Prefazione a "L'Unità di Gaetano Salvemini"
a cura di Beniamino Finocchiaro, Venezia, Neri Pozza, 1958
L'esordio giornalistico del Salvemini avvenne nella «Critica Sociale» (1897); ad un periodo successivo appartiene una serie di articoli sulla Rivista di Milano «Educazione Politica (1899)1.
La collaborazione alla C. S. fervida e continuativa sino al 1900, divenne meno frequente dopo quella data, cessò nel 1910. Dopo aver abbandonato la C. S., nel 1911 il Salvemini usciva anche dal Partito Socialista, nel quale aveva militato fin dal '96.
Il distacco dal gruppo della C. S. —mai mutato in ostilità2—, la rottura col Partito Socialista ed, in misura minore, la persuasione della difficoltà di condurre una efficace azione di orientamento politico sulle colonne de La Voce3, indussero il Salvemini ad assumere la posizione separata de L'Unità (1911), il settimanale che doveva rappresentare nella storia del giornalismo politico italiano il più coraggioso tentativo di reazione contro la pigrizia mentale, la quasi ripugnanza degli intellettuali e dei politicanti italiani ad occuparsi sul serio dei problemi concreti che si accumulavano nella vita del Paese.
I temi discussi sulla C. S.4 —e contemporaneamente, e successivamente, sulla Educazione Politica, su La Voce e sui «Nuovi doveri» di Giuseppe Lombardo-Radice4bis— già definiscono chiaramente, ove si prescinda dalla minore attenzione mostrata per gli avvenimenti internazionali, sia il complesso degli interessi del Salvemini, sia il suo metodo di ricerca e di approfondimento delle particolari questioni, determinate nel loro formarsi storico e nelle condizioni presenti, legate a prospettive concrete di soluzione.
Fu infatti questa mentalità problematicista, che mal s'accordava con quella schematica, empirista e quietista del riformismo ufficiale, a suscitare nel periodo di collaborazione alla C. S., non già nei confronti del Turati quanto nella sua orbita, una reazione istintiva nei confronti del Salvemini, considerato un guastafeste ed un reattivo.
Alla sua voce, negli anni che vanno dal 1897 al 1909, non fu tolto mai mezzo e modo di esprimersi; il che era nel costume della Rivista, molto aperta a nuove forze di critica e di pensiero e nel temperamento del Turati, uomo leale e generoso, rispettosissimo del pensiero altrui.
Un capitolo particolare meriterebbero, nella storia del socialismo italiano, i rapporti personali del Turati col Salvemini. Quest'ultimo deve essere stato il solo meridionale per il quale il Turati ebbe vera affezione, forse perché sentiva che il Salvemini non era mosso nei suoi atteggiamenti da sentimenti o risentimenti personali, ma dallo studio dei problemi valutati con profonda serietà e disinteresse.
Questo non vuol dire che il Turati potesse condividere le idee del Salvemini. «Era un milanese fino alle midolla delle ossa —scriverà più tardi il Salvemini— mentre io ero molfettese fino alle midolla delle ossa». Pure è degno di nota che il Salvemini e il Turati, sentendo come sentivano, siano rimasti in termini amichevoli e di collaborazione per quindici anni.
Un giudizio sintetico positivo può essere formulato per un consenso di fondo del Turati5 sulla impostazione storico-sociologica da parte del Salvemini del problema meridionale —che rappresentò il motivo permanente del dissidio col gruppo della «Critica Sociale» e col Partito Socialista6— con talune specifiche riserve: scetticismo per le soluzioni federaliste che non rispondevano alla visione del Turati; una grande sfiducia per il metodo del suffragio universale7; e primo, nel tempo, il timore che nel Partito sorgesse a maggiormente dividere un problema meridionale, confinato in una sfera fra accademica, retorica e demagogica, tale da far perdere molto tempo nei congressi e da provocare le solite lamentele delle delegazioni meridionali, ma non tale da poter essere poi risolto dal Partito.
La posizione del Salvemini, ad ogni buon conto, non si estraniò in quegli anni dal limite dei contrasti di mentalità, che sempre vi furono nel socialismo italiano e da quel malumore, che anche allora esisteva in molti, per non assumere il Partito Socialista la posizione di rivendicatore delle soluzioni di fondo di taluni problemi fondamentali del Paese. E, infatti, le polemiche impostate dal Salvemini nella C. S. vi ebbero larga eco, anche se non trovarono consensi negli altri collaboratori della Rivista. Essa posizione divenne di rottura negli anni successivi al distacco dalla C. S., avvenuto nel 1909, dopo una vivace polemica col Bonomi -ed in dissenso con lo stesso Turati— sulla riforma elettorale8.
A dopo il 1910 risale infatti la nota posizione del Salvemini espressa nel libro «Tendenze vecchie e necessità nuove del movimento operaio italiano»9, polemica contro la connivenza socialista-giolittiana, maturatasi specificatamente sul terreno sindacale-cooperativo.
I suoi punti di polemica preminenti furono fino a quegli anni il meridionalismo e le sue accuse al Partito per non intenderlo ed impostarlo bene.
La sua resistenza contro «le tendenze localiste, egoiste, corporativiste dei gruppi di avanguardia», si caratterizzò particolarmente nel 1910-'1110, allorché la posizione esitante ed agnostica del Partito Socialista sulla questione meridionale e nei confronti dei contadini del Sud, fu aggravata dal consenso dato da alcuni gruppi autorevoli del Partito alla politica di protezione praticata dalla Stato verso i siderurgici, gli zuccherieri, i cotonieri, i granicoltori ed il complesso delle forze parassitarie del Paese.
Nel 1911, il silenzio e l'indifferenza del Partito Socialista innanzi alla conquista della Libia, determinò la rottura del Salvemini col Partito.
«...Andai avanti così11 —scrive il Salvemini— fino all'autunno del 1911. Allora perdetti la pazienza e uscii dal Partito Socialista. Io avevo fatto per tutta l'estate su La Voce una campagna contro l'idea di conquistare la Libia. Il giornale del Partito Socialista non si occupò mai della questione. Lasciò che i nazionalisti allagassero l'Italia con le loro bugie sulla ricchezza del Paese, degli arabi che ci aspettavano a braccia aperte ecc. I socialisti zitti lasciavano passare la fiumana. Nel settembre del 1911 Giolitti dichiarò guerra alla Turchia. Solo allora i socialisti si svegliarono e bandirono comizi di protesta. Io rifiutai di partecipare a quei comizi. Dissi che ormai la guerra era dichiarata e bisognava farla da uomini e non da buffoni; ma era una guerra improduttiva; bisognava ridursi ad occupare la costa; e continuai a dimostrare che il paese non valeva un soldo. Ebbene, di tutta la fatica che mi davo per offrire ai socialisti munizioni per una campagna di buon senso, non uno di essi si occupò. Tutto il mio lavoro cadde nel vuoto. Allora del Partito Socialista non volli più saperne. Del resto me ne sarei diviso nel 1915 per la guerra».
Il tono sempre più dispersivo e letterario12 de La Voce —che pure aveva sostenuto la campagna antilibica del Salvemini, in opposizione al Giolitti— staccò il Salvemini anche dalla Rivista del Prezzolini.
Nacque L'Unità, la cui testata ed il cui sottotitolo —Problemi della vita italiana— furono concordati col Fortunato nell'ottobre 1911 nella tenuta di quest'ultimo a Gaudiano, presenti Gino Luzzatto e Giuseppe Petraglione.
Lo stesso Salvemini non fu della Rivista soltanto l'animatore, ma anche l'organizzatore e l'amministratore tenace, costretto ad affrontare difficoltà e crisi iniziali, non programmate13.
L'Unita iniziò le sue pubblicazioni a Firenze il 16 dicembre 1911, le cessò definitivamente il 30 dicembre 1920.
L'intera collezione de L'Unità può essere divisa in 6 serie, ognuna delle quali inizia una nuova numerazione delle pagine.
Prima serie14 (16 dicembre 1911 - 28 maggio 1915): edita in Firenze. Direttore, Gaetano Salvemini. Ne fu sospesa la pubblicazione il 4 settembre 1914; la si riprese il 4 dicembre 1914, fu nuovamente sospesa il 28 maggio 1915 (pp. 1-694).
Seconda serie15 (8 dicembre 1916 - 29 dicembre 1916): edita in Roma. Direttori, Antonio De Viti De Marco e Gaetano Salvemini (pp. 1-32)15bis.
Terza serie (5 gennaio 1917 - 27 dicembre 1917): edita in Roma. Direttori, Antonio De Viti De Marco e Gaetano Salvemini (pp. 1-336).
Quarta serie (5 gennaio 1918 - 12 dicembre 1918): edita in Roma. Direttori, Antonio De Viti De Marco e Gaetano Salvemini (pp. 1-248).
Quinta serie16 (2 gennaio 1919 - 25 dicembre 1919): edita in Firenze. Direttore, Gaetano Salvemini (pp. 1-252).
Sesta serie17 (1 gennaio 1920 - 30 dicembre 1920): edita in Firenze. Direttore, Gaetano Salvemini (pp. 1-218).
Il congedo del Salvemini, eletto deputato nel '19, dai suoi lettori fu contenuto in un annuncio di poche righe. La razionalità apparentemente staccata di quell'annuncio non riusciva a nascondere la commozione dell'Autore: «...Abbandonare l'insegnamento non voglio, dimettermi da deputato non posso. Per condurre il mio lavoro in limiti compatibili, debbo sospendere la pubblicazione del Giornale... Sarà piuttosto necessario travasare le nostre idee nei giornali quotidiani. È quello che già hanno cominciato a fare alcuni dei migliori collaboratori dell'Unità... È quello che farò anch'io, se se ne presenterà la necessità...». Salvemini chiudeva riproponendosi di «chiamare a raccolta gli amici pel nuovo lavoro», se fosse sopraggiunta la esigenza di una ripresa, «...specialmente se le vicende politiche mi avranno frattanto consentito di non continuare più nelle responsabilità e nelle fatiche del mandato parlamentare».
Una promessa che nel tumulto degli anni successivi non fu mantenuta per difetto di mezzi. Gli scarsi beni del Salvemini erano già stati polverizzati dal deficit cronico de L'Unità. La Rivista anche nei periodi migliori non superò i 1200 abbonati, di cui poche decine nella zona fillosserata del Sud, che pure negli anni dal 1911 al 1914 aveva assorbito quasi interi l'interesse, gli studi e l'entusiasmo della équipe unitaria.
E nel '22, quando ormai era impossibile mettersi coi rivoluzionari comunisti «rimasticatori di frasi fatte», né coi socialisti alla Serrati o alla D'Aragona, i socialisti del «vieni meco», con quelli che si dolevano d'essere bastonati dai fascisti, ma che erano pronti a dimenticare le bastonate non appena Mussolini avesse offerto lavoro ai disoccupati, cioè alle cooperative, Salvemini pensò di sottrarsi all'isolamento18, cui il disagio dell'ambiente politico lo condannava, col riprendere L'Unità19.
«Se ci sarà in Italia un gruppo d'uomini che garantisca 60.000 lire per un settimanale, riprendo L'Unità...». Quel gruppo d'uomini non ci fu; e Salvemini non tornò all'Unità.
Chiuderà la sua esperienza giornalistica pre-fascista nel «Non mollare»20.
L'Unità rappresentò nello svolgimento del pensiero politico del primo ventennio di questo secolo una tale esigenza di concretezza, da crearsi col suo stesso apparire una muraglia di resistenza e di ostilità in un ambiente, come quello politico italiano, più proclive a «rielaborare nuove edizioni del simbolo degli apostoli pestando l'acqua nel mortaio, che a mettersi di buzzo buono ad esaminare un problema ben definito, cercarlo nelle origini storiche, analizzarlo nelle condizioni presenti, costruire ipotesi per l'avvenire».
Che cosa volle L'Unità? Il lettore potrà desumerlo da ogni pagina della nostra Antologia e leggerlo nel dibattito che abbiamo raccolto —come «introduzione»— nella prima parte del libro, sotto questo interrogativo.
Noi ci proponiamo solo di sottolineare due dati:
— il tono «unitario» —non uniforme— del Giornale. L'impronta della personalità del Salvemini21 è intuibile nella totale assenza di elementi di dispersione. Ogni collaboratore era vincolato alla discussione accurata, scarna, pertinente di una delle questioni sollevate dal giornale, volta per volta, in un definito momento. Niente concessioni né eccezioni. La letteratura, le note di colore —di cui ubriacano i loro scritti i meridionalisti d'oggi, pagati a parola— le lamentele senza costrutto, le astrazioni filosofiche, la presunzione di chi pensava di sostituire lo studio dei problemi con formule dozzinali da far circolare innanzi ad ogni difficoltà per dare, e darsi, l'illusione di risolverla, sono totalmente ignorate nelle annate dell'Unità.
Un problema alla volta e approfondito attraverso i «fatti» e i dati storici fino all'esasperazione. Un metodo sobrio e costante di lavoro, condotto innanzi con disinteresse, onestà e fatica, nel proposito di contribuire alla formazione di un costume democratico più definito e produttivo di quello praticato dai Bevione e dai Rolandi-Ricci, dai Giolitti e dal Giornale d'Italia, dai socialisti corporativisti e dai clericali, dai delegati di P. S. e dai Prefetti. Un metodo che avvezzasse la gioventù alla dignità del lavoro e alla misura delle proprie manifestazioni, la disabituasse dai tripudi del nazionalismo e la disancorasse dai diversivi delle multiformi ideologie, la avviasse al lavoro di carattere pratico, la educasse ai vantaggi del vivere civile.
Ed appunto il produrre senza generalizzare, questo accettare impopolarità e rischi senza menarne vanto, questo non chiedere ma dare, fanno de L'Unità un documento storico e politico di tanto rilievo da rendere ancor più penosa la valutazione degli avvenimenti successivi al 1920;
— la capacità permanente di associare le prospettive di soluzione ad una certa azione politica, che non immeschinisse le iniziative in compromessi elettorali o in facili successi d'opinione, ma favorisse la circolazione delle idee, popolarizzasse certi piani di lavoro, radicasse particolari esigenze. I «Convegni dell'Unità», la partecipazione fervida alla costituzione e alle iniziative della Lega antiprotezionista, le sottoscrizioni per le Scuole dell'Agro Romano, i Comitati di controllo elettorale nelle elezioni del '13, la costituzione della «Lega Democratica per il rinnovamento della vita pubblica italiana» testimoniano l'attivismo — con un termine che certo spiacerà al Salvemini — del gruppo dell'Unità.
E fu appunto la necessità di una «presenza» polemica, quasi un collaudo di certe affermazioni critiche, a muovere il Salvemini —che concludeva una battaglia iniziata sin dal 190222— al famoso esperimento elettorale del '13, che fece saltare la mistificazione gio-littiana delle elezioni realizzate democraticamente. Bisognava creare «lo scandalo» documentato da testimonianze estranee all'ambiente23 per distruggere il luogo comune giolittiano-socialista24 della «democrazia in cammino». Ed il Salvemini, pagando di persona -essendo scontata la sconfitta— ottenne i risultati propostisi.
Questo atteggiamento moralizzatore che non fu la giustifica per una posizione assenteista, ma strumento costante di interpretazione e di partecipazione politica, ebbe nella vita della Rivista un peso notevole.
Accostandosi alla Rivista, oggi, colpiscono l'attualità dei temi —oltre la compiutezza degli interessi— e, per contrasto ed esperienza successivi, la logica della loro impostazione e la validità di alcuni giudizi storici25, controfirmati dagli avvenimenti posteriori.
Un giudizio negativo, al contrario, si è portati a formulare su quella borghesia intellettuale —specie meridionale— cui la Rivista fu destinata, tanto più negativo quanto più si appalesano permanenti i motivi della vecchia analisi unitaria. Purtroppo quella borghesia non raccolse alcun insegnamento né dall'esperienza dell'Unità, né dall'umanissima, quanto intransigente e solitaria, dirittura del suo animatore. E sia l'una che l'altra sono da annotarsi tra le pagine più nobili di quell'età che un uomo di studio americano ha chiamato giolittiana.
Per affidare alle generazioni più giovani un insegnamento, che non ha avuto continuatori ma pochi, anche se attenti e nobili, uditori, è stata compilata questa Antologia.
Che vuole essere anche un atto di devozione e di gratitudine a colui che molti di noi considerano uno dei pochi Maestri di democrazia che l'Italia abbia avuto, ed il più retto.
Beniamino Finocchiaro
settembre 1957
1«Rivista quindicinale di Diritto Pubblico - Economia - Arte - Lettere - Storia contemporanea» (1899-1902). Il Salvemini vi collaborò con una serie di scritti sulla «questione meridionale» (1899). Poi si occupò dei partiti milanesi nel sec. XIX, del Cattaneo, del Mazzini, con scritti minori (1899-1901). Temi analoghi i primi due a quelli trattati nella Critica Sociale.
2Salvemini racconta, ancor oggi commosso, che incontrati i Turati dopo la guerra -durante la quale non ci furono polemiche coi socialisti ma solo coi nazionalisti, per mantenere l'interventismo entro la linea democratica del Bissolati —al Caffè Guardabassi, in Piazza Montecitorio, la Kuliscioff gli andò incontro per testimoniargli la gratitudine dei socialisti per le battaglie combattute sull'Unita. Si ricomponeva un'amicizia solo sospesa negli anni precedenti.
3Su La Voce il Salvemini trattò essenzialmente la questione meridionale, la questione scolastica, la questione tripolina; temi ripresi nelle prime annate de L'Unità. I temi politici scomparvero dalla "Voce" con lo scoppio della guerra libica.
4La collaborazione del Salvemini alla Critica Sociale si può distinguere in tre fasi:
Prima fase (1897-1901): si svolge su tre argomenti: uno studio storico sulle correnti politiche in Lombardia, e in particolare sui moderati lombardi dopo il 1848; le esperienze comunali ed amministrative; la riforma della burocrazia. Oltre alcuni scritti sul movimento cattolico italiano e di politica estera.
Seconda fase (1901-1905): oltre che sul problema meridionale si accentra quasi esclusivamente sul problema della riforma della scuola, con addentellati al problema dell'analfabetismo; della scuola laica; della scuola e la democrazìa; ed in particolare della Federazione Nazionale degli Insegnanti Medi —di cui il Salvemini fu l'animatore—, del suo spirito e del suo orientamento.
Tersa fase: problema meridionale. In realtà fu il problema che occupò tutta la collaborazione del Salvemini alla C. S. Se ne trovano già impostazioni nella monografia «Un Comune dell'Italia Meridionale, Molfetta», del 1897. Lo si ritrova un articolo del 1899, «Le origini della reazione». Prende svolgimento con !a nota tesi federalista, verso il 1900 («La questione meridionale e il federalismo»); verso il 1905, e poi negli anni seguenti, si sviluppa largamente nella rivendicazione del suffragio universale, che dal Salvemini fu strettamente collegato alla questione meridionale.
4bisEdita a Palermo. Il S. vi collaborò dal 1904 al 1909, occupandosi prevalentemente dei problemi della scuola.
5Vedi l'articolo di Turati del 1903, Polemica meridionalista.
6Scriverà il Salvemini: «...Io mi trovavo in una posizione assai difficile. Dovevo criticare i riformisti senza lasciarmi sfruttare dai rivoluzionari, coi quali non avevo nulla, assolutamente nulla, in comune. Mi dicevo «riformista dissidente» e la dissidenza era determinata dal diverso modo di vedere la «questione meridionale»; naturalmente i meridionali non capivano nulla, assolutamente nulla, del mio riformismo, non sapevano fare altro che urlare, sbraitare, insultare, perdere tempo nei congressi».
7II Turati fu molto prevenuto verso la capacità politica —pensava quasi ad una incapacità naturale di intendere e di volere— delle masse popolari del Sud; e voleva soprattutto evitare il rischio che questa incapacità raffrenasse il moto di conquista delle riforme delle masse operaie del Nord.
8L'azione per il suffragio universale fu parallelamente trasferita all'interno del Partito Socialista. Il Salvemini iniziò la sua campagna nel Congresso Socialista di Firenze, fra le ostilità quasi generali. Egli pensava che il suffragio universale fosse destinato a rompere le piccole camorre municipali del Mezzogiorno. E la sua campagna proseguì quasi da solo. Per più di due anni, con discussioni nei comizi, con articoli di giornali, con opuscoli.
9Nel quale libro c'è l'essenza di quanto il Salvemini andò pubblicando fra il 1902 e il 1922.
10«II Partito Socialista deve essere il Partito dell'intera classe lavoratrice, pur senza mettersi violentemente contro la minoranza più avanzata, il proletariato del Nord, che è poi la sua forza, deve correggere le tendenze localiste, egoiste, corporativiste dei gruppi d'avanguardia» (intervento al Congresso del Partito nel 1910). Il Salvemini comunque s'era già staccato dalla «Critica Sociale», quando vi fu, intorno e dopo il 1909-1910, tutto un fervore di critica, morale e politica, circa i compiti e gli errori del Partito e la revisione delle sue «carte fondamentali». Ma anche nel Partito egli rimase assente —e fu suo gran merito— sia dalla corrente del «revisionismo» a sfondo bernesteiniano e collaborazionista, sia dalla corrente della critica idealista ed antiortodossa.
11Di polemica in polemica.
12Nella memoria del Salvemini è vivissimo il ricordo di un titolo —«I cipressi di San Guido»— apparso ad apertura di un ampio dibattito letterario, il 5 ottobre 1911, forse in occasione della seconda edizione del Pastore del Thovez, nel momento in cui più violenta si scatenava la fiumana nazionalista per l'impresa libica.
13Scriveva al Petraglione il 4 gennaio 1912: «La crisi è utile. Provvedo io stesso all'amministrazione. Il 4° numero sarà abbastanza ordinato. Il 5° sarà in carreggiata. Mandatemi articoli, articoli, articoli. Devo fare il facchino ancora per 15 giorni. Poi tornerò a fare il direttore».
14Proprietà Salvemini. Gerente responsabile dei primi due numeri Arturo Mugnoz; dal terzo numero Angiolo Giovannozzo.
15Proprietà, Società Anonima Cooperativa "L'Unità". Gerente Ernesto Fratoni.
15bisLa sospensione nel '14 fu provocata dalla guerra europea. Il gruppo dell'Unità volle studiare il problema con serietà prima di impegnarsi a fondo per l'intervento. La pubblicazione fu risospesa nella primavera del '15, essendo stata ritenuta necessaria, durante la guerra, la cessazione di ogni discussione fra democratici e nazionalisti. Il Salvemini andò al fronte come volontario. Tornato dal fronte, riprese il settimanale col De Viti De Marco alle fine del '16, e lo continuò fino alla fine del 1920, sollecitato dalla violenza della persistente campagna nazionalista.
16Proprietà Salvemini. Gerente Egisto Casagli.
17Proprietà Salvemini. Amministrazione "La Voce".
18«...Non mi sento di mettermi all'opposizione dell'opposizione, di essere minoranza nella minoranza. Ho fatto questo lavoro per venti anni. Basta...
...Quel che potrei dire oggi l'ho detto sempre. Nulla ho da mutare. Non debbo neanche ripetermi...» (da una lettera ai suoi amici politici molfettesi, in data 22 novembre 1922).
19E questa esigenza di un giornale che ripetesse impostazione e metodo de L'Unità è rimasta viva nella coscienza del Salvemini, anche attraverso le amare esperienze dell'esilio: «...Ci vorrebbe un settimanale di colore più definito... che trattasse i problemi concreti da un punto di vista che non fosse né comunista né cristiano-democratico, né liberale di destra, ciò è a dire conservatore-monarchico-neo-fascista: il punto di vista di una democrazia non disposta a perdersi fra le nuvole. Io non so se un settimanale di questo genere possa sorgere. Se sorgesse mi ci dedicherei con tutte le mie forze per gli ultimi anni della mia vita» scriveva nel '50.
20«...Se mai vedrò sorgere un gruppo di uomini, che accetti le mie idee e mi dia prova di voler lavorare sul serio per esse mi metterò con loro a costruire. Ma da me solo non posso costruire. E mi sento solo...» (Ibidem).
21Ricordando Antonio De Viti De Marco su "Controcorrente" di Boston nel dicembre 1949, il Salvemini ci consente di intuire il suo metodo di lavoro: «Quando sorse il settimanale L'Unità sulla fine del 1911, De Viti De Marco ne divenne collaboratore assai apprezzato. Non era scrittore facile. La sua forma assai densa, non era sempre immediatamente chiara. Era come una noce dal guscio duro: bisognava romperla, a volte con fatica, per gustarne il frutto. Nel leggere i suoi manoscritti io mi mettevo dal punto di vista di un operaio, magari di un contadino analfabeta, convinto che essi avevano il diritto di capire, se noi volevamo essere democratici per davvero, e non sacerdoti di riti arcani. E gli rimandavo i manoscritti tempestati di domande di schiarimenti e proposte di chiarificazioni».
22Con gli scritti sulla necessità della riforma elettorale. Lo stesso volume «II Ministro della malavita» fu pubblicato nel 1910, anche se acquistò popolarità dopo il 1913.
23A quelle elezioni parteciparono come "osservatori": Ugo Ojetti, Umberto Zanotti Bianco, Giuseppe Lombardo-Radice ed altri. E' difficile supporre una elezione più impersonale di quella del '13.
24Una delle tesi più recenti di scuola crociana e di scuola comunista, usando di una "curiosa" interpretazione di alcuni passi della Introduzione del Salvemini al volume L'età giolittiana di William Salomone cerca di accreditare una modifica del giudizio salveminiano sul Giolitti. Prescindendo dai motivi polemici, che contribuirono alla formazione di questa tesi, il testo di quella introduzione riconferma integralmente il giudizio negativo del Salvemini sui metodi, sui compromessi, sui criteri dell'azione giolittiana.
25Gli articoli sul rinnovamento della Triplice e su taluni aspetti della questione meridionale sono dei documenti preziosi di intuizione e di acume politico.