pubblici poteri » perchè se dovesse mancare il lavoro LA LIRA Lire 1952 necessarie per acquistare una lira corrente negli anni indicati nella prima colonna: Anni 1911 1914 1919 1922 1927 1932 1935 1939 1940 1943 1944 1945 1950 1952 << Lire 1952 » 243,80 241,10 89,90 57,80 51,- 63,60 70,30 53,10 45.50 20,30 4,60 2,30 1,10 1,- Occorrono, dunque 243 lire odierne per avere un "potere d'acquisto" di beni familiari correnti (abbiamo scelto ~'indice basato sul costo della vita) pari al 1911. Circa 90 lire correnti, per avere una lira del '19: mentre la lira della « riforma monetaria del fascismo>>, ( la lira del discorso di Pesaro) non valeva se non quanto un biglietto odierno da cinquanta. 340 G' 8 . _ Jl:eca 1no 1anco l ' agli operai di una impresa sia sollecitamente provveduto in altro modo. Tutto ciò è bene ricordare di fronte ai lìccnziarnenti di cui si sta discutendo, di fronte al profilarsi di prossin1e e vaste agitazioni sindacali. Perchè si chiudono aziende, perchè non si trova lavoro? Quante volte durante i lavori della Com111issione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione ci siamo sentiti porre la domanda. Il lavoratore vuol sapere, ha diritto di sapere. La collaborazione non può avvenire che attraverso a una· maggiore conoscenza dei problemi. La collaborazione è il fondamento della dottrina sociale cristiana. Orbene i cattolici, e lo ricordava anche recentemente l'on. Còvelli dei monarchici, hanno una unica dottrina sociale, quella dei Papi. Evidentemente ciò dovrebbe obbligarli, nella vita pubblica, ad operare unitariarnen te per la sua attuazione. Il guaio è che non sempre i cattolici, in materia di insegnamento sociale, anche se pontificio, trovano il modo di accordarsi per l'attuazione. Il che fa gioco ai loro avversari. Cosicchè gli an1bienti di lavoro ulteriormente si avvelenano: gli animi maggior-

mente si inaspriscono. Si è creduto per brama di novità, di demagogia, o voglia1no sperare che non vi siano stati peggiori moti vi, di fare del deviazionismo, non sappiamo se più di destra o più di sinistra, e. non si è ottenuto che del disorientamento, a * solo vantaggio dei nen1ici della Chiesa, siano antipapisti, siano comunisti. Sarà la volta buona che si ritrova la strada giusta e che tutti si mettano al seguito dell'unico Pastore, il Pontefice Romano_? GIUSEPPE RAPELLI CZfn industriale cattolico Caro Onorevole, Le ho promesso una lettera; ma, per non ripetere cose già dette, tutto ben ponderato, ritengo più utile inviarLe l'estratto di un niio articolo sulla « Rivista di Politica Economica » del dicem.bre 1952, su « Il pensiero dei Cattolici su alcune questioni sociali del giorno ». Come vedrà, sono d'accordo, più che d'accordo con Lei, che dobbiamo metterci tutti al se•guito degli insegnamenti del Pontefice romano. Ma occorre essere tutti d'accordo nella esatta interpretazione del pensiero pontificio, indipendentemente dalle nostre · partico!ari simpatie e com- . piacenze. Prendendo lo spunto dal Suo articolo, mi riservo di ritorBiblioteca Gino Bianco DOMENICO BORASlO industriale, vice .presidente « Eridania Zuccheri». nare in argomento. Mi 'Qermetto soltanto di. pregarLa di meditare un incisQ molto eloquente del brano della prefazione di Giuseppe PeUa a1 Libro di Malvestiti, da Lei. riportato. « La grande riforma .... non credo che debba essere imposta dall'alto: essa non sarebbe vitale ». Lasciamo andare se dopo lo stesso PeUci si è quasi pentito di questa recisa proposizione ed ha quindi accennato anche a « lo spirito degli articoli 4647 deHa Costituzione » ed alle imprese in cui lo Stato è direttamente partecipe, quale punto di partenza per la 341

Gra.nde Riforma (in che è evidentemente una contraddizione con il principio sacrosanto che la riforma stessa non deve riposare sulle leggi). La riforma vera, quella che il Pella chiama «vitale», è una riforma di costumi ed a questa si può arrivare soltanto con una intensa opera di educazione delle parti in gioco, così in alto come in basso. Lo Stato, checchè ne pensi Hegel (il quale, purtroppo, ha fatto settala non soltanto ai marxisti, ma a troppi cattolici), è un pessimo educatore. Lo Stato può fare dei Cavalieri; non può fare dei «.collabo1·atori >> nei raworti umani, anche se talora è giusto qhe intervenga (Per Limitare eccessi ed abusi. Lo Stato, in altre parole_, può soltanto fare opera negativa, giarnmai opera costruttiva. Di questo si sono resi conto gli stessi nuovi Fabiani che, in una recente pubblicazione, mentre riconoscono i risultati dello statalismo in tema di pieno im·- piego e di assistenza, ammettono che, per quanto riguarda i rapporti interni aziendali tra Direzione ed operai, la produttività del lavoro e la efficienza aziendale, tutto è ancora da studiare; si è ritenuto pertanto conservare nelle aziende pubbliche il regime di autonomia di direzione Bi ~4~ a Gino Bianco proprio delle aziende private; si dispera, comunque, di poter risolvere il problema del mig liora1nento dei rapporti con intervento dall'alto. · L'approvazione ad unanimità che la Ca1nera può aver dato al di Lei Ordine del Giorno, inteso a risuscitare il decreto Togni, sulla Commissione di Studio, non conferisce garanzie alla bontà delle soluzioni, perchè non elimina il pericolo che i lavori della Commissione siano influenzati prevalentemente da criteri politici, mentre il problema è ben diverso. D'altra parte, non posso nemmeno sottacere che esperimenti di collaborazione in forma molta avanzata, si sono tentati nell'imniediato dopoguerra con risultati, sia nelle aziende private, sia in queUe pubbliche, disastrosi. On. RapeLli: i Parlamenti dispongono .del potere legislativo; ma è pericoloso, sopratutto da parte di noi Cattoli·- ci, d'investirli della soluzione di molti problemi che involgono principi d'ordine superiore, sopratutto in materia nella .quale .; parlamentari sono facile preda d·i tentazioni politiche o demagogiche. Lei mi dirà che abbiamo la Costituzione; m.a la nostra Costituzione, come tutte quelle fatte in momenti di eccitazione nazionale, va presa

per quello che ha di vivo e vitale. Nelle Costituzioni del secolo scorso, i Re ed i ceti privilegiati cercavano, insieme alle concessioni fatte, di assicurarsi buona parte dei privilegi del passato. Le Costituzioni popolari del nostro secolo hanno il vizio opposto: quello di ipotecare l'avvenire con facili promesse, che ricordano ur. pò il testamento di Arlecchino. Lei che è uomo di grande <<humour», e che ha saputo, con i ~uoi interventi felici, risollevare il tono di una legislatura che ha lavorato molto, ma ha concluso poco, vorrà perdonare questa mia vivace sincerità. Ritornerò certamente in argomento. Per intanto La prego di credermi, con i migliori sensi di simpatia e di riguardo, Suo aff.mo Domenico Borasio * La sola autorità Uomini politici ed organizzatori sindacali possono, per ignoranza ed inesperienza della realtà economica o per indulgenza demagogica, non avere mai il senso del limite nelle loro promesse e nelle lo-· ro rivendicazioni. Ma l'Autorità ecclesiastica è un'altra Biblioteca Gino Bianco . . cosa. La Chiesa è la sola Autorità che può ricordare i limiti alle ç1spirazioni umane senza teina di dover perdere il favore delle masse. Le questioni sociali hanno molta importanza; ma le loro soluzioni, per quanti sforzi si facciano nel seguire i dettami delle leggi naturali ed i principi di rispetto al pubblico bene, saranno sempre imperfette. Non è perciò del tutto esatto quanto si è scritto nella Dichiarazione imprenditoriale per la Settimana Sociale di Torino, che la stabilità della civiltà cristiana è condizionata alla soluzione della questione sociale. Le affermazioni nei secoli della civiltà cristiana superano il limitato campo d'azione delle questioni economico-sociali anche se alla soluzione di queste la Chiesa ha sempre cercato di dare tutto il suo efficace e deciso apporto. Ma la portata e le finalità del messaggio evangelico sono .ben altre che quelle di risolvere felicemente in questo mondo le contingenti. situazioni sociali. Se è vero che <~ nessuno ha presentato un programma per la soluzione della questione sociale, che superi la dottrina della Chiesa in sicurezza, consistenza e realismo », come ha detto Pio XII in un radio-messaggio .ai lavoratori della Spagna, lo stesso Pontefice sog-- giunge però che la Chiesa fa 343

tutto quello che è possibile per soccor,rere l'uomo nella sua vita terrena, ma occorre pur ricordare che « il significato di questa vita sta nell'al di là., nella vita eterna >). Non habemus hic manentern civitatem!. Questa semplice e salutare massima di verità cristiana ha sempre dato agli umili più conforto e più serenità di vita di qualunque esaltazione di diritti e di aspirazioni talora inarrivabili o innaturali. Il problema dei rapporti tra il padronato e le mae - stranze quale è posto oggi non in termini di collaborazione, che per quanto già in atto è suscettibile sempre. di miglioramento, ma di partecipazione alla gestione ed alla direzione delle imprese, è il problema cruciale della questione sociale odierna. Se conti-· nuerà ad essere posto in termini erronei, ne deriverà un inasprimento delle relazioni umane ed un peggioramento della talor già scarsa produttività. Per la giusta e stabile soluzione di questo problema occorre chiarezza d'idee nelie premesse e nessuna formul2 0quivoca, nessuna paura nelle conclusioni. Solo così si potrà superare quella crisi di disagio, di tensione, di irrequietezza., d'insoddisfazione che si ha negli attuali rapporti di lavoro. Il pensiero f ~44teca Gino Bianco dei Pontefici, quello genuino e di pura fonte, è una buona guida per le risoluzioni da adottare. Un quotidiano economico, alla vigilia .della Settimana Sociale di Torino, dopo aver spiegato come la ·libertà di decisioni econo~iche da parte dell'imprenditore è la sola e naturale garanzia della costi - tuzione di nuove imprese e della continuità e dello sviluppo di quelle esistenti ( « Non omni homini reveles cor tuum )) è una massima dell'Eccl. 8,22 che ben si attaglia anche all'autonomia ed alla insindacabilità della di-· rezione) cosi ammoniva i settimanalisti di Torino: « Per parte nostra riteniamo che il rapporto di lavoro non può perdere il suo caratterf contrattuale nei confron~i dell'impresa; che la socie ~à fra capitale e lavoro è feconda se libera e non coatta; che la collaborazione è possibile, utile e meritoria se è spon - tanea. Anche la stessa impresa· è storicamente una germinazione spontanea, non effettu di un atto d'autorità. Solo la evoluzione naturale potrà realizzare nuove forme ùt collaborazione e di intese, oltre quelle intese ,già in atto. Chiunque tenta di migliorarP. la situazione in atto e ricercare nuove formule da suggerire alle parti, opera bene,

perchè il fine di ogni impresa è il benessere umano. Ma, finora, quanti vi si sono cimentati con onestà di intendimenti (vedansi gl: studi fatti in America sull~ « Relazioni umane nell'impresa moderna·» e quelli fatti in Francia da varie associazioni facenti capo ai « Jeunes Patrons >>), non sono mai arrivati alla necessità di una modificazione strutturale dell'impresa, quale è venuta affermandosi v-ia via nel corso di oltre un secolo di regime di libertà, d'iniziativa, di proprietà privata · dei beni, di progresso economico e sociale >). La Chiesa che ha dato per secoli tanto attivo ilnpulso per l'abolizione della schiavitù e per- la esaltazione e santificazione del lavoro, è oggi costretta forse, (unica istituzione umana che lo possa fare) a frenare e contenere nei giusti limiti tutto un ordine di aspirazioni e di rivendicazioni non sempre rettamente impostate e che involgono principii di vita, di' ordine, di autorità, di gerarchie _che vanno al di ,là dei semplici rapporti di lavoro aziendale. Il problema del lavoro alle dipendenze altrui è il problema del secolo. Oggi molti a cuor leggero, specialmente quelli che hanno_ scarsa o nessuna esperienza della vita delle imprese economiche, ritengono di risolvere con vantaggio questo problema mercè la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Oltre le categorie economiche, poche persone responsabili hanno il coraggio di affermare che indipendentemente dalla inopportunità dell'iniziativa per il delicato momento politico, una siffatLa riforma sarebbe assolutamente negativa e agli effetti della· produttività e agli effetti Jel miglioramento dei rapporti umani nell'interno dell'impresa e fuori. Il problema non è di riforma della struttura giur-1dica od economica dell'impresa; il problema è soltanto quello del miglioramento Je-· gli uomini che in alto o in basso lavorano nell'impresa. DOMENICO BORASIO da « Rivista di Politica Economica », Dicembre 1952. Tutti parlano di ricostruzione, ma nessuno pensa che, prima di ricostruire le /ortune, è necessario ricostruire le coscienze. (L'Episcopato Piemontese) Biblioteca Gino Bianco 345 I

1946: uno studio dell'JCAS I CONSIGLI DI GESTIONE Non è facile dare una nozione unica dei Consigli di Gestione, in quanto essi sono ancora nella fase teorica degli studi, delle proposte, dei programmi e dei primi esperimenti. Anche le funzioni e la composizione che si vogliono attribuire ai Co. di Ge., hanno diversità di aspetti secondo sopratutto, l'angolo visuale (economico, politico, sociale, giuridico) da cui si riguardano. Da alcuni il Co. di Ge. è considerato e propugnato quale mezzo per il raggiungimento di finalità politiche, come quella della trasformazione dell'economia aziendale dalla struttura individuale-capitalista, in cui vige l'unità ed esclusività di comando del proprietario della impresa, alla struttura socializzata, in cui vige la gestione affidata con preminenza ai lavoratori. Tale finalità potrà essere raggiunta attraverso graduali attribuzioni di compiti ai Co. di Ge.: oggi partecipazione alla Direzione tecnica, domani alla Direzione economica, amministrativa e finanziaria. Oggi organi paritetici di datori di lavoro e lavoratori, afflnchè quest'ultimi possano acqu1s1re l'esperienza dei primi, domani organi di soli lavoratori. Questa è essenzialmente la posiBi R a Gino Bianco zione dei collettivisti marxisti. Altri invece considerano i Co. di Ge. con una finalità di pacificazione industriale, con la conseguente conservazione del regime capitalistico dell'azienda. Onde si attribuiscono ad esse funzioni relative a quella finalità. Altri infine considerano i Co. di Ge. come organi di collaborazione sociale nel regime del- ! 'azienda, con finalità moralesociale, onde 11 lavoro pervenga ad avere nella vita economica aziendale poteri uguali a quelli del capitale, attravers·') sopratutto la compartecipazione alla pro'J)'fietà dell'azienda. Sicchè le funzioni saranno cti collaborazione, potenzialmente in tutti i campi: tecnico - economico - amministrativo - finanziario; la composizione sarà data da rappresentanti dei dirigenti amministrativi dei tee- . nici, degli operai. Da molti infine il Co. di Ge. è chiamato Consiglio di Efficienza in quanto la sua funzione sarebbe fondam-entalmente diretta al perfezionamento tecnico-economico dell'azienda. Da quanto sopra accennato risulta manifesta la difficoltà di dare una interpretazione univoca dei Co. di Ge. Tuttavia a noi pare che essa possa ritro-

vartd in un dato comune alle diverse posizioni: si può ritenere cioè che i Co. di Ge. sono organi collegiali attraverso i quali i lavoratori partecipano alla vita dell'azienda non più come oggetto, bensì come sog.. getti del processo produttivo. Finalitàdei consigldi i gestione A) Sotto l'aspetto economico: accrescimento della efficienza produttiva della impresa, in quanto si presume che i lavoratori, immessi nella vita aziendale, acquisteranno una maggiore coscienza della produzione e delle sue esigenze, e contribuiranno ad essa con la loro esperienza di lavoro e di organizzazioni. Ciò avrà un riflessJ sùl miglioramento dei costi di produzione dell'azienda. B) Sotto l'aspetto sociale: i Co. di Ge. potranno realizzare un principio di solidarietà sociale nell'azienda, in quanto i lavoratori saranno uniti ai capi di impresa nel comune fine dell'attività economica di servire al bene della collettività. Sicchè il lavoratore non sarà più semplice strumento assimilato ad una macchina, ma collaboratore nel processo produttivo. C) Si potrà quin1i giungere in seno all'azienda al controllo sociale della produzione, af!L.'1chè questa sia guidata da moventi oltrechè economici anche sociali e perchè sia comunque impedita la deviazione verso fini di pura e semplice speculazione affaristica individuale. Sotto l'aspetto politico: seeondo i collettivisti i Co. di Ge. · attribuendo ai lavoratori posti Biblioteca Gino Bianco di com&ndo nella vita, della azienda, costituiscono la base della instaurazione della società socialistica. Servono a preparare i quadri direttivi del lavoro, che opereranno come elementi decisivi per sostituire al regime capitalista l'economia marxista (discorso di Pietro Nenni al Congresso Socialista cli Firenze, 11 aprile 1946). Attribuziodneiiconsigldi i gestione Partecipare alla direzione dell'azienda con potere deliberativo e non solo consultivo: Il Co. di Ge. si sostiene da. parte socialista e comunista, deve intervenire attiva1nente nella Direzione dell'Azienda, insieme al capo dell'impresa. « Nel Co. di Ge. siedano assieme ed assieme discutano ed assieme trovino la soluzione migliore i rappresentanti del lavoro e i rappresentanti del capitale » (Pesenti). Solo in questo modo infatti sarà possibile ai lavoratori acquisire l'esperienza dei capi d1impresa e viceversa. Perciò si chiede che le funzioni del Co. òi Ge. siano deliberative e non solo consulti ve e che vi sia per essi parità di diritti nelle deliberazioni e votazioni. Tuttavia, per ora, in caso di disaccordo tra le due parti si attribuisce al capo dell'impresa la decisione, essendo egli ancora il responsabile della produzione. Tali funzioni deliberative si esercitano, secondo il progetto comunista, presentato al C.L.N.A.I. nel novembre 1945 su: - tutti i provvedimenti . che interessano l'orientamento e lo sviluppo della capacità produttiva dell'azienda; 347

- sui problemi dei costi e dei prezzi; - sullé assunzioni e sui licenziamenti del personale; - sull'impiego delle materie, con diritto di controllarne l'inventario. Il Co. di Ge. secondo tale progetto, ha inoltre facoltà di: - conoscere gli utili realizzati dall'azienda; di fare proposte sul loro impiego; - di controllare il bilancio e il conto profitti e perdite; - di decidere sulla destinazione dei fondi devoluti alle opere sociali ed assistenziali indipendentemente dalla loro provenienza. Secondo il progetto presentato dal partito socialista il 20 novembre 1945 · allo stesso C.L.N.A.I., per quanto riguarda la programmazione e la scelta degli orientamenti produttivi, il Co. di Ge. deve essere sentito, dal consiglio di Amministrazione, dal titolare dell'Azienda o dal responsabile della produzione. Mentre invece delibera su tutto quanto ha attinenza alla attuazione del programma di produzione e alla adizione delle soluzioni più efficienti. Il Co. di Ge. ha inoltre il più ampio diritto di controllo sullo andamento della gestione. Contribuiorell'efficienzparoduttivo dell'imprecsoanpotereconsultivo Il Consiglio Nazionale dei Dirigenti di Azienda Industriali in una sua mozione dell'aprile 1945 tenendo presente la figura giuridica del dirigente, quale elemento intermedio fra datore di lavoro e lavoratori, Bi 34& a Gino Bianco auspicando la graduale e progressi va realizzazione nell 'ambito della vita ·dell'azienda,. della partecipazione delle forze tutte del lavoro, chiedeva la costituzione in tutte le aziende, di consigli tecnici di consulenza dei quali vengano chiamati a far parte in misura paritetica operai, impiegati e dirigenti. Questi consigli pertanto non sarebbero quindi organi deliberativi, bensì organi con funzioni di consulenza intesa questa in senso di consulenza, ampia, autononia, responsabile, onde realizzare una collaborazione fra le varie categorie dei lavoratori. Essi poi non sarebbero fine a se stessi, ma preparerebbero le masse lavoratrici ad una più effettiva partecipazione alla direzione, amministrazione ed agli utili delle aziende produttive ( Onorevole Prof. G. Togni). In sostanza, si tratta di realizzare la partecipazione dei lavoratori alla vita dell'azienda, attraverso una graduale attribuzione di competenze, onde siano salvaguardate le esigenze tecniche ed economiche della produzione. La predetta funzione dei Consigli chiamati in tal senso più propriamente di efficienza, è anche denominata funzione di produzione, a cui collaborano quei lavoratori cbe hanno qualcosa da suggerire, e che in sede di consiglio viene esaminata, discussa, approvata, demandandone agli organi esecutivi l'applicazione (Cesati). I Dirigenti d'Impresa Cattolici Lombardi, riuniti in convegno il 20 marzo 1946, convennero nel chiamare i Co. di Ge.

Consigli Consultivi con il compito di cooperare con l'imprenditore: a) per lo svolgimento del processo tecnico della produzione con visione degli interessi sociali; (cosi ad esempio per mantenere ed accrescere l'efficienza produttiva dell'impresa, per l'attuazione di una razionale organizzazione che risparmi lo sforzo fisico del lavoratore, per la realizzazione tecnica dei programmi di prod uzione); b) per migliorare le condizioni generali di lavoro e di vita dei lavoratori; c) per concordare la erogazione di premi di produzione che compensino l'apporto di produttività di speciali capacità ed altri meriti dei lavoratori. Nella risoluzione sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese industriali votata dalla Commissione di studio della Direzione del Partito De1nocratico Cristiano il 10 ottobre 1945, si propone la costituzione in ogni stabilimento o unità produttiva di consigli di gestione o di produzione che più propriamente dovrebbero essere denominati consigli di efficienza. Questi consigli dovrebbero essere consultati obbligatoriamente dalla Direzione per la predisposizione o per la modifica dei piani di lavorazione e di organizzazione, ed avere facoltà di controllo delle decisioni prese in detta materia. Da notare che nella stessa risoluzione, viene auspicata la ammissione dei lavoratori nella comproprietà dell'impresa e nella partecipazione agli utili. La soluzione sopra esposta, in Biblioteca Gino Bianco sostanza appare come soluzione di centro, che pur dando ai consigli un effettivo valore, tuttavia non mortifica, con attribuzioni affidate ad un organo che non ha sul momento una diretta responsabilità economica nella vita aziendale, la unità di comando strettamente connessa con la responsabilità del capo dell'impresa. Composizione dei consigli di gestione Secondo la composizione sostenuta dai Socialisti e Comunisti il Co. di Ge. dovrebbe essere un organo collegiale, paritetico, formato da rappresentanti del capitale e dei lavoratori, e tale che la funzione deliberativa nella direzione della &zienda possa essere esercitata collegialmente dai ·1avoratori e dai capi d'impresa. . I rappresentanti del capita1e verrebbero designati dal Consiglio di Amministrazione o ùal titolare dell'Azienda, mentre i rappresentanti dei lavoratori verrebbero eletti dai lavoratori. Nel caso che il Consiglio · di gestione sia formato di soli lavoratori, a. seconqa del rapporto di forze tra capitale e lavoro in ciascuna azienda, può darsi luogo ad una delle tre seguenti situazioni: « ... a) se il consiglio di lavoratori riesce ad avere una autorità, superiore a quella àegli organi tradizionali di direzione, esso trascende i suoi compiti, sposta i rapporti normali tra capitale e lavoro e conduce ad una forma di direzione aziendale inadatta all'attuale momento economico e politico della nostra industria; 349

b J se il consiglio di lavJratori ha una autorità uguale a quella cfegli organi tradizionali di direzione, si giunge ad una forma di diarchia aziendale e quindi alla violazione del p1 incipio della « unità di comando » che è la base di ogni organi3zazione di impresa; c) se il consiglio di la varatori ha una autorità inferiore agli organi tradizionali di direzione esso costituisce un organismo staccato dalla vita aziendale, che agisce in continuo contraddittorio con gli organi di àirezione, esaurendosi in una critica sterile e non costruttiva del loro operato, cosicché non porta un serio ed efficiente contributo alla soluzione dei problemi aziendali ... ». La corrente Demo-Cristiana sostiene che il Consiglio di Gestione (o di efficienza) come organo collegiale deve essere formato da rappresentanti delle tre categorie: operai-impiegati-dirigenti: i consigli di consulenza non possono che risulta re dalla confluenza àelle tre predette categorie che in fatto e in diritto costituiscono il complesso dei lavoratori delì'azienda. La rappresentanza deve rssere eletta nel seno delle singole categorie di appartenenza. La mozione di dirigenti di impresa cattolici Lombardi, sopra ricordata esprime che il Consiglio consultivo, debùa per la sua stessa efficacia: 1) risultare composto da lavoratori che per esperienza, capacità e rettitudine siano i più adatti pre&cindendo da criteri politici; B . 350 lu11v1.cvGaino Bianco 2) godere il favore delle organizzazioni sindacali; 3) dare affidamento di equità di giudizio nella comprensione delle diverse esigenze dell'azienda. Nella risoluzione della Co1nmissione di studio della D. C. sopra ricordata è detto: « ... d) I consigli di gesti.one siano composti da rappresentanti di ciascuna categoria (tecnici, dirigenti, impiegati, òperai), da eleggersi democraticamente una volta all'anno nell'ambito della categoria stessa; e) operino come orgaai collegiali in riunioni periodic:1e, appuri su richiesta della Direzione dello stabilimento e della Amministrazione dell'Impresa)>. I consigli di gestiondeal puntodi vistadelpensierso cialceattolico La dottrina sociale cattolica riconosce la esistenza di una stretta solidarietà tra lav0ratore, dirigente e Capo d'impresa, per il raggiungimento del fine morale ed economico dell'impresa, la quale deve rendere un servizio alla comunità, rispettando i diritti di tutti i soggetti. I consigli di gestione e di efficienza sono considerati corr.:e una forma concreta di attuazione di tale solidarietà. Attraverso una graduale attribuzione di compiti, consultivi e deliberativi e di responsabilità, essi si inseriscono, secondo il pensiero sociale cattolico, nella prospettiva del superamento del sistema produttivo salariale. La invocata solidarietà. Jeve

tendere ad elevare e valorizzare la dignità della persona umana, anche nel più ùm1le operaio. Pio XI nella « Quadragesimo Anno» esorta a sostituil'e il contratto di lavoro con '-!Uello di società con queste parole: « Tuttavia nelle odierne condizioni sociali, stimiamo sia cosa più prudente che quando è possibile, il contratto di lavoro venga temporato alquanto con il contratto di società, come già si è incominciato a fare in diverse maniere, con non poco vantaggio degli operai stessi e dei padroni. Così gli operai diventano cointeressati o nella proprietà o nella a1nministrazione e co1npartecipi in certa misura dei lucri ·percepiti » (« Quadragesimo Anno » · Pio XI). Pio XII, nel suo Radiomessaggio « Per la Civiltà aattolica », del 1 o setten1bre ltt44. « La piccola e la media proprietà nell'agricoltura nelle arti e nei mestieri, nel co1nn1ercio e nell'industria debbono essere garantite e promosse; le unioni cooperative debbono assicurare loro i vantaggi della grande azienda; dove la grande azienda ancor oggi si manifesta maggiormente produttiva, deve ·essere offerta la possibilità di temperare il contratto di lavoro con un contratto di società». Il S. Padre neì Suo discorso alle A.C.L.I. dell'll marzo 1945, parlando del superamento tlelle lotte di classe e della democratizzazione nell'econon1ia, ha questo ammonimento: « Al di sopra, cioè, della distinzione f1·a lavoratori e pre- . Biblioteca Gino Bianco , sta.tori di lavoro sappiano gli uom1n1 vedere e riconoscere quella più alta unità la quale lega fra loro tutti quelli che collaborano alla produzione, vale a dire il loro collegamento e la loro solidarietà nel dovere che hanno di provvedere insieme stabilmente al bene co1nune e ai bisogni di tutta la comunità» (Il Sindacalis1no Cristiano - Pio XII - marzo 1945). « I progressi scientifico-tecnici, una maggiore istruzione professionale ai lavoratori e sopra tutto una maggiore elevazione morale, possono rendere attuabile un regime in cui lavoro e capitale, se non totalmente almeno su larga 8cala, si incontrano e si fondono nc-•1lo stesso soggetto; un i egime cioè nel quale i lavoratori siano simultaneamente i proprietari dell'azienda in cui esplicano le proprie attività. ~Da « Le leggi economiche de!l~ convivenza umana nel settore economico >> di Mons. Pietro Pavan). Il Rev. P. Sertillariges O. P. dell'Accademia delle Scienze politiche-morali di :?arigi, in una sua comunicazione così si esprime: « Un tale ha del denaro. un altro delle idee, un terzo jelle capacità org~,nizzative o la forza fisica. Questi uomini diversi si mettono assieme per trasf armare la materia grezza e organizzare un qualche lavoro produttivo. L'equità esige che da quel momento, durante tutti gli stadi della produzione, ciascuno abbia il diritto di sapere come funzionano le cose e il 351

diritto alla sua parte di utili. Perciò la partecipazione ai benefici e alla gestione è alla base, uri diritto naturale, di cui bisogna tener conto se si intende mantenere i rapporti morali nella vita economica. -Invece il capitalismo liberale tiene per sè i suoi libri contabili e i suoi profitti; tratta come cose gli operai (che v-engono pagati e poi se ne vanno), mentre sono parte dell'in1presa allo stesso titolo del capitalista e del personale tecnico. La nozione classica del salariato è del tutto diversa dalla mia, ma è questa concezione che è errata, ed è per questo èhe io paragono il salariato (con molte riserve) alla servitù e alla schiavitù. La similitudine fra questi diversi regimi consiste nel fatto che si compra più o meno un uomo e suo malgrado per sempre quando si tratti di schiavitù, per una attività meglio definita nella servitù. Per quello che riguarda l'operaio, il suo consenso è più o meno libero (penso alle esigenze della povertà e dell'ambiente economico) ; ma l'operaio è ~empre tenuto fuori della dignità e della responsabilità dell'impresa. E' un essere comprato e non associato. Ai miei occhi di moralista il contratto di lavoro è alla base un contratto di associazione. Quando si tratta di creare la ricchezza, il rifiutare di considerare l'operaio come un associato genera una cattiva combinazione, in favore di chi ha il denaro. Non dico che il salariato anche generalizzato e allo stato puro sia ingiusto. Non è B ~~ _ca Gino Bianco ingiusto se non quando c'è una sproporzione tra il servizio prestato e la paga. Ma anch~ nella migliore delle ipotesi, il salariato è « non naturale » e deve essere superato, come lui stesso ha superato felicemente la servitù e la schiavitù ». Il P. De Marco su « Civiltà Cattolica » così dice: « Inoltre il lavoratore divenuto dirigente associato deve avere già deposta la antica mentalità del puro salariato che gli fa guardare esclusivamente gli interessi di categoria e gli utili a realizzazione immediata, trascurando gli interessi dell'azienda e gli utili a scadenza lontana, a cui sono legati la consistenza e lo sviluppo dell'industria. Gli interessi cioè che dovranno sempre predominare su quelli di categoria, perché la azienda rappresenta la fonte non solo del profitto capitalistico e delle retribuzioni salariali, ma ancora e più la fonte del benessere della collettività consumatrice dei beni prodotti e insieme il campo di impiego delle future generazioni del lavoro». Riguardo alla partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale cosi si esprime l'art. 66 del Codice di Camaldoli (Per la Comunità Cristiana - I.C.A.S.). « Le altre forme qi organizzazione aziendale nella quale i lavoratori anzichè attribuirsi la totalità dei redditi e delle responsabilità di gestione vi partecipano secondo combinazioni varie insieme ai capitalisti, sono da favorire in confronto della forma dominante che attribuisce redditi e responsabilità, nella

loro interezza, ai soli capitalisti. .. Tra le forme atte a far partecipare il lavoratore alla gestione aziendale si ricordano : 1) l'istituzione di organi quali i consigli di azienda e di sistemi atti a promuovere il senso di iniziativa dei singoli lavoratori e ad utilizzare i contributi che per tale iniziativa possono venire al migliore andamento della produzione; 2) la partecipazione alla nomina degli organi di controllo dell'an1ministrazione, nomina che è ora generalmente riservata alle stesse forze che già designano gli amministratori; 3) l'istituzione più estesa possibile ed il perfezionamento continuo di forme di salari a rendin1ento, sia individuali che collettivi, tali che i lavoratori vedano una chiara ed equa corrispondenza tra la retribuzione e il lavoro da ognuno di essi svolto, non siano posti in posizione di antagonis1no rispetto ai compagni di lavoro e non vedano devoluto solo all'azienda, attraverso variazioni delle tarifle di consumo, il frutto della loro maggiore laboriosità; 4) la partecipazione alla formazione delle norme disciplinari e dei regolamenti interni ed agli organi incaricati di applicare le norme stesse; 5) la gestione degli Istituti aziendali che hanno per fine la elevazione e l'assistenza dei lavoratori, quali le istituzioni mutualistiche di cura, le mense, gli spacci, gli istituti di educazione e i luoghi di svago e di riposo e le opere sociali in genere. Tutte le forme di partecipazione e di collaborazione tra i 2 oteca Gino Bianco diversi protagonisti del fatto produttivo, dovranno tendere a costituire nell'azienda una operante comunità di lavoro nella quale siano rispettate le singole personalità, attribuendo a ciascuno una sua sfera di autonomia e perciò di responsabilità e siano al tempo stesso soddisfatte le esigenze della organizzazione, della gerarchia e della disciplina. I risultatidell'indagindeella sottocommissiopner i problemdiel lavoro del Ministero per la Costituente Il problema dei Consigli di Gestione è stato oggetto di attento studio da parte del Ministero della Costituente i cui lavori si sono ~volti seguendosi il metodo già accennato nel quaderno sulla socializzazione. Dalla speciale Sottocommissione per i problemi del lavoro sono state raccolte e pubblicate le risposte ai questionari diramati ed è stata presentata una relazione conclusiva dalla quale riportia1no nel testo integrale alcuni brani: « La Sottoco1nmissione ritiene che per esigenze di carattere morale, sociale ed economico della vita del nuovo Stato democratico italiano sia opportuno che i lavoratori partecipino alla responsabilità direttiva del processo produttivo, e delle altre attività economiche (commercio, banche, assicurazioni, trasporti, ecc.). I consigli di gestione, ispirandosi al principio della accresciuta maturità della classe lavoratrice, rispondono alla necessità di farla partecipare in 353

modo diretto e responsabile al processo di condirezione della produzione in tutte le aziende di una certa importanza ... Gli stessi datori di lavoro ritengono, in generale, che i Co. di Ge. possano svolgere un attivo lavoro per favorire la ripresa, l'aumento e il miglioramento della produzione. Essi in generale pensano però che dovrebbero avere mansioni puramente consultive, la facoltà di decisione dovendo secondo loro ~ restare ai direttori dell'azienda. I rappresentanti dei/ lavoratori invece, salvo eccezioni, reputano che nei Co. di Ge. tanto i rappresentanti del capitale, quanto quelli del lavoro debbono· avere poteri deliberativi, sia pure col convenuto voto prevalente del presidente, scelto fra 1 rappre ... sentanti del capitale. I rappresentanti del capitale, concepiscono la partecipazione dei lavoratori alla direzione dell'impresa solo sotto forma di consulenza nel senso cioè che i rappresentanti dei lavoratori dovrebbero suggerire tutti i n1iglioramenti ed i perfezionamenti tecnici e organizzativi da apportare all'impresa per il maggiore incremento della produzione; senza per altro essere autorizzati a prendere conoscenza di quelle che sono le possibilità economiche dell'impresa stessa. I rappresentanti dei lavoratori generalmente ritengono invece 'che essi debbano partecipare alla direzione dell'impresa. I Co. di Ge. non debbono svolgere attività sindacale ma devono invece portare l'efficace contributo dei lavoratori (tecnici, impiegati, operai) al miBi lg~ .a Gino Bianco glioramento della_produzione e conseguentemente al miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori stessi. Il raggiungimento di tali fini non è evidentemente possibile ove l'attività della rappresentanza dei lavoratori a mezzo di Co. di Ge. si limiti alla sola consulenza. Pertanto i lavoratori chiedono che all'organo che dovrà curare collegialmente la direzione dell'impresa, sia riconosciuta la facoltà di deliberare sui provvedimenti da prendersi in relazione alle attività tecniche ed economiche dell'impresa stessa ... Dalle inchieste fatte appare che il sistema migliore per attuare la partecipazione dei lavoratori alla direzione delle imprese sia quello che pone sotto la presidenza dell'imprenditore un organo composto di rappresentanti del capitale e di rappresentanti dei tecnici, degli impiegati e degli operai della azienda, eletti questi in numero paritetico a quello dei primi. E' questa nel complesso la prassi che ha guidato la costituzione dei consigli di gestione in numerosi stabilimenti industriali dell'Italia settentrionale e che ha dato, nell'insieme, risultati · che possono ritenersi soddisfacenti, considerata la crisi economica incombente e l'assenza di norme giuridiche e comunque uniformi che precisassero e disciplinassero le loro attribuzioni. Risultati non soddisfacenti o addirittura· pessimi ~i sono avuti invece dove, sempre in assenza appunto di norme precise, i consigli di gestione sono stati costituiti di soli operai (con esclusione quindi deili

impiegati e dei tecnici) oppure quando l'imprenditore, pur desiderando di essere consigliato dai lavoratori stessi sulle possibilità effettive di lavoro e sui miglioramenti tecnici da apportare all'impresa, non ha ritenuto di concedere al consiglio di gestione le necessarie informazioni economiche sui contratti in corso, sugli impegni finanziari presi o da prendere. S. ZINGALE e PARLAGRECO ]IJ)OCUMJENTJl La Commissione nominata dalla Direzione Centrale della Democrazia Cristiana per lo studio dei problemi della partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese industriali, esaminati i pareri emessi dalle Commissioni di studio regionali e provinciali e . le opinioni espresse dai competenti consultori àemocratici cristiani e dai rappresentanti della corrente cristiana in seno alla C.G.I.L. a conclusione dei lavori ed in con-· f.ormità con la risoluzione presa dal Consiglio Nazionale il 2 marzo 1945; ·sostiene: che, per aumentare l'efficienza produttiva, accrescere il rispetto della giustizia sociale e facilitare la rapida ricostruzione del Paese, è necessario conseguire un'effettiva collaborazione tra i vari fattori della produzione anche mediante la compartecipazione dei lavoratori all'amministrazione, alla conduzione, alla proprietà e quindi ai redditi delle imprese, senza pregiudizio dell'unità di direzione; propone: 1) che con accordi tra le parti si promuova: a) l'ammissione dei singoli Biblioteca Gino Bianco membri e anche dell'intera comunità aziendale dei lavoratori nella comproprietà dell'impresa: b) l'assegnazione pro-rata di congrua parte del reddito annuale dell'impresa alla comunità aziendale e a quella nazionale dei lavoratori; 2) che con immediati provvedimenti legislativi si prescriva: a) l'immissione nei vonsigli di Amministrazione delle imprese a forma sociale di adeguato numero di rappresentanti delle diverse categorie dei lavoratori democraticamente eletti per ciascuna categoria (dirigenti, impiegati, operai) ; b) la costituzione in 0gni stabilimento o unità produttiva di. Consigli di Gestione o di produzione che più propriamente dovrebbero essere denomin1iti di efficienza; afferma che questi ultimi Consigli: a) debbano essere con~ultati obbligatoriamente dalla Direzione per la predisposizione o per la modifica dei piani di lavarazione e di organizzazione, ed abbiano facoltà di controllo delle decisioni prese in detta materia; b) nelle imprese a forma individuale, siano organi per la collaborazione con l'imprenditore sia sul piano produttivo che in quello amministrativo; e) siano composti dà rappresentanti di ciascuna catego.J ria (dirigenti, impiegati, operai), da eleggersi democraticamente una volta all'anno nell'ambito della categoria stessa; d), operino come organi collegiali in riunioni periodiche, ' oppure su richiesta della Direzione dello stabilimento e della Amministrazione dell'impresa. 355

LACONFINDUSTRIA E LE COMMISSIONI INTERNE L'appunto informativo nume!'o 827 che distribuisce la Confindustria rileya a proposito di Commissioni Interne che: L'esercizio delle funzioni da parte di componenti deUe Commissioni Interne è stato concordato in termini molto chiari e precisi con L'accordo dell'8 maggio 1953. Non vi è necessità di interpretazione nè di stabilire questioni di principio; - le aff ermazion-i, che il riconoscimento delle Comrnissioni Interne - che risale ad epoca anteriore all'accordo deL 1!106 a Torino, 'in quanto già fin dal secolo scorso nei La-rdJici Rossi si era stabilito un organo di collegamento fra la direzione aziendale e le mae- ~t-ranze per i problemi che riguardavano il personale - costituisce un primo passo verso forme di cogestione o verso mezzadrie neU'azione direzionale, sono arbitrarie e lontane dal significato dell'accordo stesso sulle Commissioni Interne; - non è esatto che il padronato abbia « mal digerito » le Cornmissioni Interne in quanto queste costituiscono una lesione del diritto di pro356 Biu11utecaGino Bianco prietà ed un fastidioso controllo interno neUe aziende. Sono state in passato Le stesse direzioni aziendali che hanno sollecitato la costituzione di questi organismi non per condividere con essi responsabilità o direzioni, ma per assicurare un costante collegamento tra la direzione ed il personale per tutti i probLemi e le questioni che il personale interessano. Mai le aziende hanno considerato le Commissioni Interne come una lesione del diritto di proprietà, perchè tale lesione non esiste; - la forza delle Commissioni Interne sta appunto in que·- sto incontro di volontà fra La direzione aziendale e le maestranze, tramite le Organizzazioni che le rappresentano, per stabilire un cordiale c0Uega1nento fra la direzione ed il. personale inteso ad assicurare il miglior andamento deila azienda. Un riconosci1nento giuridico di questi organisnii non solo ne traviserebbe le caratteristiche, ma indubbiamente peserebbe sutl.o stesso loro funzionamento, portandoli ad essere non più espressione di un accordo liberamente concluso, ma imposizione da parte dello Stato.

Uno studio di Zerbi I tre capitalismi 1) I pericoli del capitalismo di stato in Italia. Nell'autunno 1944 venni pregato da un gruppo di amici politici di coordinare in brevi serie di conferenze talune mie idee sul modo di congegnare tecnicamente l'ammissione dei lavoratori a condividere la responsabilità della gestione ed i suoi risultati economici nelle grandi imprese capitalistiche. Iniziai allora due brevi corsi, l'uno serale, l'altro domenicale, sotto la protezione di due campanili: in quel tempo ci si rifugia va spesso anche nelle sacristie per trattare di certi temi o per lo meno cli certe soluzioni non conformiste. Da allora il tema è stato fra i miei preferiti. L'azionariato popolare o rotativo vuole offrire ai lavoratori d'ogni grado che se ne dimostrino degni per alti rendimenti tecnici sul lavoro, per fedeltà a.ll'ilnpresa, per dimostrata capacità di risparmio o per il credito di cui godano nella vita privata, il titolo giuridico per una larga ed organica partecipazione nella gestione dell'impresa alla quale prestano l'opera loro. Biblioteca Gino Bianco L'azionariato popolare 1nira inoltre a disincagliare il nostro paese dalla onerosa ambiguità in cui pencola ormai da un quindicennio fra capitalismo di stato e capitalismo individualistico, per avviarlo verso un regime di capitalismo che direi popolare, aperto non solo ai lavoratori delle grandi in1prese. ma a tutti i piccoli rispar1niatori, siano essi contadini o pubblici impiegati,. liberi professionisti od artigiani. E' infatti noto a chiunque segua le vicende del nostro s1ste1na economico che !~Italia è il paese dell'Europa occidentale dove la nazionalizzazione ci.elle imprese ha avuto n maggiore sviluppo negli ultimi quindici anni. L'I.R.I. controlla oggi circa 1'80% dell'industria annatoriale italiana, circa il 90% dei cantieri marittimi, il 100% dell'ex siderurgia .be\lica e delle ex fabbriche di artiglieria, il 40 % della siderurgia commerciale e più o meno larghe quote di qua- . si tutti gli altri rami d'industria. Inoltre lo Stato, attraverso lo I.R.I. e le banche di diritto pubblico, controlla circa 1'80% del totale dei deposi ti bancari. 357

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